lunedì 26 maggio 2025

Se l’unica differenza che ci rimane ...

 

Siamo un Paese diviso, un Paese di contrapposizioni frontali, di classe, di ceto, di casta, di campanile e di quartiere. Dove nulla e nessuno è riuscito a rimetterlo insieme, nemmeno gli orrori di una guerra mondiale e l’umiliante sconfitta, né la scelta tra monarchia e repubblica. E nemmeno i referendum successivi hanno raggiungono questo obiettivo, anzi, al contrario. Si potrebbe dire che, salvo eccezioni, la strada per l’inferno è lastricata di referendum.

Sulle questioni realmente cruciali, l’iniziativa popolare attraverso il referendum non è ammessa. Non si può, tra l’altro, introdurre una riforma che incida sulla politica fiscale e il bilancio, il cui voto è, secondo la Costituzione, una prerogativa esclusiva del Parlamento. Ma è proprio su tali questioni che i referendum avrebbero senso e peso.

Quanti referendum (referenda, per i puristi) dopo il voto sono stati resi nulli, svuotati, dimostrando così che l’opinione popolare può essere ignorata quando non si procede nella direzione voluta da chi realmente detiene il potere? Un potere che formalmente appartiene al “popolo”, entità politica e sociale quanto mai indeterminata e astratta.

Si viene chiamati a votare su più questioni nello stesso giorno, non di rado slegate tra di loro, con quesiti farraginosi, formulati demenzialmente, spesso senza aprire, attraverso i mezzi di comunicazione pubblica, un reale dibattito che coinvolga il corpo elettorale. In tal modo banalizzando e screditando i referendum, che è proprio ciò a cui si punta.

Poi lo psicodramma della “stanchezza democratica”, invocata proprio da coloro che dell’istupidimento programmato e generale sono tra i divulgatori. Cosa potrebbe essere più “democratico” che chiedere direttamente l’opinione della popolazione? Intuitivamente, diciamo che il referendum è effettivamente lo strumento più democratico possibile poiché potrebbe rappresentare, sulla carta almeno, una reale possibilità di cambiamento, seppure entro i limiti ristretti di una democrazia di classe (al momento non ne conosciamo altre!).

La famosa democrazia diretta, agognata da molti, magari una “democrazia web” dove tutti possono dire la loro. Con i suoi rischi, però. Ci si pronuncia su un testo dove si può solo rispondere sì o no. In tal modo la maggior parte dei referendum si trasforma in voti di fiducia “a favore o contro”. Senza nulla togliere che vi sono state alcune campagne referendarie di alta qualità, c’è da chiedersi se l’elettore medio sia davvero in grado di esprimere un’opinione su tutti gli argomenti. Per tacere della manipolazione delle informazioni e degli algoritmi: una notizia falsa al momento giusto, una semplice notizia al momento opportuno, e tutto può cambiare.

Col prevalere di un sentimento di rabbia e frustrazione, oggi con i fascisti al potere e i chiari di luna che si preannunciano, non dobbiamo sottovalutare il rischio di solo domande rivolte all’intero popolo, di punti interrogativi che darebbero vita, nella migliore delle ipotesi, a una democrazia punteggiata. Vale la pena ricordare che nel passato un referendum nell’Europa occidentale si è concluso a favore della pena di morte. Se non fosse inutile, andrebbe ricordato ai fascisti odierni, vincitori di elezioni e fautori di un potere estremamente verticale, che il “popolo” è all’origine del potere, non è il potere. Altrimenti il cosiddetto “popolo” diventa un potere assoluto.

Nel 2017 in Turchia e nel 2020 in Russia, Erdogan e Putin se ne sono serviti per concentrare più potere o per aumentare le loro possibilità di restare al potere. Per quanto riguarda l’ungherese Orbán, nel 2016 e nel 2022 ha utilizzato questo istituto elettorale per cercare di approvare talune leggi, senza peraltro raggiungere il quorum. Quindi i recenti utilizzi da parte di Kirghizistan, Bielorussia o Comore. Gli svizzeri, famosi per i loro referendum, hanno respinto l’estensione delle ferie retribuite nel 2012 e il reddito minimo universale nel 2016.

Chi è al potere, non avendo sottomano un Reichstag da bruciare, vorrebbero trasformare l’istituto referendario in una ruota di scorta per stravolgere l’assetto costituzionale. Pertanto, una misura di salvaguardia dovrebbe consentire solo i referendum di iniziativa popolare (senza porre condizioni troppo restrittive per il suo lancio), non quelli promossi dai governi per cambiare la costituzione.

Tuttavia, se l’unica differenza che ci rimane è quella tra liberali e fascisti, c’è motivo di preoccuparsi. Quanto ai referendum in genere e nel migliore dei casi essi servono a riequilibrare un po’ le cose. Oggi sono diventati l’istituto per l’opportunismo e la mediocrità politica di chi vuole cambiare tutto perché tutto resti sostanzialmente com’è.

