La cosiddetta “speranza di vita” non è uguale per
tutti, non per maschi e femmine, non per tipologie di lavoro, non per classi
sociali e di reddito. L’adeguamento dell’età per andare in pensione connesso
alla “speranza di vita”, sulla base dei dati Istat, è stato introdotto dal
governo B. e dall’allora ministro Sacconi, ex socialista. Oggi Sacconi recita
la parte del pentito, vorrebbe cioè un adeguamento meno automatico. Poletti,
l’ineffabile, ha sostenuto che la legge è legge e va applicata. Altri, come il
ministro Martina, guardano preoccupati alle elezioni e all’effetto che tale
adeguamento, che scatterà dal 2019, potrà avere sul voto nel 2018. A questo
quesito si può rispondere anche senza la classica sfera di cristallo: il Pd è
un partito in via di estinzione.
Poi ci sono quelli che non sanno nulla ma che di quel
nulla sanno tutto e scrivono ogni giorno cose che a loro sembrano senz’altro di
buon senso: l’adeguamento è necessario per non far sballare i conti della
previdenza. Si tratta sempre di soggetti che non hanno mai lavorato realmente
in tutta la loro vita, i cui contributi previdenziali non sono altro che una
partita di giro: ossia gente che percepisce un reddito e non ha mai prodotto
un’acca di ricchezza. In prevalenza sono ideologi ufficiali e ufficiosi del
sistema: giornalisti, speculatori, professori della minchia, politici,
gentaglia. Non parlano mai di sfruttati e di sfruttatori, sono delle nullità
umane amanti della libertà, soprattutto quella di succhiare il sangue a chi
lavora.
I più astuti corifei del sistema se ne vengono a dire
che il problema non sono le pensioni bensì il lavoro. Si dimenticano però di
chiarire quale sia l’origine del “problema”. È vero che la tecnologia è
diventata la sovrana effettiva del processo lavorativo, ma è proprio entro tale
processo che va colta la contraddizione da cui sorge il “problema” del lavoro,
il quale è tutto interno alle forme di sfruttamento capitalistico del lavoro.
Una rimodulazione e razionalizzazione del lavoro (nelle attività produttive e nei
servizi: primo, lavorare tutti e lavorare meno) è possibile solo superando il “motivo” capitalistico e le
contraddizioni entro le quali esso si muove e sviluppa.
Lo stesso vale per il “problema” demografico. Solo
una società sclerotica retta da burocrati dementi può vedere un “problema”
nell’allungamento della speranza di vita. Lo sfruttamento della forza-lavoro per
decenni e gli stili di vita imposti dal “motivo” capitalistico non possono che
avere effetti devastanti sulle condizioni di salute del proletariato, per
quanto i nuovi ritrovati farmacologici possano prolungarne la sopravvivenza. In
tale contesto, l’anziano diventa solo un peso e un costo, e non già, come
potrebbe, un’importante risorsa sociale.
Allo stesso modo va considerata la disoccupazione di
massa e la precarietà strutturale del lavoro, l’incertezza sul futuro, tutti
fattori che non favoriscono certo la natalità. Stesso discorso per quanto
riguarda la povertà, vecchia e nuova. Aumentano le disuguaglianze, ma per
questi riformisti d’accatto è sempre meglio un bonus alla miseria perché costa
di meno di un diritto. Insomma, promettere rimedi a questi problemi è l’arte
della politica cialtrona, la quale si guarda bene da porre i problemi nelle
loro reali cause e dunque nella giusta dimensione e prospettiva.