martedì 25 febbraio 2025

Non di solo gas vive l'UE

 

Secondo il cancelliere tedesco in pectore, Friedrich Merz, è necessario perseguire “l’indipendenza” dagli Stati Uniti perché il governo americano è “in gran parte indifferente al destino dell'Europa”.

Mi pare di aver spiegato domenica scorsa uno dei motivi essenziali di questa disaffezione di Washington per l’Europa: “Trump sta cercando un ridispiegamento di risorse militari dal teatro europeo per utilizzarle altrove, in ultima analisi, per concentrarsi sul bersaglio centrale dell’aggressione militare statunitense: la Cina. Stesso discorso vale anche per il suo approccio ruffiano alla Russia”. Forse nel tempo se ne accorgeranno anche i distratti commentatori dei media.

Veniamo alla “dipendenza” dagli Stati Uniti per quanto riguarda il gas. L’anno scorso l’UE ha importato il 17 per cento del suo gas dagli Stati Uniti. Più della metà del GNL americano viene consegnato in Europa. Le importazioni di gas norvegesi, ad esempio, sono più del doppio di quelle degli Stati Uniti. Sulla base di questi dati sembra che Friedrich Merz possa aver buon gioco, tuttavia bisogna considerare che gli USA sono il partner commerciale più importante per la Germania e l’UE.

Trump vuole esportare più petrolio e gas per ridurre il deficit commerciale con gli USA. I suoi dazi sulle merci europee incombono. Per parlare solo di gas e rendersi completamente indipendenti dagli Usa è necessario acquistare il gas da altri produttori e puntare sulla cosiddetta “energia verde” (sulla fusione nucleare mi pare ci siano troppe premature speranze). Questa in sintesi la situazione attuale e non sono buone notizie quelle di puntare sugli inverni caldi e l’indebolimento dell’economia nella maggior parte dei paesi europei.

In prospettiva, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) prevede un eccesso di offerta globale entro la fine del decennio. Si prevede che entro il 2030, sulle navi di tutto il mondo verrà trasportato il 50% in più di GNL, grazie all’espansione della produzione negli Stati Uniti e in Qatar.

Gli Stati Uniti rimarranno il maggiore esportatore di GNL al mondo nel prossimo futuro, inoltre, per quanto riguarda invece il petrolio, è sempre bene tener presente che molte compagnie petrolifere hanno sede negli Stati Uniti. Allo stesso tempo, il mercato è così teso che qualsiasi interruzione o allarme potrebbe far salire i prezzi. I giochi di potere sul gas statunitense potrebbero quindi rivelarsi molto costosi per l’Europa.

Tra l’altro, nel settore energetico globale sono le aziende private e non i politici a determinare gli scambi commerciali. Le multinazionali e i commercianti di materie prime decidono quali quantità di petrolio e gas importare e dove consegnarle. I prezzi e i contratti di fornitura a lungo termine dettano il ritmo.

Altro brutto segnale: l’oro, questo vile metallo che molti sapienti ritengono inutile quale equivalente universale, dall’inizio del 2024 è aumentato del 44 per cento, con un aumento dell’11 quest’anno. Il prezzo dell’oro è ora appena sotto i 2.900 dollari l’oncia (90 euro il grammo), un massimo storico, con previsioni che potrebbero presto arrivare a oltre 3.000 dollari.

Sebbene l’impatto sul sistema finanziario non sia così evidente, è chiaro che sotto la superficie si stanno accumulando tensioni e contraddizioni.

La corsa all’oro ha portato a scene mai immaginate prima. I commercianti hanno spostato fisicamente l’oro da Londra, il principale hub commerciale di questo metallo, a New York. Tale è stato il movimento che il governatore della Banca d’Inghilterra ha dovuto offrire rassicurazioni all’inizio di questo mese dicendo che c’è “ancora molto oro”. La corsa all’oro ha causato una coda lunga settimane per far uscire l’oro dai caveaux di Londra, sconvolgendo l’impegno della London Bullion Market Association di effettuare le consegne entro due o tre giorni.

I sapienti dell’economia politica sostengono che “l’oro non svolge più il ruolo che svolgeva in passato”. Apparentemente. Non affrontano la questione del perché, nell’attuale sistema di valute fiat, ci sia stata una svolta verso l’oro nel periodo recente e perché sia stata guidata da diverse banche centrali. Le valute fiat hanno prevalso dopo che il presidente Nixon ha tagliato il legame tra il dollaro USA e l’oro il 15 agosto 1971. Ne ho scritto in questo blog diverse volte.

