giovedì 23 gennaio 2025

L'humus

 

Londra, 26 gennaio 1894
Caro Turati,
la situazione in Italia, a mio parere, è questa.

La borghesia, giunta al potere durante e dopo l’emancipazione nazionale, non seppe né volle completare la sua vittoria. Non ha distrutto i residui della feudalità né ha riorganizzato la produzione nazionale sul modello borghese moderno. Incapace di far partecipare il paese ai relativi e temporanei vantaggi del regime capitalista, essa gliene impose tutti i carichi, tutti gli inconvenienti. Non contenta di ciò, perdette per sempre, in ignobili speculazioni e truffe bancarie, quel che le restava di rispettabilità e di credito.

Il popolo lavoratore - contadini, artigiani, operai agricoli e industriali - si trova dunque schiacciato, da una parte, da antichi abusi, eredità non solo dei tempi feudali, ma perfino dell’antichità (mezzadria, latifondi del meridione ove il bestiame prende il posto dell’uomo); dall’altra parte, dalla più vorace fiscalità che mai sistema borghese abbia inventato. È ben il caso di dire con Marx che “noi siamo afflitti, come tutto l’occidente continentale europeo, sia dallo sviluppo della produzione capitalista, sia ancora dalla mancanza di codesto sviluppo. Oltre i mali dell’epoca presente, pesano su di noi anche una lunga serie di mali ereditari, derivanti dalla vegetazione continua dei sopravvissuti modi di produzione del passato, con la conseguenza dei rapporti politici e sociali anacronistici che essi producono. Abbiamo a soffrire non solo dai vivi, ma anche dai morti. Le mort saisit le vif” [Il morto tiene stretto a sé il vivo].

Questa situazione spinge a una crisi. Dappertutto la massa produttrice è in fermento; qua e là si solleva. Dove ci condurrà questa crisi?

[...] Friedrich Engels

* * *

Dove ci condurrà questa crisi, si chiedeva Engels. Nel seguito della lunga lettera, Engels profilava un possibile sviluppo politico e sociale del proletariato italiano, certo non poteva immaginare che, dopo un cataclisma e una cesura epocale quale quella del primo conflitto mondiale, la situazione in Italia prendesse la piega che effettivamente prese: i ceti piccoloborghesi rappresentarono l’humus su cui crebbe il fascismo, quell’humus dal quale può ricrescere il fascismo nelle cangianti forme che le circostanze storiche richiedono.

Penso che a suo tempo Sylos-Labini abbia affrontato il tema anche dal lato antropologico e non solo politico-sociale, descrivendo la figura paradigmatica di quel campione di salti dall’estrema sinistra all’estrema destra quale fu il parassita Mussolini. Scrisse che incarnava come altri soggetti “l’instabilità politica e la superficialità culturale”, la voglia di “emergere ad ogni costo”, di certi strati piccolo borghesi provinciali. Oggi possiamo dire, anche a tale riguardo, che non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

Nota. La lettera di Engels a Filippo Turati, fu pubblicata subito dal Turati stesso sulla rivista Critica Sociale. Stranamente essa non è presente nel 50° volume delle Opere Complete di Marx ed Engels, dove invece dovrebbe trovare posto assieme alle altre (né risulta in diverso volume, ovviamente). Per quale motivo? Forse un motivo politico, di “censura”, ossia la spietata critica englesiana del tatticismo riformista? Da un partito comunista, il più cospicuo dell’Occidente anche in termini di risorse, che in oltre quarant’anni, ossia dal dopoguerra, non è riuscito a completare la pubblicazione delle Opere Complete di Marx ed Engels, ci si può aspettare di tutto. A pensar male si fa peccato, tuttavia osservava con cognizione di causa Rosanna Rossanda, a lungo dirigente del settore culturale del partito:

«Il marxismo era, sicuro, una filosofia e se si vuole un umanesimo, ma non si poteva tirare in tutte le direzioni, fin fuori dalla sua origine, nella crudele estraneazione del modo di vivere e produrre nel capitale: né si poteva giocare allegramente Gramsci contro Marx, o addirittura Vico contro Gramsci. Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista (La ragazza del secolo scorso, p. 301).»

