giovedì 17 ottobre 2024

Un secolo abominevole

 

Al punto in cui siamo della storia, gli ebrei hanno tutte le ragioni per desiderare più di ogni altra cosa un paese dove sentirsi al sicuro. Per arrivare a questo scopo, avrebbero dovuto innanzitutto rispettare le risoluzioni dell’ONU e comunque trattare i palestinesi loro concittadini alla pari e non occupare i territori che spettano di diritto ai palestinesi, non derubando le risorse idriche e altro.

Trasformare Gaza in una terra di nessuno, seppellire Beirut sotto le bombe, puntare a una sorta, tutto sommato, di Hiroshima-Nagasaki senza bomba nucleare, non aiuta questo processo di pace e di condivisione, ma favorisce Hamas e Hezbollah, ossia tutti coloro che sognano l’annientamento, cosa che al punto in cui siamo può trovare presso molti anche delle giustificazioni.

Rispondere a uno shock traumatico con un altro shock traumatico non è la soluzione migliore, né per Israele né per il mondo.

È mia facile convinzione che i nazionalismi, insieme a molti altri crudeli errori contemporanei, abbiano reso il XX secolo un secolo abominevole. La storia si sta ripetendo con troppa facilità anche nel secolo presente (compreso il nazionalismo etnico-religioso israeliano e quello dei suoi avversari). Bisognerebbe capire che una terza guerra mondiale, una guerra combattuta anche con armi nucleari, non è una minaccia vuota. Chi dubita della realtà di questa abominevole minaccia, non ha compreso nulla della storia. Capire che l’unica soluzione per l’umanità, ma la cosa non va di moda, è il socialismo o il comunismo o che dir si voglia, tenendo presente che il socialismo e il comunismo sperimentati nel XX secolo non sono uno stampo di gesso.

mercoledì 16 ottobre 2024

Non è la Wehrmacht, è Israel Defense Forces

 

Che cosa comporta la dualità del sistema giudiziario per gli abitanti dei territori occupati dagli israeliani in Palestina? I palestinesi sottoposti ad apartheid sono innegabilmente nutriti di odio verso Israele, ma anche sottoposti ad una vita di costrizioni arbitrarie che risultano evidenti quando sei costretto a deviazioni di quarantacinque minuti per coprire 1 km a causa di una diga chiusa dal 7 ottobre 2023; controlli infiniti, posti auto rimossi e centinaia di piccoli fastidi quotidiani.

I palestinesi nei territori occupati sono soggetti alla legge militare dal 1967, mentre i coloni israeliani sono soggetti alla legge civile del loro Paese, anche se vivono al di fuori dei confini stabiliti nel 1948. Ciò significa che nei tribunali militari l’esercito è tanto un legislatore quanto un pubblico ministero e un giudice.

Le Convenzioni di Ginevra autorizzano i tribunali militari in tempo di guerra, quando la legge locale non può garantire la sicurezza di un paese occupato. Ma coloro che hanno redatto queste convenzioni non immaginavano un’occupazione così prolungata e, soprattutto, in tal caso si tratta di un’occupazione illegale.

In linea di principio, i palestinesi hanno diritto a un avvocato e spesso vengono difesi gratuitamente da avvocati palestinesi. Ma la difesa non sarà mai molto efficace, perché la legge militare è così dura e parziale che c’è poco che si possa fare. L’intero sistema è ineguale. Gli avvocati palestinesi spesso non sono in grado di visitare i loro clienti – la maggior parte dei quali sono detenuti in Israele – a causa della mancanza di permessi, così che gli imputati preparano la loro difesa solo poco prima del processo. La maggior parte delle decisioni del tribunale sono in ebraico, il che significa che se l’avvocato parla solo arabo, non sarà in grado di fornire una difesa come possiamo immaginarla in un tribunale civile.

Le prime vittime di questa giustizia a due livelli sono i bambini. Facciamo il caso concreto di un bambino di nome Ali, residente nel quartiere di Al-Issawiya, ai confini di Gerusalemme Est. Ufficialmente Ali è accusato di aver lanciato pietre contro un autobus. Da allora, cioè da un anno, è in carcere in attesa del processo.