In un rapporto sulla domanda di oro pubblicato il 10 febbraio, il World Gold Council, il principale organismo del settore, ha affermato che nel 2024 la domanda di oro ha raggiunto un nuovo record di 382 miliardi di dollari, di cui 111 miliardi solo nellultimo trimestre dell'anno.

Secondo il rapporto, la domanda delle banche centrali e quella dei mercati emergenti sono state il principale motore dell’aumento, con acquisti che hanno superato le 1.000 tonnellate di oro per il terzo anno consecutivo. “L’incertezza geopolitica ed economica rimane elevata nel 2025 e sembra più probabile che mai che le banche centrali torneranno a rivolgersi all'oro come asset strategico stabile”, afferma il rapporto.

Per quelli che la buttano sempre in caciara, vale la pena sottolineare che la crescente domanda di oro non è iniziata con la vittoria elettorale di Trump e le sue (presunte) mattane.

Uno dei fattori chiave è stato il congelamento da parte dell’amministrazione Biden di 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa all’inizio ufficiale della guerra in Ucraina. I governi e le loro banche centrali si sono trovati improvvisamente di fronte alla realtà: la supremazia del dollaro avrebbe comportato che anche loro avrebbero potuto essere soggetti a sanzioni simili se avessero incrociato il cammino degli Stati Uniti.

Il mantenimento della supremazia del dollaro è una questione esistenziale per l’imperialismo statunitense. È il ruolo della sua moneta come valuta fiat globale che gli consente di accumulare enormi deficit di bilancio in un modo impossibile per nessun altro Paese.

Friedrich Merz dice che è necessario perseguire “l’indipendenza” dagli Stati Uniti? Cazzate buone per i suoi elettori impauriti.

lunedì 24 febbraio 2025

Germania: infranto un mito della storia tedesca

 

Giulio Andreotti preferiva esistessero due Germanie anziché una sola grande Germania. Ed è stato accontentato. Dopo sette lustri dalla riunificazione esistono una Germania dell’ovest e una dell’Est. Come prima? Non proprio. Quella dell’Est non è più “comunista” ma è diventata neo nazista. Elettoralmente nell’Est raccoglie più voti di tutti i partiti di governo messi insieme.

L’AfD è diventata la forza più forte in tutti e cinque i Länder della Germania orientale e ha ottenuto la maggioranza anche in due circoscrizioni dell’ovest: a Gelsenkirchen (24,7%) e a Kaiserslautern (25,9%). In totale il 20,8% dei voti e siederà nel Bundenstag con 152 camerati.

La sinistra raddoppia i voti ed entra in parlamento con l’8,8 per cento e 64 seggi, mentre la SPD subisce complessivamente una sconfitta storica. I Verdi sono all’11,6 per cento. Sahra Wagenknecht non supera la soglia di sbarramento del 5% e resta fuori, così come i liberali. Conservatori e democristiani il partito più votato con il 28,6 dei voti e 208 seggi.

I risultati di questo voto federale richiedono una chiara comprensione delle sue cause.

Questi risultati infrangono un mito della storia tedesca del dopoguerra: che il nazismo fosse un’anomalia storica, limitata alla crisi degli anni Trenta. In realtà, la rinascita del fascismo è la risposta alla crisi del modello economico capitalistico e del completo decadimento della democrazia borghese.

In particolare, la devastazione dell’economia della Germania dell’Est, il conseguente impoverimento e la mancanza di prospettive hanno favorito i nazisti. Molti nella Germania orientale votano per l’AfD per rabbia verso i partiti tradizionali e le loro politiche.

Politiche economiche ma anche quella per il riarmo (a un ritmo mai visto dai tempi di Hitler) e la guerra. Ciò ha creato le condizioni in cui persino l’AfD, profondamente militarista, può sfruttare il sentimento contro la guerra perché critica la guerra della NATO contro la Russia.

Secondo i dati forniti dal Federal Returning Officer, l’affluenza alle urne è stata dell’82,5%. Si tratterebbe della più alta partecipazione dopo la riunificazione. Nelle elezioni del 2021, l’affluenza era del 76,4%.

Bisogna chiedersi se alle prossime elezioni, perdurando e anzi aggravandosi la crisi economica e sociale, reggerà questa affluenza alle urne. Dunque se in prospettiva l’AfD sarà sdoganata e prenderà posto in un futuro governo. Questa evoluzione di tutte le varietà del nazionalismo non può essere fermata dall’indignazione morale.

