sabato 24 giugno 2017

La curva di Adolf

Tv spazzatura


L'altra sera la Rai ha trasmesso la prima di due puntate dedicate alla figura di Adolf Hitler. Si comincia con Hitler, da bambino, accovacciato sul vasino mentre fa la cacca e la sua mamma che lo redarguisce. Segue commento in chiave (pseudo)psicanalitica. Poi, per le serie mitologica, si passa alle ricostruzioni filmate, laddove si vede una donna svestita su un letto con un frustino …. Non è irritante che il fenomeno Hitler venga trattato a questo modo, quanto che un periodo storico così drammatico venga ridotto a burlesque dalla tv pubblica con i nostri soldi. Si può star leggeri su taluni aspetti di un simile frangente storico senza per questo indulgere a cialtronerie.

Leggevo una frase di Stefano Rodotà: “C'è un impoverimento culturale che si fa sentire, la cattiva politica è figlia della cattiva cultura”. Non solo cattiva politica e cattiva cultura, è un sistema di corruzione, un modo di fare e falsificare che è diventato disgustoso e insopportabile. 

*


Ricordate la commedia cinematografica dal titolo Cena tra amici, basata sulla pièce teatrale Le Prénom, con l’irresistibile Patrick Bruel nella parte di Vincent? Di quella pièce ne è stata tratta anche una versione cinematografica italiana, mediocrissima, con il titolo Il nome del figlio. Ebbene la trama poggia su uno scherzo: Vincent e Anna, marito e moglie, sono invitati a cena nell’appartamento dalla sorella di lui, Elisabeth (detta Babètte) e dal cognato Pierre. Vincent arriva all’appuntamento per primo, mentre Anna, che aspetta un figlio, arriverà più tardi perché impegnata per lavoro. Pierre e sua moglie Elisabeth sono curiosi di sapere da Vincent, il quale porta la notizia dell’esame prenatale, quale nome è stato scelto per il maschietto. È una commedia ricca di colpi di scena, girata bene e con un ritmo incalzante. Vincent, un agente immobiliare d’idee non proprio progressiste, per fare uno scherzo alla sorella e al cognato, entrambi insegnanti “de sinistra” a Parigi, s’inventa che il nome scelto è quello di Adolphe. È chiara l’assonanza con il nome di un politico tedesco di origini austriache. Ne nasce un esilarante conflitto tra Vincent e il cognato Pierre. Nella commedia vi sono altri coups de théâtre che non rivelo nel caso non aveste ancora visto il film.

Da diversi decenni in Germania il nome Adolf è diventato ben raro nei bambini. Per esempio, un solo bambino tedesco è stato chiamato con quel nome nel 2006. Non ci sono tazze, portachiavi o altra mercanzia in negozi di souvenir che portano il nome Adolf. Peccato perché Adolf è un bel nome, significa “nobile lupo” in antico alto tedesco. Alla fine del XIX secolo Adolf era molto familiare, in particolare in Germania meridionale e occidentale. Nel 1890, il nome era al tredicesimo posto tra i maschili. Nomi come Fritz, Franz ed Emil erano tra i più popolari. I genitori attuali, se non fossero prigionieri del pregiudizio, potrebbero richiamarsi ad Adolph Knigge (1752-1796), per esempio, che fu membro dell'ordine degli illuminati, difensore e propugnatore dei diritti  umani. I cattolici avrebbero uno sponsor in Adolph Kolping, beatificato nel 1991.

Cosa da non credere: durante il Terzo Reich, il nome Adolf all’anagrafe tedesca era sconsigliato. Il capo non voleva proliferasse. Quanto a Hitlerike e Hitlerine, con ordinanza del ministero prussiano degli Interni dal 3 luglio 1933, tali nomi sono cambiati e rimossi dai registri. In Austria, quei nomi sono stati proibiti fin dall’estate del 1932, dunque si erano diffusi ben prima dell’Anschluß. Divenne invece alla moda Hermann, come Hermann Goering. Un altro bel tipo finito, nostro malgrado, nelle enciclopedie.

In Germania c’è chi ha studiato e scritto, con tanto di diagrammi, sul fenomeno della diffusione del nome Adolf, Horst (Wessel) ed Hermann durante il nazismo, come Oliver Lorenz: Die Adolf-Kurve 1932-1945 (*). In Italia non mi risulta nulla di simile per l’altro nome tabù. Del resto Benito è proprio brutto come nome. Vuoi mettere Adolf? La pronuncia tedesca, poi, è come una schioppettata. Alla schiena.


(*) In Götz Aly (a cura di), Volkes Stimme: Skepsis und Führervertrauen im Nationalsozialismus, Fischer Verlag, Frankfurt am Main, 2006.

4 commenti:

  1. Benito diventa agevolmente Bettino.
    Bisogna invece riconoscere coraggio ai genitori di Adolfo Urso, nato nel 1957. Vista la successiva traiettoria politica, la scelta non deve essere stata casuale.
    Difficile anche pensare che un Romano nato nel 1939 sia cresciuto in una famiglia fieramente antifascista.

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    1. negli anni '30 oltre il 90 per cento era fascista o fieramente indifferente

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  2. L’anatomopatologo marxista necessità di una certa presbiopia e solo così è in grado di cogliere, entro l’esteriore involucro democratico (ridotto ormai ad una sudicia crosta), la sostanziale fascistizzazione dell’Europa. La bagatellizzazione della figura di Hitler in chiave psicopatica (così come il pressoché totale silenzio che regna nel nostro paese sulla figura di Mussolini, eccezion fatta, da un lato, per la monumentale biografia del duce stesa da Renzo De Felice negli anni Settanta e, dall’altro, per le analoghe bagatellizzazioni praticate nel secondo dopoguerra e nei decenni successivi dagli intellettuali e dai giornalisti ex fascisti a fini di autoassoluzione) è funzionale al processo di fascistizzazione e lo accompagna, in parte mascherandolo e in parte esibendolo (su questo tema si veda il bel film tedesco di David Wnendt, “Lui è tornato”, girato nel 2015). D’altra parte, le premesse di questo processo sono tutte operanti (alcune da più decenni). Dissolta l’URSS, nel mondo ormai vi è solo una potenza egemone, gli Stati Uniti d’America, che esercitano un dominio mondiale. La classe operaia è, a causa della globalizzazione imperialistica dei mercati e della produzione, oggettivamente debole; parimenti, l’area del precariato diffuso depotenzia qualsiasi tentativo di opporsi ai disegni padronali (basti pensare che in Italia i lavoratori precari sono ormai tra i quattro e i cinque milioni di persone). La debolezza della classe operaia e, più in generale, delle classi lavoratrici, a partire dai luoghi di lavoro, è la ‘conditio sine qua non’ dell’affermarsi di un potere che, anche se non si fregia di labari e gagliardetti, è intrinsecamente fascista. Il fascismo, infatti, non è una ‘parentesi’ nel corso progressivo della storia - parentesi che si è chiusa con la fine di Hitler e Mussolini -, ma è ìnsito nella natura stessa del capitalismo e, quando e dove ci sono le condizioni, risorge puntuale come la morte. Diversamente, come spiegare la dittatura dei colonnelli nella Grecia del 1967, la dittatura di Videla nell’Argentina del 1972, quella di Pinochet nel Cile del 1973 e, giungendo all’attuale periodo, il regime nazifascista in Ucraina?


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  3. Non male...Eros! Già negli anni novanta una scritta su un muro invocava: "torna Bettino!"

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