venerdì 26 dicembre 2025

Bilancio

 


Ho scritto questo post il giorno di Natale, perciò sarebbe estremamente scortese non leggerlo.

Non è che il mondo fosse un luogo pacifico e armonioso il 19 gennaio 2025, il giorno prima dell’insediamento di Donald Trump, il pacificatore inesistente. Conflitti e guerre sono in gran parte causati dai grandi spostamenti tettonici nell’equilibrio di potere globale. Possiamo dunque dire che dal 20 gennaio 2025, il mondo è stato esposto a diversi shock e sconvolgimenti aggiuntivi provocati in gran parte dal barone delle criptovalute che vive alla Casa Bianca, utilizzando per esempio la frusta doganale, che sta facendo sprofondare l’Europa ancora più in profondità nella crisi.

Spostamenti tettonici: energia a basso costo dalla Russia, mercati inesauribili in Cina e altrove, facile sostegno da parte della macchina militare statunitense, sono tutti fattori di un modello che è saltato, che ha raggiunto i suoi limiti storici, tra i quali anche quelli geografici, come ha segnalato sia Putin e sia, per altri versi, Trump.

Non c’è accordo europeo sul carbone/acciaio, non c’è unione europea, non c’è moneta comune, non c’è nulla di nulla che possa risolvere le contraddizioni immanenti del capitalismo (chi l’ha creduto in buona fede è un illuso, gli altri sono dei fetenti).

Ciò che, tra l’altro, sollecita la mia attenzione è il fatto, ovviamente non casuale, che si stia disperatamente cercando di rendere l’arte (!) di uccidere appetibile ai giovani, per mascherare la totale mancanza di visione e di idee dei nostri cari leader politici (salvo non siano idee e progetti favorevoli al “libero” mercato).

Il vecchio Occidente transatlantico è in un declino a medio-lungo termine – l’UE più degli Stati Uniti. La Francia soffre un inesorabile declino (aggravato dai riverberi allogeni della colonizzazione), come del resto l’Italia (declino economico e sociale aggravato dalla questione demografica).

Per decenni ci hanno ripetuto che lo stato sociale è troppo gonfio, troppo lento, troppo costoso, e che l’era degli aiuti ai pigri deve finire. Chi più e chi meno, s’è creduto fosse vero. Così il welfare pubblico ha subito la sorte del carciofo. Rendere il lavoro più economico e quindi aumentare il plusvalore assoluto era e resta l’obiettivo di tali richieste. Poi piangere sull’inverno demografico di cui sopra.

Quanto alla Germania, ossia il capitale tedesco, le cose dell’economia non vanno diversamente dal resto dell’Europa. L’unica opzione rimasta è quella che conosce meglio da una prospettiva storica: un’azione aggressiva e autonoma. Non c’è altra ragione per la propaganda guerresca e il massiccio riarmo tedesco.

Chi detiene il potere non ha risposte sul domani, se non il riarmo, la guerra e la morte. Il declino dell’economia stessa farà sì che le caserme si riempiano, poiché un numero significativo di settori d’importanza sistemica non reggono più; sono in ballo milioni di posti di lavoro, ad esempio nella produzione automobilistica, ma non solo.

L’economia della Cina sta superando sempre di più i paesi del G7 in diversi settori merceologici. Il capitale statunitense ha imparato la lezione dopo un paio di decenni di inutili tentativi di contenere il suo “rivale sistemico” dell’Asia orientale e sta ricorrendo ai metodi consolidati da grande potenza imperiale.

In vista del redde rationem con Pechino, è indispensabile tener in ordine il cortile di casa, tenendovi, per quanto possibile, lontana la Cina: una delle prime misure dell’amministrazione Trump è stata quella di tentare di strappare il controllo di due porti sul Canale di Panama all’influenza di una società di Hong Kong; a oggi, non ci è riuscita. Quindi la sottomissione dell’America Latina e la distruzione di Cuba, senza escludere l’imminente guerra calda contro il Venezuela.

I veri regali per il 2026 sono, per esempio, i giganteschi ordini che i governi di mezzo mondo hanno affidando all’industria bellica. Oppure i 428,3 miliardi di dollari in obbligazioni (cioè debito) emessi dalle aziende tecnologiche globali.

Diceva un tale, molto tempo fa, che il limite al capitale è il capitale stesso. Il barbuto di Treviri, ecclissato dalla scena mediatica, vedrete che tornerà in auge. Al modo che ne fanno solitamente i furbi e i farabutti, che sono forza mediatica prevalente.

martedì 23 dicembre 2025

Buon natale

 


Era caduto da piccolo.


Sono d'accordo.


So' problemi che vanno affrontati con determinazione.


L'avevo detto: è crisi, grande crisi.


