Scriveva
una decina di giorni or sono il sempre
sagace Malvino in un suo post:
«Immagini
un borghese che tradisca l'interesse di classe profondendosi nel sensibilizzare
un proletario sul crudele tritacarne del capitale; e il proletario sbuffa
perché la teoria del plusvalore gli pare astrusa; di più, l'insistenza del
borghese gli pare sospetta, e non ne fa mistero, anzi, di quel sospetto arriva
a farne ragione d'insofferenza, perfino d'insolenza; ecco che allora il
borghese, stanco, si lascia andare ad un liberatorio
"mafammoccammàmmete!".»
Spero
di non usurpare titolo e figura se mi ci vedo un po’
anch’io, e dunque di liberatori "vafamocc" dovrei
pronunciarne a mia volta in numero considerevole. Non posso sempre
frapporre tra me e il mondo la mia biblioteca, perciò voglio tediare ancora una volta su un tema che fa sbuffare il proletario insofferente
non meno che il borghese insulso.
*
Stamane,
durante la trasmissione di radio tre, Tutta
la città ne parla, che aveva a oggetto la cosiddetta industria 4.0, un
ascoltatore ha inviato il seguente messaggio: “Sono quattrocento anni che i
catastrofisti preannunciano la significativa perdita di posti di lavoro
nell’industria a causa dell’innovazione tecnologica, ma ciò finora non si è mai
verificato, dunque perché si dovrebbe verificare proprio ora?”.
A
questa domanda si può rispondere in vari modi, ma solo uno di questi è
scientifico. Un altro modo, non scientifico ma validamente pratico, è quello di
chiedere notizie di tale processo per esempio agli operai dell’Electrolux di
Susegana (Tv). Ricordatevi di loro, poiché, a seguito della ristrutturazione alla
quale verrà sottoposta la fabbrica, nei prossimi tempi ne sentiremo parlare.
*
Per
appropriarsi di quote maggiori di plusvalore e far fronte alla concorrenza, i
capitalisti devono costantemente aumentare la produttività del lavoro. Ciò
impone l’aumento e il miglioramento incessante del livello tecnico degli
impianti e del macchinario. Maggiore è il perfezionamento tecnologico, più il
numero di operai e addetti richiesti per la stessa quantità di produzione è minore. In altri termini,
si eleva la composizione tecnica del capitale.
L’aumento
progressivo della composizione tecnica del capitale provoca, necessariamente,
un mutamento parallelo della sua composizione di valore, e, quindi, nella
composizione organica, vale a dire un aumento progressivo del capitale costante
in rapporto a quello variabile (per un'altra "astrusa" disamina, clicca qui).
Occorre
tener presente che la composizione organica non è una semplice composizione di valore (capitale
costante/capitale variabile), ma presuppone ed è sostenuta da una data composizione tecnica, ossia da un
determinato livello di sviluppo tecnologico. Più in particolare, la composizione organica del
capitale è il rapporto che si stabilisce tra composizione di valore e
composizione tecnica.
La
composizione di valore riflette le proporzioni in valore delle parti
costitutive del capitale (c/v). La composizione tecnica riflette il rapporto fisico tra
materie prime, mezzi di produzione e lavoro (Mp/L) ed indica il livello tecnico raggiunto dalla produzione.
Non
distinguere tra “composizione in valore” e “composizione tecnica”, riducendo la
composizione organica a semplice “composizione in valore”, preclude qualsiasi possibilità
sia di cogliere la contraddizione fra lo sviluppo storico-naturale delle
forze produttive (Mp/L) e la forma che esse assumono nel modo di produzione
capitalistico (c/v), e sia di conoscere la vera ragione per cui l’aumento della composizione organica,
provocando la caduta tendenziale del saggio di profitto, possa e debba risolversi nella
crisi dell’accumulazione capitalistica.
