lunedì 9 maggio 2016

Non ti abbiamo dimenticata



Il 7 ottobre 1934 nasceva Ulrike Meinhof, una donna straordinaria, un’intellettuale coraggiosa, tra i più acuti commentatori politici tedeschi degli anni Sessanta, la quale diventerà la figura simbolo della Rote Armee Frakion. Caduta prigioniera, dopo quattro anni d’isolamento totale, il 9 maggio 1976, dopo aver subito torture quotidiane, fu assassinata orribilmente su mandato della socialdemocrazia tedesca nel lager di Stammheim.

Gran parte di ciò che è stato scritto sulla figura di questa militante rivoluzionaria, è falso. Ulrike non era una “teorica disperata” come l’ha definita Heinrich Böll, né un’eroina del revolver alla Bonnie, ma una persona che conosceva paure e scrupoli. Era una donna di quasi quarant’anni, madre di due figlie, separata. Il suo impegno politico fu determinato, dapprima, da ragioni morali. Da studentessa, uscendo dal torpore borghese e dalla torre d’avorio degli interessi scientifico-letterari, aderiva all’appello di 18 professori contro l’armamento atomico della Repubblica federale.






Nel 1958, dopo l’università, si unì a un gruppo studentesco e fece lavoro d’informazione, s’iscrisse al partito comunista (*) e svolse un ruolo importante nel gruppo che organizzò il famoso Congresso antiatomico di Berlino del 1959. Aderì a Konkret, un’importante e raffinata rivista di critica politica e sociale nella quale trovò il terreno per lo sviluppo del suo talento nel trasporre riflessioni comuni in parole appropriate, tracciando la linea di demarcazione tra le forze progressiste e quelle reazionarie, prendendo posizione, tra l’altro, contro la politica egemonica perseguita da Bonn in Europa (stiamo parlando di cinquant’anni fa!). I suoi editoriali spaziano dalla giustizia d’impronta nazista agli affari e scandali ministeriali, le leggi d’emergenza (1964!), i criminali nazisti a piede libero, gli elementi della sinistra che venivano eliminati.

Nei suoi scritti emergono impressionanti analogie, con uno scarto di alcuni anni, tra il “modello Germania” e il “caso Italia”. Scopre la connessione tra i media (l’elaborazione a tavolino delle deformazioni per servire certi interessi), la società economica e quella borghese. Denuncia la politica di Franz Josef Strauss, ministro della difesa, e viene denunciata  per “offese”. Assolta, riscrisse: come noi chiediamo ai nostri genitori di Hitler, un giorno i nostri figli ci chiederanno di Strauss, Adenauer, Schröeder, Höcherl, von Hassel. Non poteva prevedere, invece, quanto a fondo si sarebbe spinta l’azione del dominio nella sterilizzazione delle coscienze e la cancellazione della memoria storica.

Ulrike, già nel 1965, con tre anni d’anticipo, preconizza la Grande Coalizione, cioè l’inciucio tra SPD, CDU e CSU. Esorterà i sindacati, gli studenti e la stampa ad opporsi ai piani d’emergenza. Si deve al “no” dei sindacati alla legge d’emergenza, se nel 1965 la SPD si trattenne dal capitolare di fronte al progetto di legge di Hermann Höcherl, ministro dell’interno e già membro del partito nazista. Oltre al fatto che le elezioni erano alle porte e la SPD dovette avere un minimo di riguardo per i suoi elettori.

Quindi la sporca guerra, quella del Vietnam. L’organizzazione studentesca viene vietata dal senato di Berlino. Konkret era diventata ne frattempo una rivista di massa che si acquistava nelle edicole e Ulrike iniziava i suoi interventi alla radio, affrontando questioni scottanti. Molto di ciò che per lei era importante veniva tuttavia cancellato dal testo. La democrazia totalitaria non può lasciare che ci si spinga oltre un certo limite nella denuncia. Ulrike non desiste e i suoi editoriali diventano sempre più taglienti. Bisognosa di comunicazione, affabile, socievole e disposta ad allargare le sue esperienze, trova nel movimento studentesco del 1967-68 nuovi punti di partenza e amici. Analizza lo sfruttamento delle operaie, fa ricerche sui bambini degli asili, sui riformatori, raccoglie materiali e annota fatti. Tutto la disgusta e non sopporta quello che vede. Parlare di rivoluzione significa farla sul serio, scrive nel 1968.