Molti hanno dedicato l'esistenza contro il clero
(anche con qualche risultato non disprezzabile).


Cazzo, duemila spie in un colpo solo!


Semplice, non ci sono più le mezze stagioni.


Sì, quella cerebrale.


Gli sta bene, con me è sempre stato tirchio.


Il Leone furbo

 

Ci sono papi che hanno sempre qualcosa da dire su tutto, amano la folla e le telecamere, elaborano meticolosamente la loro narrazione e non perdono mai l’occasione di proclamare in lungo e in largo che la Chiesa cattolica è l’unica a possedere la Verità rivelata. Vedi Giovanni Paolo II, che sta al Vaticano come Elvis sta a Memphis.

Altri papi preferiscono rimanere discreti, ma non per questo sono meno protagonisti. Perfino Benedetto XVI, che sotto il suo atteggiamento imbronciato come una prugna dimenticata sul fondo di un barattolo, non ha resistito a intervenire ogni volta che ne ha avuto l’occasione.

Il premio per la pura audacia è stato vinto a mani basse dal buon vecchio Francesco, che è riuscito ad affermarsi per sempre come il papa “di sinistra”, progressista ed ecologista, al confine con il movimento anti-globalizzazione.

Ora è il turno di un papa ancora più furbo, il signor Robert Francis Prevost, il primo papa degli Stati Uniti, che ha assunto ufficialmente la carica di capo della Chiesa cattolica e contemporaneamente di capo dello Stato della Città del Vaticano, con il modesto nome di Leone XIV.

Il nuovo padrone della Chiesa sottolinea instancabilmente la sua intenzione di proseguire l’opera del suo predecessore, Francesco. Tuttavia, un esame della sua posizione su conflitti internazionali come la guerra in Ucraina o le azioni di Israele contro i palestinesi a Gaza rivela differenze fondamentali. Queste differenze hanno anche uno scopo pratico, cosa che va da sé parlando di preti.

Per il suo insediamento, il nuovo Papa invitò i rappresentanti delle Chiese orientali e il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni. Leone dichiarò che avrebbe sostenuto i decreti del Concilio Vaticano II nello spirito di Nostra Aetate, la dichiarazione sulla posizione della Chiesa cattolica nei confronti delle religioni non cristiane e in particolare a riguardo degli ebrei (vedi la formula liturgica sui “perfidi ebrei”).

Tre settimane dopo, il vero scopo divenne chiaro: Leone sta cercando la beatificazione dell’ex collega Pio XII, che aveva avuto stretti legami con il fascismo di Mussolini e come nunzio apostolico a Berlino s’era fatto voler bene. A tale riguardo si potrebbero citare diversi episodi, alcuni molto noti e altri meno.

Anche nel dopoguerra il Vaticano si segnalò per l’organizzazione della fuga di migliaia nazisti verso il Sud America attraverso la rotta nota come “ratline”. Tra coloro che fuggirono per questa via c’erano criminali di guerra ricercati a livello internazionale come Adolf Eichmann, il medico di Auschwitz Josef Mengele e Franz Stangl, comandante dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka.

Ma veniamo all’oggi. Sottolineando l’adesione a Nostra Aetate al momento del suo insediamento, Leone muoveva un primo passo verso la beatificazione dell’ineffabile Eugenio Pacelli dei prìncipi di Acquapendente. A seguire il commento di Leone sulla “terribile” situazione a Gaza, pubblicato il 22 settembre su Vatican News: la Santa Sede al momento non riteneva di essere “in grado di rilasciare una dichiarazione sulla definizione di genocidio” e non vedeva “alcuna ragione per commentare”. Prevost vuole assicurarsi che Israele non sollevi più obiezioni alla beatificazione di Pio XII.

Riguardo alla guerra nell’Europa orientale, Francesco non aveva condannato l’annessione tramite referendum della Crimea da parte della Russia, né il suo attacco all’Ucraina. Leone, invece, aveva descritto le azioni della Russia al quotidiano peruviano Semanario Expresión come una “vera e propria invasione” di natura imperialista, con cui Mosca stava tentando di “conquistare territorio” per ragioni di potere. Evidentemente ignorando gli antefatti che hanno condotto a questa guerra preventiva da parte della Russia.

Appaiono dunque più chiari i motivi che hanno condotto alla elezione a papa di questo furbo sergeant major americano. Sul fatto, poi, che il Papa denunci “i governi [che] continuino a incrementare le spese militari”, Leone non dovrebbe far altro che alzare il telefono e parlarne col suo connazionale a Washington, quindi prendere l’auto e recarsi a palazzo Chigi e al Quirinale. Forse gli rivelerebbero una delle due verità sul riarmo: la spesa militare è un fattore chiave per la crescita del mercato. L’altra verità potrebbe rintracciarla sfogliando l’antica letteratura giudaica. Ma anche quella più recente.

