lunedì 10 ottobre 2016

Una completa rivoluzione dell'intero ordine sociale contemporaneo




La questione della crisi della democrazia ritorna ad occupare con sempre maggior forza una posizione centrale nel serrato confronto che si svolge tra le diverse componenti della società, non solo italiana.

Politologi, sociologi e simili, proprio per la loro posizione di classe, gli interessi che essi oggettivamente difendono e intendono preservare, non arrivano mai a considerare la crisi generale, storica, del processo di valorizzazione del capitale, come la causa scatenante di contraddizioni a pioggia in tutte le istituzioni politiche che garantiscono la riproduzione della formazione sociale capitalistica. Al massimo, se crisi c’è, ed è impossibile negarlo, si tratta di una crisi di ciclo, qualcosa di transeunte. Per il resto, è caccia nel fantasmagorico mondo dei fenomeni sociali (*).

* * *



Eugenio Scalfari, nel suo editoriale di ieri, in relazione al nuovo assetto istituzionale delineato dal combinato della riforma costituzionale ed elettorale, arriva a citare il diciotto brumaio di Napoleone Bonaparte. Con qualche lieve imprecisione storica, Scalfari ha il merito di rompere il velo d’ipocrisia che circonda il concetto stesso di democrazia e di porre la questione della reale natura del sistema politico borghese.

Scalfari è addirittura icastico e ripete già quanto aveva scritto una settimana prima: “io sostengo che la vera democrazia non può che essere oligarchica”. E rincara: “Oligarchia democratica o dittatura: questa è stata, è e sarà il sistema politico dell’Occidente”.

Scalfari non spiega donde piova la sua “oligarchia-democratica” in contrapposizione/alternativa alla “dittatura”. Non mi pare si possa cogliere nei suoi editoriali un’analisi più generale di contesto. Con ciò non voglio dire che egli non abbia in mente i motivi su cui far poggiare le sue affermazioni, tutt’altro. Tuttavia, al momento, manca, ad esempio, un cenno al ruolo delle classi sociali, ossia alla divisione sociale del lavoro e della proprietà, che pure, su tale tema, non è questione di mero dettaglio.

Se tradotto in termini più spicci, il giudizio tranciante di Scalfari, è il giudizio più comune che si possa ascoltare in qualunque luogo sul tema del rapporto tra potere politico e classi sociali. Come tutti i luoghi comuni, coglie una parte di verità, fin troppo generica, unilaterale e superficiale.

* * *

Storicamente, le metamorfosi moderne della forma-Stato vanno lette in relazione al movimento contraddittorio del capitale e alle fasi di sviluppo che esso ha attraversato: dalla libera concorrenza, al capitale monopolistico, al capitale monopolistico multinazionale (la fase che chiamano globalizzazione).

Per essere posta correttamente sul piano scientifico, la questione della forma-Stato deve perciò tener conto della scomposizione e ricomposizione della formazione economico-sociale capitalistica come insieme sistemico di relazioni sociali, storicamente determinate, interdipendenti, interagenti, come totalità concreta nella quale lo Stato si definisce, e non semplicemente come un’ipostasi valida per ogni epoca storica come intende Scalfari (**).

Bisogna aver chiaro quanto di essenziale ci ha detto Marx al riguardo. È dalle relazioni fondamentali in cui gli uomini entrano nella produzione riproduzione della loro vita materiale ad ogni stadio di sviluppo delle forze produttive (rapporti dotati di una oggettività simile a quella di un processo di storia naturale e che si formano indipendentemente dalla coscienza degli uomini) che Marx parte per avanzare la tesi scientifica basilare del materialismo storico: l’automovimento di una formazione sociale è, in ultima istanza, determinato dallo sviluppo delle forze produttive nel loro rapporto dialettico di unità e di lotta con i rapporti di produzione e di scambio.

Nell’Ideologia tedesca, la relazione tra base economica e Stato viene rischiarata nella sua genesi, e cioè a partire dalla divisione del lavoro:

«[…] con la divisione del lavoro è data altresì la contraddizione fra l’interesse del singolo individuo o della singola famiglia e l’interesse collettivo di tutti gli individui che hanno rapporti reciproci; e questo interesse collettivo non esiste puramente nell’immaginazione, come “universale”, ma esiste innanzi tutto nella realtà come dipendenza reciproca degli individui fra i quali il lavoro è diviso.»

