venerdì 20 dicembre 2024

Perché stupirci?


Si stupiscono per come parla e si agita la presidente del consiglio, sia che si trovi in parlamento e sia che si esibisca alle adunate dei suoi camerati. Non vedo alcun motivo per stupirsi: non parla per dire qualcosa, ma per ottenere un certo effetto. Non è la sola a comportarsi in questo modo.

In questi tempi di massacro linguistico diffuso, è diventato normale parlare per ottenere un certo effetto e non per dire qualcosa di concreto, di razionale. Quasi non ci accorgiamo più delle svolte linguistiche e degli spostamenti semantici. Esempio: usare l’aggettivo “patriottico”, e altri termini e frasari tipicamente parafascisti, sta diventando di uso comune.

Di che cosa ci dovremmo stupire? Del resto, siamo stati preparati, predisposti per tempo, a questa svolta semantica. Il significato reale del discorso pubblico (ma in gran parte vale anche per quello privato) non ha più importanza. 

L’addomesticamento è diventato realtà già attraverso l’algoritmo. Non è forse un fatto che la nostra esistenza è stata interamente digitalizzata, che sono gli algoritmi a determinare il nostro profilo: ciò che siamo, ciò di cui abbiamo bisogno e desideriamo? Siamo diventati dei semplici interruttori di un vasto circuito integrato, autorizzati ad accendere o spegnere, e basta.

Questo è un fatto sul quale dovremmo riflettere e preoccuparci anche più degli atteggiamenti e del frasario di fascisti e criptofascisti oggi sdraiati sugli scranni del potere. 

mercoledì 18 dicembre 2024

La sconfitta dell'Europa

 

Possiamo ammettere che un’economia innovativa è preferibile a un’economia che non si evolve o lo fa lentamente e parzialmente. Ma una volta affermato questo truismo, i settori economici meno innovativi devono necessariamente imitare la strategia di quelli più innovativi, e fino a quale punto? Dopo tutto, le vecchie produzioni del XIX e del XX secolo non scompariranno a causa della rivoluzione digitale.

Il sistema produttivo deve rispondere soprattutto ai bisogni umani, e non tutti i nostri bisogni nascono dalle tecnologie del XXI secolo. Le economie si sviluppano e diventano più complesse, aggiungiamo nuovi livelli di attività, ma ciò non deve far necessariamente sparire quelle del passato. Non tutti gli ambiti economici possono specializzarsi con il pretesto che sarebbero più promettenti in termini di crescita.

Ma ciò è incompatibile con la logica del capitale, il quale riconosce al lavoratore il diritto di consumare solo ciò che decide il “mercato”. Imitiamo, subalterni, gli Stati Uniti, e con ciò il disastro sociale è sotto gli occhi di tutti e si sta aggravando. Coloro che pensano di saperla lunga, rispondono che ciò accade proprio perché l’Europa, e in particolare l’Italia, non è innovativa e tecnologica come gli Usa. Si sta confondendo la causa con le sue conseguenze.

Le domande che bisognerebbe porsi sono: perché gli Stati Uniti hanno puntando tutto sulle tecnologie digitali? Perché il famoso GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) e la maggior parte degli altri giganti della nuova tecnologia (Tesla, Nvidia...), così come le maggiori aziende di AI sono tutte americane e non europee?

Va da sé che gli Stati Uniti per dominare, sia in termini economici che geopolitici, hanno la necessità di dotarsi delle tecnologie più avanzate. Hanno questi giganti tecnologici perché hanno i mezzi per investire e innovare (vedi l’Inflation Reduction Act, varata da Washington nell’agosto 2022), anche se ciò significa farlo in settori privi di reale sbocco. È sufficiente, ad esempio, notare il baratro finanziario e lo spreco di risorse per il Metaverso o il modo in cui alcune aziende digitali hanno perso somme folli con i Non-Fungible Tokens.

La maggior parte delle grandi aziende di oggi hanno iniziato in piccolo e senza molto capitale. La domanda è quindi perché sono riusciti a crescere ed espandersi facilmente mentre i loro concorrenti europei sono in gran parte scomparsi o quasi. Perché sono prevalsi YouTube e Facebook e non altri? Semplicemente un problema di mancanza di finanziamenti o di voglia di innovazione?