Un amore borghese

 

Che si tratti di un evento storico mondiale, del compleanno di un autore o dell’anniversario di un’opera (scaduti i diritti, ovviamente), il numero tondo offre l’occasione per edizioni anniversario, nuove edizioni ampliate o almeno abbellite, nuove traduzioni, nuovi adattamenti cinematografici e vari ninnoli che ora rientrano nella categoria dei “prodotti non librari” nelle librerie e rappresentano una parte non trascurabile delle loro vendite.

Il libro è una merce alla pari delle altre, e dunque lo diventano, volenti o nolenti, anche i loro autori. Il 250° anniversario della nascita di Jane Austen, non ha fatto eccezione. Questa scrittrice dell’era Regency (1811-1820) è una presenza costante nel mercato librario, con oltre due secoli di pubblicazioni praticamente ininterrotte dei suoi sei romanzi completi, dei veri e propri long-seller: Ragione e sentimento (1811), Orgoglio e pregiudizio (1813), Mansfield Park (1814), Emma (1815), L’abbazia di Northanger e Persuasione (questi due pubblicati postumi nel 1817).

Preciso che non li ho letti tutti, ne ricordo qualcuno vagamente (mi pare che Emma non ebbi a finirlo). Austen è considerata un’icona della letteratura inglese classica, quasi come Shakespeare o Dickens. Dal 2017, il ritratto di Austen campeggia sul retro della banconota da dieci sterline. Questo la rende la terza figura letteraria e la prima donna ad apparire su una banconota britannica.

La sua popolarità duratura è dovuta anche ai numerosi adattamenti cinematografici delle sue opere, tanto che della Austen c’è un vero è proprio culto, con workshop sulla scrittura con la penna d’oca, sulla creazione di ornamenti per capelli o sull’apprendimento di danze storiche, insomma un vero e proprio mercato per l’intrattenimento di massa. Che il pubblico e la critica esaltino o stronchino un adattamento sembra quasi irrilevante, poiché attenzione e dibattito sono garantiti fin dall’inizio dall’associazione con il marchio Austen.

Pare che un nuovo adattamento di Orgoglio e pregiudizio sia attualmente in produzione presso Netflix. Questo romanzo, come gli altri dell’Autrice (1775 - 1815), è stato scritto in un’epoca di grandi sconvolgimenti, ma chiunque prenda in mano un romanzo di Austen sperando di apprendere su rivoluzioni e guerre rimane deluso: niente sulla rivoluzione americana, francese o industriale, nessun riferimento a Napoleone, Nelson o Waterloo.

Jane Austen se ne rendeva conto, infatti scrisse in una lettera: «L’opera è un po’ troppo leggera, luminosa e scintillante; ─ ha bisogno di ombra; ─ vorrebbe essere allungata qua e là con un lungo capitolo ─ di senso se si potesse avere, se non di solenne, speciosa assurdità ─ su qualcosa di estraneo alla storia; un saggio sulla scrittura, una critica su Walter Scott o la storia di Bonaparte ─ o qualsiasi cosa che possa creare un contrasto e portare il lettore con maggiore piacere alla giocosità e all’epigrammatismo dello stile generale.»

Ad ogni modo, lo sguardo di Jane è strettamente limitato alla classe sociale che conosce, e il contesto storico più ampio rimane al di fuori della narrazione. Ciò che vede è una rete di case e famiglie con proprietà, e attraverso questa fitta rete, la maggior parte delle persone rimane invisibile. Tuttavia, il romanzo non è privo di ironia a riguardo di certe situazioni della sua classe sociale e vi si trova pronunciata qualche verità universale con straordinaria certezza.

Come diceva quel giovane trevirense, non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. E ciò vale anche per l’autrice di Orgoglio e pregiudizio, la quale apparteneva a una famiglia della piccola nobiltà terriera, condizione che gli permetteva di godere di una vita agiata e senza bisogno di lavorare, almeno finché il proprietario era in vita. Infatti, in Inghilterra vigeva ancora il maggiorasco e l’eredità poteva diventare complicata: per evitare di dividere il patrimonio, lo ereditava per intero al figlio maschio maggiore.

I figli minori e le mogli erano lasciati a sé stessi. I figli maschi avevano tre opzioni: il clero, le armi (soprattutto in marina) o diventare degli avventurieri. Le donne della piccola nobiltà potevano intraprendere solo la professione di istitutrice, il che equivaleva a una perdita di status. Per loro, c’era un solo modo per garantirsi un sostentamento e una posizione sociale: dovevano trovare un marito ricco. E con questo, il conflitto centrale di Orgoglio e pregiudizio è già delineato.

