lunedì 22 dicembre 2025

Che cosa ci aspettiamo dal capitalismo?

 

Ieri sera ho visto in tv una parte della puntata di Report (Raitre), quella dove si parla della carne scaduta, anche da anni, che viene riciclata e rimessa in commercio. La puntata sulla carne mi pare faccia seguito di un precedente analogo servizio che non ho veduto. Ebbene, a un certo punto una voce fuori campo, quella di un operaio addetto alla macellazione, dice: ma che cosa vi aspettate da un prodotto di carne, impanata, farcita di verdure e venduta a 4,5 euro? Esatto, che cosa ci aspettiamo da un olio di oliva detto extravergine venduto a meno di dieci euro il litro? Da vino venduto a 2 o 3 euro il litro? E via di seguito.

Perché stupirsi che quella carne putrefatta finisca in scatola di marchi prestigiosi (prestigiosi perché molto pubblicizzati) e in vasetti di ragù venduti a un prezzo vile, ma anche a caro prezzo? Che finisca nella ristorazione delle navi da crociera o nella refezione delle scuole? Se la spazzatura venduta per cibo destinato all’alimentazione umana provoca problemi di salute, tanto meglio. Si chiama diversificazione degli investimenti.

Già Marx, en passant, si era occupato dell’adulterazione del pane (I, 3 sez., cap. 8), rilevando come “il capitale è indifferente di fronte al carattere tecnico del processo di lavoro del quale si impadronisce”. Il capitalista non ha alcun interesse e riguardo su che cosa viene prodotto e come avviene la produzione. Per esempio, se al posto delle macchine ci sono degli schiavi, se invece di persone adulte vengono impiegati dei bambini.

Dunque, che cosa ci aspettiamo dal capitalismo? Il capitalismo è questa roba qua: non c’è alcuna differenza tra produrre portaerei o navi da crociera, antibiotici o gas nervino, vino grand cru o all’etanolo, oppure panettoni con margarina e tuorli d’uovo israeliani o cinesi in barile. Ciò che conta, per il produttore, per gli azionisti, è la competizione sul mercato, alias i margini di profitto.

Si denuncia, quando accade e cioè molto raramente, la carenza di controlli. Si attribuisce la responsabilità della situazione al singolo produttore, quindi all’individuo colpito, il quale deve impegnarsi a migliorare la propria dieta per prevenire problemi di salute (il budget alimentare non viene preso in considerazione). Ma, immersi come siamo nell’ideologia di mercato, chi pone la questione che si tratta di una forma strutturale di violenza? Chi mette più in discussione il capitalismo?

Alla radice degli squilibri agricoli e alimentari, dei danni alla salute fisica e mentale delle persone, c’è il modo di produzione capitalistico, che genera varie forme di violenza: la filiera alimentare globalizzata si basa su una storia di sfruttamento coloniale e su rapporti di potere ineguali tra i paesi. Le materie prime agricole sono soggette a speculazione come qualsiasi altra sui mercati finanziari. Inoltre, l’immagine dell’agricoltore e allevatore indipendente e libero è un mito. La stragrande maggioranza della popolazione acquista attraverso la grande distribuzione, che è controllata da pochi grandi gruppi.

Ricordiamoci che la frode e la falsificazione sono strumenti comuni dell’azione economica capitalistica.

domenica 21 dicembre 2025

Che tempi sono questi?

 

Ci sono tante forme di violenza. C’è anche quella mediatica. I padroni del mondo con i mass media hanno preso il controllo dei pensieri delle persone e governano attraverso la menzogna. La più grande menzogna è chiamare democrazia questo sistema. Un esempio concreto: non si può essere democratici senza essere antifascisti. Chi può sostenere che a governare sono degli antifascisti?

È già molto sintomatico che dobbiamo costantemente spiegare che per essere democratici bisogna essere antifascisti. Eppure l’ascesa del nuovo fascismo e il suo arrivo al potere, un fatto che pochi decenni addietro sarebbe parso inaudito, non ha prodotto la preoccupazione che meritava. Anzi, siamo di fronte a una generale autocensura pubblica.

