martedì 30 gennaio 2024

L’aldilà è tra noi

 

Tempo fa un lettore mi chiedeva di stare “sul pezzo”. Ma come si fa in questa situazione? Ho il cuore debole e l’animo delicato, io. Che cosaltro si può dire di peggiorativo su questo governo osceno che già non si potesse addebitare a quelli precedenti? Che sono fascisti, ma questo già si sapeva pur facendo finta di niente. O che dire di tutte le furfanterie che si combinano tra Washington, Bruxelles, Berlino, Parigi, Tokyo, Tel-Aviv, Kiev, Teheran, Mosca, Pechino e Trebaseleghe?

Con questo freddo che mimpedisce la passeggiata devo pur ciabattare sulla tastiera. Quindi meglio parlare di “quantistica”, oppure buttarla in religione e Madonne, come fa il dottor Benigni.

I preti sono disperati: nessuno crede più alle loro stronzate. E chi lo fa, è per meglio servire i propri interessi. Per Benigni il passaggio da Berlinguer alla Vergine Maria è stato facile, del tutto naturale. Del resto anche Dante era cattolico. Se di destra o di sinistra sarà sempre tema di inesausta diatriba.

In Europa abbiamo dimenticato cosa vuol dire vivere sotto il giogo delle leggi religiose, ma tendiamo anche a dimenticare che alcuni paesi, come l’Italia, non sono affatto laici, sebbene siano secolarizzati nei fatti. Proprio ieri pomeriggio, ascoltando una telefonata in vivavoce, vengo a conoscenza di cose che mi riguardano, anche se risapute ad vomitum.

Una mia parente è stata esclusa, con un pretesto, dalle elezioni del consiglio pastorale della parrocchia perché, appunto, mia parente (i parenti in genere non si scelgono). Temono forse che possa scatenare una jacquerie parrocchiale? No, semplicemente loro non possono avere rapporti con una parente del demonio! Non frega un cazzo a me, però il clima è questo. Per qualche istante, quando capita, vorrei disperatamente prenderli a calci in bocca questi infami ogni volta che aprono il culo per sparlare.

Questi cialtroni ci permettono di ricordare come la Chiesa cattolica sia, come tutte le religioni, reazionaria, oscurantista e totalitaria. Ciò che percepiamo come eccessi, posizioni scandalose e arcaiche difese di pochi estremisti di retroguardia, sono in realtà gli elementi di un programma politico ancora in vigore (l’anticomunismo in primis), e che tale resterà per i secoli a venire, così sia. Quello di un’istituzione che ci racconta favole da più di duemila anni e ha un solo obiettivo: stabilire regole immutabili – la parola divina è eterna, come lo sono i suoi dogmi – per esercitare un potere il più assoluto possibile sulla società che intende controllare.

Poiché le società occidentali hanno potuto, grazie ai filosofi dell’Illuminismo che diffusero le loro idee in (quasi) tutta Europa (in realtà la prorompente borghesia), e soprattutto attraverso le idee e le lotte dell’antagonismo sociale, liberarsi, in varia misura, dal peso delle religioni, noi tendiamo a immaginare che il cristianesimo sia definitivamente secolarizzato. Ma non si è mai arreso e non si arrenderà mai, anche se sembra impallidire di fronte a un islam aggressivo che sta conquistando il pianeta. La risposta della Chiesa ai tiepidi sviluppi scaturiti dal Concilio Vaticano II, aperto da Roncalli e concluso da Montini, è stata l’elezione di un reazionario come Wojtyla, fiero e combattivo, culo e camicia con l’Opus Dei; quindi gli successe il Pastore Tedesco, tutta dottrina e copertura pedofila.

Oggi, nel contesto di un pontificato percepito da molti come progressista, certe posizioni che contestano Bergoglio possono apparire anacronistiche (ho già scritto giorni fa che non c’è nulla di così anacronistico che non possa ripetersi). L’anacronismo è invece papa Francesco e le sue presunte “riforme”, gesuitiche, che, appena passerà anche lui ad patres, saranno sepolte con i suoi pochi vani e molto laterali tentativi di “modernizzare” una religione che, in sostanza, si è sempre rifiutata di farlo. E vedremo chi gli succederà con questi chiari di luna!

Siamo tutti quantistici

 

Viviamo in un momento storico in cui i confini tra pensiero razionale ed infatuazioni esoteriche stanno diventando, per molti, sempre più sfumati. È vero che persino Frederich Engels dovette occuparsi, suo malgrado, dello spiritismo, in gran voga alla fine dell’Ottocento, ma si pensava che qualche passo avanti si fosse fatto. E invece i ciarlatani sono sempre in aguato, anzi proliferano come non mai.

Una mia parente, in un “ambulatorio” di una cittadina del Veneto, si è sottoposta a una terapia “fotonica” (i fotoni entangled). A colpi di 180 euro a seduta. I ciarlatani traggano ispirazione da fenomeni scientifici come l’energia o le onde. Sta diventando di moda la parola “quantistico”. Un argomento di marketing in vari campi esoterici come la “medicina quantistica” o la “psicologia quantistica”. Parole pseudo-mediche senza senso reale.

Questa parola (quantistica) per alcuni apre orizzonti filosofici vertiginosi, per altri serve a vendere vento. Dire bugie per vendere è una pratica comune, che trova riscontri in qualsiasi scaffale di supermercato o farmacia. Senza intraprendere un corso di fisica (non ho titolo), possiamo usare un paio di semplici nozioni e alcune metafore per farci un’idea. La fisica quantistica è un campo scientifico sviluppatosi all’inizio del XX secolo e che riguarda l’infinitamente piccolo, alla scala delle particelle che costituiscono la materia.

La parola deriva dal latino quantum, cioè “quantità”. Immaginiamo di acquistare, ad esempio, del caffè. Puoi scegliere il confezionamento: sfuso o in pacchetto (c’è ancora chi lo vende sfuso). In una confezione avremo necessariamente dei valori precisi: 150 g, 200 g, 500 g, ecc. Ebbene, su scala particellare, gli scambi energetici avvengono in pacchetti. Non sembra molto, eppure è ciò che sembra rivoluzionare la fisica. Scopriamo così che il mondo dell’infinitamente piccolo è governato da leggi totalmente diverse da quelle conosciute a misura d’uomo.

Sappiamo che la materia è costituita da particelle, atomi o elettroni. Per molto tempo le abbiamo immaginate come una sorta di piccole biglie. La fisica quantistica ha capovolto tutto. Dimostra che su scala particellare gli “oggetti” possono essere contemporaneamente di due diverse nature: sia onda che particella. La particolarità dell’oggetto quantistico è che può trovarsi in diversi stati (si parla di livelli di eccitazione energetica) contemporaneamente.

Procediamo con la metafora del pallone da calcio: è come se il nostro pallone fosse fermo e in movimento! Su scala quantistica, le particelle possono anche trovarsi in due posti diversi contemporaneamente. Due particelle possono essere “entangled”, tanto che anche dopo essersi allontanate, se una agisce in un certo modo, anche la seconda, come fosse “imbrigliata” con la prima, si trasforma istantaneamente. Immaginate due palloni “entangled”, piazzati in due stadi di calcio, uno in Italia, lo stadio Maradona, l’altro negli Emirati, lo stadio Al-Maktum: calciare un rigore in rete a Napoli farebbe fare gol anche al pallone a Dubai. E se la VAR decidesse di far ripetere il tiro, il risultato sarebbe sempre il medesimo nei due stadi.

Pare sia stato proprio in relazione a questo fenomeno che il solito Einstein avrebbe scritto in una sua lettera che “Dio non gioca a dadi” (che c’entra dio? a me gli agnostici fanno girare le scatole più che i preti). Siamo d’accordo sul fatto che le cose non stanno così nel mondo che ci circonda. Da qui questo sorprendente paradosso: siamo fatti di particelle che obbediscono alle leggi quantistiche, ma non siamo assolutamente quantistici sulla nostra scala. Mah. Tuttavia, la fisica quantistica non è solo un’idea.