C’è stata la rottura delle relazioni transatlantiche alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. La risposta a Make America Great Again sarà Deutschland über alles. Per le élite al potere, il vero nemico rimane l’antagonismo di sinistra. Che se cè, vive in forma latente.

domenica 23 febbraio 2025

Priorità strategica

 

Si sente dire: che altro poteva fare la povera Ucraina contro l’invasione russa, arrendersi al fatto compiuto? Chi pone la domanda in questi termini (o analoghi) è senz’altro persona spiritosa. L’invasione russa non è avvenuta per un colpo di testa di Putin. È stata provocata in ogni modo. È questo il discrimine tra verità e menzogna.

Chi traccia un parallelo tra l’invasione russa dell’Ucraina e quella nazista della Polonia del 1939, non solo è un individuo spiritoso, ma anche un passo avanti rispetto alla storia. È noto, a chi non ha perso la memoria, che sono completamente diversi i contesti storici e le parti in causa. Un parallelo di questo tipo si può ravvisare nell’invasione statunitense dell’Iraq con il pretesto totalmente inventato delle cosiddette “armi di distruzione di massa”. Ma anche di ciò si è perso evidentemente memoria, così come su Gaza l’occasione di dire qualcosa di non banale.

Alla fine, tre anni di guerra e di spargimento delle più spudorata propaganda guerrafondaia si sono ridotti all’essenziale: le mani americane sulle risorse minerarie (e non solo) dell’Ucraina. Del resto, come conferma oggi il quotidiano di Confindustria, “[...] era stato lo stesso Zelens’kyj ad evidenziare il grande tesoro custodito nel sottosuolo ucraino” (p. 5). Dunque, di che cosa si duole l’ex comico? Gli chiedono come rimborso degli aiuti ricevuti quanto già egli aveva proposto.

Poco importa che la libbra di carne venga oggi pretesa con la sfacciataggine di Trump, invece delle solite subdole moine di altri presidenti. Si chiama geopolitica, ovvero politica di potenza. Che nel caso degli Stati Uniti ha sempre avuto le forme politiche dell’imperialismo. Chiedere informazioni, tra gli altri, ai Paesi dell’America latina.

Trump è quello che è, ma non è un Forrest Gump. Se uno stupido diventasse presidente degli Stati Uniti per due volte, ciò vorrebbe dire che gli stupidi sono tutti gli altri. Trump sta cercando un ridispiegamento di risorse militari dal teatro europeo per utilizzarle altrove, in ultima analisi, per concentrandosi sul bersaglio centrale dell’aggressione militare statunitense: la Cina. Stesso discorso vale anche per il suo approccio ruffiano alla Russia.

Il Segretario alla Difesa Pete Hegseth lo ha chiarito la scorsa settimana, parlando all’Ukraine Contact Group, il principale organismo di potenze che convogliano armi in Ucraina. “Le dure realtà strategiche impediscono agli Stati Uniti d’America di concentrarsi principalmente sulla sicurezza dell’Europa”, ha affermato. Poi, “Ci troviamo anche di fronte a un concorrente alla pari, la Cina comunista, con la capacità e l’intento di minacciare la nostra patria e i principali interessi nazionali nell’Indo-Pacifico”.

Si chiama priorità strategica: confrontarsi con la realtà della scarsità e la necessità di scelte difficili, concentrando risorse e forza di volontà dove gli interessi più importanti degli Stati Uniti sono in pericolo: l’Asia”. Mentre noi siamo rimasti alle repubbliche marinare e alla Lega anseatica + Ucraina.

Leggo sempre sul Sole di oggi, che “il pacchetto di controllo delle sanzioni [alla Russia] è in mani europee”. Andatelo a raccontare a chi ha ricevuto recentemente le bollette del gas. Per esempio.

venerdì 21 febbraio 2025

Non faccio nomi ...

 

Devo una risposta a un lettore che mi ha scritto dicendo che non ha capito un mio recente post. È uno dei pochi lettori che si prende la briga di argomentare in questo blog, lo fa da anni e da persona intelligente Perciò, per la sua rarità, me lo devo tenere caro, anche se non condivido affatto certe sue posizioni, espresse nel suo di blog, fin troppo acritiche riguardo un certo tema. Nessuno è perfetto, osservò Nietzsche.

Come diceva Stendhal, è impossibile ignorare completamente tutto. Ciò che sta accadendo al nostro mondo, ovvero la collusione tra il trionfo globale dell’estrema destra e la conquista cibernetica globale. Ne scriviamo in molti, ma spesso solo superficialmente. Altri si sono rincantucciati nel loro Avventino.

Vengo al punto. Penso che siamo sempre meno liberi. O meglio, ed è la stessa cosa, che siamo diventati sempre più stupidi. Gli stupidi, un tempo, rappresentavano una minoranza. Oggi rappresentano la netta maggioranza. La digitalizzazione binaria ha portato a una democratizzazione della stupidità che confonde l’opinione con il pensiero.