Dunque non vuole rassegnarsi, ma chi dovrà fare la rivoluzione? Sopravvengono crisi personali e conflitti materiali. Continua ancora a collaborare con Konkret, ma si separa dal marito (editore di Konkret, un "porco corrotto che si arrenderà alle lusinghe della CIA") e si trasferisce a Berlino Ovest, dove il terreno è più scottante. Qui vive il fallimento del movimento studentesco, quello delle idee vaghe che non sono un programma politico e dei progetti campati per aria. Subentrò in lei una profonda delusione per la realtà politica del suo paese.

Riprese la vita quotidiana ordinaria, poi andò al processo a Francoforte contro gli incendiari di un grande magazzino, Baader e la sua compagna Ensslin. Scrisse un articolo per Konkret, nel novembre 1968, simpatizzando con gli imputati. Tornò a Berlino e lavorò alla sceneggiatura di un film per la televisione che non doveva mai essere trasmesso. Si occupò di assistenza ai minorenni, di problemi delle scuole differenziate, scrivendo in Konkret (n. 4/’69) che non era stato riconosciuto quasi affatto “il nesso tra l’interesse del capitale tedesco e lo sfruttamento delle donne e dei bambini”.

Quello che accade dopo è più o meno noto, ma lei, Ulrike, non era affatto quello che in seguito vollero spacciare la stampa di Springer e gli altri media. Nel Progetto di guerriglia urbana ha scritto: “alla domanda, che ci si è fatta abbastanza spesso, se la liberazione del prigioniero [Baader] sarebbe stata messa in atto anche quando avessimo saputo che un civile (impiegato) sarebbe stato colpito e ferito, si può rispondere soltanto di no”.

Entrò nella clandestinità, non solo perché – come scrisse successivamente Renate Riemeck, madre adottiva di Ulrike – anche gli altri entrarono nella clandestinità e perché il mandato di cattura per tentato omicidio le sbarrò la via del ritorno. Entrò nella clandestinità – come scrisse Ulrike nella sua ultima lettera – per scelta, “perché tra integrazione, corruzione e, infine, strumentalizzazione per la Cia, da una parte, e lotta armata e attiva partecipazione al processo di organizzazione dell’insurrezione contro i rapporti capitalistici di produzione, dall’altra, non vi è più un luogo per un’opposizione politica, perché opposizione politica e illegalità sono diventate la stessa cosa”.

Comunque si vogliano giudicare le sue spinte in avanti, dal punto di vista storico, s’intende, resta intatta la nostra ammirazione per una donna non comune e una combattente irriducibile che ha pagato con la vita per le sue idee.


(*) La KDP fu messa fuori legge dal regime di Adenauer, il santo patrono dell’Europa unita sotto l’egida germanica, mentre il generale delle Ss Wolf, sterminatore, se ne stava libero, così come continuano a restare impuniti i responsabili delle stragi naziste in Italia.


10 commenti:

  1. ti ringrazio e m'inchino.
    franco valdes piccolo proletario di provincia

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  2. Anche da parte mia, un semplice, ma sentitissimo grazie.

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  3. Parlare di rivoluzione significa farla sul serio, scrive nel 1968.

    Il '68 appunto, che da un punto di vista geopolico è sempre più sospettato di essere stata una "rivoluzione colorata" ante-litteram, datosi che è ormai evidente servi' solo ad aggregare di più , sia dal punto di vista politico che ( ben peggio ! ) culturale, l' europa occidentale al carro americano....

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  4. ogni volta che la strada scelta porta in posti precisi viene interrotta....

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  5. Grazie per tutta la verita' e la bellezza che traspare da questo post.

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  6. GRAZIE A TUTTI VOI NON SARA' DIMENTICATA

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  7. Da qualche giorno cerco un buon approfondimento.
    "Anatomia di una rivolta" di Agnese Grieco lo conosce, Olympe?
    E "Disoccupate le strade dai sogni" di Alois Prinz?
    Qualsiasi consiglio, al solito, è ben accetto.
    Sperando che i suoi acciacchi la lascino in pace, la ringrazio e saluto.

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