E del resto, scriveva sempre Rossanda, Marx “nessuno lo leggeva”.






mercoledì 22 gennaio 2025

In God We Trump


Non c’è bisogno di annettere il Canada e di occupare la Groenlandia. È già tutto annesso e connesso. È solo avanspettacolo, gommapiuma. Più precisamente: film western. Una delle imprese ideologiche più efficaci della storia dell’umanità: come trasformare la nascita di una nazione fondata sulla più cruda violenza, sulla disperazione e il genocidio in un’epopea di volontà, coraggio e speranza; in altre parole, come trasformare delle comunità di assassini più o meno biblici, un groviglio di vipere, in un bouquet di virtù. La mitologia della conquista, inventare il passato di un “grande Paese”, di una grande democrazia, anzi, la più grande democrazia del pianeta. Salvo che un negro non può sedersi allo stesso bar dei bianchi e fare i propri bisogni nel loro stesso cesso.

L’America è sempre stata votata alla legge del più forte, e a quella degli “eroi”. Cormac McCarthy, Michael Cimino o Tarantino ci hanno mostrato il secondo grado, per motivi di spettacolo; ma il terzo e il quarto grado della violenza americana restano sotto censura (*).

Il passato che inventiamo ha un futuro: tutti i demagoghi lo sanno. Le bugie riuscite, che incantano come i sogni dopo il tramonto, hanno la parrucca o qualcosa che le somiglia, come John Wayne, Berlusconi o quest’ultimo guitto diventato presidente. Da ieri, sul dollaro c’è scritto In God We Trump. Il cambiamento, cari politologi da strapazzo, sarà impercettibile per le cose che contano davvero. Per quanto ci riguarda, resteremo ciò che siamo: una colonia, tributaria, tra l’altro, del costosissimo gas che importiamo. Gli idioti di casa nostra (i più pericolosi quelli che hanno studiato qualcosa) gioivano per il blocco del Nord Stream 2 e poi per il suo sabotaggio.

(*) Per rifarci a cose dell’odierna follia capitalistica americana: dietro le fiamme di Los Angeles, dove non c’è acqua, c’è un semplice fatto: l’aver trasformato una zona siccitosa e semiarida in terreno agricolo intensivo. Quando Los Angeles fu fondata, nel 1781, contava una quarantina di abitanti messicani. Nel 1847, quando gli yankee, armi in pugno, conquistarono la California, gli abitanti erano 1.610. Poi 102.479 nel 1900; 1.970.358 nel 1950; 3.694.820 nel 2000; 3.821.000 nel 2023. Ma la cifra è fuorviante, perché bisogna contare le periferie, i tentacoli, l’immensità dell’area urbana. Arriviamo quindi a più di 18 milioni per la Greater Los Angeles. È la città più grande e più popolosa degli Stati Uniti occidentali e la seconda città più popolosa del Paese dopo New York, e una delle città più estese del mondo. Non serve immaginare complotti, bastano storia e geografia.

martedì 21 gennaio 2025

Non fare la domanda a me

 

La democrazia è in pericolo, ci dicono oggi degli ipocriti farabutti. Di chi sono le leggi che favoriscono la rapacità finanziaria, l’evasione fiscale, la svendita dei beni pubblici, lo smantellamento del welfare, lo sfruttamento parossistico delle “risorse umane”, oltre a quelle naturali? La nostra apatia politica, le nostre frustrazioni che scatenano esplosioni di odio cieco? Un’educazione predatoria inculcata fin dalla più giovane età, il miscuglio di cazzate mediatiche tagliate fuori dalla vita con cui ci rompono gli attributi virili da mane a sera. Gli slogan e gli incitamenti al riarmo e alla guerra. Il cinismo e l’assurdità redditizia delle guerre, fomentate dalle mafie statuali e globali. Non c’è bisogno che i profeti prevedano ciò che verrà: il deragliamento storico, il trionfo dell’idiota, non sono il prodotto del caso. Come porre fine a un sistema odioso? Non fare la domanda a me, chiedilo a te stesso che navighi continuamente tra letargo e indignazione!

lunedì 20 gennaio 2025

Una domanda

 

Secondo Giordano Guerri, non dobbiamo temere il ritorno di un fascismo in stile Ventennio. Dobbiamo invece temere l’uso totalitario di internet e di ciò che gli gira intorno. E su questo, siamo d’accordo, un po’ meno sul fatto che l’intelligenza artificiale è utilizzata per uccidere centinaia di migliaia di persone. È quella attualmente usata da Israele, e che viene oltretutto sbandierata in modo propagandistico come la “nuova guerra” che diventerebbe capace di selezionare gli obiettivi!

Resta una domanda: perché la memoria del fascismo (oltralpe del nazismo) è il tema verso cui tutto converge, a cominciare dal librone dello stesso Guerri intitolato Benito? Perché tanti degli affascinati del genere fascista e dalle penombre dannunziane storcono il naso dicendo che lo sceneggiato televisivo su Mussolini è una parodia del personaggio?

