martedì 23 dicembre 2025

Un amore borghese

 

Che si tratti di un evento storico mondiale, del compleanno di un autore o dell’anniversario di un’opera (scaduti i diritti, ovviamente), il numero tondo offre l’occasione per edizioni anniversario, nuove edizioni ampliate o almeno abbellite, nuove traduzioni, nuovi adattamenti cinematografici e vari ninnoli che ora rientrano nella categoria dei “prodotti non librari” nelle librerie e rappresentano una parte non trascurabile delle loro vendite.

Il libro è una merce alla pari delle altre, e dunque lo diventano, volenti o nolenti, anche i loro autori. Il 250° anniversario della nascita di Jane Austen, non ha fatto eccezione. Questa scrittrice dell’era Regency (1811-1820) è una presenza costante nel mercato librario, con oltre due secoli di pubblicazioni praticamente ininterrotte dei suoi sei romanzi completi, dei veri e propri long-seller: Ragione e sentimento (1811), Orgoglio e pregiudizio (1813), Mansfield Park (1814), Emma (1815), L’abbazia di Northanger e Persuasione (questi due pubblicati postumi nel 1817).

Preciso che non li ho letti tutti, ne ricordo qualcuno vagamente (mi pare che Emma non ebbi a finirlo). Austen è considerata un’icona della letteratura inglese classica, quasi come Shakespeare o Dickens. Dal 2017, il ritratto di Austen campeggia sul retro della banconota da dieci sterline. Questo la rende la terza figura letteraria e la prima donna ad apparire su una banconota britannica.

La sua popolarità duratura è dovuta anche ai numerosi adattamenti cinematografici delle sue opere, tanto che della Austen c’è un vero è proprio culto, con workshop sulla scrittura con la penna d’oca, sulla creazione di ornamenti per capelli o sull’apprendimento di danze storiche, insomma un vero e proprio mercato per l’intrattenimento di massa. Che il pubblico e la critica esaltino o stronchino un adattamento sembra quasi irrilevante, poiché attenzione e dibattito sono garantiti fin dall’inizio dall’associazione con il marchio Austen.

Pare che un nuovo adattamento di Orgoglio e pregiudizio sia attualmente in produzione presso Netflix. Questo romanzo, come gli altri dell’Autrice (1775 - 1815), è stato scritto in un’epoca di grandi sconvolgimenti, ma chiunque prenda in mano un romanzo di Austen sperando di apprendere su rivoluzioni e guerre rimane deluso: niente sulla rivoluzione americana, francese o industriale, nessun riferimento a Napoleone, Nelson o Waterloo.

Jane Austen se ne rendeva conto, infatti scrisse in una lettera: «L’opera è un po’ troppo leggera, luminosa e scintillante; ─ ha bisogno di ombra; ─ vorrebbe essere allungata qua e là con un lungo capitolo ─ di senso se si potesse avere, se non di solenne, speciosa assurdità ─ su qualcosa di estraneo alla storia; un saggio sulla scrittura, una critica su Walter Scott o la storia di Bonaparte ─ o qualsiasi cosa che possa creare un contrasto e portare il lettore con maggiore piacere alla giocosità e all’epigrammatismo dello stile generale.»

Ad ogni modo, lo sguardo di Jane è strettamente limitato alla classe sociale che conosce, e il contesto storico più ampio rimane al di fuori della narrazione. Ciò che vede è una rete di case e famiglie con proprietà, e attraverso questa fitta rete, la maggior parte delle persone rimane invisibile. Tuttavia, il romanzo non è privo di ironia a riguardo di certe situazioni della sua classe sociale e vi si trova pronunciata qualche verità universale con straordinaria certezza.

Come diceva quel giovane trevirense, non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. E ciò vale anche per l’autrice di Orgoglio e pregiudizio, la quale apparteneva a una famiglia della piccola nobiltà terriera, condizione che gli permetteva di godere di una vita agiata e senza bisogno di lavorare, almeno finché il proprietario era in vita. Infatti, in Inghilterra vigeva ancora il maggiorasco e l’eredità poteva diventare complicata: per evitare di dividere il patrimonio, lo ereditava per intero al figlio maschio maggiore.

