Nell’inserto domenicale de Il Sole, quotidiano della Confindustria, compare la recensione all’edizione, nuova di zecca, einaudiana de Il Capitale di Carl Marx. I recensori, come sempre capita, dimenticano di scrivere il titolo dell’opera per intero (*), cosa che di per sé forse indurrebbe gli scribacchini a una maggiore attenzione su ciò che vanno scrivendo.
Essendo l’inserto più commerciale che culturale, la recensione è stata affidata a un giornalista, Salvatore Carrubba, che della materia non conosce nulla. Ed infatti si premura a mettere le mani avanti: “Non so a chi abbiano qui voluto fare più dispetto – se al recensito o al recensore – proponendo a un vecchio liberale di presentare niente meno che Il Capitale di Karl Marx. Excusatio non petita, accusatio manifesta.
Carrubba sottolinea che l’opera è “sicuramente la più pensata” da Marx, ma “probabilmente la meno letta”. E qui il recensore coglie nel segno, perché Il Capitale è l’opera più citata e meno letta in assoluto. A cominciare proprio dal sig. Carrubba, che al massimo l’ha sfogliata (ma anche su questo tipo d’approccio minimale nutro dei dubbi).
Per capire che una persona non ha avuto a che fare davvero con quest’opera di Marx, è sufficiente che essa pronunci la parola “profeta”, o anche “falso profeta”, come fa quell’asino di Popper che Carrubba cita. Prima ancora, il recensore cita le parole sprezzanti di un noto latifondista, il più tronfio degli intellettuali italiani del Novecento: Benedetto Croce. Un ex fascista pentito che, a riguardo di Marx, ha completamente frainteso una grande scoperta marxiana, ovvero la legge sulla caduta del saggio di profitto (oltre al tentativo di ridurre il marxismo a mero canone storicistico e deterministico insieme).
Quindi chi altro cita il nostro recensore? Immancabilmente il “più ed ambizioso epigono di Marx, l’autore de il capitale nel XXI secolo, Thomas Piketty”. Epigono di Marx! Un tizio che sproloquia e che candidamente ammette di non aver letto Il Capitale di Marx, perché lo trova ostico e, udite, ininfluente!
Lo dice in una intervista:
Ma basta con questa robaccia, ho speso fin troppe parole per gente senza vergogna. Segnalo solo, da ultimo, che invece dell’edizione einaudiana, ovviamente molto costosa, è disponibile l’edizione de La città del Sole, due poderosi tomi in cui c’è tutto e di più del famoso libro del “falso profeta”.
(*) Il Capitale. Critica dell’economia politica. Libro primo. Il processo di produzione del capitale.
(**) Croce, Una obiezione alla legge marxistica della caduta del saggio di profitto, poi raccolto in Materialismo storico ed economia marxistica, Laterza, Bari 1946, pp. 149-61. Al riguardo soggiungo solo che se, oltre il cap. 13 del III Libro, Croce si fosse preso la briga di leggere anche i capp. 14 e 15, forse avrebbe evitato di aggiungere al suo curriculum altre miserabili sciocchezze. Ad ogni modo l’imbecille pone a presupposto della sua “critica” un presunto “errore del Marx”, il quale avrebbe attribuito “inavvedutamente” un valore maggiore al capitale costante che viene messo in movimento dalla stessa forza-lavoro, e ciò nonostante, obietta Croce, il progresso tecnico faccia scendere il valore delle materie prime ed ausiliarie impiegate come capitale costante in rapporto al valore della forza-lavoro.
A quest’asino sfuggiva un fatto assolutamente elementare, e cioè che allo stesso modo che il progresso tecnico fa scendere il valore delle merci impiegate come capitale costante, in modo altrettanto progressivo consente all’operaio di mettere in movimento una quantità notevolmente maggiore dello stesso capitale. È questa una nozione così elementare che anche un qualsiasi operaio, per quanto “inavveduto” di filosofia crociana, può illustrare facilmente.
Se Croce si fosse data la briga di leggere anche il cap. 15°, avrebbe scoperto che tale legge non funziona solo in presenza di un aumento della composizione organica del capitale, ma anche, come sa qualsiasi padroncino, con la diminuzione del numero degli operai impiegati sulla base di un determinato capitale. Si tratta della tendenza del capitale alla massima riduzione possibile del numero degli operai da esso occupati, da un lato, in contrasto con la sua assoluta necessità, quella di produrre la maggior massa possibile di plusvalore. Ecco a cosa serve la dialettica materialista applicata alla scienza economica.
Però davvero il maggior difetto dell'opera marx-engelsiana è lo stile esoterico dell'esposizione che produce frequenti e facili fraintendimenti. Anche se è altrettanto vero che questi fraintendimenti sono spesso il frutto di pregiudizi di classe.
RispondiEliminaPietro