mercoledì 30 aprile 2025

Te la do io la ricetta

 

La crisi attuale non è solo il prodotto delle stravaganze cervellotiche di Donald Trump. Egli è la personificazione di tendenze e contraddizioni che si accumulano da decenni. E anche la crisi del dollaro e del sistema finanziario che regge su di esso è una crisi dell’intero sistema capitalista, che non ha via d’uscita.

Altra questione fondamentale: non esiste nessun’altra valuta che possa svolgere il ruolo internazionale del dollaro.

Non l’euro, poiché la quantità di attività denominate in euro è del tutto marginale rispetto a quella dei mercati dei capitali statunitensi. Non la valuta cinese, non potendo fluttuare liberamente e mancando di mercati dei capitali vasti e liquidi. Non un sistema multivalutario, che non dà garanzie di univocità e trasparenza, che provocherebbe una corsa caotica fuori dal dollaro facendo precipitare l’economia mondiale in una crisi anche peggiore di quella degli anni Trenta.

L’unica alternativa potrebbe essere quella di un ritorno all’oro, che ha raggiunto 3500 dollari l’oncia, ma ciò significherebbe un crollo degli asset finanziari e della montagna di credito basata sul dollaro statunitense, cosiché il sistema non avrebbe la liquidità internazionale da cui dipende e si scatenerebbe una depressione globale catastrofica.

Negli anni Trenta non esisteva un mezzo di pagamento internazionale universalmente riconosciuto, a parte l’oro, e il mondo si fratturò in blocchi rivali, che contribuirono in modo non trascurabile a creare le condizioni per la guerra.

Oggi un mondo multipolare sta per riprodurre quelle condizioni in una forma ancora più esplosiva. I motivi apparenti dei conflitti locali possono essere i più vari, così come le tensioni tra le grandi potenze nucleari, ma alla base di tutto c’è sempre e comunque la lotta per il dominio economico.

Storicamente l’unica soluzione è stata la guerra, il fascismo, la depressione e la devastazione sociale. Il conflitto armato tra grandi potenze non è mai da escludere. Gli esiti sarebbero apocalittici. Quanto a fascismo, depressione e devastazione sociale, sono già parte del nostro presente e lo diventeranno sempre di più nel prossimo domani.

L’ideologia delle classi dominanti, l’illusione liberale e riformistica, ha tutto l’interesse nel far credere che non esista alternativa al capitalismo e al sistema degli Stati-nazione. E ha buon gioco nel fatto che quello che è passato come comunismo si sia rivelato un rimedio peggiore del male.

Dunque, che fare? Anzitutto evitare alcuni errori abbastanza tipici: quello di pensare ad un socialismo o comunismo (che dir si voglia) come variante sostanziale del capitalismo; di credere in una ricetta pronta all’uso quale frutto teorico di un individuo o di un piccolo collettivo; illudersi che un rivolgimento sociale di tale portata possa esaurirsi nell’arco di una generazione.

martedì 29 aprile 2025

Frugando nel guardaroba di Gesù

 

Dopo il suo ritorno dal funerale a Roma, il presidente Donald Trump ha annunciato che il Vaticano diventerà il 51° stato degli USA. Il NYT riporta le sue affermazioni: “Non ho mai visto un Paese così ricco. Ci sono palazzi ovunque, oro e marmi pregiati, gran lusso. Il Vaticano è molto più bello della Groenlandia, del Canada ed è quasi come la Striscia di Gaza. Deve diventare parte degli Stati Uniti”.

Ha ragione Trump, i preti non si fanno mancare nulla e sanno come trarre profitto dove altri fallirebbero miseramente. Vedi il caso delle reliquie. Tutti conoscono la storia del prepuzio di Gesù: ne esistono diversi di prepuzi sparsi per l’Europa, quattordici per l’esattezza. Neanche la dea Kalì aveva tante braccia quanti pisellini vantava Gesù. Per tacere dei pezzi di cordone ombelicale. A quanto pare non esiste una scoreggia di Gesù in una bottiglia, ma c’è la famosa sindone di Torino, il lenzuolo che si dice abbia avvolto il corpo di Gesù. Ma non è l’unico lenzuolo, anche la sindone di Oviedo, che deve il suo nome alla città spagnola in cui è conservata.