Questa “scissione fra interesse particolare e interesse comune”, questo “antagonismo fra interesse particolare e interesse collettivo”, che nella società è scissione-antagonismo tra interessi di classi diverse, delle quali una domina tutte le altre, è all’origine del fatto che “l’interesse collettivo prende una configurazione autonoma come Stato, separato dai reali interessi singoli e generali, e in pari tempo come comunità illusoria”.

Lo stato come “comunità illusoria” o come surrogato di comunità è, dunque, per Marx, l’organizzazione che le classi dominanti si sono date per difendere i loro privilegi particolari, i loro particolari interessi, rappresentati come generali, universali, “come interesse ‘generale’ illusorio sotto forma di Stato”.

Ancora: «La comunità apparente nella quale finora si sono uniti gli individui si è sempre resa autonoma di contro a loro e allo stesso tempo, essendo l’unione di una classe di contro a un’altra, per la classe dominata non era soltanto una comunità del tutto illusoria, ma anche una nuova catena.»

Ed è questo il punto essenziale: «[…] in tutte le rivoluzioni finora avvenute non è mai stato toccato il tipo dell’attività, e si è trattato soltanto di un’altra distribuzione di questa attività, di una nuova distribuzione del lavoro ad altre persone […]

* * *

Non abbiamo bisogno di costruire una nuova teologia, né di preghiere né d’incantesimi, tantomeno di impetrare un Messia e sognare un paradiso in terra che non ci sarà mai. Tuttavia siamo a una cesura epocale, in presenza di evidenze che hanno richiesto secoli prima di manifestarsi.

Malgrado la quasi totalità dell’umanità non conosca le reali e profonde cause della crisi generale del modo di produzione capitalistico, sono sempre più numerosi coloro che percepiscono, non per moralismo ma per necessità, l’impossibilità della continuazione di questo sistema sordo e cieco. Senza bisogno di alcuno sforzo immaginativo particolarmente temerario, possiamo già intravvedere gli inneschi del futuro che verrà, le premesse di un possibile sistema economico-sociale, di esistenza, alternativo alla logica della forma merce.

Il progresso scientifico e lo sviluppo raggiunto dalle forze produttive ci consentono da un lato di conoscere le leggi della natura e di adoprarle nel modo più opportuno, dall’altro di soddisfare con larghezza ai bisogni primari dell’intera umanità. Di organizzare e distribuire il lavoro secondo altre priorità e prospettive, perché diventi finalmente luogo di umanità. Pertanto, senza che esso sia legato alla produzione di valore come fine in sé, o che al lavoratore sia negato, dallo stato delle cose, il giusto valore del proprio fare e che sia offesa la sua dignità perché non dispone di mezzi propri.

Solo gli sciocchi possono pensare che quando si concretizza in prassi una società nella quale ognuno dà secondo le sue capacità e ognuno riceve secondo i suoi bisogni, sia una società di un piatto egualitarismo. Tutt’altro. Questo però richiede una completa rivoluzione del nostro intero ordine sociale contemporaneo.

Infine, rivolgendomi agli ansiosi e ai dubbiosi, devo rilevare due cose. È pur vero che la critica coglie e denuncia ma non riesce a modificare questo stato di cose. E tuttavia essa costituisce il presupposto da cui far nascere una coscienza collettiva sensibile ed avanzata su questioni fondamentali. Non solo sull’estrazione eterologa del plusvalore, ma anche sulle forme dell’alienazione e della servitù volontaria che hanno raggiunto livelli patologici. Una soggettività cosciente è indispensabile per mutare i rapporti di forza, per il cambiamento possibile. Di poi, credo che porsi oggi problematiche sul tema delle forme di dettaglio che assumerà l’assetto sociale e politico postcapitalista, sia un perdersi anziché andare all’essenziale.

I padroni del mondo, attraverso i loro volenterosi lacchè, hanno tutto l’interesse a negare il cambiamento, a lasciare tutto com’è. Anzi, sono consapevoli del pericolo che corrono, perciò stanno preparando una nuova macelleria su scala mondiale (***).