Siamo disposti ad ammettere che una crema di bellezza agisce sulle cellule, e quindi sulle molecole. Ma questo non basta per affermarsi “quantici”. Qualsiasi reazione chimica provoca modifiche molecolari e quindi quantistiche. Per questo motivo, con il pretesto che la digestione agisce sulla chimica dello stomaco, qualsiasi pizzaiolo potrebbe vantarsi di fare una pizza quantistica! Dovrebbero avere un grande senso dell’umorismo, tuttavia c’è gente, tanta gente, che non si fa scrupoli per vendere qualsiasi cosa (anche armamenti).

Gli abusi dei concetti scientifici esistono da molto tempo, pensiamo solo all’omeopatia e in molti altri settori. Innanzitutto nel settore pseudo-medico, alla ricerca di tutte le nozioni scientifiche che permettono di ingannare il paziente. Da questo universo oscuro apprendiamo che “la medicina quantistica ritiene che la ragione fondamentale per ammalarsi sia la diminuzione del numero di elettroni esterni ai nuclei degli atomi” e che “è possibile, attraverso la lettura dell’universo quantistico, determinare il comportamento delle cellule del corpo”, quindi potere di autoguarigione, possibilità di entanglement per promuovere cambiamenti di stato.

Le persone in cerca di benessere fisico, mentale o spirituale scopriranno che “la psicobiologia quantistica “dimostra” che le leggi della fisica quantistica si applicano sulla nostra scala e che possiamo sentire, comunicare, utilizzare la sostanza vitale dell’universo” e che “localizzando la conoscenza nella cellula, la psicobiologia quantistica progetta il modello di un universo organico cosciente”.

E non è finita. Esistono anche l’”ipnosi quantistica”, i “tarocchi quantistici”, la “chiaroveggenza quantistica”, eccetera. I cosiddetti dispositivi di “biofeedback quantistico”, che promettono di agire sulle “onde vibrazionali” del paziente, utilizzando “tecnologie quantistiche e bioenergetiche” per “sfruttare la enorme capacità di autoregolazione del corpo umano”, come quel tale “analizzatore di risonanza magnetica quantistica che consente un equilibrio energetico vibrazionale”. Paga e ti sentirai meglio (forse).

A dare una mano ai ciarlatani e truffatori anche degli scienziati: il fisico Wolfgang Pauli riteneva che la conoscenza della fisica quantistica “rivela una situazione che trascende la scienza”. Oppure Erwin Schrödinger, che si basò sulla fisica quantistica per formulare l’ipotesi di una “coscienza dell’universo”. Del resto la fisica teorica è intrisa di idealismo. Anzi, poggia su tale architrave.

Senza dimenticare Fritjof Capra, anch’egli un fisico, che nel 1975 pubblicò Il Tao della fisica, un best-seller di Adelphi considerato una pietra miliare fondativa del “misticismo quantistico”, che pretende di stabilire collegamenti tra questa disciplina e le filosofie orientali. Altri capolavori li trovate per i tipi di Rizzoli, Feltrinelli, eccetera.

Il delirio quantistico non risparmia le scienze economiche, perché “per progettare strategie più efficaci, i professionisti del marketing possono adottare un nuovo approccio utilizzando i principi della fisica quantistica”. Questo business pseudo-quantistico porta un sacco di soldi, che non hanno nulla di quantistico poiché sono annidati nei conti bancari dei ciarlatani e da nessun’altra parte. La quantistica ti fa sognare, ai professionisti del marketing bastano i tuoi soldi.

C’è poco da ridere, con altri metodi e in altri settori, tipo il cibo, la promessa politica, l’abbigliamento e la moda, l’arte e cultura, ci facciamo ingannare quotidianamente. La pubblicità stessa è ingannevole per definizione. Già dal modo su come viene ripreso da una videocamera o fotocamera un oggetto. Le camere degli alberghi, per esempio, sono tutte più spaziose, luminose e confortevoli di come sono in realtà. È un esempio banale, ma ciò vale per qualsiasi prodotto o servizio offerto, compresi corsi di formazione e robe così.

Che dite, voi non vi fate fregare dalla réclame?

lunedì 29 gennaio 2024

Oppenheimer e la produzione di armi di distruzione di massa

 

Ho visto il film Oppenheimer, scritto e diretto da Christopher Nolan, interpretato da Cillian Murphy. Ha ottenuto un notevole successo di pubblico, ed ognuno vi avrà capito ciò che ha voluto e soprattutto quello che ha potuto. Il mio giudizio sintetico potrebbe ridursi alla celebre battuta fantozziana a riguardo del capolavoro di Ejzentejn, ma volendo essere meno tranchant dirò che si è trattato di una occasione mancata, anche se lo scopo del film non era quello di far comprendere al grande pubblico i retroscena della sfida atomica tra le grandi potenze.

sabato 27 gennaio 2024

Perché Netanyahu non sarà mai giudicato all'Aja

 

Tel Aviv sostiene che la Corte penale internazionale dell’Aja è un “tribunale antisemita”. Chiunque di questi tempi si opponga a ciò che sta avvenendo a Gaza è antisemita. Opporsi al sionismo è la massima espressione dell’antisemitismo. Almeno questa è l’opinione, anzi il giudizio, dei criminali del governo israeliano, dei capi delle forze armate israeliane, dei loro complici sionisti, che stanno attuando un’operazione militare che ricorda molto da vicino i misfatti della Wermacht a Varsavia.

Che Gaza sia assimilabile a un ghetto non ci sono dubbi; che la sua popolazione venga cacciata, bombardata e sterminata, è un fatto. Che questi e altri fatti alienino simpatia e vicinanza per gli ebrei è un fatto grave, le cui cause però vanno ricercate non solo nella politica di Netanyahu, ma più in generale nell’atteggiamento del sionismo verso gli arabi. I quali, sia chiaro, non sono del tutto innocenti. Così come non sono innocenti i media occidentali e il loro doppio standard, quello di utilizzare una retorica disumanizzante che è servita a giustificare la pulizia etnica dei palestinesi.

Quanto alla Corte penale internazionale dell’Aja (CPI), rientrano sotto la sua giurisdizione i crimini di guerra: genocidio, crimini contro l’umanità e atti di aggressione (quest’ultimo reato solo dal 2018), ma non c’è da farsi illusioni sulla sua indipendenza. Il tribunale permanente ha sede all’Aja, è in funzione dal 2002, gli Stati Uniti – ma non sono i soli – non riconoscono: dopo aver firmato lo Statuto di Roma che istituita la CPI, appena essa è entrata in pieni poteri gli USA hanno ufficializzato la decisione di non ratificare l’adesione (*).

Il paradosso è che gli USA, pur non aderendo alla CPI, quando fa loro comodo vi si appellano. Come quando Antony Blinken, Segretario di Stato americano, il 23 marzo 2022 rilascia un comunicato nel quale affermava: «In base alle informazioni attualmente disponibili, oggi posso annunciare che il governo degli Stati Uniti ritiene che i membri delle forze armate russe abbiano commesso crimini di guerra in Ucraina». Alle dichiarazioni di Blinken fanno eco, pochi giorni dopo, quelle del presidente Biden, che definisce Putin un “criminale di guerra” e ribadisce la necessità di raccogliere informazioni “per poter istituire un processo per crimini di guerra” nei confronti delle forze armate russe.

Bene, s’indaghi sugli eventuali crimini russi ma anche su quelli ucraini. Il Procuratore della Corte dell’Aja, Karim Khan – assistito da uno staff di circa 380 persone –, annunciava di voler aprire un’indagine in Ucraina “il più velocemente possibile” a causa dell’intensificarsi del conflitto, specificando di poter “accelerare ulteriormente le cose” se uno Stato membro gli avesse garantito il mandato per investigare. Due giorni dopo, 39 Stati membri – tra cui l’Italia – segnalava al suo Ufficio la situazione in Ucraina.

Il punto fondamentale è questo: come procede il Procuratore in simili casi? Avvia le indagini, e una volta raccolte prove sufficienti per procedere all’incriminazione, chiede ai giudici della sezione preliminare di emettere un mandato di comparizione o di arresto (se lo ritiene necessario) nei confronti del sospettato, e conduce infine l’accusa durante il dibattimento. L’articolo 63 dello Statuto di Roma prescrive che il processo non può svolgersi in absentia della presenza dell’imputato: a questo scopo la CPI si rimette all’obbligo di cooperazione che investe gli Stati membri, non beneficiando di una forza di polizia propria.