Gesù non andava in giro nudo, indossava anche una tunica di lana. Non si hanno invece notizie delle sue mutande, possibile si ritrovino in futuro appese in qualche chiesa. Ad ogni modo, una storia poco conosciuta qui da noi è quella della tunica di Argenteuil, la tunica senza cuciture che Gesù avrebbe indossata prima della crocifissione (nota anche come Santa Tunica, Sacro Mantello, Santo Mantello e Chitone del Signore). Dopo la crocifissione, la santa tunica sarebbe stata recuperata da uno dei soldati che avevano condotto il figlio di dio, ma dio lui stesso, al supplizio.

Durante le invasioni musulmane del VII secolo, la tunica sarebbe stata portata a Costantinopoli. Due secoli dopo, si dice che Irene, imperatrice bizantina, l’abbia offerta a Carlo Magno, che la donò a sua figlia Teodrade, allora badessa dell’abbazia di Argenteuil. Naturalmente Gesù possedeva un discreto guardaroba: una tradizione colloca una tunica molto famosa nella cattedrale di Treviri e diverse tradizioni sostengono che altre tuniche si trovino in varie chiese ortodosse orientali, in particolare nella cattedrale di Svetitskhoveli a Mtskheta, in Georgia. Vai a sapere quale fosse quella che indossava in quel fatidico giorno.

A partire dal 1156, folle di fedeli venivano a prostrarsi davanti a questo indumento. Nel 1793, il parroco, temendo che la tunica potesse essere profanata durante la Rivoluzione francese, la tagliò a pezzi e li nascose in luoghi separati. Ne rimangono solo quattro pezzi. Furono trasferiti nella Basilica di San Dionisio di Argenteuil nel 1895. E come non fosse successo nulla nel frattempo, il pellegrinaggio continua ancora oggi.

Tutto il marketing che ruota attorno a questa tunica si basa ovviamente sulla sua presunta autenticità. La diocesi di Parigi, in modo molto ufficiale, sostiene che Gesù ha davvero indossato questa tunica e minaccia: «[...] non insultiamo la ragione [sic!], inchinandoci davanti alla tunica di Argenteuil». Per definizione, la religione non fa altro che insultare la ragione.

E veniamo alle immancabili prove “scientifiche”, poiché evidentemente non basta la fede e la credulità per asseverarne l’autenticità. La tessitura della tunica sarebbe compatibile con gli usi del I secolo. Un altro indizio è che la tunica sacra contiene polline identico a quello trovato sui sudari di Oviedo e Torino. Si dice che sul retro ci siano anche macchie di sangue a forma di croce, come sulla Sindone di Torino. Ma l’argomento principale è che sulla tunica di Argenteuil ci sarebbe sangue del gruppo AB. E questa è la ciliegina sulla torta, perché avrebbero trovato la stessa cosa sui sudari di Oviedo e Torino.

Come dicono ad Argenteuil: tout se tient. Alcune persone illuminate, come lo scrittore Didier van Cauwelaert, che crede nella comunicazione con i morti e afferma di essere stato in contatto con Albert Einstein (ciò definisce il personaggio), ha immaginato che con il DNA prelevato dalla tunica di poter clonare Gesù.

sabato 26 aprile 2025

La più malvagia specie di parassita

 

