domenica 23 novembre 2025

In ordine sparso

 

I cosiddetti “bambini nel bosco”. Sono diventati un caso mediatico, ecco perché se ne occupano i magistrati e, quel che è peggio, i politicanti (“politica” è un termine nobile, non si pratica da decenni). Che cosa vorrebbero farne di quei bambini? Separarli per darli in adozione ad altre famiglie? Follia. Siamo sicuri che i bambini delle periferie, di certi quartieri, o di certi “campi”, vivono in condizioni migliori? Sono felici quei “bambini nel bosco”, che non è poco. E sicuramente anche in quelle condizioni cresceranno meglio di tanti altri bambini dotati di tutti i comfort (o presunti tali). La questione dell’istruzione? Basterebbe una maestra di sostegno a domicilio qualche ora la settimana. Il resto, se quei bambini hanno una buona predisposizione, verrà da sé.

I sedicenti leader europei, l’ho già detto (sempre per ciò che vale, ovvio), non vogliono ammettere la sconfitta. La loro sconfitta. È una questione di orgoglio (non solo). Dell’Ucraina non gliene importa nulla, anzi, gliene importa “il giusto”. I 28 punti sono una resa ... ai punti, ovvio. E però sono convinti che la continuazione della guerra in Ucraina sia preferibile a una pace in cui l’Ucraina debba fare delle concessioni. Ma anno dopo anno, mese dopo mese, sarà sempre peggio. Basta morti e distruzioni. Pensare che la Russia possa stare fuori dell’Europa è da sconsiderati. Quando i cinesi avranno preso, di fatto, il potere in Europa, ne riparliamo. Stupidi.

Le teologhe femministe? Basta, non se ne può più di questa gente che ti parla a bassa voce e con un tono da crema calda. Vanagloriose e furbe, elaborano meticolosamente la loro narrazione e non perdono mai l’occasione di proclamare in lungo e in largo che sono le autentiche interpreti della Verità rivelata.

Lockdown per ricchi.

sabato 22 novembre 2025

Il rettile

 

Quando tutto è valore, denaro, un valore d’uso diventa il suo opposto, contraddice il semplice buon senso: nessun valore è più valido. Uno scontro di valori. Un esempio? La vita, che dovrebbe essere il valore supremo. Ci definiamo pro-life, ma allo stesso tempo fabbrichiamo e vendiamo armi da fuoco sempre più letali. Un altro? Ci definiamo democratici, ma facciamo tutto il possibile per danneggiare gruppi di persone che lottano per la propria libertà, popoli che lottano per la propria terra e indipendenza. Ma perfino l’argomento sesso. Solo se accompagnati dai genitori. Loro di sesso e affettività ne sanno, eccome. Interroghiamo il ministro sulle sue competenze di genitore, sulla educazione ricevuta, l’ambiente familiare, la sua formazione, scolastica e professionale, sui suoi “valori”. Turbato davanti a lesbismo e omosessualità. A disagio davanti all’articolo tre. Come dice ministro? Ah, il codice genetico non accetta parità. Il maschio è maschio e la donna è sempre un po’ mamma e un po’ troia, vero? Tranne la sua di mamma; tranne la sua di moglie. Va bene, buttiamola sul biologico. Lei sa che cos’è il codice genetico? Se lo sapesse non lo tirerebbe in ballo. Tutti i primati derivano dai rettili, e lei un po’ rettile è rimasto.

venerdì 21 novembre 2025

Un fenomeno meramente superficiale

 

La disuguaglianza è considerata un fatto naturale, e la prosperità è ben meritata se il singolo individuo ha dimostrato spirito imprenditoriale e audacia. La ricchezza, concentrata nelle mani di pochi eletti, è cresciuta fino a raggiungere proporzioni quasi inimmaginabili, mentre la povertà si diffonde inesorabilmente verso la classe media. I leader politici si rendono sicuramente conto che il perdurare di questa tendenza minaccia seriamente la stabilità di una società che produce un simile fenomeno, ma se ne fottono per varie ragioni.

La ricchezza dei miliardari nei paesi del G20, come Oxfam ha ora comunicato al mondo, è aumentata di 2,2 trilioni di dollari in un anno: del 16,5%, da 13,4 trilioni a 15,6 trilioni di dollari. Si replica che questo aumento da solo sarebbe sufficiente a far uscire dalla povertà 3,8 miliardi di persone. Da qui la richiesta di una “tassazione efficace” dei super-ricchi del mondo. E una miriade di libri inutili da Stiglitz a Piketty (per citare) che ci vogliono spiegare l’origine della disuguaglianza moderna.

Su una maggiore tassazione si può essere d’accordo, ma la questione reale non viene con ciò affrontata in radice. È vero che negli ultimi decenni i paesi industrializzati dell’OCSE hanno sistematicamente abbassato le aliquote fiscali più alte rispetto al livello a metà degli anni ‘60, avviando così una massiccia ridistribuzione del reddito e della ricchezza verso la cima della piramide sociale che continua ancora oggi. E ciò rivela chiaramente nell’interesse di chi è stata e continua a essere condotta la politica.

