lunedì 4 marzo 2024

Palestina: il monopolio delle risorse idriche dopo Oslo

 

Ipocrisia e cinismo al colmo: aerei Usa paracadutano “aiuti” in modo che gli abitanti di Gaza siano vivi al momento in cui saranno bombardati e assassinati con le armi fornite dagli Usa agli israeliani.


Nel 1991 fu avviato un processo di pace con la conferenza di Madrid, che ha consentito nel 1992 la creazione di un gruppo di lavoro per la condivisione dell’acqua. Nel 1993, nella Dichiarazione di principi per accordi provvisori di autogoverno (a volte chiamata Oslo I), fu stabilito che “Israele riconosce, ai sensi degli articoli 1-3, il diritto dei palestinesi all’acqua in Cisgiordania” (una formulazione di un diritto che la dice lunga sulla situazione di fatto). In seguito agli accordi di Oslo, nel 1995 è stata istituita l’Autorità palestinese per l’acqua (PWA).

L’anno prima, nell’ottobre 1994, il trattato di pace giordano-israeliano risolse anche la questione idrica tra questi due paesi sulla base della cooperazione: veniva riconosciuto alla Giordania l’accesso alle acque del Giordano – fino ad allora interamente sfruttate da Israele – che riceverà 50 milioni di m3 ogni anno. Tra il 1996 e il 2001, Israele ha rispettato i suoi impegni solo per due anni su sei e hanno restituito alla Giordania solo una media di 47 milioni di m3 all’anno, secondo fonte governativa israeliana (vedi in seguito).

Inoltre, Israele si era impegnato a partecipare ai lavori dello Yarmouk per fornire altri 100 milioni di m3 al regno hascemita, ma nel 2001 lo Stato ebraico non aveva ancora mantenuto la parola data. Infine, venne regolarizzato il pompaggio nei pressi della confluenza Giordania-Yarmouk (100 milioni di m3/anno), effettuato illegalmente da Israele dal 1967, eccetera.

Nel settembre 1995, i cosiddetti Accordi di Oslo II prevedevano una condivisione delle acque sotterranee che sarebbe rimasta in vigore fino alla firma dell’accordo finale israelo- palestinese che avrebbe dovuto avvenire prima del 1 maggio 1999!. Questo accordo tratta i principi della condivisione delle falde acquifere della Cisgiordania e pretende di soddisfare i bisogni israeliani e palestinesi; infatti, essendo le falde acquifere occidentale e nord- orientale già completamente utilizzate (principalmente da Israele), la trattativa non poteva che riguardare la falda orientale, quella di qualità meno buona, di cui erano disponibili 78 milioni di m3, secondo le stime dell’epoca. Le quote idriche assegnate all’Autorità Palestinese vengono aumentate di poco più di 80 milioni di m3 (di cui 9,5 milioni di m3 provenienti da Israele).

Tuttavia, secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, Israele non rispetta questo accordo (dal 2002, la quantità di acqua ceduta da Israele è quasi un terzo inferiore a quella ceduta all’inizio degli anni ‘90, quando avrebbe dovuto aumentarla di un terzo); il problema della condivisione dell’acqua è (come vedremo più avanti) una necessità imperativa da parte israeliana, motivata dal timore di vedere l’Autorità Palestinese prendere il controllo di una risorsa strategica.

Inoltre, Israele impone altri due limiti in materia d’acqua: i palestinesi non hanno accesso alle acque del Giordano e non è autorizzato alcun trasferimento di acqua dalla Cisgiordania a Gaza.

L’Autorità Palestinese per l’Acqua (PWA) ha giurisdizione teorica sulle questioni legate all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, ma non ha alcun potere sui flussi – Mekorot continua a gestire le quantità di acqua messa a disposizione dei palestinesi – e può intervenire solo nelle aree A e B (enclavi palestinesi all’interno dell’area C in Cisgiordania), restando l’area C (60% della Cisgiordania, completamente sotto controllo israeliano) per l’acqua (come per tutte le altre questioni) di esclusiva competenza delle autorità occupanti israeliane. Questa situazione limita notevolmente le possibilità di intervento dell’ANP che, molto spesso, “serve solo come capro espiatorio di fronte al malcontento delle popolazioni palestinesi”.

