mercoledì 12 ottobre 2016

Non solo Trump



«… elargite dalla guerra e con l’aiuto di Dio»

La maggior parte degli abitanti dell’Europa occidentale guarda con preoccupazione al futuro. Sembra che col restringersi della sua influenza la civiltà europea perda terreno e che si divida in piccole unità ostili. L’iscrizione alle università diminuiscono perché l’istruzione che esse offrono diventa sempre meno attraente e priva di sbocchi. Le istituzioni sono in decadenza e persone di buona volontà cadono nello scetticismo e nella disperazione. Di questo stato d’animo generale si può avere prova leggendo le ultime pagine della Die Schedelsche Weltchronik. È dunque questa la situazione in cui si trova l’Europa occidentale nell’autunno del 1492.

Mentre ci si prepara alla stampa della Cronica di Norimberga – il colofone di questo imponente in-folio reca la data del 12 luglio 1493 – un legno spagnolo, la Niña, spinto dal vento invernale, raggiungeva Lisbona prima di Colombo – fermato alle Azzorre da una tempesta – annunciando una notizia che avrebbe aperto nuovi orizzonti all’Europa e cambiato le sorti del Mondo. E tutto ciò accadde per caso, e altresì per necessità, nel tentativo di raggiungere, a ponente, il Giappone e la Cina, in base a dei calcoli che si sapevano essere assolutamente sbagliati per quanto riguarda le distanze da coprire. La storia riserva sempre delle sorprese. A farne le spese furono decine di milioni di abitanti di quello che venne chiamato il “Nuovo Mondo”.

*



Alcune decine di migliaia di anni or sono, durante l’ultima era glaciale, popolazioni asiatiche attraversarono il cosiddetto ponte di Beringa, ossia lo stretto di Bering, dunque quelle che oggi conosciamo come la Grande e Piccola Diomede, approdando in Alaska e poi diffondendosi, quali primi abitanti (non vi è traccia di scimmie antropomorfe), in quello che oggi conosciamo con il nome di continente americano (*).

Nelle diverse aree del continente presero vita dei sistemi sociali tra loro anche molto diversi, in taluni casi arrivarono a sviluppare una notevole civiltà urbana. Si va dunque dalle tende in pelli dei pellerossa alle enormi costruzioni in legno, pietra e mattoni che gli spagnoli chiamavano pueblos (città) dei cosiddetti indiani Pueblo del New Mexico e dell’Arizona, quindi dalle strutture maya di Chichén Itzá, Sayl, Kohunlinc, Palenque, eccetera, all’incredibile capitale azteca descritta da Cortez.

In seguito alla conquista europea e malgrado gli sforzi di distruggere queste civiltà, compiuti soprattutto dagli spagnoli, ci sono rimaste testimonianze sufficienti per farci comprendere come esse si siano evolute.

Ci siamo ostinati a concepire i maya come straordinari astronomi (per esempio e come ampiamente noto, furono in grado di ideare un calendario più preciso di quello giuliano, che fu in uso in Inghilterra e nelle colonie inglesi fino al 1752), e tuttavia le più rilevanti scoperte delle popolazioni del Centro America riguardano il settore agricolo: quella del mais, un vegetale ibrido tratto da alcune piante selvatiche, e la cultura della patata bianca derivata da un Solanum selvatico il cui tubero cresceva sul versante occidentale delle Ande.

Dobbiamo agli agricoltori “americani” il tabacco, la patata dolce, l’ananas, la nocciola, lo zucchero d’acero, vari tipi di fagioli e di zucca, i pomodori, l’agave, la coca, il cacao, il chinino, la vaniglia e la gomma. Con il lattice arrivarono a fabbricare borse, scarpe e abiti impermeabili. Persino le tribù dedite quasi esclusivamente alla caccia impararono a concimare la terra con pesce e cenere di legno; i peruviani usavano il guano. Gli Arawak, ben prima dell’invasione europea, sapevano come estrarre l’acido cianidrico dalla manioca ed usavano il veleno per le frecce e la sostanza amidacea per il pane.