Si tratta della famiglia Bennet, che conta ben cinque figlie femmine e nessun figlio maschio, quindi, in caso di morte del signor Bennet, la casa e le terre passeranno al successivo erede maschio, che è il nipote del signor Bennet. La signora Bennet punta a far sposare le figlie, perché se il signor Bennet muore, molto probabilmente perderà la casa. Entro la fine del romanzo, tre delle cinque sorelle saranno sposate.

Anche in questa vicenda, più che l’amore c’entrano i rapporti sociali, vale a dire quelli economici e di proprietà. «Mister Darcy attirò presto l’attenzione della sala con il suo aspetto maestoso e alto, i suoi lineamenti raffinati e la sua nobile espressione; e anche la voce, che nel giro di cinque minuti era sulla bocca di tutti, secondo cui aveva un reddito di 10.000 sterline all’anno, fece la sua parte».

In una sola frase è svelata la causa fondamentale che prelude all’innamoramento: che il signor Darcy sia piuttosto attraente conta certamente, ma ciò che vale realmente e di là di tutto è la stima della sua fortuna pecuniaria. Darcy vede Elizabeth Bennet, i loro sguardi si incontrano e lui esprime il suo giudizio: «È passabile, ma non abbastanza attraente da sedurmi». Anche il giudizio di Elizabeth su Darcy è tranchant: «Tutti erano d’accordo. Era l’uomo più orgoglioso e maleducato del mondo».

Le prime impressioni cambiano pochi capitoli dopo: Darcy è “incantato” da Elizabeth, e i due finiscono per innamorarsi dopo aver superato il loro orgoglio e dissipato i pregiudizi reciproci: il titolo originale del romanzo di Austen era First impressions. Dopo la stesura di Prime impressioni, era apparso un altro romanzo con quel titolo, di Margaret Holford, pubblicato nel 1801. Il nuovo titolo di Jane, Orgoglio e pregiudizio, fu tratto da un verso di Cecilia, di Fanny Burney, un’autrice che Jane ammirava molto.

L’editore Thomas Cadell, nel novembre del 1797, rifiutò di pubblicare il romanzo (che fu molto rimaneggiato dall’autrice tra il 1811 e il 1812). La scrittrice riuscì a pubblicare a sue spese, dall’editore Thomas Egerton, un suo primo romanzo, Ragione e sentimento, solo nel 1811. Orgoglio e pregiudizio fu pubblicato anonimo, in tre volumetti, il 28 gennaio 1813. La prima riduzione teatrale dell’opera (Duologues and scenes from the novels of Jane Austen) fu quella di Rosina Filippi, nata a Venezia e figlia di un vicentino.

lunedì 22 dicembre 2025

Hanno assassinato Mozart

 

Elvis, come tutti sappiamo, era un alieno che ora è tornato sul suo pianeta natale. Paul McCartney è morto ed è stato sostituito da un sosia. Quanto a Mozart, se è realmente esistito, è morto avvelenato dal suo rivale di lunga data, Antonio Salieri.

L’ipotesi omicidiaria è stata messa per iscritto nel breve dramma da Aleksandr Puškin, Mozart e Salieri, che ha ispirato l’opera teatrale Amadeus di Peter Shaffer, su cui Miloš Forman ha poi basato il suo omonimo film, che ha vinto otto Oscar nel 1985.

Ho appena visto la prima puntata di Amadeus, la nuova serie televisiva ispirata a Mozart adulto. La puntata inizia con un anziano Salieri che tenta il suicidio gettandosi da una finestra. La vedova di Mozart, Constanze, si reca da lui e Salieri confessa il suo crimine: ha cercato di distruggere la reputazione del suo odiato avversario, arrivando persino a ucciderlo.

La scenografia è di buon livello, dunque di un livello irraggiungibile dagli attuali registi e scenografi italiani. La regia è dell’inglese Julian Farino, noto, si legge su Wikipedia, per aver diretto altre serie televisive. Già nella prima puntata, si è concesso una licenza poetica: Salieri si masturba a scena aperta e si pulisce con i fogli dello spartito. Povero Antonio.

Paragonare la serie al capolavoro di Forman sarebbe un esercizio inutile. La famosa risata acuta e infantile dell’attore statunitense Tom Hulce è stata sostituita dal linguaggio volgare del talentuoso Will Sharpe. Anche in tal caso un dettaglio da segnalare, che riguarda la fisionomica dell’interprete di Mozart: è un asiatico, figlio di una giapponese e di un inglese. Penso abbia preso tutto dal nonno paterno. Mozart ne sarebbe entusiasta.

Non so se vedrò la seconda puntata e poi anche le altre tre.