(*) Naturalmente tra crisi generale e crisi dello Stato non c’è una relazione semplice, meccanica, di casua-effetto, c’è di mezzo, infatti, volenti o nolenti, la complessa vicenda della lotta di classe e della lotta tra fazioni diverse di una stessa classe. Si tratta di un processo di lungo periodo (e pazienza per coloro che presentano incipienti sintomi d’ansia rivoluzionaria) che si snoda dentro e contro le articolazioni dello sfruttamento e del dominio borghese, e non invece, come viene presentato dai media, in modo indipendente e separato da esse.

(**) Nel corso della storia ogni modo di produzione dà origine a una tipica organizzazione politica che promuove gli interessi della classe dominante. Tuttavia, in paesi relativamente arretrati, in cui le classi non erano ancora pienamente sviluppate, Marx riteneva che lo Stato potesse svolgere un ruolo relativamente indipendente. Talvolta non è necessario che lo Stato rappresenti tutta una classe ma anche soltanto una parte di essa (per es., i finanzieri sotto Luigi Filippo).

(***) Nella Critica al Programma di Gotha, Marx ebbe a scrivere:

«Si domanda quindi: quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? In altri termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato? A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna».

Alcune osservazioni di Marx a riguardo del ruolo futuro dello Stato, sembrano rivelare un atteggiamento autoritario, ma sono di solito dedicate a quegli aspetti della rivoluzione borghese che il proletariato dovrebbe appoggiare. Quando, per esempio, nell’Indirizzo al Comitato centrale della Lega dei comunisti, del marzo 1850, egli dice “gli operai … devono lottare non soltanto per la repubblica tedesca una e indivisibile, ma anche per la più decisa centralizzazione del potere nelle mani dello Stato”, si tratta con ogni evidenza di un consiglio politico in un paese alla vigilia, non già di una rivoluzione comunista, bensì di una rivoluzione borghese. E Marx ne era fin troppo consapevole.

Marx fu uno degli uomini che nella sua epoca si batté maggiormente contro l’oppressione politica e religiosa, contro lo sfruttamento economico e i soprusi del privilegio di classe. Ovviamente egli non si nascondeva il fatto che la dittatura borghese, ammantata di forme più o meno democratiche, non si sarebbe fatta da parte con mezzi ordinari e senza scatenare la propria violenza reazionaria. D’altro canto, dagli scritti marxiani, soprattutto le sue lettere sull’obščina, sappiamo con certezza che egli riteneva impraticabile la costruzione del socialismo in un solo paese e per giunta nelle condizioni feudali della Russia. Men che meno avrebbe scambiato la fase della “dittatura del proletariato” per la dittatura di stampo burocratico instaurata nell’Urss. Ciò significa proprio il contrario di quello che, sia da una parte che dall’altra, si vuol far credere, ossia che quel “comunismo” avrebbe potuto essere diverso e migliore di ciò che fu necessariamente solo che ….. La storia non fa balzi in avanti, e anzi spesso tende a farne di tripli all’indietro.


20 commenti:

  1. post scritto probabilmente tutto d'un fiato, sicuramente letto così da parte mia. un pò di invidia per come hai articolato.

    la si piantasse di interpretare in quel modo sciocco l'epistolario con Vera Zasulic e dedurne che il proletariato fa rivoluzioni solo se ha ancora un piede nella forma comunitaria!

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  2. «È pur vero che la critica coglie e denuncia ma non riesce a modificare questo stato di cose. E tuttavia essa costituisce il presupposto da cui far nascere una coscienza collettiva sensibile ed avanzata su questioni fondamentali.»
    Per quanto mi riguarda, e per quel che vale il mio giudizio, le pagine di questo blog sono uno dei luoghi migliori per far nascere una coscienza critica quantomeno "individuale".

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  3. "Credo che porsi oggi problematiche sul tema delle forme di dettaglio che assumerà l’assetto sociale e politico postcapitalista sia un perdersi anziché andare all'essenziale".
    E io invece penso che proprio il "dopo" sia l'essenziale, perché "una società nella quale ognuno dà secondo le sue capacità e ognuno riceve secondo i suoi bisogni" implica organizzazione, guida, controllo, programmazione. Chi e come si farà carico di tutto ciò, un "oligarchia-democratica"?