Parlo dalla stupidità che è contro ogni livello di sottigliezza: mira all’apparenza, si accontenta di apparire per dominare. Così le figure grottesche che governano con spaventosa serietà il nostro tempo. Alla lunga la stupidità porta al disastro e anche al crimine, com’è storicamente provato ad libitum. Non faccio nomi perché temo di dimenticarne troppi.

Più ancora temo i seguaci della stupidità al potere. Totale mancanza di autoironia, stupidità illimitata. Questa passione per la stupidità non fa altro che aumentare. Sia chiaro, per quanto riguarda l’Italia non penso solo al governo, penso a quella che dovrebbe essere l’opposizione a questo governo. Che è stupidità speculare, per taluni aspetti non meno arrogante, una conseguenza diretta dell’abbandono di quelli che un tempo erano i cardini sociali su cui poggiava il consenso di sinistra.

È una guerra di opinioni, e se l’opinione non costituisce a priori un crimine, il desiderio di avere comunque ragione può diventare un “vortice del risentimento”, di cui parla un filosofo tedesco, e infine connivenza con un crimine. I drammatici fatti recenti, dei quali opiniamo tutti comodamente seduti, lo dimostrano. L’intelligenza artificiale peggiorerà senz’altro le cose, proprio perché sarà maneggiata dalla maggioranza di cui sopra, confonderà ancora di più e recherà maggior danno.

giovedì 20 febbraio 2025

La solita réclame

L’Unione Europea sembra volersi lanciare in una corsa all’intelligenza artificiale. Una corsa truccata fin dall’inizio, che vuole far credere che l’Europa sia in grado di competere con Stati Uniti e Cina. Un desiderio ardente di sovranità digitale che anni di inazione sull’argomento rendono impossibile da soddisfare. Se ne sono resi conto con vent’anni di ritardo.

È difficile nascondere il panico che attanaglia su vari fronti l’Europa negli ultimi mesi. I paladini che hanno posto sul podio dell’innovazione le start-up (quanto ci hanno per anni scassato la uallera), sanno bene che il divario tecnologico con Stati Uniti e Cina è incolmabile. C’è stato un tempo, non molto lontano, in cui l’Europa aveva i suoi campioni, sparsi qua e là. Quelli che avevano tutto ciò di cui avevamo bisogno per conquistare il pianeta. Dove sono andati?

Aperta parentesi: per quanto riguarda segnatamente l’Italia, in senso generale e non solo per il settore digitale, la risposta è nota: ci siamo venduti tutto ciò che era possibile svendere, rinunciando alla nostra sovranità, non solo digitale, e abbiamo puntato sulla svalutazione dei salari, non potendo più operare su quella monetaria. Chiusa parentesi.

Oggigiorno, molte persone si sono avvicinate a questo settore perché hanno visto quanti soldi si possono fare. Ma se prendiamo i pionieri della tecnologia digitale, come l’inventore del World Wide Web, Tim Berners-Lee, possiamo vedere chiaramente che lo fece per divertimento e non per profitto: la prova è che lo creò come open source (designazione che significa che il software in questione è gratuito, modificabile e utilizzabile da tutti)! Ora tutto è diventato più grande e notevolmente più complesso.

Se competere con gli Stati Uniti era già costoso negli anni Novanta, trent’anni dopo i costi hanno raggiunto livelli stratosferici. Mancanza di visione? Fosse solo quello! Contrariamente a quanto pensano le TdC che governano dittatorialmente la UE, non è solo una questione di soldi. Lo dimostrano le tante emblematiche iniziative di project management fallimentare. Credere che investendo più soldi le cose andranno più velocemente è un errore.

«Da Bruxelles, l’esecutivo comunitario ha annunciato la nascita di un fondo da 20 miliardi di euro da utilizzare nella costruzione di quattro giga-stabilimenti, specializzati nell’intelligenza artificiale.»

Miliardi che andranno dissipati. Stanno cercando di creare una specie di Airbus digitale, dicendoci che basterà estrarre il libretto degli assegni, ma in questo settore non funziona così. È una gara persa in anticipo. Sono così ansiosi di vedere emergere la Silicon Valley sul Reno e sulla Loira ma dovranno chinare il capo di fronte ai giganti della tecnologia. Hanno un tale vantaggio che cercare di mettere piede sul mercato equivale a essere schiacciati. Dal momento in cui diamo potere alle aziende, è il mercato a decidere.

Non sono stati capaci nemmeno di uniformare le normative fiscali e altre cose ancor più di dettaglio, figuriamoci il resto. C’è come al solito molta réclame.