Inoltre, l’articolo 98 dello Statuto stabilisce che la CPI non può chiedere a uno Stato membro la consegna di un individuo di un Paese terzo se ciò lo porta a violare l’immunità personale e diplomatica di quel cittadino, riconosciuta dal diritto internazionale a capi di Stato o di governo, diplomatici o funzionari in missione all’estero (primo comma); oppure ad agire in maniera discordante rispetto agli obblighi stabiliti dagli accordi internazionali siglati con uno Stato terzo, in base ai quali il consenso di quest’ultimo è necessario per procedere alla consegna di un suo cittadino alla Corte (secondo comma). In termini generali: se il cittadino di un Paese che non riconosce la Corte dell’Aja viene imputato di aver commesso crimini sul territorio di uno Stato membro, che in quanto tale ha l’obbligo di cooperare con la CPI, l’articolo 98 offre la possibilità a quest’ultimo di non dare seguito all’obbligo.

Ma c’è dell’altro: per quanto riguarda il secondo comma, il testo non restringe il campo a un tipo specifico di accordo internazionale e non delimita il periodo temporale di applicazione, aprendo alla possibilità di influenzare l’azione della Corte anche con trattati successivi all’entrata in vigore dello Statuto.

In altri termini e concretamente. Per esempio gli Stati Uniti – che non riconoscono la Corte dell’Aja – a partire dal 2002 hanno siglato 93 accordi bilaterali (con altrettanti Paesi) con i quali precludono alle nazioni firmatarie dello Statuto della CPI la possibilità di consegnare personale militare, governativo o cittadini statunitensi alla CPI stessa.

Non è tutto. La possibilità per la Corte di mantenere fede al proprio obiettivo viene fortemente influenzata anche dalle decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che è un organismo politico. È previsto infatti che l’UNSC possa riferire una situazione alla CPI e richiederne l’intervento, con una risoluzione in base al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (minacce alla pace, violazioni della pace e atti di aggressione), anche nell’eventualità che il caso segnalato riguardi il territorio e i cittadini di uno Stato non membro.

Tuttavia tale potere di intervento, è limitato dal famoso diritto di veto in capo ai cinque membri permanenti – Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – che possono bloccare qualsiasi risoluzione. Va tenuto conto che Stati Uniti, Russia e Cina non riconoscono la Corte.

Pertanto, non vedremo mai un politico e militare russo, cinese e tantomeno statunitense davanti al tribunale dell’Aja. Né Netanyahu o qualsiasi altro responsabile di ciò che sta avvenendo a Gaza.

(*) Sono i tempi della guerra in Afghanistan e dell’“esportazione della democrazia” e, di lì a poco, del conflitto in Iraq. Ad agosto 2002 Bush promulga l’American Service-members Protection Act (ASPA), legge – ancora oggi in vigore – che prevede il divieto di cooperazione, di supporto finanziario e di assistenza alle indagini della CPI. Oltre ad autorizzare il presidente a usare “tutti i mezzi necessari”, inclusa la forza militare, per liberare cittadini americani o di Paesi alleati detenuti dalla Corte (definito informalmente “The Hague Invasion Act”, “Legge per l’invasione dell’Aja”! 


venerdì 26 gennaio 2024

Degenerati al potere

 

Mettendo un po’ d’ordine tra le mie carte, ho ritrovato una dimenticata recensione apparsa sull’inserto domenicale del Sole 24 ore del 26 novembre scorso, dal titolo assai suggestivo: Misfatti e segreti (sessuali) dei leader nazisti.

La recensione tratta di un libretto (così definito dal recensore) scritto da Arthur Kronfeld e ripubblicato da poco in Russia con il titolo che in italiano suona Degenerati al potere. Il testo – scrive il recensore Marco Filoni – «è arricchito da un’aurea introduzione di Alexander Etkind e si tratta di un libro che meriterebbe di essere letto qui da noi perché non riguarda soltanto la storia del Novecento».

Preso a cuore il suggerimento di Filoni ho quindi letto l’opuscolo scritto da Arthur Kronfeld.


Ebreo tedesco, psicologo e psichiatra nella Berlino degli anni 1920-’30, conosciuto come uno dei maggiori specialisti nel campo delle patologie sessuali, Kronfeld fu docente/assistente nel famoso ospedale universitario Charité, e uno dei fondatori dell’Istituto di sessuologia. Frequentatore dell’alta società berlinese, ebbe clienti soprattutto ricchi, che onoravano parcelle favolose per curare segretamente i loro scabrosi vizietti, tra i quali dominava l’omosessualità. «La fama l’ha portato nei tribunali come perito per i molti processi contro omosessuali», scrive il recensore Marco Filoni [*].

mercoledì 24 gennaio 2024

Non è un anacronismo

 

Avvertire oggi preoccupazione per il neofascismo a distanza di ottant’anni dalla caduta di Mussolini e del suo regime, dovrebbe essere un fatto fuori della realtà, del tutto anacronistico, un po’ come se negli Stati Uniti, ben dentro il XX secolo, vi fosse stata analoga e reale preoccupazione per un rigurgito del separatismo sudista. E però nel considerare i fatti quello nostro è tuttaltro che un anacronismo.

Se ciò avviene in Italia a riguardo del neofascismo (per quanto riguarda il neonazismo anche in Germania), gran parte della responsabilità politica è da attribuire alle forze della conservazione e della reazione, queste ultime mai dome nel cercare rivincita agendo dietro il paravento dell’estremismo; in altra parte, ciò è l’esito della sostanziale inerzia e negligenza della sinistra verso questo fenomeno lungo i decenni del dopoguerra, nei quali un antifascismo spesso allegorico si accontentava di intonare canzonette d’antifascismo apotropaico buone ad ogni effetto.

Che già nel 1946 fosse avvenuta la ricostruzione di un partito di ispirazione fascista, guidato da ex esponenti fascisti e monarchici, sostenuto da ex repubblichini e nostalgici, era un fatto alla luce del sole. La democrazia cristiana (e le forze interne ed esterne sue alleate) trovava utile mantenere alla sua destra un simile partito (ai cui voti, parlamentari e nelle amministrazioni locali, attingere in caso di bisogno); la sinistra trovava altrettanto utile avere un avversario, debole sul piano politico e del consenso, da agitare come spauracchio.

Per quanto poi riguarda la dinamica oggettiva, sociale ed economica, di questo ricorrente minaccia, bisogna ancora una volta inquadrare il fenomeno nella crisi dell’ordinamento borghese, ossia di un sistema liberale che regge solo quando tutto scorre bene per madama la marchesa e regna la pace sociale. Ciò è vero per il passato e anche per l’oggi in cui si assiste alla recrudescenza del fenomeno (ma ancora molti lo sottovalutano). Soltanto inquadrando il fascismo e il neo fascismo nelle sue cause strutturali, e dunque nella grave crisi politica e nella instabilità sociale, si può comprendere perché non solo l’Italia e l'Europa, bensì oggi anche gli Stati Uniti, diventino il terreno di ogni possibile avventura.

* * *

Recentemente è tornato in auge parlare di Renzo De Felice (1929-1996), storico del fascismo e noto soprattutto come biografo di Mussolini. Su Raistoria, non unica enclave televisiva dominata da Paolo Mieli, che di De Felice fu allievo, lo storico reatino viene presentato quasi (anche senza il quasi) come un perseguitato dalla “sinistra”. A tale riguardo credo sia utile riportare una breve citazione da un libro di cui raccomando la lettura sebbene sia stato pubblicato 25 anni fa (o forse proprio per questo!).

«C’è un punto sul quale occorre esser chiari. In Italia nessuno storico “revisionista” è stato messo al bando. La leggenda, ripresa recentemente da Sergio Romano, in base alla quale Renzo De Felice venne bandito e perseguitato, è addirittura risibile. Sbaglio o De Felice ricoprì per un ventennio prestigiose cattedre nell’Università “La Sapienza” di Roma, negate per il precedente trentennio a storici comunisti o soltanto di sinistra? Sbaglio o De Felice apparve per vent’anni sugli schermi televisivi della Rai in programmi nei quali poteva esercitare un diritto di veto nei confronti miei e di altri storici? E – infine – De Felice pubblicò i suoi lavori presso piccole case editrici o non invece con gli editori più prestigiosi in campo storico come Einaudi, Laterza è Il Mulino? Potrei proseguire, ricordando l’ostracismo decretato da De Felice e da alcuni dei suoi discepoli all’opera di tutti gli studiosi che non consentivano con le tesi riportate avanti dallo storico reatino, ma per ora mi fermo qui» (Nicola Tranfaglia, Un passato scomodo. Fascismo e postfascismo, Laterza, 1999. D’interesse, nello specifico, il capitolo Il “problema De Felice”).

