martedì 15 ottobre 2024

La lobby ebraica

 

Ieri sera, aspettavo che la nota giornalista televisiva Lilli Gruber, parlando di quanto sta avvenendo in Libano, facesse un cenno a quanto accaduto nelle ultime ore, ossia l’attacco israeliano all'ospedale "Shuhadah Al-Aqsa” a Deir al-Balah. Ci sono immagini che mostrano donne e bambini palestinesi bruciati vivi nel rogo delle tende di un campo profughi in cui stavano dormendo. L’ospedale di Al-Aqsa stava già lottando per curare un gran numero di feriti da un precedente attacco a una scuola trasformata in rifugio nelle vicinanze che ha ucciso almeno 20 persone quando è stato sferrato un raid aereo di prima mattina.

Gruber non vi ha fatto cenno, così come non fa cenno di molte altre cose. È in buona compagnia, quella di gente che sta molto attenta a non scontentare la grande lobby ebraica. Nulla a che vedere con le stronzate dei Protocolli dei Savi di Sion e altri complottismi consimili. So bene che la tesi della lobby, invocata senza ulteriori precisazioni, non è né vera né falsa, ma vaga, e tuttavia si riferisce a un fenomeno concreto.

Una lobby ebraica esiste, molto potente e ramificata. Nel novembre 1978, Nahum Goldmann, presidente del World Jewish Congress, arrivò al punto di chiedere al presidente Carter di spezzare la ”lobby ebraica” che egli paragonava a “una forza di distruzione”, a “un ostacolo alla pace in Medio Oriente”. Una voce fuori dal coro, che oggi sarebbe additata, paradossalmente, come antisemita.

Cito la Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations, dunque all’American Israel Public Affairs Committee (è difficile sopravvalutare l’influenza politica dell’AIPAC nella politica americana), il National Jewish Community Relations Advisory Council, l’Israeli American Council (IAC),la B'nai B'rith, il World Jewish Congress o, per esempio, l’Alliance israélite universelle o l’Organizzazione per il lavoro di ricostruzione, conosciuta con l’acronimo ORT e altre organizzazioni similari.

Queste e molte altre organizzazioni ebraiche svolgono innanzitutto un ruolo eminentemente politico e strategico: non sono “ebrei” in generale, ma professionisti del lobbying, molto più motivati nei confronti di Israele rispetto a molti altri ebrei. La missione essenziale dell’AIPAC (con centinaia di dipendenti, un team di ricercatori specializzati e un budget annuale di decine di milioni di dollari) è monitorare il Congresso, sostenere tra i funzionari eletti una linea incrollabile di sostegno a Israele e, infine, opporsi a coloro che criticano la politica israeliana, qualunque essa sia.

A livello apicale si tratta di ebrei coinvolti nei grandi interessi. Sono parte attiva e numericamente rilevante della lobby mondiale del denaro, quella che controlla il mondo, ossia l’industria, la finanza e le banche, i giornali e altri media, la ricerca e l’università, eccetera. È per molti aspetti una lobby a sé. Un’analisi politica reale del fenomeno è oggi quasi impossibile.

Infatti, questo argomento è considerato, nel mondo politico occidentale, politicamente sensibile, da trattare con grande cautela e addirittura da evitare. La nozione di “potere ebraico” viene interpretata da alcuni come una prova di antisemitismo, e coloro che osano parlarne pubblicamente sono esposti a tale accusa.

Il New York Times, nel 1989, stimava che “la lobby” potesse contare su un minimo di quaranta-quarantacinque senatori (su 100) e duecento dei quattrocentotrentacinque rappresentanti.

Leslie Gelb, editorialista del New York Times, aveva osservato: “Shamir e i suoi alleati possono resistere a qualsiasi pressione da parte dell’amministrazione Bush. Sanno che il Congresso rifiuterà, qualunque cosa accada, di prendere in considerazione una riduzione degli aiuti americani a Israele.» Ciò che valeva per Shamir, vale per i suoi successori, compreso Netanyahu.

Jonathan Jeremy Goldberg, autore di Jewish Power (1996), giornalista specializzato in vita e cultura ebraica, parlava senza complessi, e talvolta non senza ironia, del “potere ebraico” nel sistema politico americano. Nessuno però si sognava allora di accusarlo di antisemitismo o di “odio verso sé stesso”. Oggi queste cose non si possono più pubblicare, né in un libro, né sul New York Times, né altrove.

Gli ebrei hanno etnicizzato la loro religione; da perseguitati, sono diventati persone speciali, si sentono diversi dagli altri esseri umani, sicuramente diversi dagli arabi, e con un diritto speciale sulla Palestina, che fanno risalire a duemila anni addietro. Perciò si sentono legittimati a una lotta che va oltre la semplice difesa di uno Stato, e dunque in diritto di compiervi qualsiasi abominio. In ciò Israele è sostenuta e difesa incondizionatamente da tanti stronzi bianchi, non ebrei, per ragioni che non sfuggono alla logica di una “guerra di civiltà”. Questi stronzi, anche se non lo vorranno mai ammettere, sono complici di quelli che chiamano i territori della Cisgiordania “Giudea e Samaria”. Hanno la stessa posizione della destra e dei fascisti.

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