Ieri, Rai Storia, in occasione del 55° anniversario della strage di P.za Fontana, ha trasmesso
un documentario dal titolo 1969: niente come prima. Il programma è a firma di Enrico
Salvatori, scritto con Brigida Gullo e Giorgio Taschini. Il commento in presenza è affidato
allo storico Umberto Gentiloni, il quale, a proposito della strage e degli altri concomitanti
attentati di Roma, dice che si segue la “pista anarchica”, posti i precedenti storici (secondo
lui).
A riguardo di Giuseppe Pinelli, Gentiloni dice: “Muore saltando da una finestra. La
sentenza definitiva parlerà poi di un malore attivo dell’anarchico Pinelli in un contesto
pieno di luci [sic!] e ombre, certamente inquietante per l’Italia di allora”.
Viene proposta anche la faccia di Bruno Vespa, un individuo al servizio della verità da più
mezzo secolo, quando dalla questura di Milano disse con enfasi: “Pietro Valpreda è un
colpevole, uno dei responsabili della strage di Milano”.
Sempre a proposito della “pista anarchica”, Gentiloni infine conclude: “Questa pista si riva
una pista sbagliata, [...] terribilmente sbagliata, dove finiscono innocenti coinvolti nelle
indagini [...]”. Pista sbagliata o pista perseguita con premeditazione e fin da subito, come
emergerà chiaramente in seguito?
La voce fuori campo dirà poi che Valpreda “viene assolto nel 1987”. Senza aggiungere altro.
La parola fascisti o neofascisti, i nomi di Freda e Ventura, di Ordine nuovo, eccetera, come
non fossero mai esistiti e nulla avessero a che fare con gli anni delle bombe.
Coltivare il luogo comune di una verità ignota, di una strage senza paternità, di misteri
totalmente mai diradati, è di un conformismo speculare a quello che, all’inizio della vicenda
del 1969, viziò la ricerca dei responsabili della bomba che uccise 17 persone e ne ferì 88. Non
viziò allora le indagini per caso, così come oggi non è un caso quello di tacere dei fascisti: si tace del ruolo dei fascisti sulla vicenda di ieri per poter tacere sui retaggi fascisti di oggi.
Neanche si può dire che «strategia della tensione» e «matrice neofascista» delle stragi di
quel lustro (piazza Fontana, treno Freccia del Sud, Peteano, Questura di Milano, piazza della
Loggia, treno Italicus) siano espressioni che manchino di conferme processuali, come ad
esempio la condanna definitiva di Freda e Ventura per le bombe del 1969 pre-piazza
Fontana.
Così come sono stati identificati responsabili della strage. Carlo Digilio, neofascista di
Ordine Nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato e ottenuto
nel 2000 la prescrizione per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli appunto per il suo
contributo. E la Cassazione del 2005, nel confermare l’assoluzione in appello del trio Zorzi-
Maggi-Rognoni condannato in primo grado nel 2000 all’ergastolo, ha chiaramente scritto
che con le nuove prove, emerse nelle inchieste successive allo «scippo» del processo
milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 degli ordinovisti veneti Franco Freda
e Giovanni Ventura, entrambi sarebbero stati condannati.
Neppure «servizi deviati», «depistaggi» e «ruolo degli americani» sono concetti che
prescindono da punti fermi giudiziari. L’ex generale del Sid, Gian Adelio Maletti (dal 1980
riparò in Sudafrica), e il capitano Antonio Labruna ebbero condanne definitive per il
depistaggio di indagini alle quali sottrassero protagonisti cruciali fatti scappare all’estero. E