Che tempi sono questi in cui bisogna spiegare le cose più ovvie? Il fascismo non è solo un’ideologia, oggi è mascherato da populismo reazionario e un certo libertarismo. Tra i giovani essere neofascisti è visto come un atteggiamento anti-establishment. È una tendenza globale.

I media mainstream spesso rappresentato l’ordine democratico non come lotta contro il risorgente fascismo, ma contro l’azione di piccoli gruppi di sinistra dei centri sociali che a volte si comportano in modo violento, incendiando cassonetti della spazzatura e cose simili.

Il problema fondamentale è che abbiamo a che fare con una generazione precaria e frustrata, bombardata da messaggi reazionari ben congegnati. Dunque, i giovani non sono il problema; sono il sintomo di altro.

Teppisti di Stato

 

L’UE si astiene dall’utilizzare i beni statali russi per mantenere a galla l’Ucraina. Invece, erogherà un credito congiunto a Kiev di 90 miliardi di euro nei prossimi due anni come sovvenzione praticamente a fondo perduto. Infatti, l’Ucraina sarà tenuta al rimborso solo se riceverà riparazioni di guerra dirette dalla Russia. Ora Bruxelles non avrà altra scelta che spennare la popolazione europea. Non tutta, solo quella che paga le imposte alla fonte, che per quanto riguarda gli altri, ovunque ci si arrangia.

Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria hanno garantito il loro consenso alla soluzione del prestito con la promessa di non essere obbligate a rimborsare i debiti dell’UE con l'Ucraina in proporzione alla loro quota di produzione economica dell’UE. Loro sanno come mungere la vacca.

Tuttavia, i fondi ora promessi coprono solo circa la metà del fabbisogno finanziario dell’Ucraina per la guerra e il continuo funzionamento dello Stato (corruzione compresa). Il FMI aveva recentemente ipotizzato che l’Ucraina potesse dichiarare default entro il secondo trimestre del 2026 al più tardi. Questo sembra essere stato scongiurato per il momento, anche se sono ancora possibili sorprese.

Politicamente decisivo, tuttavia, è il fatto che il vertice non sia riuscito a raggiungere un accordo sul piano, sostenuto dalla presidente della Commissione Ursula Gertrud Albrecht e dal cancelliere tedesco Joachim-Friedrich Merz, di sequestrare i beni statali russi congelati in Belgio per sostenere l’Ucraina. Questa opzione ha incontrato l’opposizione non solo del primo ministro belga, Bart Albert De Wever, ma anche di una coalizione di diversi Paesi: Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria, Cipro, Malta e Italia.

Volodymyr Oleksandrovyč Zelenskyj ha elogiato la decisione dell’UE, definendola una “garanzia di sicurezza finanziaria per i prossimi due anni”. Del resto, che doveva dire posto che gli regalano un sacco di soldi? Il parlamentare ucraino Mykola Knyashitskyi ha scritto che l’UE è una “superpotenza economica” e può permettersi di sostenere il suo paese per gli anni a venire.

Intanto, la “superpotenza economica” continuerà a pagare il doppio per il gas rispetto a prima della guerra. E siamo anche in attesa che la signora Albrecht firmi l’accordo di libero scambio con Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Vista la reazione degli agricoltori francesi e italiani, i capi di Stato e di governo non hanno concesso alla signora libero-scambista il mandato di recarsi in Brasile nel fine settimana, come inizialmente previsto, per firmare l’accordo. La ratifica è ora prevista per gennaio.

sabato 20 dicembre 2025

Cacao Meravigliao

 

Nel XVIII secolo, tè e caffè erano diventati le bevande preferite dei salotti “illuministi”, mentre il cioccolato per colazione aveva ben poco in comune con la cultura borghese. Cioccolato e cacao non rientravano tra i piaceri degli adulti come il caffè e il tabacco. Il cioccolato fu rivalutato con l’emancipazione della borghesia alla fine del secolo e il conseguente livellamento degli status symbol di corte. Werner Sombart sottolineò presto l’importanza dei consumi di lusso per lo sviluppo del capitalismo, e il cioccolato rientrava tra questi lussi (nessuno ha bisogno del cioccolato per sopravvivere).

