domenica 18 novembre 2018

I padroni d’allora e di sempre


Nella generalizzazione teorica che segue, va tenuto conto che essa si esprime necessariamente con concetti attraverso i quali si cerca di dare conto della sostanza generale di una quantità di fenomeni storici che altrimenti analizzati in profondità e ampiezza non troverebbero posto in un post.

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Partiamo da degli esempi concreti.

Cuba, dopo la rivoluzione castrista, si trovò ad affrontare problemi economici di difficile soluzione, e non solo a causa del blocco economico e commerciale decretato dagli Usa, che ebbe comunque effetti assai negativi e persistenti. Due problemi assillavano in particolare la dirigenza del paese: le scarse risorse disponibili per gli investimenti da un lato e la scarsa produttività del lavoro dall’altro. Va tenuto presente che all’interno del gruppo dirigente, per dirla sbrigativamente, vinse la linea che puntava prevalentemente sullo sviluppo dell’agricoltura (Castro), mentre uscì sconfitta quella che puntava sull’industrializzazione (Che Guevara).

Per ottenere capitali e dunque anzitutto valuta da destinare agli investimenti si puntò sulla vendita dei tradizionali prodotti dell’agricoltura (canna da zucchero, tabacco) e della zootecnia (un cospicuo patrimonio bovino), nonché sugli aiuti economici e tecnici dei paesi del blocco sovietico e della Cina. Prima dall’allora lo zucchero veniva acquistato dagli Stati Uniti d’America a un prezzo di favore; in seguito venne venduto ai paesi “fratelli” a un prezzo notevolmente inferiore a quello di favore.

Sull’isola il razionamento dei beni di prima necessità durò molto a lungo: si esportava la carne bovina fresca (in cambio di valuta pregiata) e s’importava quella congelata, e anche pesce surgelato (Cuba non disponeva ancora di una flotta da pesca adeguata), entrambi sottoposti a razionamento. La nazionalizzazione delle terre e delle attività industriali e commerciali non favoriva di certo la produttività, in assenza di un reale interesse dei singoli produttori. Per incrementare la produttività del lavoro si faceva ricorso alla propaganda politica (incentrata sulla cosiddetta “emulazione”) e soprattutto sul cottimo (pratica che dava qualche buon risultato).

In buona sostanza anche a Cuba fu riproposto lo schema economico che caratterizzava i cosiddetti paesi comunisti del blocco sovietico e la Cina maoista. La Germania dell’Est, la DDR, per esempio, era tra i paesi del blocco sovietico più virtuosi in tema di produttività. E tuttavia la produttività non era per nulla soddisfacente e paragonabile con quella della Germania dell’Ovest. Anche nella DDR si ricorreva al cottimo, ma solo entro certi limiti ai quadri e agli operai conveniva lavorare e produrre di più per ottenere salari più elevati della media. Era precluso, per esempio, l’acquisto di alloggi più confortevoli di quelli assegnati, posto che ve ne fossero di disponibili, la libera scelta d’acquisto di un’auto era preclusa, così come quella dei beni durevoli prodotti in occidente.

In questi paesi non esisteva una vera e propria economia di mercato, abbandonata del tutto negli Anni Venti con la fine della NEP (Lenin aveva previsto che la Nuova politica economica potesse durare “decenni”). L’economia era pianificata a livello centrale e gli investimenti erano destinati prioritariamente all’industria pesante e degli armamenti. Un posto di lavoro era assicurato a tutti, ma i salari erano generalmente bassi e soprattutto la penuria dei beni di consumo fu costantemente il più serio problema per la popolazione, mentre l’alta burocrazia statale e i dirigenti di partito potevano rifornirsi di merci in negozi a loro riservati. Gli alloggi e perfino le auto, come detto, erano assegnati d’ufficio, mentre l’acquisto di un elettrodomestico, quando disponibile, poteva diventare una questione non semplice. Il generale benessere economico occidentale, che si veniva affermando nel dopoguerra nelle economie di libero mercato, per i paesi a capitalismo di Stato restava un miraggio.

Dal punto di vista economico il capitalismo di Stato, spacciato come comunismo, fu un fallimento totale e senza rimedio. Tutto ciò ebbe origine da una manifesta deviazione dai fondamenti del marxismo, anche se negata da quei regimi.

Il comunismo – scriveva Marx – non è un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi, non è uno stato di cose che debba essere instaurato. Il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti. E ciò presuppone lo sviluppo universale della forza produttiva e le relazioni mondiali che il comunismo implica.

Marx, per quanto riguarda lo sviluppo della struttura sociale economicamente determinata, si è limitato ad affermare l’influenza decisiva, nel lungo periodo, della base economica sulla sovrastruttura sociale. Si è concentrato sulle trasformazioni qualitative, rivoluzionarie del sistema sociale, sui contrasti d’interesse fra le classi sociali, ma non ha affrontato – e non ha voluto esplicitamente affrontare (vds. in part. la critica al programma di Gotha) – la problematica concreta e nel lungo periodo dell’evoluzione storica. Tantomeno ha posto esagerata importanza sui “salti rivoluzionari” nella storia (i sofferti tentativi di risposta alla lettera di Vera Zasulič in tema dell’obščina, ne sono una testimonianza incontestabile). Non era e non si sentiva un profeta.