Mettiamo le cose in ordine e cominciamo con il notare che la dominazione americana non è solo tecnologica. A tale riguardo potremmo raccontare la classica storia dell’Olivetti e di tante altre realtà industriali che un tempo erano all’avanguardia, ma è un discorso che ci porterebbe lontano nel tempo. Veniamo all’oggi. Uno dei motivi principali che fa sì che le aziende americane abbiano successo è soprattutto un vantaggio che manca agli europei: l’unità culturale e linguistica, che permette loro di incentivare l’utilizzo dei propri servizi, soprattutto all’inizio del ciclo, e proprio nel momento in cui un’azienda deve imporsi.

A differenza degli europei, gli Stati Uniti hanno un’industria culturale gigantesca e un “soft power” che porta i paesi del vecchio continente a guardare di più a quanto sta accadendo dall’altra parte dell’Atlantico che tra i loro immediati vicini. Questo spiega perché, per un servizio simile esistente sia negli Stati Uniti che in Germania o in Italia, un francese o uno svedese saranno più portati ad utilizzare lo strumento americano rispetto a quello offerto dai loro vicini europei.

In definitiva, quali paesi sono in grado di creare i propri social network o siti commerciali con i quali possono competere nel campo digitale con gli Stati Uniti? La Cina e, in misura minore, la Russia. Se questo è possibile in questi due paesi, non è perché la loro popolazione sia più innovativa di quella europea, ma perché i loro governi praticano un protezionismo impossibile da concepire in Europa. Hanno potuto sviluppare alternative locali perché i giganti digitali americani sono stati privati dell’accesso al mercato cinese.

Inoltre, lo Stato cinese ha contribuito al successo di Tik-Tok o Alibaba più della dinamica innovazione dell’economia cinese, ovvero con la sua capacità di finanziare le proprie start- up. Secondo l’Ocse, mentre gli Stati Uniti spendono l’equivalente del 3,5% del PIL in ricerca e sviluppo, l’UE nel suo insieme spende solo 2,1%, un livello inferiore alla media dei paesi OCSE (2,7%).

Dopo la crisi del 2008, mentre gli Stati Uniti hanno perseguito una politica di ripresa nel 2010-2011, l’Unione Europea, a causa dei vincoli di bilancio che si è imposta, ha praticato una politica di austerità che ha spinto il continente in una seconda recessione. Le regole di bilancio sono state le principali cause della minore crescita europea.

C’è voluta la pandemia perché l’UE sospendesse le regole che proibiscono gli aiuti di Stato. In tal modo gli Stati membri hanno potuto mobilitare 672 miliardi di euro di fondi pubblici per sostenere le loro imprese nazionali. Tuttavia, il 53% di questi aiuti è stato notificato dalla Germania, il 24% dalla Francia, il 7% dall’Italia, il rimanente 16% dagli altri 24 Stati membri. Quanto al famigerato PNRR, dapprima è stata stabilita l’entità dei fondi (in gran parte a debito) e solo dopo i progetti di spesa! Del resto manca totalmente la volontà (è una questione di classe: nulla è neutrale politicamente!) e la capacità (è una questione culturale) per realizzare dei progetti dirompenti.

Per accennare, altra questione riguarda i problemi della concorrenza fiscale intraeuropea che gravano pesantemente sulle entrate degli Stati e quindi sulla loro capacità di sostenere la spesa pubblica. Inoltre, quando guardiamo alla crescita delle disuguaglianze, essa è dovuta alla crescita dei redditi da capitale e ciò ha poco a che fare con lo sviluppo tecnologico.

Un altro elemento importante che supporta la tesi della disconnessione europea rispetto agli Usa è che la produttività del lavoro sarebbe aumentata molto di più negli Stati Uniti che in Europa. La spiegazione sarebbe, ancora una volta, essenzialmente tecnologica. Secondo il modello standard dell’economia, la crescita sarebbe una conseguenza degli investimenti, e gli investimenti una conseguenza dell’innovazione.

Possiamo però contestare questo modello e interrogarci sull’origine del divario del PIL. Calcolare la produttività del lavoro è abbastanza semplice. Si noti però che questa operazione non dice nulla sulle cause e le conseguenze. Spontaneamente tendiamo a pensare che sia l’occupazione a creare ricchezza e quindi che è l’aumento della produttività del lavoro a spiegare la crescita del PIL pro capite. In effetti è il lavoro umano la sola fonte di produzione di nuova ricchezza, ma come questa ricchezza sia poi distribuita è un altro paio di maniche.

