lunedì 31 luglio 2017

Il rovesciamento ideologico della realtà



Con lo sviluppo tecnologico e tecnico aumenta la produttività del lavoro, ossia con la stessa quantità di forza-lavoro, impiegata per lo stesso tempo, oggi vengono prodotte molte più merci di una data tipologia (auto, frigoriferi, sex toys, ecc.) rispetto a – poniamo – mezzo secolo fa, eccetera.

E però la giornata lavorativa normale è rimasta sostanzialmente invariata (*). La disoccupazione, l’esercito industriale di riserva di marxiana memoria, un tempo modulata e funzionale al ciclo del capitale, è oggi un dato strutturale permanente e in gran parte svincolato dal ciclo.

L’ideologia borghese ha tutto l’interesse di capovolgere la realtà, ossia di far apparire la persistente disoccupazione di massa, e il suo incremento, come causa dello sviluppo tecnologico e tecnico, e non come causa del modo nel quale viene impiegata la forza lavoro nel processo produttivo capitalistico.

Non dunque lo sviluppo tecnologico e tecnico, ma il modo di produzione capitalistico sta creando le condizioni per un aumento considerevole di un proletariato sempre più ai margini della società, con conseguenze anche sul piano delle dinamiche politiche ed elettorali, la crisi del welfare, ecc.

*

L’aumento della produttività della forza-lavoro si traduce in una minore quantità di nuovo valore per unità di prodotto e, nel complesso, in una minore quantità di nuovo valore (e non semplicemente "aggiunto" !!!) in rapporto all’insieme del capitale investito. Ciò crea crescenti difficoltà di valorizzazione al capitale. Pertanto non è, di per sé, lo sviluppo tecnologico a essere causa della crisi, come l’ideologia borghese ha buon gioco nel far credere, ma la sempre più accentuata divaricazione tra valore d’uso e valore di scambio.

Come diceva quell’ipocondriaco di Treviri, il limite al capitale è il capitale stesso.


(*) Qui si fa astrazione, per comodità espositiva, da altre condizioni e considerazioni, sul tipo, per esempio, dell’intensità di sfruttamento della forza-lavoro (intesa di livello costante).

domenica 30 luglio 2017

Sinistra marziana



Oggi non volevo scrivere nulla, ma una frase dell’editoriale dell’Eugenio nazionale mi ha messo davvero di buon umore. Eccola:

L'attuale classe dirigente del Pd, che ha credibilità, si compone di cattolici democratici e di sinistra marxiana, uniti insieme.

Neanche marxisti, ma addirittura marxiani!! Passi poi per la “credibilità”, nei riguardi di chi e di che cosa non si sa. Già lo vedo D’Alema telefonare a Bersani:

D.  – Pronto, Pierluigi?
B.  – Massimo, cazzo vuoi a quest’ora di notte, ti è entrata una mucca in camera da letto?
D. – Scusa, ma non riuscivo a prendere sonno, ripensavo alla nostra discussione di ieri sera. Ebbene ho trovato tra la corrispondenza di Marx ed Engels un carteggio molto interessante che riguarda la disputa tra Malon e Brusse (possibilisti), da un lato, Guesde e Lafargue (collettivisti), dall’altro. Pensavo che la cosa potesse interessare Giuliano in vista del nostro programma elettorale.
B. – Ah sì, conosco quella diatriba. Penso che potrebbe essere Valter a parlarne a Giuliano, ricordo che a suo tempo scrisse a tale riguardo un lungo articolo su Rinascita, una presa di posizione che fece molto discutere sia in segreteria che alla base del partito.
D. – Penso anch’io sia una buona idea quella di mettere la cosa tra le mani di Valter, è un caso che conosce bene e potrebbe trovare la chiave metodologica per ricomporre i due aspetti.
B. – Però c’è un problema …
D. – Pensi che Giuliano possa rintracciarvi la ripresa di metodi di applicazione …
B. – No, no. Non è di questo che si tratta. Mi riferisco a Valter. Ripensandoci, credo che in questo periodo non possa occuparsene poiché sta ultimando la sceneggiatura di un lungometraggio sull’infanzia di Rosa Luxemburg.


E via, marzianamente così.

sabato 29 luglio 2017

Venditori di pezzi della vera croce



L’ultima volta fu esattamente nell’agosto di ventidue anni fa, a Milano Marittima. Cazzo se passa il tempo. Presso una piccola libreria, all’aperto, presentava la sua ultima fatica letteraria davanti a un tutto esaurito di una quindicina di persone. Ben presto il discorso passò dall’utopico al prosaico: difendeva il suo buon diritto a riguardo dell’assegnazione di una casa da parte del comune. Era un tugurio con giardino, in pieno vento, che nessuno voleva. Così disse Mario che quella casa l’aveva mirabilmente ristrutturata a sue spese.