Sembra il 2024

 

Perché così tante persone di sinistra hanno così poca voglia di seguire ciò che resta della sinistra? È senza dubbio difficile, e anche doloroso, condividere questa constatazione sullo stato del mondo con i media saturi di furore morale e di vanità, con giornalisti e politici che non smettono mai di pompare aria.

Gente che non ha nulla a che fare con il presente della classe media, che dicono essere il collante della democrazia. Gente che in tema di squilibrio tra il numero dei contribuenti e il numero dei pensionati pensa solo a tagliare le pensioni. 366 fottuti giorni che passeremo anche quest’anno a sentirci dire da questi esperti del buon senso che sono i salariati e pensionati la causa di tutti i mali.

Alle 21,45 ho spento. Alle due e trenta di questo radioso 24 gennaio avevo tra le mani un libro di tanti anni fa dalle pagine ingiallite.

L’avanzata della reazione, l’instabilità economica e politica, la crescente insicurezza dei lavoratori, le azioni eversive, le guerre coloniali, l’approfondimento delle contraddizioni del capitalismo nel contesto nazionale e nel quadro internazionale. Era il 1969. Sembra il 2024.

martedì 23 gennaio 2024

L'attualità di Lenin


Secondo i vari apologeti della borghesia, le classi subalterne, possedendo tutto ciò di cui hanno bisogno, non hanno più motivo per cadere nelle barricate e nelle rivoluzioni. Stiamo sempre più assistendo con i nostri occhi alla natura illusoria di tali affermazioni.

La sinistra parlamentare è immersa in un sonno profondo, in una crisi ideale, politica ed esistenziale irreversibile. Sia le classi medie che il proletariato più disperato, sentendosi traditi e senza più i tradizionali riferimenti, guardano verso la destra estremista, alla quale viene facile cavalcare il malcontento promettendo ciò che non potrà mantenere. È ciò un aspetto della necessità del presente, poiché la condizione sociale di queste masse ha loro conferito questo carattere e nessun altro.

Lenin ha dimostrato che l’imperialismo non è semplicemente una specifica politica borghese, ma rappresenta un processo oggettivo del capitalismo nel suo sviluppo. Gli appelli morali e la pressione sugli imperialisti affinché adottino politiche sociali più inclusive e più pacifiche non possono che generare illusioni. Le illusioni soggettivistiche di ieri, di oggi e di sempre.

La guerra è in premessa nella disputa tra potenze rivali. La prima guerra mondiale ha i suoi antecedenti nel ribaltamento delle alleanze dopo Bismarck, nell’ascesa industriale germanica, nella guerra russo-nipponica, nella lotta per la spartizione della “carcassa del turco” (vedi la guerra italo-libica, poi le guerre balcaniche), nella contesa tra Francia, Germania e Inghilterra per l’Africa, quella tra il Reich e la Gran Bretagna in tema di riarmo navale, eccetera. La seconda guerra mondiale iniziò ufficialmente nel settembre 1939, ma era iniziata prima (già a Parigi nel 1919), basti pensare a che cosa avvenne in Cina ad opera del Giappone, l’annessione della Cecoslovacchia e la corsa agli armamenti. E così anche la terza guerra mondiale è già iniziata, pur se le guerre locali non sono ancora collegate in un’unica catena mondiale di conflitti.

La crisi in Occidente e segnatamente negli Stati Uniti, centro dell’imperialismo mondiale, è estremamente avanzata. Le contraddizioni delle nostre società stanno scoppiato in tutte le loro cuciture. Oggi non c’è ancora alcuna forza politicamente organizzata a livello di massa, quale è stato il movimento socialista e comunista in passato, che possa prendere la direzione di una reale opposizione, né si vede in alcun luogo una leadership politica consapevole di ciò che realmente è in gioco. Ed è esattamente ciò che fa la forza e la fortuna del neofascismo.

Tutto ciò, in occasione del centenario leniniano, porta a riflettere ancora una volta sul ruolo dell’individuo nella storia, ricordando che sono gli uomini a fare la storia, e quindi le attività dei singoli non possono non essere importanti, specie laddove alcune personalità giungono ad occupare un ruolo centrale e addirittura decisivo nel processo storico ogni volta che agiscono con un alto grado di coscienza e in conformità con il processo storico oggettivo e le forze sociali. 

lunedì 22 gennaio 2024

L’enigma russo secondo il pensiero di “un buon politico per l’Italia”

 

Il Capo del Governo, Mussolini, al Cancelliere del Reich, Hitler.

Roma, 23 giugno 1941.

Nel nostro colloquio del 2 giugno al Brennero, Vi manifestai la mia opinione circa la Russia e Vi dissi che oramai una soluzione radicale si imponeva per sciogliere l’enigma russo: o l'alleanza militare o la guerra. Voi mi faceste comprendere che la prima eventualità era da escludersi poiché Stalin non avrebbe mai potuto dimenticare gli insuccessi della sua politica nel bacino danubiano- balcanico e coll’accordo con Belgrado stipulato all'ultima ora e straordinariamente reclamizzato aveva rivelato i suoi veri intendimenti; non rimaneva che la seconda soluzione e per questa non v’era che un problema: quello dell’epoca. Alla luce di quanto avete reso di pubblica ragione nei Vostri appelli al popolo tedesco, sono convinto che il rinviare ad altra epoca la soluzione oramai fatale e logica delle armi o il ritardare, sarebbe stato pericoloso per la nostra causa. Anche qui l’ascesso andava tagliato.

Mi rendo perfettamente conto che lunghe meditazioni hanno preceduto la Vostra decisione, poiché la guerra contro la Russia è - sopra tutto - una guerra contro lo spazio, ma a tutti coloro che ritorneranno su taluni precedenti storici, basterà ricordare che oggi lo spazio è vinto dai motori dei carri armati e degli aeroplani e dalla eccezionale capacità manovriera dei Vostri Generali e dei Vostri soldati.

[...] Il Signor Roosevelt non può - anche dichiarandoci formalmente la guerra - farci un male maggiore di quanto non ci abbia fatto sin qui. La dichiarazione di guerra avrebbe quindi lo scopo di sollevare il morale degli inglesi che è molto depresso, ma l’effetto di questo eccitante sarebbe di breve durata.

[A questo punto c’era nella minuta autografa la seguente frase poi soppressa sulla prima copia dattiloscritta: «Quantunque mi ripugni di scendere a dettagli di carattere personale, bisogna pur trovare drammatico il destino del mondo anglosassone che nell’ora più difficile della sua storia è affidato a un uomo colpito a 44 anni da paralisi infantile come Roosevelt e a un uomo notoriamente alcoolizzato quale il Churchill!»].

Proseguiva così la lettera del “buon politico”: «Prima di chiudere questa lettera, desidero, Fuhrer, [...] annunciarvi che il raccolto del 1941 è superiore a quello dell’anno passato. Non comunicherò la cifra al popolo, per non suscitare illusioni e rallentamenti nella disciplina dei consumi; la “Stimmung” [disposizione psicologica] del popolo italiano è ottima, come, Fuhrer, saprete anche da altre fonti. Soprattutto il popolo italiano è consapevolmente deciso a marciare sino in fondo col popolo tedesco e a sostenere tutti i sacrifici necessari per il conseguimento della vittoria».

L’Italia si considerò in stato di guerra con l’U.R.S.S. dalle ore 5,30 del 22 giugno.

Documenti diplomatici italiani, Nona Serie, vol. VII, doc. 299.

* * *
Il cancelliere del Reich, Hitler, al capo del governo, Mussolini.

Quartier Generale del Führer, 30 giugno 1941.

Consentitemi anzitutto di ringraziarVi cordialmente per la Vostra ultima lettera. Mi rallegro infinitamente che i nostri due punti di vista nelle grandi questioni concernenti il destino dei nostri popoli si identifichino così perfettamente [...].

La lotta, Duce, che ora si svolge da otto giorni, mi dà la possibilità di comunicarVi già ora, in poche linee, un quadro generale e di informarVi delle esperienze fatte.