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    1. Costruire un mondo su basi economico-sociali nuove non è opera che si può decidere a tavolino e preventivamente. Ad ogni modo prova ad immaginare che al primo punto dell’agenda vi sia la distribuzione della ricchezza socialmente prodotta secondo i bisogni di ciascuno e non secondo i titoli di proprietà. Già questo comporterebbe uno sconquasso dell’attuale ordine economico-sociale, con molte ricadute in ogni ambito.

      Tu poni però il problema del potere politico in quanto tale, ossai la questione di chi decide anche per gli altri. Tutti noi abbiamo ben presenti le esperienze del passato, assai tragiche. Non possiamo però restare vincolati alle vecchie idee della repubblica borghese, di gente sempre incline ad accettare il verdetto della maggioranza nella misura in cui gode del monopolio del potere elettorale (fino a quando, vista la mal parata, non si decide di modificare la costituzione e la legge elettorale stessa). Anche perché, come detto, la questione del potere politico e della sua rappresentanza non può non risentire con forza degli effetti del primo punto in agenda qui sopra prospettato.

      Credo che anche da questo lato sia necessario inventare e sperimentare. E poi sperimentare di nuovo. Per l’umanità si tratta di un’avventura grandiosa ed inedita. Le nuove tecnologie di comunicazione possono dare una grossa mano in tal senso, ma non sono la panacea come credono i grillini. E non sempre uno vale l’altro, come del resto dovrebbe essere palese. Personalmente non farò parte di alcun consesso che si occupi di simili questioni, se non altro per ragioni anagrafiche, nel senso che per allora sarò cenere al vento, e anche perché spero siano poste in campo capacità intellettuali e competenze tecniche di livello superiore alle mie.

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    2. Questo dà, in buona misura, risposta alla mia domanda. E dunque, sì, dovremo/dovremmo rimettere organizzazione, guida, controllo e programmazione a chi abbia capacità intellettuali e competenze tecniche adeguate, ovviamente unanimemente riconosciute (se non unanimemente, a maggioranza? relativa o assoluta?). Un oligarchia-democratica, necessariamente.
      Per chiarirmi: io vedo il marxismo come eccellente analisi di sistema, quello capitalistico, che è fondato sullo sfruttamento; il problema nasce nel decidere con quale altro sistema sostituirlo; tu dici "si vedrà, cominciamo a sovvertire questo"; e io tremo, neanche tanto per le esperienze che a Marx si richiamavano (illegittimamente? posso concederlo, ma tu concedimi che questa illegittimità possa reiterarsi), ma l'incapacità a concepire distruzione senza un chiaro (e perciò condivisibile o meno) progetto di costruzione. E su questa incapacità non metto ironia, tanto più perché vedo che è anche tua.

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    3. Marx va bene per la critica del capitalismo, più evanescente per la proposta, per l’essere altrimenti. In definitiva un’élite che comanda esisterà sempre. E allora tanto vale tenerci ciò che abbiamo, evitiamo salti nel buio anche perché sappiamo che il vento della storia prende spesso direzioni imprevedibili. Questo in buona sostanza è il punto, come già in Gaetano Mosca ben prima di Scalfari.

      Non è vero che al riguardo Marx (il marxismo, come tu scrivi) sia evanescente. Marx ha affrontato in varie opere il problema dello Stato. Ad ogni modo egli ha dimostrato che l’esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi di sviluppo storico della produzione [historische Entwicklungsphasen der Produktion]; ma soprattutto ci ha indicato la via per comprendere come il movimento della contraddizione fondamentale tra proletariato e borghesia si riproduca, in forme specifiche, nei movimenti particolari di ciascuna dimensione della formazione sociale, e, come ciascuno di questi movimenti si riverberi ancora su tutti gli altri.

      La storia recente ha insegnato molte cose al riguardo, e proprio tali esperienze hanno fatto giustizia dei facili ottimismi sulla possibilità di una rapida modificazione dei rapporti sociali di produzione in paesi ancora largamente ancorati a condizioni precapitalistiche. Oggi, come dico nel post, siamo in una nuova fase.