Potremmo essere in presenza di un livello di maggiore produttività apparente del lavoro. Ed è esattamente ciò che sta accadendo, non da oggi, nell’economia americana. Il settore della tecnologia digitale nel suo complesso rappresenta oltre il 10% del Pil americano, ovvero circa 2.600 miliardi di dollari (2022), più del Pil dell’Italia. Tuttavia, questo settore rappresenta meno del 6% dell’occupazione totale. Dovremmo concludere che i lavoratori digitali sono quasi due volte più produttivi rispetto a quelli del resto dell’economia?

In realtà, la forza dei giganti della tecnologia digitale americana deriva dalla loro situazione monopolistica e dal fatto che generano profitti sotto forma di rendita. In altre parole, non è il lavoro dei dipendenti del settore digitale che produce gran parte della ricchezza di queste aziende, ma il potere di mercato che hanno acquisito imponendosi nell’economia mondiale.

Gran parte dell’aumento della produttività del lavoro negli Stati Uniti non deriva quindi dalla performance intrinseca dei lavoratori, né dalle loro competenze, ma da un modello di economia della rendita che ha finito per affermarsi nel settore digitale e che influenza le statistiche dell’economia americana nel suo insieme catturando plusvalore dall’intero pianeta.

La conseguenza che se ne trae è sicuramente il dominio degli Stati Uniti nell’economia, e il digitale è un vantaggio reale che spiega in parte il suo successo negli ultimi venti o trenta anni. Tuttavia, ciò significa anche che questa strategia non può essere imitata dai paesi dell’UE, che del resto sono paradossalmente più ossequiosi alla dottrina neoliberista degli stessi Stati Uniti, dove peraltro il protezionismo è ancora una volta al centro delle politiche economiche, sia di Trump o tra i democratici.

Essere in una situazione di monopolio significa essere soli. Se l’UE dovesse sviluppare i propri giganti della tecnologia digitale imitando la strategia protezionistica cinese (fatto da escludersi in qualsiasi modo e per diversi motivi) probabilmente non potrebbe generare tanto reddito quanto quello che generano le famose GAFAM che sfruttano mercati molto più grandi.

Se pensiamo di ottenere le stesse performance dell’economia americana, di seguire sulla strada tecnologica gli Stati Uniti e di somigliare a loro (“Stati Uniti d’Europa”), siamo sulla strada sbagliata. Un simile progetto, presentato in forma tecnica ed economica (per es. l’illusionista Mario Draghi), senza mai mettere in discussione il progetto politico sottostante né ovviamente il modello di società che ne è alla base, ciò produrrà inevitabilmente altri guasti sociali e l’affermazione elettorale delle destre populiste e fasciste diventerà un fatto irreversibile in tutta Europa.

lunedì 16 dicembre 2024

"Israele è diventata priva di qualsiasi traccia di umanità"


Di Gideon Levy – 8 dicembre 2024

Cos’altro deve accadere affinché i cittadini israeliani si scrollino di dosso la loro paralizzante apatia? Quali altri orrori devono verificarsi affinché i media di medio livello si degnino di svolgere il loro ruolo e di denunciarli? Cosa potrebbe incrinare la narrazione del 7 ottobre in cui è impantanato Israele, con la sconvolgente affermazione che sulla sua scia tutto è lecito e che solo lui è la vittima?

Ora sembra che niente possa aiutare. Niente infrangerà l’involucro di cristallo che Israele ha costruito per sé stesso per evitare di affrontare i fatti. E i fatti stanno arrivando ora, accompagnati da prove definitive: Israele sta perpetrando barbari Crimini di Guerra a Gaza. Non come eccezioni, ma come politica.

Non come eccezionalità, ma come una questione sistemica. Non si può più negare il messaggio, anche se Israele ci sta ancora provando. Altri diecimila bambini morti basteranno a sconvolgere questo Paese? Altri mille video raccapriccianti toccheranno qualcuno? Forse l’esecuzione di mille uomini ammanettati di fronte a un muro? È molto improbabile.

Il resto dell’articolo potete leggerlo qui

sabato 14 dicembre 2024

È Stato le Brigate rosse

 

Ieri, Rai Storia, in occasione del 55° anniversario della strage di P.za Fontana, ha trasmesso un documentario dal titolo 1969: niente come prima. Il programma è a firma di Enrico Salvatori, scritto con Brigida Gullo e Giorgio Taschini. Il commento in presenza è affidato allo storico Umberto Gentiloni, il quale, a proposito della strage e degli altri concomitanti attentati di Roma, dice che si segue la “pista anarchica”, posti i precedenti storici (secondo lui).

