È
questa una legislatura ancora troppo giovane perché abbia voglia di morire
senza aver sperimentato tutte le possibili varianti sopra e sotto il banco.
Sappiamo fin troppo bene dove si può spingere la fantasia di una classe
politica alle prese con i più meschini interessi personali e di entourage. In
tali condizioni, non esiste alcuno spazio reale, sia pure interstiziale, per un
qualsiasi reale cambiamento della situazione data. Ciò che si prospetta è sempre
e solo la continuazione del rutilante mercato dello spettacolo politico.
Sul
concetto di crisi di sistema, l’accordo sembra essere quasi generale, e
tuttavia ci si trova più che mai divisi sull’analisi delle cause di questa
crisi e sulle sue implicazioni. Anche perché in genere tali analisi trascurano,
salvo discuterne gli aspetti per così dire événementiels,
quanto è avvenuto negli ultimi decenni dentro i rapporti di produzione e di
classe, dentro ogni istituzione ed ogni piega della formazione sociale, nella
metamorfosi della forma-Stato in cui si compendia il dominio assoluto del
capitale.
Stato
che non è più in grado come prima di farsi carico di quei servizi atti a
garantire la riproduzione generale delle classi se non nel vortice di un debito
pubblico mostruoso e funzionale alla speculazione e alla rendita parassitaria. Se
dunque non vogliamo pensare, perché si tratta di una critica ormai giudicata
passatista, alle dinamiche di valorizzazione del capitale, che tutto sussumono,
poniamo caso a un fatto arcinoto, ossia alle imposte che ineluttabilmente
paghiamo mentre le grandi società di capitale versano oboli irrisori in
rapporto ai profitti. Il privilegio fiscale è stato uno dei fondamenti del
feudalesimo. Non mi pare che sotto tale profilo le cose siano molto cambiate.
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