«Eppure le tue ossa si consumeranno,
sepolte nei campi di Ilio,
per un’impresa incompiuta».
Alessandro
Manzoni a riguardo di Napoleone Bonaparte si chiese se la sua fu vera gloria.
Molti hanno risposto in modo diverso e problematico a questa domanda. Personalmente
non ho dubbi: la sua fu vera gloria, e ciò a prescindere dalle ipotetiche
pretese del “Massimo Fattor” manzoniano, anche se, a un dato punto, le sue
guerre persero le caratteristiche della lotta tra conservazione e cambiamento.
Per
una valutazione della stoffa d’uomo, basterebbe leggere una parte delle sue
33.000 lettere (Correspondance générale,
Fayard) per rendersi conto che si trattò ad ogni modo di una personalità dotata
di volontà e talento non comuni, che seppe sì sfruttare a proprio vantaggio le
situazioni che gli si presentavano ma valendosi d’indubbio ingegno, pur con le
mende del suo temperamento. L’eccezionalità dell’uomo si combinò con la
straordinarietà degli avvenimenti, e ciò dimostra una volta di più che sono le
circostanze a fare gli uomini non meno di quanto siano gli uomini a fare le
circostanze (*).
*
La
causa visibile della crisi dell’antico regime era anzitutto di origine
finanziaria, cioè la Francia scontava una profonda debolezza economica, e non
solo a causa delle inusitate dissipazioni alle quali era dedita un’aristocrazia
schizoide, ma perché doveva far fronte alle continue spese della guerra moderna
e di una burocrazia disonesta e incompetente. In breve, la politica della monarchia
francese fu sempre disopra dei suoi mezzi economici.
Per
quanto riguarda la guerra, tema del quale si occupa specificamente questo post
(nell’economia di un blog, chiaro), la monarchia doveva sempre improvvisare
quand’essa scoppiava. Solo allora si arruolavano ufficiali e uomini di truppa, ai
quali mancava di tutto. I fornitori divenivano i veri padroni della situazione,
acquistavano sul tamburo e a qualsiasi prezzo ciò che occorreva per costituire
dei magazzini di approvvigionamento per le truppe e per mettere insieme degli
equipaggi. Si arricchivano a spese del re e i loro agenti derubavano
sistematicamente i soldati. Si era tentato di organizzare un controllo, ma i
commissari alla guerra non avevano sufficiente coscienza professionale e reale
interesse per essere meno corruttibili.
Dopo
la Rivoluzione si fecero sforzi sovrumani per fare a meno dei fornitori,
nazionalizzando i servizi ed esigendo dai funzionari devozione e disinteresse.
Tuttavia, dopo il 9 termidoro, cioè a seguito della caduta di Maximilien Robespierre, la Repubblica si ritrovò allo stesso
punto della monarchia, e tale situazione continuò sotto Napoleone aggravata
dallo smisurato aumento degli effettivi e dal permanente stato di minaccia e di
belligeranza.
*
George
Lefebvre (1874-1959) colse nel segno quando ebbe a scrivere che fu il
capitalismo inglese a sconfiggere Napoleone (**). Il
senso comune guarda a Napoleone come a un innovatore nell’arte della guerra (in
parte lo fu), come a un organizzatore instancabile (e indubbiamente fu anche
questo), ma per quanto riguarda le condizioni materiali effettive dei suoi soldati,
della sua Grande Armata, e cioè per quanto riguarda equipaggiamento,
sussistenza, sanità e ammodernamento dell’armamento, regnò paradossalmente la
più generale trascuratezza e sempre grande improvvisazione nell’organizzare le
campagne di guerra. Egli non ebbe più cura delle condizioni di vita dei suoi
soldati di quanta n’ebbero i comandanti degli eserciti avversari. Non si arrivò
a dire, come Federico II sul campo di battaglia a un giovane ufficiale
titubante, “Cane, speravi dunque di vivere per sempre?”, tuttavia la
considerazione per la carne umana non fu mai migliore né allora né in seguito.
Il
tema del reclutamento e dell’avanzamento meriterebbe di per sé un discorso a
parte, e perciò non viene qui preso in considerazione. Ricordo semplicemente un
paio di dati: dal 1800 al 1812 non furono chiamati alle armi, nel territorio
della vecchia Francia, più di due milioni di uomini, cioè il 36% dei mobilitati
e il 7% della popolazione totale (Jacques Godeschot, Napoleone, p. 114). Secondo Lefebvre, dal 1800 al 1812, Napoleone
non arruolò che 1.300.000 uomini complessivamente, un po’ più dei tre quarti
della vecchia Francia. Anche se si tiene conto delle grandi chiamate del 1812 e
del 1813 (più di un milione), la proporzione, in rapporto agli iscritti, non
supera il 41% (p. 221). Pertanto Napoleone conservò sotto l’aspetto numerico (ma,
osservo, non sotto quello ordinativo) l’esercito che aveva ricevuto dalla Convenzione
e dal Direttorio. Più tardi l’esercito, divenuto imperiale, comprendeva nella
sua maggioranza soldati “stranieri” (dei paesi alleati o vassalli), tanto che i
francesi della vecchia Francia nel 1812 non costituiranno che una minoranza fra
i soldati di Napoleone (***).