A riguardo di Giuseppe Pinelli, Gentiloni dice: “Muore saltando da una finestra. La sentenza definitiva parlerà poi di un malore attivo dell’anarchico Pinelli in un contesto pieno di luci [sic!] e ombre, certamente inquietante per l’Italia di allora”.

Viene proposta anche la faccia di Bruno Vespa, un individuo al servizio della verità da più mezzo secolo, quando dalla questura di Milano disse con enfasi: “Pietro Valpreda è un colpevole, uno dei responsabili della strage di Milano”.

Sempre a proposito della “pista anarchica”, Gentiloni infine conclude: “Questa pista si riva una pista sbagliata, [...] terribilmente sbagliata, dove finiscono innocenti coinvolti nelle indagini [...]”. Pista sbagliata o pista perseguita con premeditazione e fin da subito, come emergerà chiaramente in seguito?

La voce fuori campo dirà poi che Valpreda “viene assolto nel 1987”. Senza aggiungere altro. La parola fascisti o neofascisti, i nomi di Freda e Ventura, di Ordine nuovo, eccetera, come non fossero mai esistiti e nulla avessero a che fare con gli anni delle bombe.

Coltivare il luogo comune di una verità ignota, di una strage senza paternità, di misteri totalmente mai diradati, è di un conformismo speculare a quello che, all’inizio della vicenda del 1969, viziò la ricerca dei responsabili della bomba che uccise 17 persone e ne ferì 88. Non viziò allora le indagini per caso, così come oggi non è un caso quello di tacere dei fascisti: si tace del ruolo dei fascisti sulla vicenda di ieri per poter tacere sui retaggi fascisti di oggi.

Neanche si può dire che «strategia della tensione» e «matrice neofascista» delle stragi di quel lustro (piazza Fontana, treno Freccia del Sud, Peteano, Questura di Milano, piazza della Loggia, treno Italicus) siano espressioni che manchino di conferme processuali, come ad esempio la condanna definitiva di Freda e Ventura per le bombe del 1969 pre-piazza Fontana.

Così come sono stati identificati responsabili della strage. Carlo Digilio, neofascista di Ordine Nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato e ottenuto nel 2000 la prescrizione per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli appunto per il suo contributo. E la Cassazione del 2005, nel confermare l’assoluzione in appello del trio Zorzi- Maggi-Rognoni condannato in primo grado nel 2000 all’ergastolo, ha chiaramente scritto che con le nuove prove, emerse nelle inchieste successive allo «scippo» del processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 degli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura, entrambi sarebbero stati condannati.

Neppure «servizi deviati», «depistaggi» e «ruolo degli americani» sono concetti che prescindono da punti fermi giudiziari. L’ex generale del Sid, Gian Adelio Maletti (dal 1980 riparò in Sudafrica), e il capitano Antonio Labruna ebbero condanne definitive per il depistaggio di indagini alle quali sottrassero protagonisti cruciali fatti scappare all’estero. E

circa il ruolo americano è stata ricostruita la catena di comando Usa che gestiva il neofascista Digilio come collaboratore nascosto della Cia.

Se poi i liceali (ma non solo loro) di oggi ignorano chi siano stati Valpreda, Pinelli o Calabresi, e attribuiscono la strage di piazza Fontana alle Brigate rosse, questo va sul conto di un’informazione che sta leccando gli stivalini a chi è al governo oggi.

venerdì 13 dicembre 2024

Tacere sempre non è libertà

 

Tra le libertà fondamentali c’è la libertà di pensare, di scrivere, di discutere, e però anche di tacere. Ma tacere sempre e comunque non è libertà. Diventa altro. Non spetta a me dire cosa dovrebbero fare gli altri. Ho troppa difficoltà a sapere ciò che è giusto e, sapendolo, neanche per ipotesi penso, se lo potessi fare, di guidare l’azione degli altri. Forse so qual è il ruolo dell’intelligenza, che non è quello di scegliere tra il male e il male minore. Significa distinguere i limiti a partire dai quali le nozioni cambiano significato. Niente è razionale, in definitiva, in un potere che s’impone, cresce e si isola attraverso il terrore. Vorrei, per esempio, che gli ebrei onesti, proprio perché ebrei, proprio per la loro storia, chiamassero le cose, cioè quanto sta accadendo in Palestina, col loro nome.