L’altra struttura creata, la Joint Water Commission (JWC), non è più efficace: composta in parti uguali da esperti palestinesi e israeliani, ha giurisdizione solo sulle aree A e B e opera per consenso, il che, di fatto, dà a Israele un diritto di veto; quindi, solo la metà dei progetti palestinesi sono stati approvati dalla JWC. Nel campo dei servizi igienico-sanitari, degli 8 impianti di trattamento individuati, solo due (Nablus e Hebron) sono stati realizzati.

Nel 2009, Amnesty International ha criticato la JWC per aver “semplicemente istituzionalizzato il sistema intrinsecamente discriminatorio di controllo israeliano sulle risorse palestinesi che era già in vigore dall’occupazione israeliana dei territori occupati tre decenni prima”. La Banca Mondiale ha osservato: “JWC non ha adempiuto al suo ruolo di fornire un efficace quadro di governance collaborativa per la gestione e gli investimenti congiunti delle risorse [...]. JWC non funziona come un’istituzione “congiunta” di governance delle risorse idriche a causa di asimmetrie fondamentali – di potere, di capacità, di informazioni, di interessi – che impediscono lo sviluppo di un approccio consensuale alla risoluzione dei conflitti di gestione dell’acqua.” (Wikipedia).

Pertanto, gli accordi di Oslo, nonostante la fornitura di alcune decine di milioni di m3 d’acqua ai palestinesi, hanno comunque confermato il dominio indiviso di Israele sulle risorse idriche e sulla loro distribuzione, dal momento che le strutture palestinesi (PWA, o fintamente paritetiche come JWC) hanno, di fatto, il più delle volte, solo un ruolo consultivo senza un reale potere decisionale in una “gestione quotidiana largamente asimmetrica”.

* * *

Per comprendere uno dei principali motivi del mantenimento dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi è di sicuro interesse quanto si legge, tra l’altro, in uno studio governativo israeliano:

«Se Israele attuasse i ritiri dal Golan, dalla Giudea e dalla Samaria impliciti negli accordi discussi con Damasco e l’Autorità Palestinese, perderebbe il controllo sul destino di una parte molto significativa delle riserve idriche da Israele attualmente utilizzate – secondo alcune stime fino al 65% degli importi attualmente disponibili» (Israel Institute for Strategic Studies, marzo 2011).

Sul fatto che Israele possa accettare l’istituzione di due Stati in Palestina o anche solo il rispetto degli accordi sottoscritti, è istruttivo il monito contenuto nelle conclusioni dello stesso documento governativo:

«È ovviamente vero che, in ultima analisi, la politica israeliana riguardante il mantenimento o il trasferimento dell’autorità e del controllo sui territori del Golan e della Giudea, Samaria e Gaza agli arabi non sarà determinata solo da considerazioni idrologiche, ma da un approccio complesso ponderato di fattori di sicurezza, strategici, diplomatici, politici ed economici. È tuttavia imperativo che i policy maker siano consapevoli delle implicazioni idro-strategiche e idro-politiche di qualsiasi linea d’azione che decidano di adottare, e soppesino con giudizio i relativi rischi implicati in ciascuna di esse».

