venerdì 14 novembre 2025

Weihnachtsgeschenk

 

Già in anni più pacifici degli attuali, scrivevo: attenti che la leva militare è stata solo sospesa, non abolita. Ma di ciò che scrivo e vaticino a chi vuoi interessi ... È solo questione di tempo e di motivazioni, vorrei dire di “attrattività”, ma la leva militare tornerà. Gli alpini finalmente avranno degli eredi ai quali passare la damigiana.

Intanto la Germania apre la strada. Il governo tedesco si era impegnato con la NATO ad aumentare la Bundeswehr di 260.000 soldati effettivi e circa 200.000 riservisti entro il 2035. Di conseguenza, il piano del governo specificava un obiettivo compreso tra 255.000 e 270.000 soldati effettivi. Per incoraggiare i giovani a “servire il proprio Paese”, si punta sul “volontariato attraverso una maggiore attrattività”, ovvero sullo stipendio. I volontari che prestano servizio militare riceveranno circa 2.600 euro lordi al mese. Chi si impegna a prestare servizio per più di dodici mesi riceverà anche un sussidio per la patente di guida.

Direi che le premesse sono buone, la Germania e le sue offerte stipendiali decisamente “attrattive”. Basterà allargare le maglie dell’acquisizione della cittadinanza tedesca e migliaia di giovani europei, compresi molti italiani, potranno finalmente accedere a un salario dignitoso e a un lavoro meno faticoso del cameriere.

Tuttavia, se non dovessero bastare i volontari a riempire i ranghi, il Bundestag avrà la possibilità di attuare una “coscrizione obbligatoria” per colmare il divario. Con quale criterio selettivo? Assolutamente “casuale”! Una lotteria nazionale.

Si prevede l’utilizzo di un questionario. A partire dal prossimo anno, tutti i diciottenni saranno contattati e invitati a fornire informazioni sulla loro disponibilità e idoneità al servizio militare. Le ragazze potranno rispondere facoltativamente alle domande della Bundeswehr, mentre i ragazzi sono tenuti a farlo. Democraticamente e con un occhio alle pari opportunità.

Posso già immaginare il tipo di domande del questionario maschile, per esempio: Sei fisicamente in forma?
Sì
No
Solo dopo tre birre

Oppure: Sei di estrema destra?
Sì
No
Non sono né di sinistra né di destra. Sieg Heil!

E ancora: Sei disposto a obbedire incondizionatamente?
Sì, sergente!!!
No, la mia obbedienza ha un prezzo.
Bau, bau!

Infine: Siamo nel 2030. Un drone russo ti ha appena divelto una gamba sul fronte orientale. Come reagisci?

Continuerò a servire la Germania con una gamba sola.

Farò una diretta TikTok in cui saluterò i miei follower.

Mi arrendo.

Tranquilli, anche se i ventriloqui italiani non ve l’hanno detto, la legge deve ancora essere approvata dal Bundestag, il che è previsto per l’inizio di dicembre. Weihnachtsgeschenk.

giovedì 13 novembre 2025

La sfratto a Zelensky

 

Lo scandalo di corruzione non riguarda il “tesoriere” di Volodymyr Zelensky. Riguarda Zelensky stesso. La novità non è costituita solo dal fatto che le autorità anticorruzione ucraine abbiano preso provvedimenti contro l’imprenditore Timur Mindich, politicamente ben inserito. Che avessero nel mirino l’ex socio in affari di Zelensky era noto almeno dall’estate. La perquisizione del suo appartamento di Kiev, apparentemente sotto controllo, è stata effettuata a seguito di un’operazione di intercettazioni telefoniche in corso da oltre un anno e mezzo. L’operazione è stata condotta con il pretesto di un danno da allagamento – reale o simulato? – nell’appartamento al piano superiore, il cui proprietario avrebbe anche precedenti penali.

L’Ufficio Nazionale Anticorruzione (NABU) stima i danni fino a 100 milioni di dollari. Non è una cifra insignificante, ma rappresenta solo lo 0,1% della spesa finanziaria che l’Occidente sostiene ogni anno per mantenere l’economia ucraina pronta alla guerra. Ciò dimostra che la corruzione in quanto tale non è apparentemente il problema. Che via sia una corrutela comune in Ucraina è noto fin dall’indipendenza del Paese; può essere considerata “prezzata”. Sebbene si possa trovare particolarmente riprovevole trarre profitto personale da una guerra, si tratta di una mera lamentela patriottica che non dovrebbe offuscare il giudizio di chi analizza gli eventi.