Un minore israeliano non può essere processato prima dei 14 anni, mentre un palestinese può essere processato a partire dai 12 anni. I minori palestinesi accusati di reati penali vengono processati secondo la legislazione militare in vigore in Cisgiordania, che garantisce loro pochissimi diritti riservati ai loro coetanei israeliani. Queste tutele, come la separazione dagli adulti durante la detenzione e la reclusione, non sono sempre rispettate. Lo stesso vale per le tutele previste dal diritto militare per tutti gli indagati, particolarmente importanti nel caso dei minorenni, come il diritto di consultare un avvocato.

Nel 2009 Israele, in risposta alle critiche, ha creato un tribunale militare per i minorenni. Ma i miglioramenti sono minimi, perché la competenza del tribunale è limitata alla fase del giudizio. Non vi è alcun effetto sulle fasi di arresto, indagine e detenzione. I minorenni quindi generalmente arrivano al processo e alla sentenza nel tribunale dei minorenni dopo essere già stati incarcerati come adulti per la durata della custodia cautelare e poi del processo.

Secondo la ONG Military Court Watch, al 30 giugno 2024 erano 209 i bambini detenuti dall’esercito israeliano. L’obiettivo di Israele è intimidire i minori fin dalla tenera età. Se lanciano una pietra sono considerati terroristi a pieno titolo. L’intero sistema li porta a dichiararsi colpevoli, firmando frettolosamente le confessioni in ebraico. Perché anche quando si svolge un vero processo, le procedure sono così lunghe e le sentenze così severe, sulla base del diritto militare, che spesso non vale la pena dichiararsi non colpevoli. I bambini se la passano meglio se si dichiarano colpevoli e pagano una multa. Nella migliore delle ipotesi, possono essere condannati agli arresti domiciliari, anche se il carcere rimane la norma.

martedì 15 ottobre 2024

La lobby ebraica

 

Ieri sera, aspettavo che la nota giornalista televisiva Lilli Gruber, parlando di quanto sta avvenendo in Libano, facesse un cenno a quanto accaduto nelle ultime ore, ossia l’attacco israeliano all'ospedale "Shuhadah Al-Aqsa” a Deir al-Balah. Ci sono immagini che mostrano donne e bambini palestinesi bruciati vivi nel rogo delle tende di un campo profughi in cui stavano dormendo. L’ospedale di Al-Aqsa stava già lottando per curare un gran numero di feriti da un precedente attacco a una scuola trasformata in rifugio nelle vicinanze che ha ucciso almeno 20 persone quando è stato sferrato un raid aereo di prima mattina.

Gruber non vi ha fatto cenno, così come non fa cenno di molte altre cose. È in buona compagnia, quella di gente che sta molto attenta a non scontentare la grande lobby ebraica. Nulla a che vedere con le stronzate dei Protocolli dei Savi di Sion e altri complottismi consimili. So bene che la tesi della lobby, invocata senza ulteriori precisazioni, non è né vera né falsa, ma vaga, e tuttavia si riferisce a un fenomeno concreto.

Una lobby ebraica esiste, molto potente e ramificata. Nel novembre 1978, Nahum Goldmann, presidente del World Jewish Congress, arrivò al punto di chiedere al presidente Carter di spezzare la ”lobby ebraica” che egli paragonava a “una forza di distruzione”, a “un ostacolo alla pace in Medio Oriente”. Una voce fuori dal coro, che oggi sarebbe additata, paradossalmente, come antisemita.

Cito la Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations, dunque all’American Israel Public Affairs Committee (è difficile sopravvalutare l’influenza politica dell’AIPAC nella politica americana), il National Jewish Community Relations Advisory Council, l’Israeli American Council (IAC),la B'nai B'rith, il World Jewish Congress o, per esempio, l’Alliance israélite universelle o l’Organizzazione per il lavoro di ricostruzione, conosciuta con l’acronimo ORT e altre organizzazioni similari.

Queste e molte altre organizzazioni ebraiche svolgono innanzitutto un ruolo eminentemente politico e strategico: non sono “ebrei” in generale, ma professionisti del lobbying, molto più motivati nei confronti di Israele rispetto a molti altri ebrei. La missione essenziale dell’AIPAC (con centinaia di dipendenti, un team di ricercatori specializzati e un budget annuale di decine di milioni di dollari) è monitorare il Congresso, sostenere tra i funzionari eletti una linea incrollabile di sostegno a Israele e, infine, opporsi a coloro che criticano la politica israeliana, qualunque essa sia.