La più importante constatazione che io ed i miei Generali abbiamo fatto è stata una che veramente ci ha sorpresi nonostante tutte le previsioni. Duce, se questa lotta non fosse avvenuta ora, ma anche soltanto pochi mesi o un anno più tardi, noi avremmo - per quanto possa essere terribile questo pensiero - perduto la guerra.

L’Armata Russa stava approntando uno schieramento di forze con mezzi che andavano molto al di là di quanto noi sapevamo o anche solo ritenevamo possibile. Sono otto giorni che una brigata corazzata dopo l’altra viene attaccata, battuta o distrutta, e nonostante ciò non si è rimarcata alcuna diminuzione del loro numero e della loro aggressività. È soltanto dal 27 giugno che noi abbiamo la sensazione che sopravvenga un alleggerimento, che l’avversario si abbatta lentamente e che appaiono localmente parziali manifestazioni di dissolvimento. Come gli inglesi con il carro armato di fanteria marca II, i russi han tirato fuori una sorpresa di cui purtroppo non avevamo alcuna idea. Un gigantesco carro armato [mod. KV 1] del peso di circa 52 tonnellate [in realtà 43 t], con un’ottima corazzatura di 75 mm., con un cannone da 5 cm. [76,2 mm.], e tre mitragliatrici [quattro previste]. Senza il nostro nuovo cannone anticarro da 5 cm. [il 5 cm PaK 38, oppure KwK 39 L/60 pure da 5 cm, impotenti contro il KV1 e poco efficaci contro il carro T34, sostituiti poi nella primavera 1942 dal Pak 40 da 75 mm, montati anche sul Panzer IV come Kwk 40], il cannone antiaereo da 8,8 [88 mm, il cannone di maggior successo] e le nuove granate anticarro della nostra artiglieria da campo, noi saremmo impotenti di fronte a questi mezzi corazzati che attualmente sono i più forti.

Io accetto con gratitudine la Vostra generosa offerta, Duce, di mandare un corpo italiano ed aerei da caccia italiani sul teatro bellico orientale. Che le nostre armate alleate marcino fianco a fianco proprio contro il nemico mondiale bolscevico mi sembra un simbolo della lotta di liberazione condotta da Voi, Duce, e da me.

[...]

DDI, cit., doc. 335. I dati tra parentesi quadre sono miei.

* * *

«La tragedia non è tanto che ci sia il fascismo; la tragedia è che ci sia il fascismo quando i fascisti sono tanto pochi. L’indifferenza, l’apatia, l’assenteismo – in tutti noi – sono forse peggiori del male» (Bruno Zevi (22-1-1918/9-1-2000), in un programma della National Broadcasting Compan, 1943). 

Danni da vaccini anti-Covid 19

 

Secondo un resoconto dei media tedeschi, a 467 dei circa 65 milioni di persone vaccinate contro il coronavirus è stato finora diagnosticato e riconosciuto un danno da vaccino. 11.827 persone hanno chiesto il riconoscimento dei danni causati dalla vaccinazione contro il coronavirus, ha riferito lunedì scorso il Neue Osnabrücker Zeitung, citando una richiesta alle autorità competenti in tutti i 16 Länder federali quattro anni dopo la conferma del primo caso di coronavirus in Germania.

Secondo il rapporto, in 467 casi le domande sono state approvate, cioè sono stati ufficialmente riconosciuti i danni alla salute causati da una vaccinazione anti-coronavirus. Con circa 65 milioni di persone vaccinate ciò corrisponde a un tasso dello 0,00072%. Più di 5.000 domande sono state respinte e 658 domande sono state respinte per altri motivi. 5597 domande non sono state ancora elaborate.

Secondo il Ministero della Sanità della Renania Settentrionale-Vestfalia, uno dei motivi dell’enorme arretrato di domande è la mancanza di valutatori. È anche problematico il fatto che “attualmente nella scienza medica le conoscenze sui collegamenti accertati tra le vaccinazioni contro il Covid-19 e i quadri clinici individuali siano incomplete”, ha detto un portavoce del ministero.

Per quanto riguarda l’Italia, secondo il 14° Rapporto sulla Sorveglianza dei vaccini anti- Covid-19 (27/12/2020 - 26/12/2022) dell’AIFA, l’ultimo disponibile in rete, le somministrazioni di vaccino (1-4 dosi) sono state 144.354.770; sospette reazioni avverse 140.595 (un tasso di segnalazione di 97 ogni 100.000 dosi somministrate); non gravi 83,1%; gravi 18,7%.

Legenda: Comirnaty (Pfizer-BioNTech); Spikevax (Moderna); Vaxzevria (AstraZeneca); Jcovden (Janssen); Nuvaxovid (Novovax).

In rete non ho rintracciato dei dati sul numero di richiedenti ed eventuali riconoscimenti per danni da vaccini anti-Covid-19.

La richiesta di risarcimento deve essere presentata entro tre anni, pena decadenza (Cass. 15353/2015), dal momento in cui si è avuta conoscenza del danno.

domenica 21 gennaio 2024

Viaggiando sull'Extraterrestrial Highway

 

Se non vi dice nulla il nome di Warm Springs, non preoccupatevi. Si tratta di una località senza alcuna importanza, ci dice Wikipedia. Si trova all’incrocio tra la Highway 6 e la State Route 375, conosciuta come Extraterrestrial Highway, e ha avuto a che fare, nella seconda metà dell’Ottocento, con un italiano, un comasco di nome Giovanni Fallini, di cui oggi una pronipote gestisce un grande ranch. Leggiamo:

«Il primo insediamento bianco a Warm Springs risale al 1866, quando fungeva da scalo per diligenze e altri viaggiatori. L’ufficio postale fu operativo dal gennaio 1924 al giugno 1929. Nel 1947, le sorgenti furono acquistate dai fratelli Fallini e fu riferito che Thomas Hurt gestiva le sorgenti da diversi anni. Mai più che un minuscolo insediamento, la popolazione di Warm Springs diminuì fino a diventare una città fantasma. Tutto ciò che restava era un unico lampione, una cabina telefonica e diverse capanne costruite su piscine riempite dalle sorgenti calde che danno il nome alla città.»

In realtà alla fine degli anni ‘70, funzionava ancora un parcheggio per roulotte insieme a un bar, un saloon e una stazione di servizio. Tuttavia si trattava di un posto davvero fuori dal mondo, nella Contea di Nye, che si trova a 105 km a nord di Las Vegas.

Warm Springs si trova al centro di una regione che comprende 28 aree geografiche numerate e sotto giurisdizione federale (Pentagono), per esempio: Area 2, Area 5, Area 11, Area 12, Area 25, Area 27, Area 52, ma anche la celeberrima Area 51, ufficialmente Homey Airport o Groom Lake.

venerdì 19 gennaio 2024

School business con i nostri soldi

 


Centinaia di milioni di euro alle università private e mezzi miliardi di euro ogni anno alle scuole private, che si fanno chiamare paritarie ma sempre private sono. Non richiamerò qui l’articolo 33 della costituzione, che tanto non serve a niente (in Francia hanno l’articolo 2 della legge del 1905, che sostanzialmente funziona).

Sostengono di offrire un servizio pubblico, non certo solo a scopo pedagogico. Anche la miriade di centri diagnostici e le farmacie e volendo anche i supermercati offrono un servizio pubblico, tuttavia ciò non toglie che scuole e università private beccano soldi pubblici. In aggiunta, si tratta di scuole prevalentemente cattoliche e dunque oltre alla “pubblica utilità” e al lucro aggiungono l’indottrinamento. Ci sarà da ridere un giorno, non troppo lontano, quando avremo anche da noi le scuole private parificate musulmane incentrate “nella conoscenza e nel rispetto della loro religione e cultura d’origine” (vi sono quelle ebraiche, non vedo perché non debbano esserci quelle islamiche).

Per quale motivo la scuola pubblica non sarebbe adatta agli alunni che frequentano le scuole private? Uno dei motivi è dato dal fatto che si tratta per l’appunto di una scuola laica! Un altro motivo, il principale, è quello che non si vuole una scuola realmente paritetica per tutti, si punta a una scuola differenziata, di classe.