Bisognerebbe piuttosto abbandonare un aggettivo che verrà senza dubbio ripetuto fino alla nausea: che gli investigatori ucraini anti-corruzione siano “indipendenti”. No, non lo sono. Possono essere indipendenti dal governo statale ucraino, ma certamente non dai suoi finanziatori occidentali, che hanno strappato alla controparte ucraina la creazione e il mantenimento di queste istituzioni. In estate, l’UE ha minacciato di interrompere il sostegno finanziario a Kiev se Zelensky avesse insistito nel subordinare le due agenzie alla sua amministrazione.

Il rifiuto ostinato di Zelensky a tutti i compromessi per porre fine alla guerra sta probabilmente innervosendo alcuni dei suoi sostenitori occidentali (vedi contatti sottobanco di Londra con Mosca, ma anche di Parigi e perfino Meloni si defila). Il presidente ucraino è rimasto senza parole. Per la prima volta ha annullato il suo grido di battaglia serale alla nazione.

E ora il dettaglio più interessante: Mindich è stato avvisato la notte prima del raid ed è riuscito a lasciare l’Ucraina. A quanto pare, l’avvertimento proveniva dall’interno dell’agenzia anticorruzione stessa. Questo è un doppio messaggio: Mindich, non si tratta principalmente di te. Anche se non ti farebbe male spifferare qualcosa. Ma il tuo capo, che abbiamo usato e ha fatto il suo dovere, ora può andarsene.

mercoledì 12 novembre 2025

Alla ricerca del silenzio perduto

 

Diffido dei lettori onnivori, di quelli che ingoiano un libro dopo l’altro. Vedendo i libri che si sono accumulati intorno a me nel corso di una vita, si potrebbe pensare che lo sia anch’io, ma non è vero. Anche se ho letto libri abitualmente tutti i giorni, li ho letti lentamente. Alcuni li ho centellinati, riletti più volte, integralmente e di più ancora a pezzi e brandelli. E dalla mia lista mancano autori altrimenti famosissimi presso il piccolo mondo culturale del XXI secolo, e che però non leggerò mai.

Dopo decenni, ho acquistato una copia del quotidiano la Repubblica, perché mi aveva catturato la réclame del suo inserto: dedicato a Marcel Proust. Ma non è vero, non c’è nessuna cattura, men che meno qualcosa che possa bruciare il mio torpore autunnale. Ci sono solo due articoli, il primo di Daria Galateria, che non dice niente sull’amore per un’epoca di cui monsieur Proust custodiva con tanta cura meticolosa il ricordo e i sogni, che divennero più importanti della sua vita stessa. Anzi, trovo l’articolo reticente per quanto riguarda il ruolo di André Gide e di Gaston Gallimard in relazione alla vicenda della pubblicazione del primo volume della Recherche.

Il secondo articolo, a firma di Melania Mazzucco, merita ancor meno considerazione. Prova a darci l’idea delle scintille di colore e di gioia che nascono dalla lettura di un buon libro, ma senza riuscirci poiché balbetta frasi predigerite e la sua prosa si trasforma in un inutile elenco telefonico di ciò che lei ha letto o sostiene di aver letto.

Concludo che in questi decenni, non avendo acquistato Repubblica, non ho perso nulla non leggendo gli articoli di tanti intermediari e prestanome.

martedì 11 novembre 2025

C’è bisogno di ben altro

 

Nel XVIII e XIX secolo, l’Europa conobbe uno sviluppo senza precedenti grazie all’ascesa del capitalismo. A ciò si aggiunse un ulteriore affinamento del concetto di progresso. L’idea che lo sviluppo dell’umanità progredisse non era semplicemente concepita come un’inevitabile sequenza graduale, ma si presumeva che questo processo realizzasse una predisposizione originaria dell’umanità.

Questa visione era spesso legata a una teleologia, ovvero al presupposto di un obiettivo predeterminato dello sviluppo, solitamente concepito come un processo di perfezionamento (l’influenza del cristianesimo non si può escludere, ma non fu comunque decisiva). Un approccio più appropriato di questa visione deterministica assolutizzata è quello di partire dalla premessa di condizioni concrete e sostanziali dei processi storici, di campi di possibilità e di una moltitudine di fattori condizionanti. Discorso troppo ampio da fare qui.

