È
stato quello americano un voto di rabbia, s’è detto e ripetuto in tutti gli idiomi e tra tante
analisi di aspetti insignificanti. Naturalmente tale rabbia non è semplicemente
il sintomo di crampi psicopolitici, bensì l’espressione di una condizione
sociale, di classe, oggettiva. Una rabbia che non si misura con i modelli
matematici, ignari delle mutazioni sociali in corso. Volendo buttarla
sull’evenemenziale si potrebbe dire che l’algida signora Clinton ha perso quale
erede del fallimento Obama, un presidente che ha tradito ogni promessa.
Non
deve dunque sorprendere che infine a rilucere sia stato, non certo l’eloquio da
dopolavoro ferroviario del signor Trump, ma un programma declinato in modo
chiaro e forte, comprensibile da chiunque, di stampo simil-neokeynesiano: meno
risorse per gli armamenti e più soldi per scuole, ospedali, infrastrutture.
Una
ricetta semplice e più antica della “scoperta” dell’America, che punta a
mettere in moto, almeno nelle intenzioni, il settore dell’edilizia e promuovere
la produzione e i consumi interni. Sarebbe pertanto dimostrabile che dalla crisi si
può uscire e che il capitalismo è suscettibile di riforma, e che anche
un Trump engagée, fino a ieri lasciato
al bordo della scena politica, ce la può fare!
Sennonché
gli Usa non sarebbero ciò che sono se non fossero la prima potenza economica
del pianeta, fatto che implica il mantenimento di una primazia strategica,
tecnologica e militare. Chiusa parentesi.
*
Quell’astrazione concretissima e
violenta che chiamiamo capitale ha un unico, esclusivo e assoluto scopo: la
propria valorizzazione e riproduzione su scala allargata. La fase attuale, di crisi generale storica del modo
di produzione capitalistico, riassume ed esalta tutte le contraddizioni
immanenti al sistema: gigantismo nella composizione tecnica del capitale
(sempre più lavoro morto in rapporto al lavoro vivo), caduta progressiva del
saggio del profitto, crisi della forma valore, monopolio, concentrazione e
centralizzazione dei capitali, finanziarizzazione dell’economia, aumento da un
lato della disoccupazione e dall’altro dello sfruttamento, denatalità (*), aumento
delle disuguaglianze sociali, crescenti appelli papali alla carità, aumento del
debito pubblico, crisi sociale e politica, aumento della competizione e della
lotta per le risorse e gli spazi economici, quindi tensioni internazionali, guerre
locali e minacce di altre guerre mondiali.
Per
tutto il resto basta seguire i talk televisivi: chiacchiere e tabacchiere di
legno.
(*)
Scrive tra l’altro Marx: “È questa una
legge della popolazione peculiare del modo di produzione capitalistico, come di
fatto ogni modo di produzione storico particolare ha le proprie leggi della
popolazione particolari, storicamente valide. Una legge astratta della popolazione
esiste soltanto per le piante e per gli animali nella misura in cui l’uomo non
interviene portandovi la storia”.
Ineccepibile, come al solito.......aggiungerei una non irrilevante liaision parentale con giudii, che non guasta mai. Bonne soirée, Madame.
RispondiEliminaok !
RispondiEliminacaino
«Non deve dunque sorprendere che infine a rilucere sia stato, non certo l’eloquio da dopolavoro ferroviario del signor Trump, ma un programma declinato in modo chiaro e forte, comprensibile da chiunque, di stampo simil-neokeynesiano: meno risorse per gli armamenti e più soldi per scuole, ospedali, infrastrutture.»
RispondiEliminaperdoni la mia poca perspicacia, ma di chi sarebbe questo programma?
Marco
ma quando l’avrebbe detto, di preciso? cerco, cerco, ma non trovo.
EliminaMarco
non ha forse detto che l'europa deve spendere di più per la sua difesa. e dunque, almeno da questo lato, vuole tagliare le spese militari, anche se poi le manterrà o le aumenterà nel complesso. e per quanto riguarda le infrastrutture ecc l'ha detto e ribadito durante il corso della campagna elettorale.
EliminaI dati delle elezioni a stelle e strisce in un semplice grafico: https://www.facebook.com/maurizio.peggio?fref=ts#
RispondiEliminaIl 46,9% NON HA VOTATO!
non ho accesso a fb
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