Le scuse non servono a nulla se non sono seguite da
atti concreti, e nel caso del ministro Poletti l’unico fatto concreto accettabile
sono le sue dimissioni. Tuttavia, posto che lo stile è l’uomo, Poletti non si
dimetterà né per ciò che dice e tanto meno per ciò che ha fatto in questi anni
quale ministro.
Segnalo, al riguardo, questo intervento di Marta Fana
che ho letto stamani, il quale credo meriti attenzione per la cruda e rara
verità contenuta nelle sue parole. Su una sua affermazione non mi trovo d’accordo,
e dal mio punto di vista si tratta di questione politica essenziale, ossia dove
scrive:
E siamo gli stessi che faranno di tutto per vincere i
referendum abrogativi contro il Jobs Act, dall’articolo 18 ai voucher, la
battaglia è la stessa. Costi quel che scosti noi questa partita ce la giochiamo
fino all’ultimo respiro.
E seppure proverete a far saltare i referendum con
qualche operazioncina di maquillage, state pur certi che sugli stessi temi ci
presenteremo alle elezioni dall’estero e dall’Italia.
Sui referendum sono d’accordo. Non lo sono per quel
che riguarda il riferimento alle elezioni. Le elezioni politiche sono pura
illusione. Dopo una Fornero e un Poletti, verrà un’altra Fornero e un altro
Poletti. L’agenda di governo – per le cose che contano davvero – non la
scrivono i ministri e nemmeno i presidenti del consiglio.
E per quanto riguarda
il M5S non cambio opinione, anche se la disperazione indurrebbe a farlo. Resto
nella posizione del 2013 che tanti lettori mi ha alienato: quel movimento, di là
dei singoli esponenti e simpatizzanti che possono avere le migliori intenzioni,
era e resta un movimento politico reazionario e, una volta al potere, anche
pericoloso.
Quello di cui c’è bisogno non è un futuro da piccoli
borghesi, di futuri redditi minimi garantiti e cose simili, di una prospettiva
incentrata e modellata sul passato. E, del resto, credo che Marta Fana non
chieda questo. Depredati di ogni avvenire, di libertà e dignità, non cambieranno
questo stato di cose attraverso le elezioni politiche, ossia chiedendo il
permesso a qualcuno, a nuovi o vecchi leader politici, a buoni o cattivi
maestri.