Fu a quel punto che con i miei ci alzammo per andare a prendere un gelato. Ricordo una superba coppetta allo yogurt. Quasi una novità allora, almeno per me. Lui no, è rimasto lo stesso tribuno proletario. Oggi rivendica il suo buon diritto a mantenere il proprio vitalizio con il calcolo retributivo. Minaccia ricorso nel caso passasse la legge. Dichiara di non sapere a quanto ammonti l’assegno, che in parte sostiene di versare alla sua fondazione. Argent de poche, ma vale la questione di principio. E Dio è testimone di quanto sia sempre stato uomo di saldi e alti principi.


Caro lettore, che cosa vuoi che commenti? Sono venditori di spine e di pezzi della vera croce. I veri colpevoli sono coloro che quelle vestigia se le sono comperate a prezzo pieno quand’erano già avanzi in liquidazione.

giovedì 27 luglio 2017

I giaguari muoiono con le loro macchie



«In questo momento vorrei non essere un’elettrice o un elettore di sinistra.»


È un problema tutto suo, signora Norma Rangeri, il voler essere elettrice dei sedicenti liberali Bersani e D’Alema, dell’ineffabile Vendola, passando per quel gouchiste alla crema di cetriolo che risponde al nome di Pisapia. Nessuno di loro ha in agenda la parola comunismo, così come il Manifesto ha espunto parole come “padroni” e rappresenta una critica disarmata, uno dei variegati strumenti del consenso di cui si serve lo Stato borghese (che vi finanzia).

Costoro si presentano come lo strascico di ciò che fu la sinistra parlamentare in questo paese. Affermano che la loro base sono quei ceti sociali sfavoriti dal processo capitalistico in atto. In realtà, dopo esserne stati complici per lungo tempo, la loro prospettiva politica resta la stessa: il voler prendere posto nella ripartizione del potere borghese, nel governo del capitalismo, nella gestione delle sue contraddizioni. Non si vogliono rendere conto che la borghesia, dopo il lavoro sporco, non ha più bisogno di loro per assolvere un compito per il quale non li ritiene più adatti.

mercoledì 26 luglio 2017

Un giovane di belle speranze



Oggi e anche ieri ho ascoltato per radio gli interventi alla Camera sulla legge che dispone il ricalcolo contributivo dei vitalizi in essere. Una misura che andava adottata molto tempo prima, con modalità diverse e più semplici. L’intervento che più mi ha colpito è stato quello dell’on. Luigi Di Maio, un giovane di belle speranze che a mio avviso non è pronto per ricoprire, per l’età ma soprattutto per meriti incerti, cariche istituzionali più elevate di quella attuale. Si può obiettare che se presidente del consiglio lo sono stati Berlusconi e Renzi, allora chiunque potrebbe ricoprire tale carica. È un’obiezione che tiene un lato di ragione in un’epoca come la nostra.

Del discorso di Di Maio non mi ha colpito ciò che ha detto e che già si sapeva. E nemmeno l’enfasi e il divertito sarcasmo, bensì ciò che le sue parole lasciavano intuire non tanto per quanto riguarda il presente, quanto per il futuro e che si possono riassumere così: guai ai vinti. È nella vittoria (e nella sconfitta) che si misurano le qualità più alte e i difetti più gravi di una persona (vedi Renzi). Tanto più che quella legge, se passerà anche al Senato, fungerà, al bisogno, da grimaldello per altre minacciate e forse riuscite imprese in tema di previdenza.

Di Maio, e molti come lui, non si rende conto di essere uno strumento di lotta politica che asseconda un disegno economico e politico complessivo che porta la data del secolo scorso. Forse è vero ciò che dice, oppure ne è solo convinto, e cioè di avere a cuore i soldi dei cittadini e come sono spesi. E su questo tema si potrebbe discutere a lungo, se Di Maio avesse letto dei rapporti tra Cimone e Pericle. Tuttavia è appena il caso di osservare che anche i profitti e gli extraprofitti del capitale sono soldi dei cittadini. E le maisons del capitale sono il luogo dove la ricchezza e il potere si universalizzano ed estendono poi la propria influenza in tutti i circuiti in cui ci si scambiano favori reciproci.