I figli minori e le mogli erano lasciati a sé stessi. I figli maschi avevano tre opzioni: il clero, le armi (soprattutto in marina) o diventare degli avventurieri. Le donne della piccola nobiltà potevano intraprendere solo la professione di istitutrice, il che equivaleva a una perdita di status. Per loro, c’era un solo modo per garantirsi un sostentamento e una posizione sociale: dovevano trovare un marito ricco. E con questo, il conflitto centrale di Orgoglio e pregiudizio è già delineato.

Si tratta della famiglia Bennet, che conta ben cinque figlie femmine e nessun figlio maschio, quindi, in caso di morte del signor Bennet, la casa e le terre passeranno al successivo erede maschio, che è il nipote del signor Bennet. La signora Bennet punta a far sposare le figlie, perché se il signor Bennet muore, molto probabilmente perderà la casa. Entro la fine del romanzo, tre delle cinque sorelle saranno sposate.

Anche in questa vicenda, più che l’amore c’entrano i rapporti sociali, vale a dire quelli economici e di proprietà. «Mister Darcy attirò presto l’attenzione della sala con il suo aspetto maestoso e alto, i suoi lineamenti raffinati e la sua nobile espressione; e anche la voce, che nel giro di cinque minuti era sulla bocca di tutti, secondo cui aveva un reddito di 10.000 sterline all’anno, fece la sua parte».

In una sola frase è svelata la causa fondamentale che prelude all’innamoramento: che il signor Darcy sia piuttosto attraente conta certamente, ma ciò che vale realmente e di là di tutto è la stima della sua fortuna pecuniaria. Darcy vede Elizabeth Bennet, i loro sguardi si incontrano e lui esprime il suo giudizio: «È passabile, ma non abbastanza attraente da sedurmi». Anche il giudizio di Elizabeth su Darcy è tranchant: «Tutti erano d’accordo. Era l’uomo più orgoglioso e maleducato del mondo».

Le prime impressioni cambiano pochi capitoli dopo: Darcy è “incantato” da Elizabeth, e i due finiscono per innamorarsi dopo aver superato il loro orgoglio e dissipato i pregiudizi reciproci: il titolo originale del romanzo di Austen era First impressions. Dopo la stesura di Prime impressioni, era apparso un altro romanzo con quel titolo, di Margaret Holford, pubblicato nel 1801. Il nuovo titolo di Jane, Orgoglio e pregiudizio, fu tratto da un verso di Cecilia, di Fanny Burney, un’autrice che Jane ammirava molto.

L’editore Thomas Cadell, nel novembre del 1797, rifiutò di pubblicare il romanzo (che fu molto rimaneggiato dall’autrice tra il 1811 e il 1812). La scrittrice riuscì a pubblicare a sue spese, dall’editore Thomas Egerton, un suo primo romanzo, Ragione e sentimento, solo nel 1811. Orgoglio e pregiudizio fu pubblicato anonimo, in tre volumetti, il 28 gennaio 1813. La prima riduzione teatrale dell’opera (Duologues and scenes from the novels of Jane Austen) fu quella di Rosina Filippi, nata a Venezia e figlia di un vicentino.

lunedì 22 dicembre 2025

Hanno assassinato Mozart

 

Elvis, come tutti sappiamo, era un alieno che ora è tornato sul suo pianeta natale. Paul McCartney è morto ed è stato sostituito da un sosia. Quanto a Mozart, se è realmente esistito, è morto avvelenato dal suo rivale di lunga data, Antonio Salieri.

L’ipotesi omicidiaria è stata messa per iscritto nel breve dramma da Aleksandr Puškin, Mozart e Salieri, che ha ispirato l’opera teatrale Amadeus di Peter Shaffer, su cui Miloš Forman ha poi basato il suo omonimo film, che ha vinto otto Oscar nel 1985.

Ho appena visto la prima puntata di Amadeus, la nuova serie televisiva ispirata a Mozart adulto. La puntata inizia con un anziano Salieri che tenta il suicidio gettandosi da una finestra. La vedova di Mozart, Constanze, si reca da lui e Salieri confessa il suo crimine: ha cercato di distruggere la reputazione del suo odiato avversario, arrivando persino a ucciderlo.

