L’attacco di Hamas contro Israele è stato ciò che ha innescato la guerra. Tale attacco, certamente brutale, è stato provocato dalla feroce politica di occupazione della Palestina da parte dagli israeliani. Inizialmente Benjamin Netanyahu ha agito come avrebbe fatto qualsiasi primo ministro israeliano al suo posto.
A sei mesi dall’inizio della Strafexpedition ebraica nella Striscia di Gaza, Netanyahu si preparava a porvi fine. Erano in corso negoziati per un cessate il fuoco prolungato con Hamas, ed era pronto ad accettare un compromesso. Aveva mandato un inviato per comunicare la nuova posizione di Israele ai mediatori egiziani.
In una riunione al Ministero della Difesa a Tel Aviv, Netanyahu aveva bisogno di ottenere l’adesione del suo governo. Aveva escluso il piano dall’ordine del giorno scritto della riunione. L’idea era di rivelarlo all’improvviso, impedendo ai ministri contrari di coordinare la loro risposta.
Era l’aprile del 2024. La proposta sul tavolo avrebbe messo in pausa la guerra di Gaza per almeno sei settimane, creato una finestra per i negoziati con Hamas su una tregua permanente. Più di 30 ostaggi catturati da Hamas sarebbero stati rilasciati nel giro di poche settimane. Ancora di più sarebbero stati liberati se la tregua fosse stata prorogata. E la devastazione di Gaza, dove circa due milioni di persone cercavano di sopravvivere agli attacchi quotidiani, si sarebbe fermata.
Porre fine alla guerra avrebbe aumentato le possibilità di un accordo di pace storico con l’Arabia Saudita, il paese più potente del mondo arabo. Per mesi, la leadership saudita aveva segretamente segnalato la sua disponibilità ad accelerare i colloqui di pace con Israele, a condizione che la guerra a Gaza fosse cessata. La normalizzazione dei rapporti tra i governi saudita e israeliano, un risultato che era sfuggito a ogni leader israeliano dalla fondazione dello Stato nel 1948, avrebbe garantito lo status di Israele nella regione, nonché l’eredità politica a lungo termine di Netanyahu.
Ma per Netanyahu una tregua comportava anche un rischio personale. Come primo ministro, guidava una coalizione fragile che dipendeva dal sostegno di ministri di estrema destra che volevano occupare Gaza, non ritirarsi da essa. Cercavano una guerra lunga che alla fine avrebbe permesso a Israele di ristabilire gli insediamenti ebraici a Gaza. Se un cessate il fuoco fosse arrivato troppo presto, questi ministri avrebbero potuto decidere di far saltare la coalizione di governo. Ciò avrebbe portato a elezioni anticipate, laddove i sondaggi indicavano Netanyahu perdente.
Privo dell’incarico di premier, Netanyahu sarebbe diventato vulnerabile. Dal 2020 era sotto processo per corruzione; le accuse, che ovviamente ha respinto, riguardavano principalmente la concessione di favori a uomini d’affari in cambio di regali e copertura mediatica favorevole. Privato del potere, Netanyahu avrebbe perso la capacità di estromettere il procuratore generale che supervisionava il suo processo, come in effetti il suo governo avrebbe poi tentato di fare.
In quel giorno d’aprile, mentre il governo discuteva di altre questioni, un assistente entrò di corsa nella sala riunioni con un documento che riassumeva la nuova posizione negoziale di Israele, porgendolo silenziosamente a Netanyahu. Netanyahu gli diede un’ultima lettura, spuntando vari punti con la penna. La strada verso una tregua presentava un pericolo reale, ma sembrava pronto ad andare avanti.
Bezalel Smotrich, il suo ministro delle Finanze, interruppe i lavori. Da giovane attivista, nel 2005, Smotrich fu detenuto per settimane – senza mai essere incriminato – con l’accusa di aver pianificato di far esplodere dei veicoli su un’importante autostrada per rallentare lo smantellamento degli insediamenti israeliani a Gaza. Insieme a Itamar Ben-Gvir, il ministro della sicurezza nazionale di estrema destra, Smotrich era ora uno dei più convinti sostenitori del ripristino di quegli insediamenti. Aveva recentemente chiesto che la popolazione palestinese di Gaza se ne andasse. Ora, alla riunione di governo, Smotrich dichiarò di aver sentito voci di un piano per un accordo. I dettagli lo turbarono: “Voglio che sappiate che se viene presentato un accordo di resa come questo, non avrete più un governo”.
Erano le 17:44, secondo il verbale della riunione. In quel momento, il primo ministro fu costretto a scegliere tra la possibilità di una tregua e la sua sopravvivenza politica (e non solo. Manco a dirlo, Netanyahu optò per la sopravvivenza. Non c’è un piano di cessate il fuoco, disse a Smotrich: “No, no, non esiste”. E mentre la discussione proseguiva, Netanyahu si chinò silenziosamente verso i suoi consiglieri per la sicurezza e sussurrò quello che doveva essere ormai ovvio per loro: “Non presentate il piano”.
E così il conflitto si trasformava in una guerra di logoramento e di genocidio. È stato Netanyahu a prolungarla, a ritardare ripetutamente il raggiungimento di un cessate il fuoco. Temendo per la propria sopravvivenza politica, Netanyahu ha legato il suo destino ai sogni della maggioranza degli israeliani e ha prolungato i bombardamenti e il bagno di sangue per garantirsi il loro sostegno.
Netanyahu ha garantito la propria sopravvivenza politica placando e manipolando gli alleati della sua coalizione e i benefattori del governo degli Stati Uniti, spesso contemporaneamente. Ha mostrato la frequente sovrapposizione tra i suoi obiettivi personali, le sue esigenze politiche e l’interesse nazionale. Ha strumentalizzato la guerra – che fosse a Gaza, in Libano o in Iran – per rimanere al potere. Il piano di colpire l’Iran era l’unica cosa che ha impedito agli Haredim (gli ebrei ultraortodossi) di sciogliere il governo.
Eppure, anche se il suo apparente trionfo in Iran gli ha fatto guadagnare tempo e consenso in Israele, sono le sue azioni a Gaza che definiscono l’eredità di Netanyahu all’estero. Che la guerra a Gaza finisca domani o tra diversi mesi, ha già ucciso molte decine di migliaia di persone, tra queste moltissime donne e bambini. Circa due milioni sono sfollati. La maggior parte degli edifici è già stata danneggiata o distrutta. La fame è diffusa. La ricerca quotidiana di cibo è diventata una trappola mortale distopica in cui gruppi di civili vengono regolarmente assassinati mentre si avvicinano ai pochi siti che distribuiscono aiuti.
La reputazione di Israele è al minimo storico. La Corte Internazionale di Giustizia sta valutando – purtroppo molto lentamente – se Israele sia colpevole di genocidio. Un’altra corte, quella Penale Internazionale, ha emesso un mandato d’arresto per lo stesso
Netanyahu (che però trova benevolenze dal fascistoide governo italiano). Netanyahu è responsabile di una delle più gravi catastrofi umanitarie da molti decenni a questa parte, una catastrofe che macchierà il nome di Israele per sempre.
Ma io mi chiedo: ma la Corte Penale Internazionale come cazxo fa a far rispettare i suoi mandati?
RispondiEliminaMi sembra tutto una barzelletta, senza poteri effettivi, premesso che siano nel giusto, questi organismi giuridici internazionali a cosa diavolo servono?
https://diciottobrumaio.blogspot.com/2024/01/perche-netanyahu-non-sara-mai-giudicato.html
EliminaHo letto grazie!
EliminaÈ un mondo da rifare, da cima a fondo!