Karl Marx presupponeva “fasi naturali di sviluppo” che non potevano “né essere saltate né eliminate per decreto”. Allo stesso tempo, Marx ed Engels contrastavano una filosofia della storia deterministica, poiché le astrazioni (della storia) non forniscono affatto “una ricetta o uno schema secondo cui le epoche storiche possano essere accuratamente delimitate”.

Ciononostante, all’interno del movimento operaio e nell’intellighenzia (sia riformista che rivoluzionaria) si diffuse una nozione deterministica di una successione graduale e progressiva di formazioni sociali. Non c’è nulla che abbia illuso quanto la convinzione di seguire la corrente. Lo sviluppo tecnologico era visto come il gradiente della corrente con cui si pensava di seguire il corso delle cose.

È un errore, pur nella mutata situazione, in cui si tende ad incorrere anche oggi nella cieca fiducia nella tecnologia e i suoi “miracoli”. Un errore antico quello delle utopie del progresso, che ci ha condotto non di rado sull’orlo dell’abisso.

Nessuno nega che molto è cambiato in meglio negli ultimi decenni e secoli e molte dimensioni del progresso hanno migliorato la vita in ampie parti del mondo, e dunque tanto più la precarietà, bassi salari, povertà e mancanza di prospettive dovrebbero essere concetti estranei nella nostra epoca. Nessuno dovrebbe temere di perdere il lavoro o di non avere un reddito sufficiente per una vita dignitosa. Solo con questo progresso sociale stabile e generalizzato il capitalismo del XXI secolo potrebbe vantare di essere un sistema migliore di altri (*).

Invece assistiamo a una generale regressione: molte delle conquiste sociali di mezzo secolo fa o sono state annullate di fatto o stanno per esserlo. Inoltre e troppo spesso il progresso a cui si allude tende a distruggere troppe risorse o a essere utilizzato per legittimare il potere.

Un programma politico per essere credibile non può più puntare semplicemente a riformare questo sistema, tantomeno solo a livello nazionale, poiché è dimostrato che ogni cosa produce determinazioni di livello globale e questo sistema non può garantire generali condizioni sociali nelle quali non si debba temere disoccupazione, precarietà, povertà e mancanza di prospettive. Dunque c’è bisogno di ben altro di una “sinistra di governo”.

(*) Per altri versi e guardando all’insieme del mondo Friedrich Engels osservava che nella sua epoca “ogni progresso è allo stesso tempo una relativa regressione, in cui il benessere e lo sviluppo di alcuni prevalgono sulla sofferenza e la repressione di altri”. Questa è una posizione materialista e dialettica. Friedrich Nietzsche invece diceva che il progresso era “semplicemente un’idea moderna, cioè un’idea falsa”. Questa è una posizione idealistica e semplicisticamente nichilista: gli antibiotici e le otto ore di lavoro invece di dodici non sono solo un’idea, tantomeno falsa.

lunedì 10 novembre 2025

Un passo falso?

 

Ieri è comparso, sul Sole 24ore, un articolo dal titolo Terre rare, il passo falso della Cina, scritto dal direttore dell’Institute for European Policymaking – Università Bocconi. È un articolo senza una fonte, che, in sintesi, sostiene come gli Stati Uniti importino dalla Cina una quantità importante di terre rare (dice: il 70%), relativamente lavorate, ma si tratterebbe di una quantità trascurabile in termini di valore, mentre Pechino sarebbe tributaria degli Stati Uniti per metalli rari lavorati ma a più alto valore. E ciò costituirebbe l’arma a doppio taglio in mano alla Cina. Vedo, di seguito, di precisare un po’ le cose.

Nel paradigma neoliberista della globalizzazione, il raggiungimento della sicurezza dell’approvvigionamento delle risorse naturali è stato relegato alle forze di mercato, portando a una crescente internazionalizzazione dei mercati, a una maggiore finanziarizzazione e a una riconfigurazione delle catene di approvvigionamento orientata alla massimizzazione dei profitti e del valore per gli azionisti.

Ultimamente le cose sono cambiate piuttosto bruscamente: le potenze occidentali hanno preso coscienza della loro dipendenza dalla Cina nell’ambito dei minerali oggi considerati “critici”. Diversi governi hanno quindi riconosciuto i limiti di una strategia di approvvigionamento basata sul libero mercato.