E però essi non scoprirono (o non usarono) tutte quelle cose usate in Europa da tempo immemorabile, anche se nell’impiego delle piante officinali locali essi sapevano trarre droghe e medicinali tanto efficaci che spesso i pionieri (chiamiamoli così) nordamericani preferivano le cure del medico “indiano” a quelle del medico bianco.

Nella metallurgia impararono ad estrarre, fondere e lavorare oro, argento e platino, stagno, piombo e rame, però l’uso del ferro rimase marginale e limitato a ritrovamenti casuali di depositi meteoritici. Nella navigazione essi impiegarono canoe e piroghe, ma solo in rari casi, come in California, essi seppero costruire (piccole) imbarcazioni con tavole di legno. Fabbricavano vasellame resistente al fuoco ma non fecero mai uso della ruota da vasaio o qualsiasi altro tipo di ruota.

Gli unici animali da trasporto conosciuti erano il cane, il lama e le … squaw. Non avendo animali domestici da attaccare ai carri la ruota non offriva alcun vantaggio rispetto ai portatori umani. Fu dunque questa difficoltà connessa ai trasporti e alle comunicazioni a inibire uno sviluppo della tecnologia e dell’economia presso i popoli americani?

È questa una bella domanda ma tentare di rispondervi adeguatamente allungherebbe troppo il brodino odierno (ripiego con un accenno in nota (*)), meglio parlare di altro. Per esempio su William Tecumseh Sherman, detto “il pazzo”, il generale americano sotto la cui regia fu completato il genocidio (termine appropriato) dei nativi americani.

Il piano di Sherman non puntava solo alla sconfitta degli indiani sul campo di battaglia ma prevedeva di togliere loro ogni spazio vitale e privarli della loro risorsa di vita fondamentale: il bisonte. Sherman applica un tattica terroristica sperimentata durante la guerra civile, quando durante l’avanzata in Georgia le sue truppe incendiarono tutte le case, le fattorie e le coltivazioni per quasi 500 chilometri.

Prima dell’arrivo degli europei, mandrie di decine di milioni di bisonti pascolavano nelle pianure del Nord America. Per molti nativi il bisonte costituiva la principale fonte alimentare, ma ne utilizzavano anche le ossa e i tendini, e con gli intestini fabbricavano sacche e lacci. Nulla veniva scartato. Tutta la loro vita ruotava intorno alle mandrie e le seguivano ovunque. Gli indiani delle pianure erano stati pacifici fino al 1861, ma l’invasione dei loro territori di caccia da parte di migliaia di eccitati e violenti minatori e l’avanzata di coloni lungo la frontiera del Missouri, aggiunte al trattamento vessatorio da parte del governo e al fallimento del sistema delle riserve, dette origine a numerosi scontri (**).

Contro gli indiani Sherman ottiene carta bianca da Washington e applicò la guerra totale per garantirsi la vittoria definitiva e la risoluzione del “problema” indiano. L’esercito americano incoraggiò i cacciatori bianchi di bisonti a spostarsi nell’Ovest. Forniva alloggio, munizioni e protezione. Allettati dall’offerta e con la prospettiva di guadagnare fino a 700 dollari il giorno (una somma enorme) essi giunsero a migliaia. Furono organizzati addirittura dei convogli ferroviari, a bordo dei quali i cacciatori sparavano alle mandrie dei bisonti. Un solo cacciatore arrivava ad abbattere fino a 5.000 capi. L’obiettivo è uno solo: affamare le popolazioni autoctone di cacciatori nomadi.