Eh no, il personaggio era proprio tal quale, se non più caricaturale e “fuori di testa” nella realtà storica che nella finzione televisiva. Basterebbe leggere ciò che scrisse il generale Pietro Gazzera, a capo del dicastero della Guerra per cinque anni, dei suoi incontri bisettimanali con il duce, per farsi un’idea di chi fosse Mussolini. Come quando, nel 1933, un esercito di 300.000 uomini avrebbe dovuto invadere a sorpresa la Francia. Realtà storica, non finzione. Oppure leggere un altro libro, quello di Riccardo Mandelli: Al casinò con Mussolini. Eccetera.

Non ci stanno. Non piace che la gente possa vedere che cos’è stato il fascismo (dopo decenni di melenso antifascismo), che anzi nel filmato è rappresentato meno truculento di ciò che fu effettivamente. L’immaginazione corre dietro a quella storia senza mai recuperare. Fu sostenuto per convinzione, lasciato agire per viltà e opportunismo, da quelli che poi, quando fu troppo tardi, si posero in silente dissenso.

Per il resto c’è da chiedersi: chi legge più di certe cose in questo paese monotono, incupito e imborghesito male? “Il tempo migliore del viver nostro è finito”, ebbe a dire il Carducci in morte di Garibaldi. Chissà cosa avrebbe detto quarant’anni dopo! Per tacere dell’oggi, cioè di un’epoca che non ha più un minimo di gusto per la qualità, autenticità del vivere e del sentire-pensare.

giovedì 16 gennaio 2025

Breve storia di un vile pagliaccio

 

Il Mussolini televisivo (Sky), tratto dai libroni di Antonio Scurati, ha suscitato (inevitabili) polemiche. Ognuno ha diritto di dire la sua ovviamente, ma sostenere che quel Mussolini è troppo caricaturale mi sembra molto distante dalla realtà storica. Mussolini è sempre stato un soggetto caricaturale, fin da giovane, quando, per esempio, orologio alla mano, sfidava Dio di fulminarlo entro cinque minuti. Se ciò non fosse accaduto, significava che Dio non esiste. Vai a discutere con uno così.

Benito Mussolini fu fermato o arrestato dalla polizia elvetica in almeno tre occasioni dal 1902 al 1904. Esistono negli archivi svizzeri due schede antropometriche con foto istruite dalla polizia in occasione di tali arresti. Com’è possibile che un personaggio di livello intellettuale e morale assai modesto come Mussolini sia potuto diventare un esponente di spicco del Partito socialista italiano, tanto da vedersi affidare la direzione del quotidiano del partito, l’Avanti! ?

Renzo De Felice, nel tratteggiare quel primo Mussolini, si basò principalmente sull’autobiografia scritta dallo stesso Mussolini nel 1911-12, oppure su biografie che lo stesso storico reatino definì apologetiche e auliche, valga per tutte citare quelle del De Begnac e del Ludwig (autore quest’ultimo di diverse biografie, compresa quella romanzata di Napoleone).

Si avvalse anche di due fonti dirette, quella della sorella Edvige, la quale ricorda, tra l'altro, come il fratello Benito si appropriasse del denaro del suo salvadanaio (p. 15), e quella contenuta nella corrispondenza tra Mussolini e Santo Bedeschi.

Mussolini nacque ad immediato contatto di un ambiente “sordido e violento” (p. 9). Frequentò per tre anni l’istituto tecnico preparatorio, una specie di scuola di “avviamento” come esisteva prima della riforma che portò all’attuale ordinamento della scuola media inferiore. Seguirono tre anni di “scuola normale”, con la quale conseguì nel 1901 la licenza d’onore. Come studente “più di una volta dovette riparare ad ottobre qualche materia” (p. 13).

Dopo la scuola non riusciva a trovare un’occupazione, tanto che scrisse parole di disperazione autentica al suo amico Bedeschi. Finalmente e improvvisamente a Gualtieri, un paese con amministrazione socialista, fu nominato supplente in una classe elementare, ma l’incarico non gli fu rinnovato per una relazione intrecciata con una donna sposata il cui marito era sotto le armi, fatto che avveniva alla luce del sole e che causava grande scandalo.