L’esercito
non disponeva di riserve organizzate, e la proporzione degli effettivi
combattenti andò sempre più diminuendo. Per quanto riguarda i comandanti di più
alto livello, va ricordato che salvo eccezioni essi si mostrarono mediocri e a
volte pessimi. Per quanto riguarda i quadri intermedi, valeva il merito ossia
il valore dimostrato sul campo, ma nulla era previsto per un’iniziazione
intellettuale all’arte della guerra.
Nel
1805, dopo la rottura del trattato di Amiens, Napoleone aveva già quasi 400.000
uomini alle armi e non era possibile mantenerli convenientemente in tempo di
pace. Il soldato percepiva cinque soldi il giorno, e lo Stato non gli dava che la razione di pane e, in tempo di guerra, la carne. La paga era
insufficiente e tutt’altro che regolare la sua corresponsione. A causa della
mancanza di denaro era impossibile accumulare viveri, scarpe e vestiario, i
mezzi di trasporto che l’entrata in campagna presupponeva. Napoleone si limitava
alle armi e alle munizioni.
Già
nel 1800 gli occorreva una riserva di tre milioni di fucili: non li ebbe mai;
nel 1805, i fabbricanti ne consegnarono 146.000, e si calcola che una campagna
ne distruggesse quasi altrettanti. Si trattava peraltro di fucili modello 1777, arma modernissima agli inizi della Rivoluzione, ma inferiore al nuovo
fucile britannico dopo il 1808. Non ho notizia che Napoleone abbia pensato di
sostituire quello in uso.
L’artiglieria
continuò a essere dotata di cannoni sistema Gribeauval (due palle piene da 4,
da 8 o da 12 libbre al minuto), entrati in servizio nel 1780; erano superiori
ad ogni altro nel 1792 (eccellenti alla distanza di 600 metri), furono però
superati dal nuovo materiale austriaco e inglese verso la fine dell’impero.
Napoleone attribuiva estrema importanza alla potenza di fuoco e, di
conseguenza, all’artiglieria; nondimeno, la sua rimaneva poco abbondante: 12
pezzi per divisione fino al 1806, nel quale anno soltanto apparve il parco generale,
ossia 59 pezzi. Nel 1808 si conteranno due pezzi per ogni migliaio di uomini.
Sulla responsabilità di tale situazione, si veda quanto scrive Lefebvre a
pagina 225 (a tale riguardo, J. Godechot risulta troppo prevenuto nei riguardi
di Napoleone).
Il
capitolo più inquietante riguarda la sanità militare, per quanto Napoleone
perfezionasse anche tale servizio con l’istituzione, ma solo nel 1809, di
compagnie di barellieri e infermieri che disponevano di ambulanze militari
specializzate. Tuttavia l’aspetto sanitario rimaneva davvero inquietante anche
per quell’epoca. I medici, in generale, non erano molto di più che dei segaossa,
e Lefebrve osserva che “il personale sanitario era al di sotto della
mediocrità” (p. 231). Non di rado come infermieri venivano assunti gli abitanti
dei luoghi dove veniva combattuta la battaglia, e si requisiva il materiale
necessario per le cure sul posto. Era un inferno: le atroci ferite della palla
piena, le amputazioni senza anestetico, la cancrena e il marciume degli
ospedali, l’indicibile sporcizia, la scabbia, i pidocchi, il tifo (non erano
ancora disponibili né antibiotici né vaccini, al più la pratica della variolizzazione
e solo agli albori la vaccinazione anti-vaiolo).
Si
tenga conto che i caduti in battaglia in genere costituivano solo una
piccolissima parte delle perdite: il 2% ad Austerlitz, e al massimo l’8,5% a Waterloo;
il resto moriva negli ospedali in seguito alle ferite o malattie, ma anche di
esaurimento e di freddo. Hippolyte Taine scrive che sotto il consolato e
l’impero morirono 1.700.000 uomini, solo per quel che riguarda la vecchia
Francia. Lefebvre opina che la vecchia Francia non offrì di più e quindi se
tale numero fosse esatto non sarebbe tornato nessuno, senza parlare dei
prigionieri. In realtà, sostiene, le perdite dal 1800 al 1815 si possono
calcolare a meno di un milione, di cui un terzo i dispersi, i quali certamente
non morirono tutti (va ricordato, p. es., che a causa di diserzioni e malattie,
l’armata napoleonica della campagna di Russia perse quasi la metà dei suoi
effettivi prima ancora di entrare in azione). A questa cifra di un milione,
bisogna aggiungervi 200.000 nuovi francesi circa e approssimativamente un
uguale numero di alleati e di vassalli. Pertanto il numero dei morti
complessivo da prendere realmente in considerazione potrebbe aggirarsi tra un
milione e il milione e mezzo.