«Vi sono giorni in cui mi assale un sentimento nero più della nera malinconia - il disprezzo per l’uomo. E per non lasciare alcun dubbio su che cosa, su chi io disprezzi: è l’uomo d’oggi, l’uomo del quale io sono per fatalità contemporaneo. L’uomo di oggi – il suo alito immondo mi mozza il fiato [...]. Verso il passato sono, al pari d’ogni soggetto conoscente, estremamente tollerante, il che significa magnanimo nel dominio di me stesso. Si chiami esso “cristianesimo”, “fede cristiana”, “chiesa cristiana”, passo attraverso il mondo manicomiale d’interi millenni con tetra circospezione – mi guardo bene dal ritenere l’umanità responsabile per le proprie malattie mentali. Ma il mio sentimento si ribalta, prorompe appena metto piede nell’epoca moderna, nel nostro tempo. Il nostro tempo sa [...]. Ciò che prima era solo patologico, oggi è divenuto indecente – esser cristiani oggi è indecente. E qui comincia il mio disdegno. Mi guardo in giro: non una sola parola è rimasta di ciò che una volta aveva nome verità, nemmeno più sopportiamo che un prete anche solo pronunci la parola “verità”. Anche se modestissima è la nostra aspirazione alla rettitudine, oggi dobbiamo sapere che un teologo, un prete, un papa ad ogni frase che dice, non solo sbaglia, ma mente – che non è loro più consentito di mentire per innocenza, per ignoranza. Anche il prete sa, bene quanto chiunque altro, che non vi è più alcun Dio, alcun peccatore, alcun redentore – che libero arbitrio, ordine morale del mondo sono menzogne: la serietà, il profondo autosuperamento dello spirito non consentono più a nessuno di non sapere a questo riguardo. Tutti i concetti della chiesa sono riconosciuti per quello che sono, la più malvagia falsificazione di moneta che esista, intesa a svilire la natura, i valori di natura; il prete stesso è riconosciuto per quello che è: la più malvagia specie di parassita, l’autentico ragno velenoso della vita

1888

Che cos’altro potrebbe aggiungere oggi sulla più malvagia specie di parassita e al fatto che già allora esser cristiani era indecente?

venerdì 25 aprile 2025

Wait and see

 

Con l’espansione ad Est, la Nato ha modificato l’equilibrio che si era stabilito dopo il 1989 tra l’Europa e la Russia. Con l’opposizione di Washington al Nord Stream 2 e nel fomentare la svolta nazionalista in Ucraina, sfociata nella guerra, si sono rotti i rapporti anche commerciali con la Russia.

Nelle intenzioni ciò doveva consentire, una volta “addomesticata” la Russia e cacciato Putin, di prendere la Cina anche da tergo. Il risultato è un ritorno ai blocchi contrapposti, ma questa volta tra la sola Europa e la Russia, mentre gli Usa accarezzano Putin per averlo se non altro neutrale.

Non solo: Trump ha modificato l’equilibrio interno all’Europa stessa. Il mutato equilibrio favorirà la Germania, che rientrerà nel gioco come grande potenza militare. È solo questione di tempo. I crucchi, per dirla con quella volpe di Stalin, sono ancora quelli che in una notte saprebbero trasformare una fabbrica di orologi in una di siluri.

La Francia è una potenza di seconda categoria, anche di terza, la sua force de frappe (di frappè) non è dotata di missili per lanci in profondità (non molto più in là di Mentone) in grado di impensierire Mosca, oltre a non poter più arruolare algerini e marocchini come kamikaze. La sua grandeur è svanita per sempre a Dien Bien Phu, anzi, prima ancora.

L’Inghilterra è da più di ottant’anni una scialuppa di Washington, come dimostrò anche nel 1956 la crisi di Suez.

L’Italia, nella sua funzione subalterna di apparecchia tavoli per i summit e i funerali faraonici, potrà solo subire le decisioni altrui. Tenterà la politica estera che gli viene meglio, quella di bascule. Antonio Tajazzo non finirà fucilato come il Galeazzo conte di Cortellazzo per il semplice motivo che un chamberlain, pur di seconda mano, serve sempre.

Quanto agli Stati Uniti, avranno bisogno di tempo per predisporsi al meglio a riguardo della Cina, ma il fattore tempo gioca a favore di Pechino. La resa dei conti arriverà, è nella logica delle cose, nel novero del possibile e con un alto grado di probabilità.

Chi conosce l’avvenire? L’umanità è un prodotto ultimo e di breve durata, questo si sa. Per il resto, ogni giorno porta nuovi fatti e fruga in modo diverso il corso degli avvenimenti.

Il vento neofascista

 

Vento forte (“vento del nord”!) e pioggia battente tutta la notte. Ho visto la cartina, la depressione nel Veneto lambisce la Romagna, propaggini arrivano in Bosnia e poi sale verso la Carinzia. Il resto d’Italia è altra cosa, come spesso capita, nel meglio e nel peggio.

Buon 25 aprile. Almeno mezza popolazione è fascista, democristiana, leghista, insomma altro. Da sempre e nel profondo. Il Parlamento è vuoto? Il grande capitale l’ha svuotato, con la complicità fattiva dei cosiddetti antifascisti.