      Questo sistema non è solo ingiusto (fosse per questo potrebbe durare in eterno), ma rovinoso, come anche tu ammetti. Non è escluso nemmeno un nuovo e ancor più devastante conflitto generale provocato proprio ed esattamente dalle stesse immanenti contraddizioni del passato. E però, di là di questo, mi sembra aver chiarito più volte, sulla scorta di Marx, che proprio la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico, la dinamica divaricantesi tra valore d'uso e valore di scambio, ha portato il sistema alla sua crisi generale, storica.

      Difficile immaginare che moltitudini d’individui, che tutto sommato tirano a campare e trovano modo di essere felici, scelgano spontaneamente di fuoriuscire dalla caverna. Sarà ancora una volta la realtà storica a spingerci ad agire. Una realtà che già da tempo bussa alle nostre porte, vuoi incarnata nelle figure miserabili e dolenti degli immigrati, vuoi nella precarietà che diventerà presto estrema disperazione per le prossime generazioni, vuoi dalla crisi economica infinita, che, possiamo esserne certi, riserverà ancora amare sorprese.

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    4. Non ho detto "chi lascia la via vecchia, per prender quella nuova, sa quello che lascia e non sa quello che trova", e nemmeno "un domani migliore dell'oggi non esclude un dopodomani assai peggiore": ho chiesto "si ha una qualche idea di come verranno gestiti i bisogni e le capacità di ciascuno? e chi vi provvederà? e come sarà investito di questa autorità?". Potrei aggiungere "con il potere che questa autorità che gli avrà conferito, cosa starà a garanzia che non ne abusi? e come si potrà sottrarglielo, nel caso?". Come vedi, non voglio dare per scontato che le possibilità di comunismo siano tutte esaurite nelle esperienze storiche che possono dirsi andate incontro - come meglio preferisci - ad aborto o a mutazione genetica, né questa mia disposizione è un espediente retorico, ti assicuro. Solo chiedo (non adirarti, ti sembrerà una provocazione socialdemocratica): dobbiamo pensare - insieme a Benedetto Croce - che liberalismo e socialismo non possano coniugarsi? Non mi rispondere che si è tentato e ogni tentativo è andato incontro a fallimento: si potrebbe dire altrettanto del comunismo.

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    5. Molto bene, cercherò a mia volta risposte il meno ideologiche possibile. Non possiamo, io credo, stabilire oggi, nel dettaglio, quali saranno le forme di organizzazione politica future, le piattaforme decisionali, di controllo e di garanzia. Non per nulla, nel post riporto una famosa osservazione marxiana che così si chiude: “A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna”. Va da sé che le forme politiche dipenderanno in gran parte dal livello di sviluppo raggiunto: il passato è lì a testimoniarlo. Fare salti in avanti ha portato a rovinose cadute. Già oggi, ho osservato, le nuove tecnologie della comunicazione possono consentire, in un quadro sociale mutato, un tipo di partecipazione dal basso un tempo escluso (pur non negando i pericoli connessi al loro impiego). A me pare, insomma, che si voglia mettere il carro davanti ai buoi. Ripeto, si tratta di un futuro tutto da costruire e del quale non possiamo occuparcene in dettaglio oggi poiché ci mancano i termini dell’equazione. Un futuro che per forza di cose non potrà essere lineare poiché il compito è inedito e travalica le singole generazioni, come del resto è stato anche per l’affermazione della società borghese.

      Pensiamo solo per un attimo al riconoscimento dei diritti universali dell’uomo da parte dello Stato moderno. Come non essere d’accordo? E però in realtà tale riconoscimento non ha un significati diverso dal riconoscimento della schiavitù da parte dello Stato antico. Così come lo Stato antico aveva come base naturale (base naturale!) la schiavitù, così lo Stato moderno ha come base naturale (base naturale!) la società civile, l’uomo della società civile, cioè l’uomo indipendente, unito all’altro uomo solo con il legame dell’interesse privato e della necessità “naturale”: schiavo del lavoro per il guadagno, schiavo sia del bisogno egoistico proprio sia del bisogno egoistico altrui. Nei diritti universali dell’uomo, lo Stato moderno riconosce che la schiavitù moderna, il lavoro salariato, il lavoro estorto e non pagato, il lavoro piegato dalla necessità di sopravvivenza, è la sua base naturale. E tutto ciò nel pieno riconoscimento dei diritti universali dell’uomo. Non credi sia necessario cambiare paradigma quando parliamo di queste cose? Non credi che oltre alle catene reali vi siano infinite catene giuridiche che rendono gran parte dell’umanità schiava della propria condizione?