Era ben conscio che l’antagonismo degli interessi e l’insoddisfazione degli oppressi hanno sempre trovato espressione nelle più diverse lotte politiche e sociali (travisate anche in lotte religiose o diverse), in resistenze e rivolte, ma era altrettanto ben consapevole che con queste lotte soltanto non si può ottenere la trasformazione dei rapporti economici dati; così come sarebbe nondimeno errato assumere che le classi sociali che lottano e si ribellano siano sempre portatrici di nuove forme di produzione: né gli schiavi, né i plebei, né i servi della gleba e nemmeno gli artigiani feudali erano direttamente interessati a stabilire nuovi modi di produzione.

L’impostazione leniniana e poi staliniana e maoista fu una interpretazione unilateralmente semplificata dello sviluppo storico, ossia quella di un determinismo economicistico che non poteva portare che cattivi frutti nelle condizioni date.

I rapporti di proprietà dei mezzi di produzione sono, tra i rapporti di produzione, quelli essenziali, poiché da essi dipende la forma di tutti gli altri. Tuttavia occorre non confondere la semplice determinazione giuridica (che è solo la forma esterna dei rapporti di produzione) con il movimento reale dei rapporti di proprietà nel processo produttivo. In altri termini: non è sufficiente sapere in mano a chi nominalmente si trovano i mezzi di produzione, ma è indispensabile sapere anche come vengono impiegati nel processo della produzione.

L’esempio sovietico e cinese, così come altri equipollenti, mostra come il trasferimento della proprietà giuridica dei mezzi di produzione allo Stato, non comporta necessariamente anche la metamorfosi rivoluzionaria dell’organizzazione della produzione e della società. Tanto più che il socialismo non è un modo di produzione particolare.

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Negli ultimi decenni è cambiato il quadro geopolitico, economico e sociale a livello globale. La rivoluzione tecnologica, segnatamente quella elettronica, non ha mutato solo i segni e gli alfabeti, ossia gli strumenti e i modi della comunicazione, fatto di per sé denso di conseguenze, ma ogni aspetto delle nostre vite, il nostro modo di pensare, le nostre aspettative e i desideri. Ed è altrettanto chiaro che l'aumentata produttività del lavoro fa in modo che ogni singola merce contenga sempre meno lavoro immediato, fatto questo che diventa sempre più devastante per la tenuta degli equilibri sociali.

Perfino la famosa cuoca di Lenin troverà sempre meno impiego nel proprio lavoro. Infatti, s’è vero che sarà sempre necessario che qualcuno prepari il pranzo, è altrettanto vero che produzione, confezione e consumo del cibo sempre meno hanno luogo in ambito domestico.

Il trasferimento di ogni potere, così come il monopolio di ogni sapere, al capitale, la crescente polarizzazione tra ricchezza e povertà, la precarizzazione generale delle condizioni di vita, il montare della protesta e rabbia sociale, sono tutti aspetti che costituiscono un nodo esplosivo dei rapporti di produzione capitalistici operanti su scala globale. Un nodo che mette in crisi la “democrazia”, ma non cambia di per sé di segno i rapporti di produzione.

E d’altra parte gli specialisti dell’ideologia borghese hanno lavorato bene: non si vedono in campo forze politiche che assumano nel proprio programma la transizione verso un nuovo sistema di produzione e distribuzione della ricchezza sociale, non solo con forza uguale alla trasformazione dei rapporti di proprietà, ma nemmeno come generico e nominale obiettivo di lungo periodo. La trasformazione dei rapporti di proprietà, senza la traccia di un programma di superamento delle condizioni borghesi, lascia insoluta la sostanza del problema.

In ciò sta anzitutto la crisi del riformismo, in ciò il successo delle illusioni che deviano dalla realtà e promettono meraviglie lungo la scorciatoia delle semplificazioni.

Di là delle celebrazioni di rito, si sono dimenticate troppo presto le cause vere e profonde che hanno dato origine alle tragedie del Novecento. Per quanto ci riguarda da vicino, si è dimenticato che il fascismo fu in origine programmaticamente rivendicativo sul piano sociale e repubblicano su quello istituzionale, salvo poi sapersi bene adattare al potere e agli interessi dei padroni d’allora e di sempre.

4 commenti:

  1. grazie del post

    capitalismo di stato, l' impostazione castrista piuttosto che leniniana, il tradimento dei principi ecc non bastano più

    e' che quelle relazioni mondiali che il comunismo implica non sono uno stadio successivo al singolo stato socialista ma ne sono una premessa vincolante (e alla lunga mortale per il leviatano), a tutti i livelli, tutti estranei alle vecchie comunità contadine e rovesciati rispetto al rapporto imperialista tra stati imposto dal valore di scambio (vedi la necessità ieri dell' urss e oggi della cina a proiettarsi fuori dai confini a caccia di plusvalore)

    nel continuum del dominio, quel che esce dalla porta rientra dall finestra

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    1. infatti senza quella premessa e lo sviluppo pieno delle forze produttive non vi sono le condizioni, si resta nella penuria e nelle contese tra imperialismi
      grazie per il commento, dopo tre giorni ci voleva. ed è meglio un solo commento come il tuo che dieci sciocchezze

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  2. Il problema, giustamente, non è solo la proprietà, ma la gestione dei mezzi di produzione. Cambiare sia la struttura che la sovrastruttura: come? Attraverso l'emancipazione e la cultura, cancellando i cavalli di troia del capitalismo: il consumismo e l'apparire. Essere o Avere?

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    1. mio caro Fromm, lei ha ragione. Per una risposta legga il mio prossimo post.

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