Poiché
l’unica fonte di valore, e quindi di plusvalore, è la forza-lavoro, la
diminuzione relativa del capitale variabile implica che si giunga a un punto
del processo di accumulazione in cui il plusvalore prodotto è divenuto così
piccolo, relativamente al capitale complessivo accumulato, che non è più
sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario
salto di composizione organica (*).
In
altri termini, non ogni quantità di profitto (plusvalore) può trasformarsi in
un aumento dell’apparato tecnico di produzione: per l’espansione – qualitativa
e quantitativa – della scala della produzione è necessaria una quantità minima
di capitale addizionale, quantità che nel processo di accumulazione diventa, a
causa della crescita accelerata del capitale costante, sempre maggiore.
L’aumento
della composizione organica del capitale è una tendenza necessaria allo
sviluppo capitalistico e rappresenta la causa delle crisi che si manifesta
palesemente nel fenomeno della sovrapproduzione che investe la società
capitalistica. Ciò vuol dire che l’accumulazione capitalistica è un processo
gravido di crisi, anche se questo non significa che il crollo del sistema
capitalistico sopravvenga “automaticamente”.
Alla
luce di quanto pur sommariamente esposto, non è azzardato stabilire che il modo
di produzione capitalistico è entrato nella sua fase di crisi generale-storica.
Una fase che condurrà in
tempi storici brevi a
trasformazioni e sconvolgimenti economici, sociali e politici profondi e
inediti, i cui prodromi, in positivo e in negativo, sono già presenti e
visibili.
Tra questi
si segnala appunto la progressiva incapacità del sistema produttivo di
riassorbire, nelle fasi di ciclo più favorevoli, quote di quell’esercito
industriale di riserva che sono state espulse dalla produzione o che non vi sono
mai entrate. E tutto ciò nonostante l’orario di lavoro giornaliero e/o
settimanale del singolo lavoratore possa subire una diminuzione. Infatti, la
riduzione dell’orario di lavoro non potrà mai essere in rapporto diretto,
dunque in equilibrio, con l’aumentata capacità produttiva del lavoro indotta
dalle nuove tecnologie e tecniche di produzione (ciò riguarda un aspetto della
stessa legge sulla quale si fonda il rapporto di sfruttamento capitalistico).
Per quanto sopra esposto, vafamocc tu, quelli appresso a te, e pure i quattrocento anni!
(*)
La categoria del saggio di profitto svolge un ruolo fondamentale nell’economia
politica, in quanto il suo movimento è alla base della crisi del modo di
produzione capitalistico. Infatti, la tendenza storica dell’accumulazione
capitalistica consiste, come evidenziato nel post, in un aumento della
composizione organica del capitale e, di conseguenza, in una caduta del saggio
del profitto.
Le
leggi del movimento del saggio di profitto non coincidono con quelle del saggio
del plusvalore, da cui peraltro il saggio del profitto si distingue fin
dall’inizio anche quantitativamente. Il saggio di profitto può scendere, anche
se il plusvalore reale sale. Il saggio di profitto può salire, anche se il
plusvalore reale scende.
Questa
legge è “sotto ogni aspetto la legge più
importante della moderna economia politica […] È la legge più importante dal
punto di vista storico”.
Gent.ma,
RispondiEliminami scusi ma sarebbe così gentile da spiegare meglio il seguente passaggio:
"Le leggi del movimento del saggio di profitto non coincidono con quelle del saggio del plusvalore, da cui peraltro il saggio del profitto si distingue fin dall’inizio anche quantitativamente. Il saggio di profitto può scendere, anche se il plusvalore reale sale. Il saggio di profitto può salire, anche se il plusvalore reale scende."
Grazie infinite.
