A
proposito di democrazia, c’è qualcosa di più totalitario del totalitarismo del
profitto, ossia dei poteri industriali e finanziari determinati a trasformare
in merci le risorse umane e della natura? Eppure c’è una forte corrente
negazionista, gente che non fa che dirci che questo è il prezzo da pagare per i
feticci in godimento. Per il resto, aria, acqua e cibo avvelenati, periferie metropolitane
terra di nessuno, disoccupazione e precariato sistemico, povertà come stigma
sociale, crisi infinita, bische e disastro della vita, privatizzazione della
sanità, decadimento verticale dell’istruzione pubblica, sacrifici propiziatori per
la “crescita”, parassitismo degli evasori fiscali, rimbambimento di massa in
modo che non c’è più bisogno di nascondere cinismo politico, ignoranza e arroganza
di ogni tipo.
La
bulimia del capitale s’è mangiata la democrazia un po’ dappertutto, rendendo
evidente, non ancora ai più ostinati, che il voto non paga.
Le nuove grida di recessione denunciano una volta di più la
fragilità dell’equilibrio capitalistico nella fase della sua crisi storica. Mai
come nella nostra epoca si è vista una tale accumulazione di ricchezza
improduttiva in possesso di un’oligarchia che giudica, a sua ragione, poco profittevole
investire nella produzione di merci destinate a non trovare sbocco. Le leggi marxiane ritenute più controverse dai topi di fogna del liberalismo, trovano
verifica concreta: la caduta tendenziale del saggio del profitto e la pauperizzazione
assoluta.
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