Per la terza volta da quando la tecnologia ha permesso un’osservazione accurata del cielo, i telescopi hanno individuato un oggetto interstellare in transito nel nostro sistema solare. Il nome dato a questo misterioso ospite di ghiaccio e polvere che affascina astronomi e procacciatori di UFO è 3I/ATLAS.
Una cometa non è un asteroide. Non è solo un pezzo di roccia proveniente da una vecchia collisione nello spazio; è un nucleo fatto di ghiaccio e polvere, noto per allungarsi in una chioma bluastra man mano che si avvicina al Sole, sublimando il suo ghiaccio in gas. Le comete spesso provengono da molto lontano: dalla Fascia di Kuiper, molto vicina a Nettuno, o dalla Nube di Oort, ancora più lontana, per esempio. Ma 3I/ATLAS ha un’altra storia, ancora più lontana, poiché è una cometa interstellare che di cose ne ha viste parecchie.
Da quando abbiamo la tecnologia adatta per osservarli, solo altri due oggetti interstellari, prima di 3I/ATLAS, provenienti da oltre il nostro sistema solare, ci sono noti. Il primo visitatore non nato nel nostro sistema è stato individuato nel 2017, ed è passato tra il Sole e Mercurio. Gli è stato dato il nome di Oumuamua, e qui nel blog ne ho già parlato (basta fare un “cerca”). Due anni dopo, Borisov ha sfiorato l’orbita di Marte, e ora 3I/ATLAS si è silenziosamente infilata tra l'orbita terrestre e quella di Marte.
Forse ce ne siamo un po’ dimenticati grazie alla fantascienza e alle battaglie intergalattiche, ma il primo visitatore non nato nel nostro sistema rimane un evento raro. Nel 2017, Oumuamua è passata tra il Sole e Mercurio. Due anni dopo, Borisov ha sfiorato l’orbita di Marte, e ora la cometa 3I/ATLAS si è silenziosamente infilata tra l’orbita terrestre e quella di Marte.
Sempre se si tratta di una cometa e non di qualcos’altro, poiché si sono levate grida di “fallimento scientifico”, di “cometa misteriosa”, di “regole del sistema solare infrante” e l’immancabile arrivo di “tecnologia aliena”.
Da dove deriva questa smania, questo desiderio fortissimo di contatto con una dimensione aliena? Forse la risposta è semplicistica, ma penso che anche in tal caso vi sia una forte connessione con i fenomeni connessi alla dimensione metafisica e dunque con le credenze religiose e i relativi surrogati.
Torno subito alla realtà. Fin dalla sua scoperta, avvenuta il 1° luglio attraverso l’obiettivo di un osservatorio cileno, gli astronomi di tutto il mondo hanno rivolto la loro attenzione alla cometa. L’attenzione si è estesa anche a Marte lo scorso ottobre, dove i rover sono riusciti a catturare immagini di 3I/ATLAS mentre passava nel punto più vicino al Pianeta Rosso, a circa 29 milioni di chilometri di distanza, un’inezia.
L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) descrive l’oggetto come una sfera bianca brillante con pixel leggermente sfocati che si muovono a singhiozzo. Ciononostante si è riusciti a estrarre una grande quantità di informazioni. La cometa si muove rapidamente, a circa 60 chilometri al secondo, come sulla Cristoforo Colombo nelle gare notturne tra bolidi terrestri, e non è perfettamente simmetrica nel campo visivo, che è ciò che ci si aspetta da una cometa.
Nel frattempo, alla NASA, sono state catturate altre immagini, che hanno ulteriormente affinato la singolarità e la miriade di stranezze che accompagnano l’oggetto (che qui ometto di raccontare perché non voglio rovinare un giorno di festa agli eventuali lettori giunti fin qui). Come previsto, di fronte a ciò che appare ignoto, gli appassionati di alieni e i procacciatori di UFO si stanno entusiasmando. Avi Loeb, uno di loro, professore di astrofisica ad Harvard, inonda da mesi i social media di teorie extraterrestri. Lo aveva già fatto nel 2017 con Oumuamua, prima di essere smentito dai fatti. Quanto al caso 3I/ATLAS, la sua teoria ora si aggrappa alla probabilità: il 40%, dice. Un 40% di probabilità che la cometa non sia una cometa, ma un oggetto inviato da un’intelligenza aliena.
In definitiva, è così che funziona nelle scienze dei “grandi misteri”, come la cosmologia o la fisica quantistica: poiché non possiamo essere certi che una proposizione teorica sia vera o falsa, ci immergiamo nei calcoli di probabilità per quelle stesse teorie. In meccanica quantistica, questo si traduce in: quali sono le probabilità che un fotone sia contemporaneamente un’onda e una particella?
I fisici adorano i concetti che valgono indistintamente per tutto, e quindi per niente in modo specifico. Credono in questo modo di fare una scienza superiore, mentre si elevano nel cielo terso delle astrazioni pure. Simmetria, supersimmetria, rottura della simmetria: sembra di tornare all’esoterismo. Ma quando rimettono i piedi per terra e devono spiegare la faccenda in maniera più concreta, sono costretti ad arrampicarsi sugli specchi, anzi, sugli “schermi”.
La distribuzione degli eventi quantistici è completamente determinata dalle equazioni della teoria, ma gli eventi singoli non lo sono. Per esempio, la teoria non predice il punto di uno schermo che il singolo fotone andrà a colpire dopo essere passato attraverso un foro; a poter essere determinata con precisione è solo la distribuzione di un gran numero di impatti.
Che è cosa è rilevante per la conoscenza? Il comportamento inevitabilmente casuale di un singolo fotone o il comportamento conseguentemente necessario di un fascio di fotoni? Proprio a tale riguardo Einstein – che si dice eufemisticamete avesse un “rapporto complesso” con la meccanica quantistica – pronunciò la celebre frase: Dio non gioca a dadi! Una fisica di matematici costretti ad ammettere l’azione del caso senza però essere consapevoli della necessità ad esso dialetticamente connessa.