La Cina controlla in media due terzi della produzione o raffinazione di minerali critici chiave come litio, grafite, cobalto, nichel e rame, nonché una quota superiore al 90% per le terre rare (i “minerali critici”, che sono una sessantina, non includono combustibili come petrolio, gas, carbone o uranio. Sono altresì esclusi anche acqua, ghiaccio, neve o varietà comuni di sabbia, ghiaia, pietra, pomice, cenere e argilla).

Le terre rare sono costituite da 17 elementi con proprietà fisiche e chimiche che li rendono componenti essenziali di alcune delle tecnologie più cruciali al mondo, quali i microchips. I microchips traducono gli impulsi elettronici in istruzioni che i dispositivi devono seguire. Sono il fondamento dell’elettronica, consentendo il funzionamento dei nostri cellulari, computer, aerei, satelliti, eccetera.

Nel 2024, il 70 % delle terre rare importate e quasi l’intera capacità di raffinazione mondiale (circa il 90 %) erano ancora concentrate in Cina. Questa dipendenza cresce ulteriormente per gli elementi “pesanti”, indispensabili per magneti ad alte prestazioni, sensori militari e guida autonoma.

Secondo l’United States Geological Survey, dal 2020 al 2023, gli Stati Uniti hanno importato almeno 29 materie prime minerali dalla Cina (*). Per quanto riguarda le terre rare (composti e metalli), la dipendenza totale degli USA dalle importazioni era dell’80%, con un consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina del 56%.

Con l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti puntano a una diversificazione delle fonti di approvvigionamento e alla reindustrializzazione. Questo approccio, tuttavia, soffre di diverse debolezze abbastanza tipiche, che riguardano un cambiamento fondamentale nel paradigma economico, un riconoscimento insufficiente dell’entità e della natura del predominio cinese, obiettivi eccessivamente ambiziosi ma scarsamente definiti.

Un esempio è significativo e riguarda il nichel, un materiale critico: sebbene la quota della Cina nelle esportazioni di nichel raffinato a livello mondiale si aggiri intorno al 20%, questa cifra riflette solo una frazione del suo predominio.

In effetti, gli investimenti cinesi nella tecnologia di lisciviazione acida ad alta pressione (HPAL) hanno radicalmente trasformato il settore, rendendo sfruttabili le vaste riserve indonesiane. In seguito al divieto imposto da Giacarta sulle esportazioni di minerale grezzo negli anni 2010, gli investitori cinesi hanno stabilito una presenza duratura nelle operazioni di lavorazione e raffinazione del nichel in Indonesia.

Il risultato: nel 2023, Ford ha stretto una partnership con Vale Indonesia e Zhejiang Huayou Cobalt Co., un’azienda cinese, per sviluppare un impianto di lavorazione del nichel. Questo accordo illustra il dilemma che si trovano ad affrontare i gruppi industriali occidentali: finanziare un progetto di nichel senza un partner cinese sta diventando sempre più difficile, in quanto dispongono di tecnologia, competenza e capacità di esecuzione a basso costo superiori.

La resilienza americana per quanto riguarda i minerali critici si basa quindi su un paese dell’ASEAN, una filiale canadese di un gruppo brasiliano e un’azienda privata cinese (a tale proposito, sarebbe interessante raccontare la vicenda esemplare della Magnequench la filiale strategica della Ford acquisita a suo tempo da un fondo di investimento chiamato Sextant, in realtà di proprietà di due società cinesi, guidate da due generi di Deng Xiaoping).

E del resto gli Stati Uniti non sono soli in questa situazione. I dati che vengono non di rado presentati dalla stampa, come l’articolo del Sole 24ore più sopra citato, mascherano un altro tipo di predominio cinese: quello sui prodotti manifatturieri derivati da questi minerali essenziali, che spaziano dai magneti in terre rare ai veicoli elettrici e ai prodotti di tecnologia verde.

La concentrazione delle importazioni è in aumento in tutto il mondo da decenni, con il numero di prodotti provenienti da una gamma limitata di fornitori superiore del 50% all’inizio degli anni 2020 rispetto alla fine degli anni 1990. Secondo l’OCSE la quota della Cina sulle importazioni globali è aumentata dal 5% al 30% negli ultimi 25 anni, mentre il contributo combinato di Stati Uniti, Germania e Giappone è sceso dal 30% al 15%.