Le scuole private, prevalentemente confessionali, fanno pagare alle famiglie degli studenti rette sostanziose. Fanno anche affidamento su donazioni private, da persone fisiche o giuridiche. E per incoraggiare queste donazioni hanno un argomento forte: l’esenzione fiscale (la chiamano “ottimizzazione fiscale”). Per quanto riguarda i legati (trasmissione testamentaria di tutto o parte del patrimonio), sono completamente esenti dall’imposta di successione. Abbastanza per ottenere un grande successo presso una parte della popolazione, che preferirà fornire fondi a queste istituzioni piuttosto che pagare le tasse alla comunità.

Insomma, siamo alle solite. Il finanziamento dello Stato alla scuola e università private è un fatto che risale indietro di decenni. Pertanto il problema non è che cosa fa o non fa, che cosa dice e non dice, questo governo di fascisti e reazionari. Il problema è storico e riguarda la sinistra europea in generale e quella italiana in particolare: che cosa ha fatto e non fatto in oltre un secolo, sia quando approvava i crediti di guerra, sia quando nel secondo dopoguerra è stata al governo, e così via.

Vorrei ricordare, a titolo di esempio storico, che la famigerata amnistia Togliatti per i criminali fascisti, fu promulgata il 22 giugno 1946, pochissimi giorni dopo che De Gasperi aveva assunto le funzioni di capo provvisorio dello Stato (12 giugno), ma già prima di questa autoinvestitura, il ministro di grazia e giustizia Togliatti aveva presentato il decreto di amnistia alla firma dell’allora luogotenente Umberto II, il quale si rifiutò di firmare perché, dopo il referendum, che preventivava dover essere favorevole alla monarchia, voleva intestarsi il merito del provvedimento (Davide Conti, Gli uomini di Mussolini, p. 144).

Tutti mostrarono una gran fretta nel voler reintegrare i fascisti, ivi compresi coloro che si erano macchiati di gravi crimini.

Mentre si stavano disarmavano i partigiani, il Partito comunista italiano prendeva soldi dagli industriali del Nord compromessi con il fascismo, e i vertici del partito erano a conoscenza che gruppi di anticomunisti e monarchici stavano ricevendo armi e finanziamenti, che costituivano gruppi e bande armate che svolgeranno un determinato ruolo nella successiva storia della Repubblica (vedi, tra gli altri: Nicola Tranfaglia, Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani 1943- 1947).

Nel 1948 gli organi di sicurezza italiani stimarono le forze anticomuniste mobilitabili in Italia in 160.000 aderenti al MSI (di cui 50.000 organizzati e armati); 50.000 armati più altri 100.000 armabili appartenenti allECA (Esercito clandestino anticomunista); 10.000 uomini armati dell’AIL (Armata italiana di liberazione, della quale, secondo il questore di Roma, Ciro Verdiani, avrebbero dato la loro adesione gli on.li De Gasperi, Romita, Gasparotto, nonché notevoli personalità dell’esercito alleato); 20.000 effettivi dei FAR (Fasci d’azione rivoluzionaria), collegati con ex militari della X Mas, delle Brigate nere e delle SAM (Squadre d’azione Mussolini); 5.000 uomini armabili del FUA (Fronte unico anticomunista). Queste strutture, tranne il MSI, facevano capi a uno Stato Maggiore di stanza a Roma denominato Esercito nazionale anticomunista (ENA). 

Pochi mesi dopo l’entrata in vigore della nuova costituzione repubblicana, i fascisti presentarono il loro partito alle elezioni del 1948, e già erano stati determinanti nel 1947 per l’elezione del sindaco di Roma. Nessuno mosse un dito. 

Intanto, ieri, la Cassazione ha sdoganato di fatto il saluto romano. Tra non molto i fascisti di governo celebreranno lorgoglio fascista. Lhanno già messo in calendario!

giovedì 18 gennaio 2024

Esempi banali

 

Siete per la procreazione post mortem? Se è così, siete moderni; altrimenti siete dei vecchi idioti. Lasciate che i vostri figli giochino sui loro tablet e smartphone fino alle 3 del mattino? Se è così, siete al passo con i tempi; altrimenti siete dei retrogradi. Sei favorevole a che Indiana Jones venga interpretato da una donna? Se è così, sei moderno; altrimenti sei un vecchio stupido. Siete favorevoli alla sostituzione del vostro medico di famiglia con le consultazioni su Internet? Se è così, siete moderni; altrimenti non capite un cazzo.

Queste domande, che apparentemente non legano tra loro, hanno tuttavia una cosa in comune, quella di mettere in discussione la nostra visione della modernità, o almeno quella che ci viene presentata come tale. Esempi banali, che però rappresentano ciò che ci angustia e che trova una facile sponda politica nella destra, che su queste cose ci sguazza.

Le nostre risposte (in pubblico) a queste domande sono in realtà influenzate dal nostro segreto desiderio di non sembrare degli sviati. Per evitare di essere definiti vecchi tromboni reazionari, siamo incoraggiati ad esprimere l’opinione più moderna e progressista possibile, quando in realtà vorremmo gridare tutta la nostra rabbia contro questa cianfrusaglia.

Non è quasi più possibile, per esempio, vedere un film che non rappresenti supereroi di tutte le identità, bianchi, neri, gialli, etero, LGBT+++, ognuno più stupido dell’altro. Cureremo il nostro cancro all’utero o alla prostata con tutorial fantastici e le edicole si trasformeranno in negozi di semi biologici. I ragazzi prenderanno tutti la maturità a 15 anni per evitare, poverini, un esaurimento nervoso e una psicanalisi trentennale.

Abbiamo il diritto di prendere l’aereo per andare in vacanza a Bali a patto di piantare tre gerani sul nostro balcone per compensare l’impronta di carbonio, salvo andare in pensione a 75 anni con 500 g di microparticelle di plastica nel corpo e mezzo litro di pesticidi nei testicoli. Tutti i leader del mondo saranno donne divorziate con tatuaggi sulle braccia o dove piace di più, e solo gli omosessuali potranno sostenere la propria squadra sugli spalti degli stadi di calcio con striscioni iper rispettosi degli altri. La modernità 4.0 ci ha raggiunto. Non abbiamo più alcuna scusa per voler rimanere dei vecchi sciocchi.

Provate a parlarne con gente che la pensa come Elena Schlein, che si fa chiamare Elly. O con la signora Cortellesi, che, montata sulla panca, psicanalizza Biancaneve e i suoi nani. Questo approccio alla contemporaneità è incarnato da quella che passa per essere la sinistra. Come meravigliarci, per contro, che degli analfabeti reazionari vendano un libro a decine di migliaia di copie prendendo a pretesto il disgusto per la spazzatura avvallata della sinistra? Torno a ripetere (sempre per ciò che vale): il problema, in radice, non è la destra.

martedì 16 gennaio 2024

Le parole in più

 

Questa nostra società è un dipinto di Brueghel, sempre sul crinale tra il sublime e il ridicolo, tra lo scioccante e il grottesco. Lo spettacolo è prodigioso: tanto spalancato quanto affascinante, tra poltiglia e cortocircuito. Il blablabla, il colesterolo del giornalismo televisivo. Questo narcisismo selvaggio, come non bastasse quello degli ipnotizzatori professionisti. E il godimento aspro e senza illusioni morali e sentimentali di chi guarda e ascolta. Eh sì, non possiamo chiamarci fuori, siamo parte del teatro di stupidità e crudeltà. Tutti sappiamo bene che le parole si vendicano dell’inutilità in cui le immergiamo, e possono ferire e a volte uccidere. Come il silenzio. Anche il silenzio può uccidere. Le parole però di più, molto di più. Guardiamo bene al mattino nella nostra tazza di caffè, di tè o di altro, potremmo trovarci alcune gocce di sangue.

lunedì 15 gennaio 2024

Obbedire, servire e comprare

 

Ho scritto ciò che segue un po’ per rabbia contro certo romanticismo economico che tende a dimenticare che il capitalismo non cambia e non cambierà mai pelle, dunque a margine di un articolo comparso sull’inserto domenicale del Sole 24ore dal titolo: La paradossale illusione delle aziende woke, recensione a un librone di 314 pagine di tale Carl Rhodes che sostiene che la moralità aziendale minaccia la democrazia. Andatevene a fare in culo sarebbe stato il commento più giusto e adeguato, tuttavia devo pur scrivere qualcosa con questo freddo.

