Nel XVIII e XIX secolo, l’Europa conobbe uno sviluppo senza precedenti grazie all’ascesa del capitalismo. A ciò si aggiunse un ulteriore affinamento del concetto di progresso. L’idea che lo sviluppo dell’umanità progredisse non era semplicemente concepita come un’inevitabile sequenza graduale, ma si presumeva che questo processo realizzasse una predisposizione originaria dell’umanità.
Questa visione era spesso legata a una teleologia, ovvero al presupposto di un obiettivo predeterminato dello sviluppo, solitamente concepito come un processo di perfezionamento (l’influenza del cristianesimo non si può escludere, ma non fu comunque decisiva). Un approccio più appropriato di questa visione deterministica assolutizzata è quello di partire dalla premessa di condizioni concrete e sostanziali dei processi storici, di campi di possibilità e di una moltitudine di fattori condizionanti. Discorso troppo ampio da fare qui.
Karl Marx presupponeva “fasi naturali di sviluppo” che non potevano “né essere saltate né eliminate per decreto”. Allo stesso tempo, Marx ed Engels contrastavano una filosofia della storia deterministica, poiché le astrazioni (della storia) non forniscono affatto “una ricetta o uno schema secondo cui le epoche storiche possano essere accuratamente delimitate”.
Ciononostante, all’interno del movimento operaio e nell’intellighenzia (sia riformista che rivoluzionaria) si diffuse una nozione deterministica di una successione graduale e progressiva di formazioni sociali. Non c’è nulla che abbia illuso quanto la convinzione di seguire la corrente. Lo sviluppo tecnologico era visto come il gradiente della corrente con cui si pensava di seguire il corso delle cose.
È un errore, pur nella mutata situazione, in cui si tende ad incorrere anche oggi nella cieca fiducia nella tecnologia e i suoi “miracoli”. Un errore antico quello delle utopie del progresso, che ci ha condotto non di rado sull’orlo dell’abisso.
Nessuno nega che molto è cambiato in meglio negli ultimi decenni e secoli e molte dimensioni del progresso hanno migliorato la vita in ampie parti del mondo, e dunque tanto più la precarietà, bassi salari, povertà e mancanza di prospettive dovrebbero essere concetti estranei nella nostra epoca. Nessuno dovrebbe temere di perdere il lavoro o di non avere un reddito sufficiente per una vita dignitosa. Solo con questo progresso sociale stabile e generalizzato il capitalismo del XXI secolo potrebbe vantare di essere un sistema migliore di altri (*).
Invece assistiamo a una generale regressione: molte delle conquiste sociali di mezzo secolo fa o sono state annullate di fatto o stanno per esserlo. Inoltre e troppo spesso il progresso a cui si allude tende a distruggere troppe risorse o a essere utilizzato per legittimare il potere.
Un programma politico per essere credibile non può più puntare semplicemente a riformare questo sistema, tantomeno solo a livello nazionale, poiché è dimostrato che ogni cosa produce determinazioni di livello globale e questo sistema non può garantire generali condizioni sociali nelle quali non si debba temere disoccupazione, precarietà, povertà e mancanza di prospettive. Dunque c’è bisogno di ben altro di una “sinistra di governo”.
(*) Per altri versi e guardando all’insieme del mondo Friedrich Engels osservava che nella sua epoca “ogni progresso è allo stesso tempo una relativa regressione, in cui il benessere e lo sviluppo di alcuni prevalgono sulla sofferenza e la repressione di altri”. Questa è una posizione materialista e dialettica. Friedrich Nietzsche invece diceva che il progresso era “semplicemente un’idea moderna, cioè un’idea falsa”. Questa è una posizione idealistica e semplicisticamente nichilista: gli antibiotici e le otto ore di lavoro invece di dodici non sono solo un’idea, tantomeno falsa.