7 commenti:

  1. Quando il Partito Radicale indiceva manciate di referendum a raffica per me era palese che fosse anche un modo per depotenziare e snaturare il referendum.
    Fra l'altro non ho memoria di iniziative da parte di nessuna forza politica, nemmeno gli stessi Radicali, per rimodulare il concetto di quorum, concepito quando l'affluenza alle urne era oltre il 90% (1948) e non si aveva modo di prevedere che sarebbe sceso attorno al 60%. Cosa che rende praticamente impossibile che un referendum raggiunga il quorum. Anzi, a turno praticamente tutto il parlamento ha fatto propaganda per l'astensione, cariche istituzionali comprese. Il che probabilmente avrebbe fatto inorridire i costituenti, tutti.

    Esisterebbero molte formule possibili: il quorum potrebbe essere correlato all'affluenza alle ultime politiche (o media fra le ultime n politiche), potrebbe essere ricalcolato il numero necessario di voti 'Sì' in funzione dell'affluenza, con una formula matematica piuttosto semplice: se l'affluenza è x<50% la maggioranza non sarà piu del 50%+1 dei voti ma del (100-x)%, con un eventuale quorum minimo o altre formule correttive.

    Ma questo non interessa a nessuna delle forze politiche che da trent'anni si alternano al governo, perché nulla gli è più alieno e ostile della volontà popolare.

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  2. "Col prevalere di un sentimento di rabbia e frustrazione...e i chiari di luna che si preannunciano..."

    E' vero: il Venezia va in serie B ma c'è una spiegazione scientifica:

    TITLE: Hydrospatial Constraints and the Lack of Football Ability in Amphibious Urban Environments: A Case Study of Venice, Italy

    AUTHORS: Dr. Giovanni Passalacqua, Dr. Lucio Pantegan, Prof. Alberto Remengo
    Department of Applied Sportology, University of Impractical Studies, Venice, Italy

    Abstract
    Venice, a city renowned for its architectural beauty and aquatic infrastructure, has long been celebrated in the domains of art and tourism. However, its contribution to the realm of professional football remains conspicuously stagnant. This paper investigates the correlation between hydrospatial urban topography and footballing underperformance, postulating that the absence of traditional playing fields and the prevalence of canals are significant inhibitors to the development of local football skill. We propose a novel theory: the Hydrospatial Inhibition Hypothesis (HIH), which suggests that amphibious environments are fundamentally incompatible with terrestrial ball sports requiring flat, dry surfaces and directional predictability.

    References
    Del Piero, A. (2002). Why My Family Left Venice to Play Football.
    Journal of Dry Ground Athletics.

    FIFA (2020). Urban Constraints and Football: A Global Survey.

    Gondolini, M., & Ballone, T. (2019). Sporting Traditions of the Lagoon: Rowing Over Running.

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    1. Grande, Martino. Dove posso cercare il testo esteso, anche con paywall? Morvan.

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    2. Lo potresti trovare sul mio blog ma c'è un problema. E' un blog privato e lo possiamo leggere solo io e Allegra (la mia Beagke di undici anni).

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  3. Posso sapere che ne pensa lei Olympe?

    Art. 26, comma 4, D.Lgs. 81/2008: perché è giusto
    tornare alla versione originaria

    Il referendum del 2025 promosso dalla CGIL propone di
    abrogare una modifica introdotta nel 2021 all’art. 26,
    comma 4, del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro.
    Parliamo di quel passaggio che esclude la responsabilità
    del committente per i cosiddetti “rischi specifici” delle
    imprese appaltatrici.

    Ma cosa significa davvero?

    Significa, in pratica, che il soggetto che sceglie e
    coordina le imprese esecutrici non risponde se il
    lavoratore si infortuna a causa di un rischio “tipico” del
    mestiere. Un limite grave alla responsabilità solidale, che
    mina la coerenza del sistema e indebolisce la
    prevenzione.

    Tornare al testo originario del 2008 non è un passo
    indietro, ma un atto di giustizia preventiva: responsabilità
    condivisa, controllo reale della filiera, tutela effettiva del
    lavoratore. Nessuna zona grigia, nessuna
    deresponsabilizzazione.

    Serve un modello che premi la qualità delle imprese e la
    serietà dei committenti. E la responsabilità, in tema di
    sicurezza, non è un peso: è un dovere di civiltà.

    #Referendum2025

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    1. Chi ha introdotto la modifica nel 2021?

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    2. Lo so che siamo in presenza di contraddizione. Prima mettono poi vogliono abrogare.
      Io personalmente non voterò però molti dicono che abrogando quelle modifiche ci sarà un guadagno per i lavoratori.
      Altri dicono che se il quorum sarà oltre il 50% I sindacati prenderanno milioni in rimborsi.

      Cari saluti!

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