La scenografia è di buon livello, dunque di un livello irraggiungibile dagli attuali registi e scenografi italiani. La regia è dell’inglese Julian Farino, noto, si legge su Wikipedia, per aver diretto altre serie televisive. Già nella prima puntata, si è concesso una licenza poetica: Salieri si masturba a scena aperta e si pulisce con i fogli dello spartito. Povero Antonio.

Paragonare la serie al capolavoro di Forman sarebbe un esercizio inutile. La famosa risata acuta e infantile dell’attore statunitense Tom Hulce è stata sostituita dal linguaggio volgare del talentuoso Will Sharpe. Anche in tal caso un dettaglio da segnalare, che riguarda la fisionomica dell’interprete di Mozart: è un asiatico, figlio di una giapponese e di un inglese. Penso abbia preso tutto dal nonno paterno. Mozart ne sarebbe entusiasta.

Non so se vedrò la seconda puntata e poi anche le altre tre.

Che cosa ci aspettiamo dal capitalismo?

 

Ieri sera ho visto in tv una parte della puntata di Report (Raitre), quella dove si parla della carne scaduta, anche da anni, che viene riciclata e rimessa in commercio. La puntata sulla carne mi pare faccia seguito di un precedente analogo servizio che non ho veduto. Ebbene, a un certo punto una voce fuori campo, quella di un operaio addetto alla macellazione, dice: ma che cosa vi aspettate da un prodotto di carne, impanata, farcita di verdure e venduta a 4,5 euro? Esatto, che cosa ci aspettiamo da un olio di oliva detto extravergine venduto a meno di dieci euro il litro? Da vino venduto a 2 o 3 euro il litro? E via di seguito.

Perché stupirsi che quella carne putrefatta finisca in scatola di marchi prestigiosi (prestigiosi perché molto pubblicizzati) e in vasetti di ragù venduti a un prezzo vile, ma anche a caro prezzo? Che finisca nella ristorazione delle navi da crociera o nella refezione delle scuole? Se la spazzatura venduta per cibo destinato all’alimentazione umana provoca problemi di salute, tanto meglio. Si chiama diversificazione degli investimenti.

Già Marx, en passant, si era occupato dell’adulterazione del pane (I, 3 sez., cap. 8), rilevando come “il capitale è indifferente di fronte al carattere tecnico del processo di lavoro del quale si impadronisce”. Il capitalista non ha alcun interesse e riguardo su che cosa viene prodotto e come avviene la produzione. Per esempio, se al posto delle macchine ci sono degli schiavi, se invece di persone adulte vengono impiegati dei bambini.

Dunque, che cosa ci aspettiamo dal capitalismo? Il capitalismo è questa roba qua: non c’è alcuna differenza tra produrre portaerei o navi da crociera, antibiotici o gas nervino, vino grand cru o all’etanolo, oppure panettoni con margarina e tuorli d’uovo israeliani o cinesi in barile. Ciò che conta, per il produttore, per gli azionisti, è la competizione sul mercato, alias i margini di profitto.

Si denuncia, quando accade e cioè molto raramente, la carenza di controlli. Si attribuisce la responsabilità della situazione al singolo produttore, quindi all’individuo colpito, il quale deve impegnarsi a migliorare la propria dieta per prevenire problemi di salute (il budget alimentare non viene preso in considerazione). Ma, immersi come siamo nell’ideologia di mercato, chi pone la questione che si tratta di una forma strutturale di violenza? Chi mette più in discussione il capitalismo?

Alla radice degli squilibri agricoli e alimentari, dei danni alla salute fisica e mentale delle persone, c’è il modo di produzione capitalistico, che genera varie forme di violenza: la filiera alimentare globalizzata si basa su una storia di sfruttamento coloniale e su rapporti di potere ineguali tra i paesi. Le materie prime agricole sono soggette a speculazione come qualsiasi altra sui mercati finanziari. Inoltre, l’immagine dell’agricoltore e allevatore indipendente e libero è un mito. La stragrande maggioranza della popolazione acquista attraverso la grande distribuzione, che è controllata da pochi grandi gruppi.

Ricordiamoci che la frode e la falsificazione sono strumenti comuni dell’azione economica capitalistica.

domenica 21 dicembre 2025

Che tempi sono questi?