Come accennato, decise di raggiungere la Svizzera, con l’intenzione di recarsi a Ginevra. Nel luglio 1902, Mussolini soggiorna dapprima a Yverdon e due giorni dopo a Orbe, dove lavora qualche giorno come manovale per una costruenda fabbrica di cioccolata. Scriverà nella sua autobiografia: “Quella fatica era per me una tortura”. Dopo pochi giorni di quella “tortura” approda a Losanna, dove fa per la prima volta conoscenza con la polizia elvetica che lo arresta, per vagabondaggio, “mentre intirizzito dal freddo e lacerato dal digiuno uscivo dall’arcata del Grand pont”, sotto il quale aveva dormito.

Fu rilasciato dopo tre giorni poiché i suoi documenti erano in regola e aveva affermato di volersi recare a Ginevra. Contrariamente a questa dichiarazione non si allontanò da Losanna, “ma, non sapendo evidentemente come tirare avanti – scrive De Felice –, prese contatto con gli ambienti socialisti italiani della città” (p. 26).

Fu invitato a cena, gli procurarono un sussidio di dieci franchi e un letto in casa di un artigiano vicentino, redattore dell’Avvenire del lavoratore, organo del Partito socialista italiano in Svizzera e della Federazione muraria. Pochi giorni dopo, su quel giornale Mussolini pubblica un primo articolo, aveva così inizio il suo inserimento nel Partito socialista in Svizzera e la sua attività politica.

A Losanna, oltre a scrivere nove articoli sull’Avvenire, lavora come commesso presso un paio di botteghe e come muratore. Nei mesi invernali rimane senza lavoro e viene aiutato dai compagni. S’iscrive al sindacato e ne diviene segretario locale con l’incarico di redigere i verbali delle sedute, “con un compenso di 5 lire mensili e le consumazioni gratis durante le assemblee”, come egli stesso scrisse.

I suoi articoli ebbero un certo successo poiché non mancavano di chiarezza ed incisività, ma “soprattutto per il loro tono deciso e rivoluzionario”, scrive De Felice.

Nel marzo del 1903, lasciata Losanna, si trasferisce a Berna, dove lavora come manovale e si dedica, la sera e giorni festivi, alla propaganda, tenendo comizi e conferenze che attrassero ben presto su di lui l’attenzione della polizia. Arrestato, rimase in gabbia per 12 giorni. È in tale occasione che gli vengono scattate le prime foto segnaletiche, di fronte e di profilo, ossia quella con il numero 1751 e la lavagnetta nella quale per errore è scritto il nome “Benedetto”.

Fu espulso dal Cantone di Berna. A Chiasso Mussolini fu consegnato dalla polizia svizzera a quella italiana, che lo trasferì a Como, dove non avendo trovato nulla sul suo conto lo rimise in libertà (p. 32).

Ritorna in Svizzera subito dopo, si ferma a Bellinzona, poi tra luglio e agosto ritorna a Losanna. Dopo una breve parentesi in Italia nell’ottobre dicembre del 1903 per l’aggravarsi della madre, torna in Svizzera e si reca a Ginevra. Trascorre i primi mesi del 1904 tra Ginevra e Annemasse (Alta Savoia), occupandosi di attività politica, sindacale e giornalistica: comizi, conferenze, corrispondenze a riviste socialiste e anarchiche. Frequenta anche la Biblioteca universitaria, dai cui registri risulta che abbia consultato soprattutto trattati sulle malattie veneree.

Nel luglio del 1903 prende la parola in alcuni comizi socialisti nella regione e il 25 marzo a Losanna tiene una conferenza sull’ateismo, un suo cavallo di battaglia. Scrive De Felice: «Il dibattito, a cui assistettero circa cinquecento persone, fu riepilogato di lì a cinque mesi nel primo opuscolo (L’uomo e la divinità, Lugano 1904) di una Biblioteca internazionale di propaganda razionalista fondata da Serrati, uno specialista in questo genere di “letteratura”, da Mussolini ed altri socialisti di Ginevra e di Lugano [...]. Gli argomenti di Mussolini appaiono da questo opuscolo tutt’altro che originali, spesso scopiazzature di alcuni dei testi razionalisti e antireligiosi più in voga a quel tempo; nel complesso, però, va anche detto che, rispetto alla media di questo genere di “letteratura”, l’opuscolo ha un minimo di dignità formale e denota in Mussolini una cultura caotica, da autodidatta, ma – per l’ambiente socialista del tempo, si pensi a un Serrati – piuttosto vasta e, qua e là, non del tutto superficiale. [...] Da allora in poi egli fu considerato un po’ come il “tecnico” della questione [...]» (pp. 35-36).