AG
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2016/02/potrebbe-sorgervi-la-domanda.html
Eliminanel caso non le fosse ancora ben chiaro il concetto, e cioè cosa distingue il saggio di profitto dal saggio del plusvalore, e perché il primo può scendere nonostante il secondo possa salire, non si faccia problemi a chiedermi uno schiarimento ulteriore. sappia ad ogni modo che il saggio di profitto si calcola in rapporto al capitale complessivo (c+v) e il saggio del plusvalore in rapporto al solo capitale variabile (v), cioè al capitale investito in salari. ciao
Scusi se la disturbo ancora, ma non mi sono ben chiare un paio di cose:
Elimina- il capitale costante (c) diventa dirimente nello sviluppo del saggio del profitto ma non in quello del plusvalore (e a questo punto anche del pluslavoro non pagato, mi vien da aggiungere)
- avendo letto il suo post, l'accumulazione (e la conseguente valorizzazione del capitale) ha un limite?
Grazie per la pazienza.
AG
Il capitale costante, diminuendo in rapporto a quello variabile, muta la composizione tecnica e non solo la composizione di valore del capitale stesso. Ciò significa che progressivamente serve una quota sempre maggiore di capitale costante per mettere a sfruttamento una quota progressivamente minore di capitale variabile. Essendo quest’ultimo l’unica fonte di valore, di nuovo valore, si verifica una caduta tendenziale del saggio del profitto in rapporto al capitale complessivo, caduta compensata ma solo in parte da altri fattori di controtendenza. Ciò comporta un limite agli investimenti e dunque allo sviluppo del capitale nella sfera della produzione. Il limite del capitale è il capitale stesso, come ebbe a osservare Marx.
EliminaIn altri termini ancora, l’accumulazione non subisce un arresto, ma incontra sempre maggiori difficoltà. Poiché l’unica fonte di valore, e quindi di plusvalore, è la forza-lavoro, la diminuzione relativa del capitale variabile implica che si giunga ad un punto del processo di accumulazione in cui il plusvalore prodotto è divenuto così piccolo, relativamente al capitale complessivo accumulato, che non è più sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario salto di composizione organica.
Si apre a questo punto una lotta spasmodica tra i capitali concorrenti e tra le diverse sfere di produzione per accaparrarsi quote di plusvalore. L’attuale disputa sui dazi, per esempio, è solo un aspetto, un fenomeno, di tale lotta.
Legga questo post propedeutico e la cosa le sarà chiara:
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2013/03/la-legge-piu-importante.html
ciao
Gentile Olympe, con grande rammarico dobbiamo però constatare che nel mondo accademico la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto quando non è sconosciuta è considerata sbagliata. Ogni anno dalle università escono migliaia di giovani laureati, futuri rider (i più) o ministri (uno su un milione), che di questi concetti non sanno nulla o ne hanno ricevuto descrizioni parziali e spesso errate. La più recente infatuazione della sinistra è la MMT (Modern Monetary Theory) che una pur blanda teoria del valore non ce l'ha nemmeno, mentre il mainstream è ormai in mano al marginalismo e alla teoria soggettiva del valore: il valore di scambio non esiste, esiste solo l'utilità marginale di un bene. Oggi il concetto stesso di valore è scomparso dal dibattito perchè considerato troppo astratto, non misurabile, sterile, privo di informazione. Questa è la realtà! E se si fa notare che parlare di economìa sulla base dei soli prezzi relativi e dei tassi di interesse non ha alcun senso, ti guardano come fossi un alieno. Eppure è proprio dal mistero del valore che bisognerebbe cominciare un qualunque approccio all'economìa politica.
RispondiEliminaGrazie dunque per il suo prezioso impegno.
Buona giornata.
Costantino
Egregio Costantino, ciò che oggi conta nella realtà pratica è la conoscenza dei meccanismi del mercato finanziario; quanto al resto si tratta di passatismo, almeno per ora.
EliminaTuttavia io non credo che siano tutti degli ignoranti, pur essendo questa categoria abbondantemente rappresentata e non solo per quanto riguarda gli studi economici. Come lei ben sa, la coscienza è prodotto dell’essere sociale, e non viceversa. Pertanto è necessario distinguere la massa degli ignoranti dai figli di puttana che tali dinamiche economiche le conosce bene pur travisandone le cause per motivi di reddito e di potere.
Grazie per il raro (in ogni senso) commento. Buona serata.