 

Ci sono tante forme di violenza. C’è anche quella mediatica. I padroni del mondo con i mass media hanno preso il controllo dei pensieri delle persone e governano attraverso la menzogna. La più grande menzogna è chiamare democrazia questo sistema. Un esempio concreto: non si può essere democratici senza essere antifascisti. Chi può sostenere che a governare sono degli antifascisti?

È già molto sintomatico che dobbiamo costantemente spiegare che per essere democratici bisogna essere antifascisti. Eppure l’ascesa del nuovo fascismo e il suo arrivo al potere, un fatto che pochi decenni addietro sarebbe parso inaudito, non ha prodotto la preoccupazione che meritava. Anzi, siamo di fronte a una generale autocensura pubblica.

Che tempi sono questi in cui bisogna spiegare le cose più ovvie? Il fascismo non è solo un’ideologia, oggi è mascherato da populismo reazionario e un certo libertarismo. Tra i giovani essere neofascisti è visto come un atteggiamento anti-establishment. È una tendenza globale.

I media mainstream spesso rappresentato l’ordine democratico non come lotta contro il risorgente fascismo, ma contro l’azione di piccoli gruppi di sinistra dei centri sociali che a volte si comportano in modo violento, incendiando cassonetti della spazzatura e cose simili.

Il problema fondamentale è che abbiamo a che fare con una generazione precaria e frustrata, bombardata da messaggi reazionari ben congegnati. Dunque, i giovani non sono il problema; sono il sintomo di altro.

Teppisti di Stato

 

L’UE si astiene dall’utilizzare i beni statali russi per mantenere a galla l’Ucraina. Invece, erogherà un credito congiunto a Kiev di 90 miliardi di euro nei prossimi due anni come sovvenzione praticamente a fondo perduto. Infatti, l’Ucraina sarà tenuta al rimborso solo se riceverà riparazioni di guerra dirette dalla Russia. Ora Bruxelles non avrà altra scelta che spennare la popolazione europea. Non tutta, solo quella che paga le imposte alla fonte, che per quanto riguarda gli altri, ovunque ci si arrangia.

Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria hanno garantito il loro consenso alla soluzione del prestito con la promessa di non essere obbligate a rimborsare i debiti dell’UE con l'Ucraina in proporzione alla loro quota di produzione economica dell’UE. Loro sanno come mungere la vacca.

Tuttavia, i fondi ora promessi coprono solo circa la metà del fabbisogno finanziario dell’Ucraina per la guerra e il continuo funzionamento dello Stato (corruzione compresa). Il FMI aveva recentemente ipotizzato che l’Ucraina potesse dichiarare default entro il secondo trimestre del 2026 al più tardi. Questo sembra essere stato scongiurato per il momento, anche se sono ancora possibili sorprese.

Politicamente decisivo, tuttavia, è il fatto che il vertice non sia riuscito a raggiungere un accordo sul piano, sostenuto dalla presidente della Commissione Ursula Gertrud Albrecht e dal cancelliere tedesco Joachim-Friedrich Merz, di sequestrare i beni statali russi congelati in Belgio per sostenere l’Ucraina. Questa opzione ha incontrato l’opposizione non solo del primo ministro belga, Bart Albert De Wever, ma anche di una coalizione di diversi Paesi: Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria, Cipro, Malta e Italia.

Volodymyr Oleksandrovyč Zelenskyj ha elogiato la decisione dell’UE, definendola una “garanzia di sicurezza finanziaria per i prossimi due anni”. Del resto, che doveva dire posto che gli regalano un sacco di soldi? Il parlamentare ucraino Mykola Knyashitskyi ha scritto che l’UE è una “superpotenza economica” e può permettersi di sostenere il suo paese per gli anni a venire.

Intanto, la “superpotenza economica” continuerà a pagare il doppio per il gas rispetto a prima della guerra. E siamo anche in attesa che la signora Albrecht firmi l’accordo di libero scambio con Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Vista la reazione degli agricoltori francesi e italiani, i capi di Stato e di governo non hanno concesso alla signora libero-scambista il mandato di recarsi in Brasile nel fine settimana, come inizialmente previsto, per firmare l’accordo. La ratifica è ora prevista per gennaio.