Il
brodino si sta allungando troppo, forse continuerò una prossima volta.
(*)
Non si può giudicare nel bene e nel male un protagonista come Napoleone (o
altri) se non nell’ambito delle circostanze storiche nelle quali si trovò ad
agire, avendo peraltro riguardo di considerare che ogni epoca sconta i retaggi
del passato e i pregiudizi del presente.
Ad
ogni modo riporto il giudizio del Taine: «[…] egli [Napoleone] costruisce, con
materiali resistenti, da uomo pratico qual è, l’edificio solido, abitabile,
adeguato allo scopo. Tutta la massa dei muri portanti, codice civile,
università, concordato, amministrazione prefettizia decentralizzata, tutti i
particolari dell’ordinamento e della distribuzione concorrono a un effetto
d’insieme che è l’onnipotenza dello Stato, l’onnipotenza del governo,
l’abolizione dell’iniziativa locale e privata, la soppressione
dell’associazione volontaria e libera, la dissoluzione graduale dei piccoli
gruppi spontanei, l’interdizione preventiva delle lunghe opere ereditarie,
l’estinzione dei sentimenti tramite il quale l’individuo vive oltre se stesso,
nel passato e nel tempo a venire. Mai si costruì una caserma più bella,
dall’aspetto più simmetrico e decorativo, più accettabile per il buon senso
comune, più confortevole per l’egoismo gretto, meglio tenuta e più pulita,
meglio organizzata per disciplinare le parti medie e basse della natura umana,
per atrofizzare o deturpare le parti alte della natura umana. In questa caserma
filosofica non viviamo da ottant’anni». Hippolyte Taine, Le origini della Francia contemporanea. La rivoluzione. Vol. II,
Adelphi, pp. 799-800.
(**)
“La vittoria della Gran Bretagna sull’imperatore fu la vittoria del
capitalismo” (p. 594). Il Napoléon di
Lefebvre, considerato a ragione da Luigi Mascilli Migliorini come la migliore
biografia del XX secolo dedicata a Bonaparte, soffre, in numerose edizioni e
dunque non solo nelle varie ristampe anastatiche in lingua italiana,
dell’assenza di note (che nell'edizione originale esistono), vieppiù necessarie soprattutto per il medio lettore che a
ogni pagina si trova a dover indovinare chi mai fosse un personaggio, a cosa
corrisponda una data, un fatto, un termine tecnico. Ad ogni modo resta un testo
imprescindibile e straordinario che va ben oltre la biografia del personaggio
poiché racconta una Francia e un’Europa poco conosciuta fuori della cerchia
degli studi specialistici (specie per quanto attiene all'aspetto economico-finanziario). A sua volta Mascilli Migliorini è autore della
migliore biografia “politica” di Napoleone, la quale presenta 173 pagine fitte
di note in corpo otto, molte delle quali sono riproposizioni in francese di
estratti di mémoires dei protagonisti
dell’epopea napoleonica, e ciò non può che creare presso il grande pubblico delle difficoltà per chi non avesse dimestichezza con la lingua e soprattutto con le espressioni idiomatiche d’oltralpe. Una biografia classica e molto più scorrevole, seppur
datata, è quella firmata da Evgenij Tàrle, facile da reperire nelle varie
edizioni. Oppure il Napoleone di Jacques Bainville, riedito recentemente. Va tuttavia rimarcato che Napoleone è senza dubbio il personaggio storico sul quale si è scritto di più, e
perciò la bibliografia che lo riguarda è pressoché sterminata, anche se spesso
di livello non eccelso. Nelle note del libro di Mascilli Migliorini c’è sovrabbondanza
per orientarsi sulla migliore bibliografia sui più vari aspetti della vicenda
napoleonica.
(***)
I francesi dell’epoca, per “vecchia Francia” intendevano la Francia non ancora allargata
a quelle che venivano chiamate “frontiere naturali”, ossia al Belgio e alle
attuali propaggini tedesche del Reno, più qualcos’altro, tipo Nizza e Savoia,
ecc..
Adoro questi suoi post storici. La ringrazio per la piacevole lettura,
RispondiEliminaDario
questi commenti ripagano del mio lavoro. grazie Dario
Eliminapurtroppo continuo a trovare errori di battuta, la digitalizzazione vocale è per me di grande aiuto, ma a volte risultano delle vere e proprie castronerie e non sempre te ne accorgi a colpo d'occhio
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