«Secondo alcuni studi, nei prossimi 20 anni sarebbero a rischio
circa il 50% delle posizioni lavorative dei paesi industrializzati, ma la
grande novità è che non si tratta solo dell’automazione delle fasi produttive,
ma del superamento di molte aree di lavoro intellettuale, in relazione allo
sviluppo dell’intelligenza artificiale, del machine
learning e ora anche di robot che rispondono a input emotivi.»
*
L’ordinamento
sociale borghese non sta andando in pezzi sotto l’azione travolgente dei soviet
operai; la grande rivoluzione culturale non è implementata nelle coscienze
proletarie dagli slogan delle guardie rosse. Come si può evincere dal brano
tratto da Il Sole 24ore di ieri, a firma di Max Bergami, ci sono forze
rivoluzionarie ben più potenti che spingono verso il più grande e inedito
mutamento sociale e antropologico della storia, forze che coinvolgono ogni
aspetto della produzione della vita umana e dei suoi complessi rapporti.
C’è
ancora da discutere su questo fatto inoppugnabile cui conduce inesorabilmente,
come legge di natura, lo sviluppo del capitale? E non si può ignorare che questa
discontinuità qualitativa epocale, che procede sostituendo forsennatamente
lavoro vivo con sistemi di macchine, genera quella divaricazione tra valore
d’uso e valore di scambio nella massa di merci prodotte che è il motivo fondamentale
da cui viene la crisi storica del capitalismo. Trionfo
e morte.
Sennonché sono in molti a immaginare (vedi nel medesimo articolo del
giornale), “un mondo in cui le macchine lavorano e gli uomini non dovranno più
mangiare il pane con il sudore del proprio volto”. Il problema, per dirla in
breve, non è il pane e le fatiche con cui gli uomini se lo procurano (i
padroni, per esempio, non hanno mai avuto di questi fastidiosi problemi di
approvvigionamento alimentare), ma i rapporti sociali entro i quali ciò avviene.
Se sono gli stessi rapporti sociali odierni, ossia quelli in cui il lavoro ha
per scopo esclusivo quello di valorizzare il capitale, ebbene siamo alle solite
illusioni metafisiche.
Questi
asini non hanno chiaro che il problema fondamentale del capitalismo è che a un
dato livello dell’accumulazione, la produzione di valori d’uso (“il pane”)
entra in contraddizione con le esigenze di valorizzazione del capitale. Lo
sviluppo delle forze produttive risulta così frenato dai rapporti di produzione
capitalistici, vale a dire dai rapporti di produzione fondati su un modo specifico di imporsi della legge
del valore!
da una parte capitali istantaneamente mobili e unicamente -a più riprese- circolanti e dall'altra accumuli altrettanto giganteschi di capitali -a più riprese- fissi
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