Nulla è più falso di tutta l’ipocrita retorica delle classi possidenti, che affermano esservi nell’attuale ordinamento sociale diritto e giustizia, eguaglianza dei diritti e dei doveri e una generale armonia degli interessi. L’attuale società si presenta, nella sostanza nel più classico dei modi, come una grandiosa istituzione per lo sfruttamento dell’enorme maggioranza del popolo a opera di una piccola minoranza proporzionalmente sempre decrescente.

Rispetto alle società precedenti, laddove l’arricchimento dei proprietari di schiavi o dei signori feudali avveniva sfruttavano il lavoro servile, in quella attuale è diversa solo la forma con cui avviene l’appropriazione del lavoro non pagato. È sempre bene ribadire questo e altri concetti simili, specie in tempi della malora come questi.

La differenza tra lo schiavo dell’epoca antica e il salariato moderno risiede nel fatto che la continuità del rapporto fra schiavo e schiavista era assicurata dalla costrizione diretta di cui lo schiavo era vittima. Il lavoratore libero è invece costretto ad assicurarla egli stesso, poiché l’esistenza sua e della sua famiglia dipende dal continuo ripetersi della vendita ai capitalisti della propria capacità lavorativa.

Per quanto la si voglia menare sulle sorti magnifiche e progressive del capitalismo, la sua realtà, per quanto riguarda lo sfruttamento e l’estorsione della ricchezza prodotta dai lavoratori salariati, è rimasta immutata e nulla, qualunque estensione tecnologica il capitale riuscirà ad escogitare per risparmiare tempo di lavoro, potrà cambiarla.

Tutta la vita del salariato moderno viene ad essere trasformata in un mezzo per vivere, poiché solo il lavoro che egli svolge può garantirgli la sopravvivenza, e a volte il suo solo lavoro nemmeno gli basta. Solo in quanto gli è permesso di lavorare, solo in quanto lavora per un certo tempo gratuitamente per il capitalista (e quindi anche per quelli che insieme col capitalista consumano il plusvalore), gli è permesso di vivere!

La sua attività vitale è dunque per lui soltanto un mezzo per poter vivere. Egli lavora per vivere, non calcola il lavoro come parte della sua vita: esso è piuttosto un sacrificio della sua vita. Esso è una merce che egli ha aggiudicato a un terzo. La vita incomincia per lui dal momento in cui cessa questa attività, ossia a tavola, al banco dell’osteria, nel letto.

E però la pervasività dell’economia capitalistica s’è fatta tale che sfrutta tutti i bisogni del lavoratore che servano all’accrescimento del capitale, proponendogli surrogati di “vita”, precipitandolo nel più vieto consumismo e a un livello della più profonda degradazione. Anche il suo tempo disponibile viene a prestarsi per l’autovalorizzazione del capitale. Il capitale incorpora, dove è possibile, tutta la società nel processo produttivo di plusvalore.

Gli intellettuali organici alla classe borghese proclamano che con la transizione al capitalismo la schiavitù è stata definitivamente spazzata via dalla storia, poiché gli individui sono dichiarati formalmente liberi; in realtà essi non sono mai stati tanto legati alla loro condizione di merce tra le merci, soggetti ad input e codici ipnotici. Ciò che i media vendono, non solo mediante la réclame, è tempo cerebrale disponibile.

Lungi dal rappresentare il tempo storico della libertà pienamente ottenuta, nell’era del capitalismo senescente l’alienazione è divenuta totale. Non riguarda solo gli zombie che aspettano quasi un giorno davanti a un negozio Apple. Anche nel guardare una serie televisiva, la dipendenza ci spinge a voler sapere che cosa succede dopo e quindi a guardare l’episodio successivo. Non serve nemmeno un messaggio pubblicitario esplicito, siamo già entrati in un certo mondo che è intorno a noi e dentro di noi, interiorizzato fin dalla tenera età. Ci hanno formattato il cervello per obbedire, servire e comprare.

Un bersaglio sulle spalle

 

Della guerra in Ucraina ci siamo nauseati da tempo. Di ciò che accade in Medio Oriente ci stiamo stancando, resiste il tifo residuale per l’uno o per l’altro contendente. La guerra è diventata di moda, parlarne e scriverne un passatempo. Rivedevo ieri sera su Rai Storia il film 1918 – I giorni del coraggio, e riflettevo sul fatto che se è possibile mettere sullo stesso piano le sofferenze dei soldati di entrambe le parti di quella guerra (è più difficile individuarne la dimensione ideologica), ciò non è possibile con le guerre successive, che sono diventate guerre ideologiche in tutto e per tutto.

Le cause della guerra 1914-‘18 sono piuttosto vaghe, sembrano derivare da una catena di eventi casuali e sfortunati, che hanno messo in moto il timer infernale delle alleanze e hanno trascinato tutta un’umanità nel baratro senza comprenderne appieno il motivo. Tutti possono dolersi della loro sorte, senza che ciò implichi la difesa di un regime politico piuttosto che di un altro. Tutti possiamo proiettarci in questo conflitto, attraverso i nostri antenati, qualunque sia la nostra origine, nazionalità, e questo senza alcuna vergogna.

Poi non è più stato così. Siamo schierati ideologicamente e sono in uso altre parole: “invasione”, “occupazione”, “territorio”, “crimini di guerra”, “genocidio”, eccetera. Sempre più le guerre si combattono con il codice penale sotto il braccio, ne fu un esempio anche quella nella ex Jugoslavia, troppo presto dimenticata anche quella. Basta che non si tratti d’Israele, il quale ha diritto di difesa con ogni mezzo. Le bombe lanciate contro i civili per farli a pezzi sono consentite, autorizzate, quando addirittura fortemente raccomandate.

Se lo Stato sionista decidesse di passare per le armi uno per uno i palestinesi, attendersi delle sanzioni da parte dell’Occidente è impensabile. Ora il conflitto si sta spostando più a nord, verso il Libano, rispetto alla Striscia di Gaza dove sono solo macerie.

Il Libano è il cortile del conflitto arabo-israeliano. E pensare che era considerato la Svizzera del Medio Oriente fino allo scoppio della guerra civile del 1975-1990. È lì, per esempio, che si rifugiavano i bancarottieri italiani per sottrarsi al carcere. Tipo Felice Riva, l’ex re del cotone (ed ex presidente del Milan) era fuggito a Beirut per evitare sei anni di carcere per bancarotta e ricorso abusivo al credito. L’industriale era già stato arrestato a Milano la sera del 4 febbraio 1969 all’uscita di un cinema del centro. Ma la solita Cassazione annullò il mandato di cattura per vizio di forma.

Il Libano è da decenni un paese disgraziato la cui economia è a terra e dove lo Stato non è altro che un fantasma. Certamente la geografia non ha aiutato: è stretto nella tenaglia tra la Siria degli al-Assad e la Palestina occupata dallo Stato sionista e il panarabismo. Pensare alla costituzione di due Stati in Palestina significa non aver chiaro che cosa è il sionismo (“Grande Israele”) e il panarabismo (la liberazione di tutta la Palestina dal mare al Giordano) [*]; pensare alla creazione di un unico Stato, che garantisca gli stessi diritti a tutti i cittadini, senza distinzione di origine o religione, significa non aver chiaro che cos’è il panarabismo, il sionismo e l’imperialismo.

Già nel 1932, quando sia Beirut che Damasco erano sotto mandato francese in due Stati distinti, il libanese Antoun Saadé fondò il Partito Social Nazionalista Siriano (SSNP), multiconfessionale e tuttora attivo in Siria, Libano e Giordania, con l’obiettivo di realizzare la “Grande Siria”. Paradossalmente, tra i musulmani libanesi il panarabismo ha avvicinato molti cittadini al Baath siriano (antagonista del Baath iracheno), un partito socialista. Invece buona parte della comunità cristiana, in particolare maronita, ha fatto la scelta opposta, quella di un legame privilegiato con l’Occidente e il nazionalismo libanese. Ma in realtà la linea di faglia è molto più complessa.

La realtà è che il Libano è un mosaico di comunità ed è soggetto a un sistema politico confessionale che promuove il clanismo, l’immobilità e la divisione. Per il momento, l’instaurazione di un sistema democratico e laico è impensabile, e la linea di demarcazione politica è semplice: un campo sostiene Assad (l’Alleanza dell’8 marzo), il suo avversario è la nutrita (più di 15 partiti) e contraddittoria coalizione anti-siriana (l’Alleanza del 14 marzo).

