Da tempo gli economisti si
interrogano su un fenomeno che sinora non è stato spiegato in modo
soddisfacente né complessivo: il rallentamento della crescita della
produttività, cioè del prodotto di beni e servizi per ora lavorata. Nel lungo
termine, l’incremento di produttività dovrebbe trasmettersi agli standard di
vita. Il condizionale è divenuto d’obbligo, dopo che gli ultimi anni hanno
visto un indebolimento di questa trasmissione, per motivi ancora non spiegati
in modo soddisfacente.
I minori progressi nella crescita
della produttività vengono ricondotti a fattori quali bassi tassi d’interesse,
che agevolano il mantenimento in vita delle cosiddette aziende zombie, meno
produttive; difficoltà di misurazione della produttività in un mondo digitale;
aumento di concentrazione settoriale, con formazione di monopoli ed oligopoli,
che frena i progressi di produttività.
[…] I dati mostrano che le aziende
più produttive spesso sono anche quelle
di maggiori dimensioni, grazie alla combinazione tra specializzazione e
globalizzazione, che consente l’accesso “scalabile” (cioè a costi incrementali
molto contenuti) ai mercati globali.
Eccetera.
Nel leggere questo post, del quale qui riporto solo
alcuni stralci, non si può non riflettere, in
senso generale, sui limiti della comprensione borghese del carattere
antitetico della produzione capitalistica. Al massimo questo genere d'indagatori giungono a cogliere e
descrivere il fenomeno. Non vanno e non possono andare oltre a risposte banali e generiche.
Basterebbe leggere di prima mano (non sui siti
internet, i quali presentano numerose mende di trascrizione) su una qualsiasi
delle edizioni in commercio a modico prezzo, per esempio, il capitolo 15° del
III Libro de Il Capitale (magari
cominciando dal 13° capitolo) per chiarirsi le idee su certi “insoluti” e
“insolubili” problemi. I quali sono il risultato dello sviluppo delle forze
produttive nel modo capitalistico di produzione e della maniera in cui questo sviluppo si compie.
Non senza aver prima letto la Prefazione del buon
Engels, di puro divertimento nonostante tratti un tema ostico e “insoluto”: capitali uguali, indipendentemente dalla quantità più o
meno grande di lavoro vivente che impiegano, in tempi uguali producono in media
profitti uguali. Qui c’è dunque una contraddizione con la legge del valore,
contraddizione già trovata da Ricardo e che la sua scuola fu parimenti incapace
di risolvere.
È sempre Marx a risolvere, nei capitoli 8-12 della
seconda sezione del III Libro, l’”arcano”. Non soltanto senza pregiudizio della
legge del valore, ma piuttosto sul fondamento di essa, dimostrando che può e
deve formarsi un uguale saggio medio di profitto.
Tuttavia sia chiaro che per intendere correttamente non
basta ritenere di aver letto molto e studiato abbastanza, bisogna dapprima
superare i pregiudizi del proprio ambiente sociale e quelli, similmente coriacei, indotti
dagli effetti dell'educazione assimilata.
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