Ancora per oggi e poi un po’ anche domani, i media si occuperanno dei risultati elettorali per l’elezione del presidente della regione Liguria, una piccola regione italiana di un milione e mezzo di abitanti, quanti quelli di un sobborgo di una grande metropoli e comunque meno degli abitanti della Striscia di Gaza prima del genocidio perpetrato dagli israeliti.
Gli elettori chiamati alle urne erano 1.341.693. L’affluenza al voto è stata del 45,97% (votanti 616.748), oltre sette punti in meno rispetto alle regionali del 2020 (53,4%), quando votarono in 716.211. Centomila elettori in meno. Il crollo più evidente a Imperia: 38,10 rispetto al 50,20. Il vincente tra i due candidati ha ottenuto l’1,5% dei voti più del suo avversario, vale a dire circa 8.000 voti. Una differenza di meno dello 0,6% del corpo elettorale. Sarebbe bastata meno della metà delle schede nulle e bianche (complessivamente 19.777) per sovvertire il risultato.
Questi numeri mostrano in modo chiaro e indiscutibile il suicidio della cosiddetta sinistra italiana, qualunque cosa ormai si voglia intendere con questa locuzione. Ad essere più esatti, non solo il suicidio della sinistra italiana, ma della rappresentanza politica in generale, quella degli attori che si affacciano quotidianamente nelle televisioni. Una ennesima prova del disinteresse della maggioranza della popolazione verso quella cosa che ancora si fa chiamare politica ma che è solo personalismo, ménage e intrallazzo.
Del resto, quale fiducia dovrebbero avere nella politica e nel sistema attuale coloro che per tirare a campare devono arrabattarsi da mane a sera? Ma anche di coloro che, pur resistendo sulla breccia di un relativo benessere, vedono sfumare ogni prospettiva di miglioramento futuro e anzi costatano il progressivo peggioramento della loro condizione e quella dei propri figli. Se questo Paese rimane ancora per un po’ in mano a codeste classi politiche e dirigenti, la catastrofe ci coinvolgerà tutti.