Il diavolo continua a cagare sul mucchio più grande: i ricchi fanno i ricchi, ossia i propri interessi, discutere su ciò è sterile. L’eccesso di ricchezza di pochi eletti è un sintomo di sovraccumulazione cronica, non un segno di successo, bensì di crisi. Pertanto, criticare i ricchi non è un errore, ma soffermarsi solo su tale aspetto significa criticare in modo inadeguato il capitalismo concentrandosi su un fenomeno meramente superficiale.

Il 3 dicembre di dieci anni fa, scrivevo: «il fatto che si rimproveri ai ricchi la loro ricchezza dà il senso del generale disorientamento. Sarebbero dunque i “ricchi” la causa dei problemi, e non dunque essi stessi il prodotto di determinati rapporti sociali. È questo il volgare e imbarazzante modo di concepire lo scontro di classe con le categorie politico-sociologiche del cambriano».

Ecco dunque la differenza tra una critica laterale del sistema rispetto a una critica radicale del modo di produzione capitalistico. È la differenza tra Marx e Proudhon, tra un socialismo rivoluzionario e un socialismo piccolo-borghese (alla Bertinotti, tanto per intenderci), per tacere di quel socialismo liberale (???) che piace a Bersani & C.. Le riforme (le “lenzuolate”), i miglioramenti che si svolgono sul terreno dei rapporti di produzione borghesi, non cambiano nulla nel rapporto fra capitale e lavoro salariato, ma, nel migliore dei casi, diminuiscono le spese che la borghesia deve sostenere per il suo dominio.

Chi ha perso la faccia

 

Come previsto, quasi quattro anni or sono, né i russi hanno vinto, né gli ucraini hanno perso definitivamente. Chi ha perso per sempre sono quelle centinaia di migliaia di giovani e meno giovani che sono morti a causa di una guerra demenziale voluta e provocata non si sa bene da chi, poniamo dal destino cinico e baro.

Ieri era prevista in Ucraina una delegazione statunitense di alto rango. Ufficialmente, la delegazione era lì per informarsi sulle capacità produttive ucraine di droni. Ufficiosamente avrebbe dovuto presentare alla cricca di Kiev il piano, negoziato ufficiosamente tra l’amministrazione Trump e i rappresentanti russi, per porre fine alla guerra (dubito ci sarà mai una fine duratura).

Si sa poco sul contenuto del piano negoziato tra Steve Witkoff, in rappresentanza degli Stati Uniti, e Kirill Dmitriev, rappresentante russo per gli investimenti esteri. Washington intende convincere Kiev a cedere definitivamente il controllo delle regioni di Luhansk e Donetsk alla Russia. Questa dovrebbe pagare una quota, ancora da negoziare, per le risorse minerarie catturate. Gli Stati Uniti sarebbero pronti a riconoscere la sovranità russa sulla Crimea.

Meno chiare sono le condizioni politiche che circondano il piano: la parte della regione di Donetsk che sarà evacuata dall’Ucraina verrà smilitarizzata, impedendo alla Russia di stazionarvi truppe. Le forze armate ucraine saranno ridotte da circa un milione di effettivi a 400.000 soldati e sarà loro vietato possedere armi di distruzione di massa o armi a lungo raggio. Inoltre, nessuna truppa straniera dovrà essere stazionata sul suolo ucraino.

Si tratta di una resa degli ucraini. Del resto non sono in condizione di porre condizioni. Il fatto che la delegazione statunitense inviata a Kiev sia composta da tre generali statunitensi di alto rango è probabilmente inteso a evidenziare che la situazione militare dell’Ucraina è disperata. Era chiaro fin dall’inizio che sarebbe stata una follia pensare di sconfiggere la Russia.

Come concessione chiave a Mosca, gli Stati Uniti avrebbero promesso il “completo ritorno della Russia nell’economia globale”, ovvero la revoca delle sanzioni. Sul piano politico, ed economico, a perdere questa guerra e la faccia sarà la UE e i suoi proconsoli.

Trump, anche se non ha letto Kissinger, se l’è fatto raccontare.

giovedì 20 novembre 2025

Il futuro prossimo del libro

«La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali» (K.M.).

Sono sempre di meno quelli che ricordano l’odore delle vecchie tipografie. E il rumore: quello ritmato delle linotype, la monotonia di una Roland, lo sbuffare di una “platina” Heidelberg o lo sferragliare di un “mezzo elefante” Nebiolo. Archeologia. Venne la fotocomposizione e prevalse l’offset. Addio vecchio e malsano piombo, basta con esami periodici della piombemia. Oggi si avvelena più la mente che i polmoni.