A livello apicale si tratta di ebrei coinvolti nei grandi interessi. Sono parte attiva e numericamente rilevante della lobby mondiale del denaro, quella che controlla il mondo, ossia l’industria, la finanza e le banche, i giornali e altri media, la ricerca e l’università, eccetera. È per molti aspetti una lobby a sé. Un’analisi politica reale del fenomeno è oggi quasi impossibile.

Infatti, questo argomento è considerato, nel mondo politico occidentale, politicamente sensibile, da trattare con grande cautela e addirittura da evitare. La nozione di “potere ebraico” viene interpretata da alcuni come una prova di antisemitismo, e coloro che osano parlarne pubblicamente sono esposti a tale accusa.

Il New York Times, nel 1989, stimava che “la lobby” potesse contare su un minimo di quaranta-quarantacinque senatori (su 100) e duecento dei quattrocentotrentacinque rappresentanti.

Leslie Gelb, editorialista del New York Times, aveva osservato: “Shamir e i suoi alleati possono resistere a qualsiasi pressione da parte dell’amministrazione Bush. Sanno che il Congresso rifiuterà, qualunque cosa accada, di prendere in considerazione una riduzione degli aiuti americani a Israele.» Ciò che valeva per Shamir, vale per i suoi successori, compreso Netanyahu.

Jonathan Jeremy Goldberg, autore di Jewish Power (1996), giornalista specializzato in vita e cultura ebraica, parlava senza complessi, e talvolta non senza ironia, del “potere ebraico” nel sistema politico americano. Nessuno però si sognava allora di accusarlo di antisemitismo o di “odio verso sé stesso”. Oggi queste cose non si possono più pubblicare, né in un libro, né sul New York Times, né altrove.

Gli ebrei hanno etnicizzato la loro religione; da perseguitati, sono diventati persone speciali, si sentono diversi dagli altri esseri umani, sicuramente diversi dagli arabi, e con un diritto speciale sulla Palestina, che fanno risalire a duemila anni addietro. Perciò si sentono legittimati a una lotta che va oltre la semplice difesa di uno Stato, e dunque in diritto di compiervi qualsiasi abominio. In ciò Israele è sostenuta e difesa incondizionatamente da tanti stronzi bianchi, non ebrei, per ragioni che non sfuggono alla logica di una “guerra di civiltà”. Questi stronzi, anche se non lo vorranno mai ammettere, sono complici di quelli che chiamano i territori della Cisgiordania “Giudea e Samaria”. Hanno la stessa posizione della destra e dei fascisti.

lunedì 14 ottobre 2024

[...]

 

Come si può parlare di “legittimità” quando Israele ha violato la Carta delle Nazioni Unite e ignorato sistematicamente decine di risoluzioni dellAssemblea generale e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, violato la IV Convenzione di Ginevra e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, colonizzando abusivamente i territori palestinesi (tra il 1972 e il 2021, il numero dei coloni israeliani è passato da 1.500 coloni a più di 465.000 nel 2021), praticando l’apartheid, incarcerando migliaia di palestinesi anche solo per il sospetto che siano degli oppositori, torturato, facendo stragi di civili, espulsioni forzate, eccetera. Sarebbe questa l’unica democrazia mediorientale?

Va ricordato che l’articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite richiede l’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e che la Risoluzione 273 (III) dell’UNGA (Assemblea Generale dell’ONU) che ammette Israele all’ONU, prevede che lo Stato: “accetta senza alcuna riserva gli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite e si impegna a rispettarli dal giorno in cui diviene membro dell’ONU”.

Chiedo a questi “legittimisti” senza vergogna: la vita di un bambino palestinese vale meno di quella di un bambino israeliano? Quanto meno?

giovedì 10 ottobre 2024

[...]

 


(Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921 – Conegliano, 18 ottobre 2011)


In questo progresso scorsoio
non so se vengo ingoiato
o se ingoio.