      Mi proponi un’altra questione, e cioè se sia conciliabile liberalismo e socialismo, e cioè, se capisco bene, libertà di sfruttamento e una più equa distribuzione del prodotto? Tutta questa secolare fatica per arrivare fin qua? Continueremo dunque a distribuire la ricchezza prodotta dal lavoro secondo i bisogni effettivi o secondo titoli di proprietà? Purtroppo noi siamo prigionieri di una concezione del comunismo che non fu altro che un modo diverso d’interpretare la cosiddetta accumulazione originaria, per di più in ambienti storico-sociali che non avevano, fatta la tara per altre circostanze pure esse sfavorevoli, mai conosciuto il lato emancipativo e positivo dello sviluppo borghese.

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  4. Detto ciò ,rimane comunque il fatto che nulla di nuovo sia costruibile e tantomeno ipotizzabile ,partendo da premesse errate.
    Ovvero da analisi sulla società globale attuale ,che prescindano da quella marxiana.
    Le partenze "errata", ovvero quelle che ancor oggi ci propinano i cantori della borghesia (e qui siamo)"(Ιδοὺ ἡ ῾Ρόδος, ἰδοὺ καὶ τὸ πήδημα, it)non ci possono che portare al classico "gatto che si morde la coda".
    Ovvero all'ancora più classico detto di Tomasi di Lampedusa.
    Purtuttavia a prescindere da ogni considerazione personale o dir si voglia individuale, presumo a mio modesto avviso che come sempre si incaricherà la storia a decidere.
    O Socialismo o barbarie,(visto che buontemponi del presente declinano ancora il futuro al passato, come se nel nome del socialismo già si fossero consumate barbarie stalinismo e nazismo).
    Sul socialismo non ci metto un euro, ma sulle barbarie me ne posso giocare qualche centinaio.
    Sulle Oligarchie Democratiche poi non è una novità, ,mi sembra già ci avesse pensato certo Karl Mannheim ,che dopo lunghe disamina, finiva per declinare in senso positivo una casta di Intellettuali al comando.(beato lui)
    In merito a forme di democrazia diretta, ricordo solo che la costituzione russa vedeva nei Soviet la forma più avanzata, un po' come la democrazia da Web di grillina attualità. Sappiamo già come è andata a finire, se si ignora la "cogenza "della realtà dei rapporti di forza sui "desiderata".

    caino

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  5. io ho imparato che al borghese che mi chiede 'e dopo?' (domanda che guarda caso nessun proletario m'ha mai rivolto) non posso che rispondere dittatura del proletariato intanto. E' chiaro cosa lo allarmi e perché la domanda. Abolizione della SUA proprietà privata. Quello che lo spaventa è diventare come noi, senza soldi. E basta. La sua classe ha già dimostrato nei fatti che di tutto il resto se ne impipa alla grande.

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    1. @ ragionier

      D'accordissimo!!

      Saluti

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    2. Se non erro l'ammutinamento sul Bounty è avvenuto al ritorno in patria piuttosto che all'andata. Anche una parte del proletariato avverte qualche spavento.

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  6. Quelli della mano invisibile, del libero mercato, della produttività, della flessibilità,della meritocrazia, dei sacrifici, dei tagli alle pensioni, etc, etc,etc.

    Sole 24 Ore, oltre lo scandalo: miliardi
    spariti, bilanci fantasiosi ed esposti
    E in Confindustria tutti sapevano tutto

    http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/la-cartina-tornasole-dello-scandalo-confindustria/

    g.

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    1. a questa gentaglia dovrebbe essere dato un "lavoro occasionale di tipo accessorio" da cui ricavare il proprio reddito per vivere.