Alcuni di questi cacciatori bianchi entreranno addirittura nella leggenda solo per questo motivo, come il vanesio William Frederick Cody, sterminatore di bisonti e assassino di indiani che la propaganda elevò ad eroe. Nel 1877, la popolazione dei bisonti che un tempo era calcolata in 60 milioni di capi, era ridotta a duemila esemplari. La politica di abbattimento dei bisonti rientrava in una politica di genocidio, non diversa da quella che qualche decennio dopo fu adottata in Europa a danno di cittadini di religione ebraica.

Nella loro Storia [criminale] degli Stati Uniti d’AmericaMorison e Commanger, pur minimizzando il genocidio e non citando affatto quanto fu pianificato da Sherman in accordo con l’amministrazione di Washington, citano un brano del discorso pronunciato del presidente Hayes in occasione del suo messaggio annuale del 1877. Da notare la terminologia da leguleio impiegata da Hayes, come se la questione vertesse intorno a una questione di compravendita di terra:

Gli Indiani erano gli originari occupanti [sic!] della terra ora in nostro possesso. Sono stati da noi cacciati di luogo in luogo. Il prezzo d’acquisto pagato in qualche caso [!] per ciò che essi reputavano loro proprietà [!] li ha comunque lasciati poveri. Molte volte, quando s’erano sistemati sui territori loro assegnati di mutuo accordo [ossia con la forza] e avevano cominciato a sostenersi col loro lavoro, ne furono brutalmente espulsi e di nuovo gettati allo sbaraglio. Molte, se non la maggior parte, delle nostre guerre cogli Indiani hanno avuto origine dalla rottura dei patti e degli atti ingiusti di cui siamo responsabili (***).

L’élite yankee si è dapprima adoperata per la conquista del territorio del Nord America, annientando le popolazioni autoctone, facendo la guerra al Messico, ecc., poi per il dominio dell’intero continente (dottrina Monroe) e oltre, con l’annessione delle Hawaii, delle Filippine, controllo di Cuba, che il 10 dicembre 1898, dopo la guerra con la Spagna, divenne un protettorato “indipendente” degli Stati Uniti; e anche Porto Rico, dopo lo uno sbarco dei marines a Guánica, che con lo stesso trattato di Parigi finì nelle grinfie degli Usa. Il presidente McKinley – prima che lo assassinassero –  diceva che le Filippine e Cuba “ci sono state elargite dalla guerra e con l’aiuto di Dio, in nome del progresso dell’umanità e della civiltà, abbiamo il dovere di non deludere questa fiducia”. Una retorica che conosciamo bene e che arriva fino ai nostri giorni.

Nel 1941 l’oligarchia nipponica decise di colpire le Hawaii dopo le reiterate provocazioni, embarghi e confische dell’amministrazione americana. L’incontro tra Churchill e Roosevelt a Terranova, sancì che Londra doveva togliere ogni dazio alle merci americane nel Commonwealth, in cambio di aiuti e dell’intervento Usa in Europa. Non per liberare l’Europa e l’Asia intervennero gli Usa, ma per sconfiggere due temibili competitori nella corsa per la spartizione del pianeta.

Siamo in Italia, una colonia (sotto ogni punto di vista) in cui la percentuale di lettori forti (almeno un libro al mese, perlopiù romanzi) è del 14% e l’analfabetismo funzionale riguarda il 70% della popolazione. Pertanto, anche venisse scritto e poi tradotto un libro concernente la storia criminale degli Usa, esso non verrebbe letto che da un infinitesimale numero di persone, e dunque non ci sarebbe alcun dibattito e quel libro non sposterebbe di una virgola il giudizio sul ruolo degli Stati Uniti e l’incondizionata fiducia e ammirazione di cui essi godono comunemente.

(*) Non vi sono motivi neurobiologici che possono spiegare il grande sviluppo dell’Euroasia e la sostanziale arretratezza delle Americhe, dell’Africa subsahariana e ancor più dell’Austrialia. Tali differenze hanno anzitutto motivo dalle condizioni ambientali, climatiche, faunistiche (specie animali domesticabili) e dunque dalla possibilità di sviluppare l’agricoltura, d’incrementare la popolazione e gli scambi (di uomini, piante, animali, invenzioni) superando le barriere naturali. Il progresso tecnologico è una conseguenza e si autocatalizza.