L’integrazione del cioccolato nel modello di genere borghese era evidente anche nella pubblicità. In generale, intorno al 1900, donne e bambini venivano raffigurati molto più frequentemente degli uomini nelle pubblicità del cioccolato, e mentre le donne erano spesso ridotte al loro ruolo di casalinghe e madri, gli uomini apparivano solo come autorità (medici, insegnanti) che raccomandavano il consumo di cioccolato.

Insomma, c’è voluto un bel po’ di tempo perché il cioccolato diventasse un bene di consumo di massa e dunque un piacere alla portata di tutti. Il periodo natalizio e quello pasquale sono, in particolare, i periodi del cioccolato. Potrebbe essere anche un’occasione per ricordare le pratiche di sfruttamento nella produzione della materia prima, ma queste sono semplicemente taciute. Il vero quarto potere è quello degli inserzionisti.

In Costa d’Avorio, principale produttore mondiale di fave di cacao, si stima che 1,5 milioni di bambini lavorino nelle piantagioni. In piccoli gruppi, questi bambini, spesso provenienti da Paesi vicini (per esempio, dal Burkina Faso o dal Benin) e venduti dai genitori che non riuscono a sfamarli, raccolgono il cacao. Potranno lasciare la piantagione solo quando avranno 17 o 18 anni.

Lavorano duramente per almeno otto ore al giorno, sei giorni alla settimana, e il pagamento di un salario è un’eccezione (un piccolo compenso viene inviato al loro padre). «I bambini molto piccoli non devono più svolgere i lavori più duri», afferma Euphrazie Aka, direttrice per l’Africa occidentale dell’International Cocoa Initiative. Che precisa: «Ciò significa, ad esempio, trasportare carichi pesanti, spruzzare sostanze chimiche o maneggiare utensili affilati». Non dice che non devono essere impiegati, ma solo che devono essere esentati dai “lavori più duri”.

I pesticidi vengono spruzzati senza alcun dispositivo di protezione, se questi adolescenti si tagliano accidentalmente con un machete, devono arrangiarsi. La domenica è un giorno di riposo, che i bambini usano per cacciare i topi, poiché devono provvedere a sé stessi. Oltre allo sfruttamento del lavoro minorile, la nostra bulimia di cioccolato sta causando una deforestazione allarmante in Costa d’Avorio, persino all’interno dei parchi nazionali. Tutti i principali produttori di cioccolato, come Mars, Mondelez e Nestlé, acquistano cacao da lì e traggono profitto dalla sua produzione illegale.

Rinunciarvi? Gustarne un pezzetto ogni giorno, ricordandosi da dove proviene la materia prima.

venerdì 19 dicembre 2025

Il santo natale visto da Washington

 

A proposito di spese per gli armamenti, i dirigenti e gli azionisti delle aziende statunitensi che si occupano della produzione di armi possono festeggiare alla grande e chiudere l’anno con il botto (in senso letterale). Mercoledì il Senato ha approvato un disegno di legge per un altro bilancio della guerra da record, pari a 901 miliardi di dollari. È stato approvato con 77 voti favorevoli e 20 contrari. Tanto per dire che anche negli Usa esiste un’opposizione!

Con un aumento di quasi il 6%, il disegno di legge approvato rappresenta il maggiore incremento della spesa militare statunitense in 15 anni, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), che include anche altre spese “relative alla sicurezza”. Dei 2.700 miliardi di dollari investiti nella “difesa”, ovvero nella guerra, in tutto il mondo lo scorso anno, più di un terzo è appannaggio degli Stati Uniti, paese arbitro internazionale della democrazia e dei diritti umani.

Washington ha investito più risorse nelle spese militari di quelle dei nove paesi successivi messi insieme: Cina, Russia, Germania, India, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Ucraina, Francia e Giappone (notare la posizione raggiunta dalla Germania). Sebbene l’espansione di vari accordi di cooperazione militare tra Stati Uniti e Israele sia sancita dalla legge, non è ancora chiaro quanto gli Stati Uniti finanzieranno per il genocidio dei palestinesi. Dal 7 ottobre 2023, Washington ha fornito circa 22 miliardi di dollari in “aiuti militari” alle forze di occupazione israeliane, secondo gli ultimi dati della Brown University.