È davvero possibile essere liberi oggi? Fino a che punto puoi spingere l’idea di libertà nella tua vita? Che cosa facciamo veramente della nostra vita? Non è intessuta di vincoli di ogni tipo? Possiamo vivere assolutamente liberi, distaccati da tutto, aperti a ciò che viene? In realtà siamo tutti delle finzioni viventi.
Era il primissimo autunno, il cielo era ancora bianco e caldo. Nel 1966, la città non era ancora gentrificata. Una città operaia, laboriosa, che ammiravo; ho sonnecchiato al sole, con la mente concentrata, su una panchina della Bissuola. Andavo al cinemino di Carpenedo, costava poco, solo 200lire, ma per me significava qualche altra rinuncia. Splendore della povertà, che non era ancora diventata la miseria del nostro odierno benessere.
Per tutta la giornata non facevo altro che annotare i dettagli, lo scorrere dei colori, dei volti. Avevo la sensazione di essere alla fine di un mondo antico, liberato, aperto, sull’orlo di una calma estasi. Non avevo di me la più pallida idea di utilità. Ero un essere crudo, come si può esserlo a quell’età, mi sentivo trasparente. Non fare altro che essere disponibile all’emozione di un luogo, non è forse il lato migliore di quell’età, di cui sento ancora l’influsso benefico a distanza di quasi sessant'anni? Guardavo, ascoltavo, immaginavo: la città cresceva dentro di me come un paesaggio interiore. Stavo diventando come uno dei suoi abitanti.
Già vent’anni dopo, non la riconoscevo più. Figuriamoci oggi, che la città è totalmente un’altra cosa. Urbanisticamente, sociologicamente, antropologicamente. Ci hanno imposto un’altra narrazione delle cose e della vita in generale. Esiste un luogo, nel mondo, dove la distruzione non ha preso piede, dove non ha preso il posto dei vivi trasformandoli in spettri, dove si resiste ancora ai promotori della furia planetaria del “mercato”, alias del capitalismo più rapinoso e sfacciato?
Qualche anno dopo, in V. Hermada, dove abitavo, si tenevano le riunioni di Quartiere al Bar detto "Al Partito". Io ricordo la prudente speranza e la sensazione di appartenere a qualcosa di grande e bello, futuribile, anche se eravamo quattro gatti. Ecco: ora siamo inchiodati all'isolamento di narcisismo ed egoismo indotti e sistematici e quando il nostro tempo sarà finito, finirà, con la nostra memoria, anche la nostra traccia.
RispondiEliminaChe piacere risentirti. Ovunque andassimo nel mondo quella era la nostra casa dove si trovava sempre volentieri.
EliminaSì ma è solo questo il nostro quotidiano? Il rimpianto di quando avevamo le tasche vuote e la testa piena di speranze? Era veramente un mondo migliore o è la mitizzazione della gioventù'? Sono utili queste rimembranze a chi adesso si affaccia alla vita?
RispondiElimina"O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?"
GL
Per quel che vale (e pur non essendo certo qualcuno "che si affaccia adesso alla vita", al massimo un "millenial") io trovo quest post utili e anche belli. Naturalmente non credo che fosse un mondo migliore, però vale la pena ogni occhiata su un mondo in cui la speranza poteva ancora riempire le teste. Dà un po' di speranza anche a noi che non abbiamo conosciuto altro che distruzione, anche e soprattutto dell'immaginario (come si dice).
EliminaNostalghia
RispondiEliminaPosso consigliare il gruppo di Facebook "Mestre evolution", dove trovate molte foto degli anni '60 e '70. I commenti fanno malinconia, ma non è obbligatorio leggerli
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