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    2. Ormai sono così stufo che trascendo nel vagheggiare i rimedi alla Robespierre.
      ciao.g

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  7. Caro Olympe de Gouges (caro), nonostante tu abbia scritto in risposta a Luigi Castaldi:
    “Molto bene, cercherò a mia volta risposte il meno ideologiche possibili” ciò non toglie che esse siano state ancora e lo stesso ideologiche!
    Da anni apprezzo molto quello che fai, ma proprio per quanto aggiungi subito dopo, nella tua risposta che dai a Castaldi, ritengo che quello-che-fai tu lo faccia nel virtuale e non nel reale! e difatti subito dopo aggiungi:
    “Non possiamo, io credo, stabilire oggi, nel dettaglio, quali saranno le forme di organizzazione politica future, le piattaforme decisionali, di controllo e di garanzia. Non per nulla, nel post riporto una famosa osservazione marxiana che così si chiude: “A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna.”
    Perché… Olympe? Eppure Marx lo spiega molto bene questo passaggio in “Dalla critica della filosofia hegeliana del diritto”! Che sia contraddittorio in se?

    E ancora: “Va da sé che le forme politiche dipenderanno in gran parte dal livello di sviluppo raggiunto: il passato è lì a testimoniarlo. Fare salti in avanti ha portato a rovinose cadute. Già oggi, ho osservato, le nuove tecnologie della comunicazione possono consentire, in un quadro sociale mutato, un tipo di partecipazione dal basso un tempo escluso (pur non negando i pericoli connessi al loro impiego). A me pare, insomma, che si voglia mettere il carro davanti ai buoi. Ripeto, si tratta di un futuro tutto da costruire e del quale non possiamo occuparcene in dettaglio oggi poiché ci mancano i termini dell’equazione. Un futuro che per forza di cose non potrà essere lineare poiché il compito è inedito e travalica le singole generazioni, come del resto è stato anche per l’affermazione della società borghese”. Eppure l’avvento della “società borghese” non si pose tutti questi limiti!

    Che cosa voglio significarti con questo riportare i tuoi pensieri e, con essi, questo mio commento? Che tutto quello che fai non lo fai nel reale, ma nel virtuale! ed è lì che va fatto! Ed è nel reale che noi, lavoratori, abbiamo bisogno di una organizzazione politica che ci emancipi. Ne abbiamo forse una oggi che ci emancipi e che ci proietti per e nel futuro? Questo e altro mi ha insegnato H. K. Marx.

    Plinio, ex-venditore di forza-lavoro!
    P.S. Scusa la lunghezza dovuta anche alle obbligatorie citazioni E tu, caro Olympe, se non sono troppo indiscreto, che cosa hai fatto nella “vita” per sopravvivere?

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    1. lei vorrebbe inserirsi in una conversazione che non le appartiene né per livello né per interesse. per quanto concerne il resto, che lei sia giovane o vecchio, furbo o solo stupido, sappia che da queste parti non funziona così.

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    2. Che sarebbe tradotto baristicamente:"non rompere ragazzo,non parlare di cose più grosse di te"
      C’è una Natura che le strategie della cultura non riescono a scalfire : concedendo ai singoli le più diverse doti fisiche e attitudini mentali (o spirituali), ha istituito ingiustizie contro cui non c’è rimedio. Bisogna capire come queste disparità siano assimilabili in forme sempre più vivibili di convivenza nel progresso 'comunitario' della Storia.
      (Oltretutto per un cambio della residenza politica è necessario avere pronta una nuova classe dirigente che non sia espressione solo della protesta).
      E'oltremodo legittimo desiderare il proprio blog di qualità; non credo che lei non possegga capacità intellettuali e competenze tecniche di livello superiore,anzi, forse è velleitario oltrechè stupido pensare che Olympe sia Don Milani, siamo peraltro in casa sua e che può dare quindi dello stupido a chicchessìa (non pensandolo comunque banale provocatore).

      un'altro anonimo

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    3. Quello che volevo sapere l'ho saputo lo stesso!
      Mi è bastato che le mie osservazioni me le abbia postate, insomma: che... "tecnicamente" non me le abbia censurate, perché poteva avvenire anche questo nel suo blog!

      A questo punto vorrei chiederle: se "da queste parti non funziona così", come funziona dalle altre a proposito di quello che intende fare lei insieme ai suoi adepti o ai suoi allievi?
      Non c'è alcun... "bisogno" che si sbracci a rispondermi!

      Plinio

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