Gli sciiti libanesi, socialmente emarginati, hanno riposto le loro speranze in Hezbollah e nel movimento Amal, suo alleato, per il quale Israele è il nemico assoluto. A metà degli anni ’80, l’Iran, volendo trovare alleati sunniti, aprì le porte del Paese ad Hamas per formare un “asse di resistenza” che si estendeva da Gaza a Beirut. Il Libano è tornato ad essere il centro della lotta palestinese dopo che Israele ne aveva occupato il territorio fino a Beirut e aveva espulso l’OLP nel 1982. I libanesi hanno quindi ancora una volta un bersaglio sulle spalle, dove tutti possono sparare.

[*] Il Fronte popolare marxista-leninista per la liberazione della Palestina (PFLP) e la sua scissione, il Fronte democratico per la liberazione della Palestina (FDPLP), si attengono alla loro idea di un unico Stato, disconoscendo quanto invece riconosciuto nel novembre 1988 dall’OLP, ossia la risoluzione 242 dell’ONU votata nel 1967, e quindi di ammettere il diritto di Israele esistere. Provenienti dalla sinistra sedicente marxista, fondata da cristiani, questi due gruppi hanno finito per partecipare alla lotta armata contro Israele insieme ad Hamas e alla Jihad islamica. Oggi, avendo Fatah perso la sua legittimità agli occhi dei palestinesi a causa della sua accettazione di uno Stato che non riconosce i diritti dei palestinesi, i gruppi radicali giovanili si sono islamizzati e sostengono la resistenza armata, che, dicono, è l’unico modo perché il popolo palestinese riconquisti i suoi diritti storici e legittimi.

venerdì 12 gennaio 2024

Il colpo di spugna sul fascismo


Valdagno, grosso centro laniero all’imbocco delle Valli del Pasubio, dove raramente il cielo è sereno. È il 1945, a guerra finita. Da qualche parte vi sono 238 casse sorvegliate da decine di agenti di polizia (c’è chi scrive di centinaia di agenti). Ovvio che per una vigilanza così imponente il contenuto di quelle casse debba essere molto prezioso.

Non si tratta dei circa 35 kg di lingotti e dei 200/300 milioni di lire del cosiddetto “oro di Dongo”. Si tratta di materiale ancora più prezioso in chiave politica: documenti compromettenti. È l’archivio dell’OVRA, il servizio spionistico del regime fascista.

Decine di migliaia di fascicoli che riguardano un po’ tutti, senza riguardo. Esponenti del fascismo ma soprattutto dell’antifascismo. La polizia segreta fascista nelle sue indagini fu molto efficiente e scrupolosa, senza fare sconti a nessuno. Sono in molti ad avere interesse a mettere le mani su tali fascicoli.

Attorno a quei fascicoli si aggirano molti personaggi, per brevità espositiva ne cito solo alcuni. I primi tre: Guido Leto, già vice capo della polizia e capo dell’OVRA; Ciro Verdiani, ispettore di polizia, già al Quirinale come responsabile della sicurezza personale dei Savoia e poi responsabile di vari misfatti, da ultimo, in Dalmazia; Luca Osteria, strano e straordinario personaggio le cui vicende si possono leggere, tra l’altro, in Wikipedia.

Gli altri tre personaggi stanno a Roma: Ferruccio Parri è presidente del Consiglio dei Ministri; Pietro Nenni, segretario del partito socialista, è vice presidente del Consiglio, nonché Alto commissario per l’epurazione; Palmiro Togliatti, segretario generale del partito comunista, è ministro di Grazia e giustizia del Regno d’Italia.

Ferruccio Parri ebbe a conoscere Luca Osteria quand’era detenuto all’hotel Regina di Milano, sede delle Ss durante l’occupazione nazista. Se ne servì poi ampiamente, anche per contatti con Guido Leto. Quest’ultimo, sebbene in seguito detenuto nel carcere di Rebibbia in attesa di processo, verrà condotto presso lo studio di Pietro Nenni per un colloquio (ebbe un colloquio anche con Togliatti). Leto, più volte, manderà a dire e dirà personalmente a questi personaggi politici che « [...] il processo contro l’organismo dell’ex Ovra e i suoi componenti [...] è suscettibile di pregiudicare larghi interessi nel campo politico nazionale e in quello internazionale [...].»

Le casse contenenti i documenti dell’OVRA, da Valdagno vengono trasferite a Roma, nei sotterranei della palazzina sede della presidenza del Consiglio dei Ministri. Pietro Nenni e molti altri riuscirono a mettere le mani sui proprii fascicoli. Secondo il capo della polizia di allora, Luigi Ferrari, Nenni «dispone[va] liberamente – senza una dimostrata necessità di indagine di carattere giudiziario o epurativo – dei fascicoli degli uomini politici più in vista, consentendone visione agli stessi interessati» (Davide Conti, Gli uomini di Mussolini, Einaudi, p. 87).

Pare, tra l’altro, emergesse dai fascicoli come Nenni, esule in Francia, fosse stato per anni agente del Deuxième Bureau francese. Di qualcosa bisogna pur campare. Il tramite tra il vice presidente del Consiglio e il suo fascicolo è il citato Ciro Verdiani, uomo per tutte le stagioni.

Scrive ancora Davide Conti a pag. 85: « [...] il 24 ottobre 1945, una nota del controspionaggio alleato aveva indicato nel rapporto Nenni-Verdiani, relativo alla scomparsa di fascicoli della polizia politica fascista riguardante il leader socialista, la ragione dell’immunità garantita all’ex funzionario dell’Ovra.»

Non solo l’immunità. Potrà sembrare incredibile, ma Verdiani, nonostante i suoi trascorsi come funzionario dell’Ovra (o proprio per questo?), e nonostante fino a pochi mesi prima avesse ricoperto la carica di vice-direttore della polizia nella Repubblica di Salò, il 20 aprile 1946, a poco più di un mese dal referendum istituzionale e dall’elezione dell’Assemblea costituente, venne nominato questore di Roma, con tanto di congratulazioni del giornale l’Avanti, che lo definì un “funzionario integerrimo di provata competenza”, in possesso di “tutte le qualità che si richiedono a chi assume il non lieve compito di controllare l’ordine pubblico della capitale, specie in un momento come questo”.

In seguito alla chiusura dei cantieri edili del Genio civile, a Roma fu indetto una manifestazione di protesta degli operai con arrivo al Viminale, a cui si unì un gruppo di profughi e disoccupati del campo di Cinecittà. Scoppiarono incidenti, scontri tra polizia e manifestanti, il cui primo bilancio fu di due morti e 141 feriti. Verdiani fu sollevato dall’incarico, ma la sua carriera non finì lì, andrà a gestire l’ordine pubblico in Sicilia.

Scriveva Guido letto nelle sue memorie: il 26 luglio, dopo l’arresto di Mussolini, spuntarono da ogni parte uomini e partiti politici per attribuirsi meriti o per rinfacciarsi responsabilità (OVRA, Fascismo- Antifascismo, Cappelli editore, 1952, p. 253).»

Neanche si fece a tempo a proclamare la Repubblica, che il 22 giugno 1946 venne l’amnistia Togliatti, con decreto presidenziale di De Gasperi, tra i reati amnistiati il concorso in omicidio. Furono annullate le norme del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159 che stabiliva l’ergastolo e la pena di morte per i membri del governo fascista e i gerarchi “colpevoli di aver annullate le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del Paese condotto all'attuale catastrofe” e assoggettava alle vigenti norme penali gli squadristi e quanti erano stati responsabili “dell’insurrezione del 28 ottobre 1922 del colpo di Stato del 3 gennaio 1925”.

Praticamente un colpo di spugna totale sul fascismo e i suoi crimini.

Stante il quadro storico, se indubbiamente la Repubblica nacque sulla spinta della guerra antifascista, è altrettanto indubbio che, non solo nell’ombra ma anche in piena luce, fu raggiunto un ampio compromesso che garantì la permanenza e la continuità d’azione nei gangli fondamentali dell’amministrazione dello Stato repubblicano delle vecchie pantegane fasciste, abili nel ricatto e agili nel separare le loro responsabilità ventennali da quelle del regime.