Nessuna tipografia, di allora e di oggi, stamperebbe una sola copia di un libro. Ma nemmeno 50 o 100 copie. E però presto avremo un modello di stampa on demand ad alte prestazioni che avrà un impatto duraturo sul mercato e stabilirà nuovi standard in termini di efficienza, flessibilità e ottimizzazione dei processi. Questo è almeno il peana degli enfatici che non si sono mai sporcate le manine in una tipografia.

L’obiettivo, dicono sempre questi Superman del capitalismo, è ottimizzare la catena del valore del settore librario, alleggerire il carico di lavoro degli editori (che delicatezza umanitaria!) e rendere disponibile ai lettori una varietà di titoli (specialmente di merda) ancora maggiore nel più breve tempo possibile. Cosa si nasconde dietro queste promesse altisonanti?

Print-on-demand significa stampare solo su richiesta specifica. Se un titolo è fuori catalogo, le librerie ti dicono che è disponibile, forse, solo sul mercato dell’usato. In un futuro prossimo, un addetto di una libreria (piuttosto un “assistente automatico”) risponderà: “Il libro richiesto, sebbene fuori catalogo, sarà pronto per il ritiro domani mattina dalle 10”. Dio, che goduria! Anzi, “te lo spediamo a casa”. Doppio orgasmo in “terapia tapioco”.

L’ordine di stampa verrà generato con un clic del mouse, ma probabilmente non ci sarà bisogno nemmeno di quello. Una macchina da stampa digitale completamente automatizzata, ricevuto l’input via Proxima Centauri, produce una singola copia, che viene poi spedita al negozio o direttamente al cliente durante la notte. Prezzo non modico, immagino, almeno finché non si costituirà adeguato background digitale dell’opera richiesta.

L’avessero raccontato anche solo 40anni fa, avrebbero vinto a man bassa il Premio Hugo. Anche oggi, per i piccoli editori, ristampare un titolo esaurito è fuori discussione, e anche i costi unitari per le piccole tirature sono troppo elevati. La stampa-on-demand è una pratica comune per gli album fotografici personalizzati. Ecco, prevedo che la cosa funzionerà esattamente in tal modo anche per la stampa dei libri.

Gli editori si trovano ad affrontare la sfida di qualunque capitalista non monopolista, ossia di poter solo stimare le vendite effettive di un libro. Nessuno sa se una nuova uscita sarà un flop o un bestseller. Un libro di Veltroni può vendere infinitamente di più di Das Kapital, e ciò prova il fatto che anche una merda può avere florido mercato. A volte, il successo commerciale di un libro diventa evidente solo con la seconda o la terza ristampa. A volte, dopo decenni, come Moby Dick. Ma non ci sono più le balene di una volta.

In generale, maggiore è la tiratura, minore è il costo unitario di stampa per libro, questo è ovvio. Ma che si tratti di un libro di cucina o del capolavoro di Melville, si tratta comunque di una merce, quindi di un valore di scambio che prescinde dal suo valore d’uso effettivo. Le tirature sono diminuite, così come il numero complessivo di nuove uscite. Tirature inferiori comportano costi unitari più elevati, il che rende la merce-libro più costosa e può ridurre i profitti.

Gli editori si assumono il rischio principale, poiché i fornitori di servizi e gli stampatori devono essere pagati prima che un libro possa essere venduto. Le spese di distribuzione, stoccaggio e vendita all’ingrosso sono del 15% circa, e possono arrivare fino al 30% dei costi totali. Nel tempo prevedo che anche la figura dell’editore subirà radicali trasformazioni. Forse sarà mandato a spasso pure lui.

Dunque il modello di business è chiaro: espandere la capacità di stampa riducendo al contempo i costi del personale, con la produttività per addetto che farà un altro balzo in avanti. Ulteriore disoccupazione e drastica perdita di qualità professionali. I sistemi di stampa, già ora, sono facili da usare in modo che anche dei pischelli senza aver frequentato scuole di grafica e lungo tirocinio lavorativo possono essere formati rapidamente.

Si perderanno definitivamente secoli di esperienza e arte tipo-litografica, come del resto è già avvenuto per molte altre tipologie professionali (pensiamo, per esempio, ai fotografi). Aumenterà l’investimento di capitale, e dopo le piccole tipografie, scomparse da tempo, anche quelle medio-grandi dovranno fare i conti con la composizione tecnica del proprio capitale investito.

«Il capitalismo, nel suo stadio imperialistico, conduce decisamente alla più universale socializzazione della produzione; trascina, per così dire, i capitalisti, a dispetto della loro coscienza, in un nuovo ordinamento sociale, che segna il passaggio dalla libertà di concorrenza completa alla socializzazione completa.

Viene socializzata la produzione, ma l’appropriazione dei prodotti resta privata. I mezzi sociali di produzione restano proprietà di un ristretto numero di persone. Rimane intatto il quadro generale della libera concorrenza formalmente riconosciuta, ma l’oppressione che i pochi monopolisti esercitano sul resto della popolazione viene resa cento volte peggiore, più gravosa, più insopportabile» (V .I.U.).