Il ministero dell’Interno della Confederazione lo segnala alle polizie cantonali quale “anarchico” da tenere d’occhio. Giuridicamente, la sua posizione si fa precaria. In Italia è ricercato per renitenza alla leva; in Svizzera è schedato come sovversivo e sorvegliato dalla polizia; per di più il suo passaporto è scaduto e non può chiederne il rinnovo poiché “disertore”. Decide allora di falsificare la data di validità del documento, ma le autorità ginevrine non tardano a scoprire l’irregolarità. Il 9 aprile viene arrestato ed espulso dal cantone.

La polizia decide di farlo accompagnare alla frontiera italiana a Chiasso, ciò che avrebbe significato l’arresto da parte delle autorità del Regno. Contro l’espulsione di Mussolini si mobilitano gli ambienti socialisti e quelli dell’emigrazione italiana in Svizzera. Il 18 aprile 1904, il deputato radicale al Gran Consiglio ticinese, Antonio Fusoni, interpella il governo “per sapere se la direzione di polizia ticinese si sia prestata o meno alla consegna al confine italiano di certo Mussolino [sic], espulso dal cantone di Ginevra”. L’interpellante trova scorretta la consegna di Mussolini all’Italia: la renitenza al servizio militare, essendo un delitto politico, violerebbe il diritto d’asilo.

Il consigliere di Stato Luigi Colombi, responsabile del dipartimento di polizia, rassicura l’interpellante. Avendo avuto conoscenza per via indiretta dell’espulsione ordinata dalle autorità ginevrine “e sapendo non procedere la medesima da nessuna condanna per reato comune”, la direzione di polizia “diede istruzioni ed ordini nel senso che detto signore non venne né consegnato, né tradotto al confine, ma lasciato libero di scegliere, per abbandonare il cantone e la Svizzera, quella via che più gli convenisse”.

Così, nel 1904, alcuni esponenti politici ticinesi, decisi a far rispettare il diritto d’asilo in Svizzera, anche contro il volere di altre autorità cantonali, evitarono al disertore e agitatore Benito Mussolini il soggiorno nelle galere militari italiane.

Nell’aprile del 1904, evitata l’espulsione, si trasferisce a Losanna, dove s’iscrive alla facoltà di scienze sociali e frequenta per un paio di mesi i corsi del sociologo Vilfredo Pareto (non si conobbero personalmente). Questo modesto trascorso accademico sarà all’origine del dottorato honoris causa, conferito al Duce nel 1937 dall’ateneo losannese.

Altri soggiorni in Svizzera tra il 1908 e il 1910. A Lugano lavora come muratore nei cantieri stradali e ferroviari; qui conosce il leader socialista Guglielmo Canevascini che lo ospita in casa. Nel 1910, il nome di Benito Mussolini “muratore, residente a Lugano”, figura anche sul registro dei forestieri in un albergo di San Bernardino.

Questa fu la “carriera” del Mussolini elvetico, parassita e scroccone, coinvolto anche in un’oscura storia relativa al furto di un orologio. Per Mussolini, come ebbe a scrivere De Felice (p. 42), il socialismo fu sempre più uno “stato d’animo”, e il marxismo gli fu “sostanzialmente estraneo non andando per lui oltre una concezione elementare della lotta di classe”.

Ricorda Angelica Balabanoff, la quale ebbe su Mussolini grande e prolungata influenza, che quando il comitato gli tolse la direzione del giornale, disposto ad accordargli una indennità, il buon apostolo trovò queste magnifiche parole: “Io non accetto nulla, cinque franchi al giorno mi bastano ed io li guadagnerò facendo il mestiere di muratore. Io non scriverò neppure una parola. In ogni caso siate certi di una cosa: che io non scriverò mai una parola contro il partito socialista”. Otto giorni dopo Mussolini era fondatore-direttore di un giornale antisocialista disponendo di cospicui capitali.

Il temperamento e la mentalità di Mussolini non cambiarono nemmeno negli anni del potere. Fino ai suoi ultimi giorni restò quello di sempre, cioè un pagliaccio. Basti ricordare che l’uomo che aveva detto “Se indietreggio, uccidetemi ...” (frase peraltro mutuata da altri), si fece pescare travestito con l’uniforme tedesca, accompagnato dalla sua amante e con lui tutto il governo quasi al completo (Graziani pensò bene di consegnarsi al “nemico”) e tutti i più alti gerarchi della bardatura neofascista di Salò, i cui nostalgici epigoni sono ora al governo. Non un gesto eroico o quantomeno dignitoso, non un gerarca che abbia saputo cadere con le armi in pugno, ma una fine buffonesca costata tanti lutti e tante tragedie.