martedì 3 dicembre 2024

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Niente, voglio la mia obbligazione; non ne parliamo più!
Ho giurato che avrò quanto mi spetta per contratto.

Quella libra di carne
che pretendo da lui io l’ho pagata
a caro prezzo: è mia, e voglio averla! E se me la negate,
sarà vergogna alla vostra giustizia.


lunedì 2 dicembre 2024

Fino al limite estremo oltre il quale “capita qualcosa”

 


I primi 10 titoli per capitalizzazione sull’S&P 500, il più importante indice azionario statunitense, valgono attualmente oltre il 35% del listino. Di questi, i “magnifici sette”, vale a dire Apple, Nvidia, Microsoft, Amazon, Alphabet, Meta e Tesla pesano per il 30% delle 500 maggiori capitalizzazione di Wall Street. Tale concentrazione azionaria influenza necessariamente e più che proporzionalmente l’intero indice azionario.

Per dare un’idea di ciò che sta avvenendo, il gruppo californiano Nvidia, produttore soprattutto di processori grafici, negli ultimi 12 mesi ha guadagnato in Borsa oltre il 187% e, nel biennio, è salito più del 785%. Ad eccezione di Amazon e di Walmart, nessuna di queste realtà oligopoliste, annovera un numero di dipendenti tale da poter essere raffrontato con la loro enorme capitalizzazione. Tutto ciò alla faccia di coloro che per decenni hanno sostenuto che le nuove tecnologie avrebbero creato nuovi e maggiori posti di lavoro.

Pare evidente che le conseguenze di tale concentrazione possono essere valutate sia sotto il profilo economico finanziario, ossia del controllo sulla produzione e sui prezzi (in una tacita collusione mantengono elevati i loro prezzi anche quando cambiano i costi o le condizioni di mercato), ma anche e soprattutto sotto l’aspetto politico (non pensiamo solo a Musk, ma all’oligopolio bancario, quello di banche private e sistemiche che fissano le condizioni monetarie dell’attività economica globale, quindi alla condizione degli Stati che hanno abbandonato la propria sovranità in materia monetaria, oppure l’oligopolio sulle materie prime o delle tecnologie strategiche, nella ricerca e nella sanità).

C’è chi pensa ancora che la politica economica possa essere decisa dai parlamenti e dai governi; oppure, cosa di per sé ridicola, di poter regolamentare la speculazione, che altro non è che un gigantesco gioco d’azzardo dove i broker ormai altro non sono che delle patetiche figurine di un vecchio album Panini.

Scopriamo così che il Capitale nelle sue epifanie estorsive ha cambiato pelle, non è più quello di soli trent’anni fa. Del resto, non era Engels che, il 12 marzo 1895, scrivendo a Conrad Schmidt si chiedeva: “Forse la feudalità è mai stata corrispondente al suo concetto?”. Dunque il Capitale procede nel suo divenire e nella sua forma divenuta, vale a dire fino al limite estremo oltre il quale “capita qualcosa”, le cose cambiano, si produce un salto, una rottura, una discontinuità qualitativa, una rivoluzione!


domenica 1 dicembre 2024

Tutto sommato, è giusto così

 

La notizia è questa: le migliori aziende sanitarie d’Italia sono cinque e sono, manco a dirlo, tutte del Nord, di cui ben tre del Veneto: l’Asl 8 Berica di Vicenza; l’Asl Euganea a Padova, quella Dolomiti a Belluno.

Penso di conoscere molto bene la sanità veneta, e la prima cosa che mi è venuta in mente leggendo la notizia è la condizione in cui versano certi ospedali del Veneto. Non solo quelli per così dire in fondo alla classifica, semiabbandonati, ma soprattutto quelli a metà classifica. Che a raccontare certi fatti non ci si crederebbe.

Bisogna leggere i commenti inviati dai cittadini veneti a Zaia a proposito delle liste d’attesa per quanto riguarda i pazienti oncologici ... Sono irriferibili. La realtà sanitaria pubblica veneta è molto più sfaccettata di come la descrivono le “classifiche” e la propaganda, stante il fatto che evidentemente in altre regioni mediamente il livello è pessimo ovunque.

Mancano medici e infermieri, il che è vero. Ma anche la sanità veneta, così come le altre, è diventata un mercato. E che mercato! La cosa ha origini lontane, ma penso che la svolta decisiva si si avuta con il Covid. I medici si devono essere posti una semplice domanda: ci hanno chiamato “eroi”, ma poi siamo rimasti nell’aurea mediocritas. Dunque, perché farsi il mazzo per guadagnare gli stessi soldi di un idraulico, di una estetista, oppure di un dentista?

Racconto due fatti per dare un’idea. Un paio di mesi fa stavo facendo i complimenti a un cardiologo perché anche la sua seconda figlia in quei giorni si era laureata. Ho chiesto se si fosse laureata in medicina. La risposta è stata quasi brutale e così riassumibile: mai in medicina. Turni massacranti, soddisfazioni zero, rischi molti e pochi soldi. Sia chiaro: ci sono anche i cardiologi di “grido”, ma non era questo il caso di specie.

Dovevo prenotare una visita presso uno specialista di un ospedale pubblico. Non prima di 90 giorni, e già mi andava di lusso. Il primario di quel reparto ha aperto (lo sanno tutti) una sua clinica (non so in quali forme giuridiche) a pochi chilometri dall’ospedale. Ho telefonato la settimana scorsa e mi è stato fissato l’appuntamento per il giorno 28. Ho chiesto: 28 dicembre? No, risponde stupita la segretaria, per il 28 novembre. Solo due giorni d’attesa. Stessa cosa per una risonanza magnetica presso l’ospedale di Castelfranco Veneto: tempi d’attesa biblici. Con 324 euro ho ottenuto la risonanza per lo stesso 28 novembre, ore 18. L’esito l’ho scaricato il giorno dopo.

È quello che chiamano il ”libero mercato”. Se sei solvibile, puoi accedere alle cure, altrimenti aspetti. Liberamente. E tra un’attesa e l’altra, magari tiri le cuoia. Sempre liberamente. È ciò che avviene comunemente anche nelle migliori aziende sanitarie d’Italia. E, tutto sommato, è giusto così.