Inoltre, sempre dalla stessa fonte governativa e per comprendere i motivi dell’attuale strategia israeliana, tendente ad espellere la popolazione palestinese dalla Palestina, è interessante tener presente quanto segue:

«[...] per molti aspetti, la crisi è già così grave da aver superato i limiti di un problema economico, [...] e ha assunto le dimensioni di un problema strategico, che incide sulla stessa sopravvivenza fisica del Paese. [...] al di là della relativa parsimonia del consumatore non agricolo in Israele, il significato di fondo dell’analisi precedente è inquietante. Infatti, se la popolazione di Israele, che all’inizio del 1999 superava di poco i 6 milioni (escluse Giudea, Samaria e Gaza), dovesse raggiungere i 7-7,5 milioni e la domanda urbana si avvicinasse ai livelli più bassi di tale domanda nei paesi ricchi occidentali, l’intera produzione sicura di acqua dolce del paese (comprese le fonti attualmente non incluse nel sistema nazionale come le falde acquifere di Arava, Beit Shean e la Valle del Giordano) sarebbe necessaria per soddisfare la sola domanda urbana».

A togliere ogni illusione che possa un giorno essere raggiunto un qualunque accordo tra Israele e Autorità palestinesi è sempre lo stesso documento:

«Le autorità israeliane, indipendentemente dall’appartenenza politica al partito, sono da tempo consapevoli dell’importanza cruciale del controllo delle fonti d’acqua in Giudea e Samaria. Ad esempio, l’ex ministro dell’Agricoltura del partito laburista Avraham Katz-Oz ha affrontato la questione in una lettera all’ex premier Yitzhak Shamir, datata 14/5/89, intitolata “La sicurezza dell’acqua nello stato di Israele oggi e in futuro”. In esso Katz-Oz, allora ministro responsabile per legge della sorte del sistema idrico, proponeva che il governo israeliano prendesse misure per “impedire qualsiasi aumento delle operazioni di pompaggio in Giudea, Samaria e Gaza” e lo esortava a “preparare una base giuridica e politica per garantire il controllo e l’amministrazione israeliani continui delle fonti d’acqua in Giudea e Samaria, qualunque sia la situazione politica futura».

8 commenti:

  1. A proposito degi aiuti umanitari americani,
    Negli USA se la passano meglio: hamburger e patatine fritte, caramelle, una mela rossa. "Last meals",di Jacquelyn C. Black è un volume edito da Common Courage Press nel 2003 che, oltre alle immagini, riporta le ultime dichiarazioni dei condannati a morte, la data di esecuzione e il loro impiego.
    Su Amazon a 41,67 euro.
    "That's the press, baby. The press! And there's nothing you can do about it. Nothing!" (Humphrey Bogart,

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  2. Buongiorno, ho trovato questa serie di post molto interessanti (e illuminanti). Al solito, le chiedo se ci sono testi che approfondiscono temi del genere. Grazie

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    1. In inglese c’è l’imbarazzo della scelta, in italiano molto poco (che io sappia):

      Fabio Moi, L'acqua tra Palestina e Israele: La guerra per l'acqua in Medio Oriente

      Anche queste buone sintesi in due articoli:

      https://www.geopolitica.info/il-ruolo-dellacqua-nel-conflitto-israelo-palestinese/

      https://bdsitalia.org/index.php/ultime-notizie-no-mekorot/2096-acqua-arma

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  3. Grazie per questo post in tre puntate, aggiunge molto a ciò che sapevo.
    Pietro

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    1. Grazie a te Pietro, uno dei pochissimi che mi hanno detto di apprezzare questo lavoro.

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    2. Il tuo lavoro è, l'ho già detto, documentatissimo (ci manca solo la bibliografia stile references delle riviste sceientifiche) e prezioso. Anche perchè quasi unico nella canea mainstream che infesta la stampa benpensante. Anche se qualche voce discordante esiste: (theintercept.com, democracynow.org, mediapart.fr) la tua è quasi unica in Italia. Se credi puoi inserirmi fra "i pochissimi".

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    3. ti ringrazio per l'attenzione e le cortesi parole.
      questo è un blog e non una rivista scientifica, e tale resterà ovviamente. quanto alla bibliografia, ho linkato e citato ampiamente una fonte specifica del governo israeliano. una fonte che rivela anche troppo ...

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