Più nello specifico, l’Unione Europea importa oltre il 90% dei suoi magneti ad alte prestazioni in terre rare dalla Cina, così come gli Stati Uniti. L’entità del predominio cinese deriva dal fatto che non si limita all’estrazione: si estende dalla separazione e raffinazione delle terre rare agli ecosistemi industriali che le integrano nei prodotti derivati.

È in questo contesto che Trump ha ammesso il delicato equilibrio di potere in atto, di fronte ai giornalisti nello Studio Ovale della Casa Bianca il 25 agosto, alla presenza del presidente sudcoreano Lee Jae-myung: “Se non ci forniscono magneti, dovremo imporre loro dazi del 200% [...] abbiamo un enorme potere su di loro, e loro hanno un certo potere su di noi grazie ai magneti”.

Se proprio si voleva evidenziare, nell’articolo del Sole 24ore, l’arma a doppio taglio in mano a Pechino, si doveva rilevare che le terre rare rappresentano un’eccezione alla regola. Uno studio, anche se non recentissimo, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, ha stimato che la Cina dipende dalle importazioni per oltre il 50% di 19 dei suoi 42 minerali non energetici, tra cui minerale di ferro e rame, ma anche cobalto, litio, berillio, niobio, minerale di cromite, metalli del gruppo del platino (platino, palladio e rodio) e tantalio.

Tuttavia, è essenziale tenere presente che il comportamento internazionale della Cina deriva anche dalle realtà economiche e politiche interne. Il caso dell’antimonio è eclatante a questo proposito. La produzione interna di antimonio sarebbe diminuita negli ultimi anni, mentre il suo prezzo è salito alle stelle (con un aumento del 250% solo nel 2024). Alcuni sostengono che le restrizioni cinesi all’esportazione di antimonio potrebbero non essere state mirate tanto a un pubblico internazionale quanto a garantire un approvvigionamento sufficiente per l’industria manifatturiera nazionale.

Gli articoli giornalistici unilaterali, sprovvisti di fonti, non consentono di comprendere appieno l’importanza dell’interconnessione economica nelle catene di approvvigionamento minerario critiche. A tale scopo serve una disposizione più sfumata e meno ideologica, multidimensionale, a riguardo delle questioni geopolitiche e, in questo caso, alle catene di approvvigionamento. Un approccio che tenga conto dei molteplici attori e strutture, che comprenda anche i flussi di investimento, gli assetti proprietari, l’innovazione, le infrastrutture e i trasporti, gli ecosistemi industriali, le borse dei metalli, eccetera. Sono articoli, tipo questo del Sole 24ore, con confronti quantitativi dell’impiego delle terre rare strampalati, che servono forse ad altri scopi, che però non sono né scientifici e nemmeno informativi.

(*) Secondo l’United States Geological Survey i minerali critici includono (la lista non è completa):

Ittrio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 93%)

Mica, foglio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 79%)

Abrasivi, ossido di alluminio (Dipendenza totale dalle importazioni: 95%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 61%)

Bismuto (dipendenza totale dalle importazioni: 89%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 60%)

Abrasivi, carburo di silicio (Dipendenza totale dalle importazioni: 69%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 69%)

Terre rare (composti e metalli) (Dipendenza totale dalle importazioni: 80%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 56%)

Antimonio (Dipendenza totale dalle importazioni: 85%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 54%)

Arsenico (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 52%)

Grafite (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 43%)

Pigmenti di ossido di ferro (dipendenza totale dalle importazioni: 87%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 38%)

Diamante (graniglia, polvere, polvere) (Dipendenza totale dalle importazioni: 47%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 36%)

Composti di magnesio (dipendenza totale dalle importazioni: 52%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 32%)

Tantalio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 22%)

Gallio (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 19%)

Barite (Dipendenza totale dalle importazioni: 75%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 19%)

Mica, rottami e scaglie (dipendenza totale dalle importazioni: 41%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 16%)

Tungsteno (dipendenza totale dalle importazioni: 50%, consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 14%)

Germanio (Dipendenza totale dalle importazioni: 50%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 12%)

Fluorite (Dipendenza totale dalle importazioni: 100%, Consumo stimato coperto dalle importazioni dalla Cina: 8%)

Le importazioni dalla Cina rappresentavano meno del 5% del consumo statunitense di: granato, scorie di ferro e acciaio, alluminio, perlite, bromo e talco. Gli Stati Uniti importano anche cesio, rubidio, scandio e pietre ornamentali dalla Cina, ma non sono disponibili dati percentuali specifici.