Scrive Jared Diamond:

«L’agricoltura, oltre a permettere la nascita della vita sedentaria e quindi l’accumulazione dei beni, fu decisiva nella storia della tecnologia per un altro motivo. Per la prima volta, alcune società poterono diventare economicamente differenziate, e mantenere una classe di specialisti non dediti alla produzione di cibo. [… ] a parità di altre condizioni, la tecnologia progredisce più rapidamente in vaste aree ricchhe di risorse, abitate da popolazioni numerose, divise in società in competizione tra loro, all’interno delle quali esistono molti potenziali inventori».

(**) Alcuni decenni prima, durante la guerra con i Seminole (1835-1842), furono impiegati contro gli indiani che si nascondevano nelle paludi i cosiddetti “bracchi da sangue”, ossia dei cani molto feroci importati da Cuba.


(***) Samuel Eliot Morison, Henry Steele Commanger, Storia degli Stati Uniti d’America, La Nuova Italia, 1961, vol. II, p. 113.

10 commenti:

  1. "Tuttavia, siamo in Italia, una colonia (sotto ogni punto di vista) in cui la percentuale di lettori forti (almeno un libro al mese, perlopiù romanzi) è del 14% e l’analfabetismo funzionale riguarda il 70% della popolazione. Pertanto anche venisse scritto e poi tradotto un libro concernente la storia criminale degli Usa, esso non verrebbe letto che da un infinitesimale numero di persone, e ciò significa che non accenderebbe alcun dibattito e non sposterebbe di una virgola il giudizio sul ruolo degli Stati Uniti e l’incondizionata fiducia e ammirazione di cui godono comunemente".

    Bhè, però c'abbiamo il diciottobrumaio blog.
    Grazie. ;)

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    1. C'è da aggiungere che i soggetti citati oltre a non leggere, a non seguire i blogs, non vanno neanche al cinema.
      Arthur Penn, Ralph Nelson,Sidney Pollack,ecc. qualcosa di alternativo e di più facilmente abbordabile hanno detto.

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    2. Ci vanno cai vanno al cinema. Anzi, forse proprio per questo, si sono bevuti meglio la favoletta degli Stati Uniti come luogo di libertà e democrazia. Anche il cinematografo sottostà al monopolio culturale a stelle strisce.

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    3. Certamente.Ma nel poco il massacro di bisonti'indiani'p.e. citato da Penn esce dal mainstream di John Ford.
      Però è necessario averli visti i citati alternativi, altrimenti si rimane solo 'nell'inquadratura' ideologica.

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  2. Il "cuban bloodhound" del tutto diverso dal bloodhound europeo, venne creato nelle regioni tropicali dell'america da incroci fra il seguigio spagnolo e vari tipi di mastini. Ha pessima fama perché era impiegato nella caccia agli schiavi fuggiti. Il bloodhound europeo, cane di tutt'altro temperamento, viene chiamato così perchè veniva impiegato per seguire le tracce di sangue lasciate dagli animali feriti.

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  3. nel libro di Diamond è centrale il concetto -che trovo dialettico perchè ben maneggiato dall' autore- di autocatalisi

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    1. ed infatti mutuo il termini. con diamond bisogna però fare attenzione perché è esposto al naturalismo

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  4. anche venisse scritto e poi tradotto un libro concernente la storia criminale degli Usa,

    Uno c'è già. (J.Kleeves : "un paese pericoloso") e scritto direttamente in italiano ... ma credo che non l'abbiamo letto in più di un migliaio.. 😎
    ws

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    1. è scritto in italiano perché scritto da un italiano, ma non si tratta di un'opera scientifica, un libro edito da una casa editrice neofascista

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