Gli antifascisti d’accordo con i fascisti nel mandare armi ai nazisti. Serve dire altro? Le nuove linee guida ministeriali sull’insegnamento della storia. Non le ho lette, non ne ho bisogno per sapere che cosa s’inventano quelli lì.

Tra le diverse “giornate della memoria”, una sarebbe doveroso dedicarla alle vittime dei crimini delle guerre e del colonialismo italiano liberale e fascista. I primi ad usare i gas contro le popolazioni civili. Che ne dice Mattarella, citiamo anche questi dettagli?

Il Wall Street Journal, voce autorevole della democrazia capitalista, ha pubblicato mercoledì in prima pagina un rapporto secondo il quale le 19 “famiglie” più ricche degli Stati Uniti hanno aumentato il loro patrimonio di 1.000 miliardi di dollari nel 2024. Il loro patrimonio complessivo è salito da 1.600 miliardi a 2.600 miliardi di dollari, con un incremento sbalorditivo del 62,5% in un solo anno. La “fortuna” più piccola di questo gruppo di famigliole dedite all’evergetismo e alla filantropia ammonta a 45 miliardi di dollari.

Le stime sono state prodotte dal professor Gabriel Zucman, uno dei principali analisti delle tendenze nell’accumulo di ricchezza, e sono corredate dal grafico qui sotto.

Si è assistito a una costante tendenza al ribasso dal 1913 al 1982, seguita da una brusca ripresa dopo i tagli fiscali dell’amministrazione Reagan, culminata in un picco nel 1999, poco prima del crollo delle dot-com, e da una lenta discesa fino al crollo di Wall Street del 2008. Successivamente, un costante aumento della disuguaglianza si è trasformato in un’impennata nel 2023-24, gli ultimi due anni dell’amministrazione Biden.

E ora, mentre state intonando Bella ciao, canzonetta buona per tutti gli usi, chiedetevi perché i fasci stanno vincendo sul famoso “orbe terracqueo”.

giovedì 24 aprile 2025

L'oppio di Bergoglio

 

Scrive Le Monde: «In caso di emergenza, aerei da combattimento sono pronti a decollare, mentre reparti speciali di polizia e carabinieri, con cecchini, sono schierati dai tetti dei palazzi di via della Conciliazione, che conduce a piazza San Pietro, fino al Gianicolo. Anche gli elicotteri della polizia nazionale sorvolano ininterrottamente il centro storico.»

I funerali più dispendiosi del pianeta sono in gran parte a carico del contribuente italiano, ovvero a carico di lavoratori e pensionati.

La canonizzazione di Bergoglio da parte dei media è diventata una gara a chi le spara più grosse, descrivendolo come un Papa del “popolo”, progressista e attento alle questioni sociali e ambientali. Personalmente avrei preferito un Papa che spiegasse al volgo i termini dottrinali dell’escatologia cattolica, in modo da rivelarne lo stretto rapporto tra delirio metafisico e barzellette sul “materialismo marxista” (*).

Le posizioni bergoliane su questioni sociali e ambientali miravano a restituire alla Chiesa cattolica almeno un minimo di credibilità popolare, in un contesto di crisi storica del cattolicesimo. Un tentativo di adattamento alla crescente “secolarizzazione” delle masse in tutto il mondo vista come una questione esistenziale per la Chiesa.

Tuttavia, la Chiesa cattolica rimane fedele a sé stessa, nulla può scuoterla realmente. Le riforme di Roncalli, per esempio, modernizzarono la liturgia e l’impegno con il mondo, ma le battaglie postconciliari sulla loro attuazione acuirono le divisioni e non riuscirono a risolvere il clericalismo sistemico o gli scandali degli abusi dei preti sui minori.

Anche la descrizione bergoliana delle disuguaglianze come una “malattia sociale” (che cosa significa?) non ha impedito, per esempio, al Papa di ospitare nei termini più amichevoli e compiacenti i membri dell’aristocrazia tecnologica e finanziaria odierna, tra cui Elon Musk, Jeff Bezos, Tim Cook e Mark Zuckerberg.

Anche i leader politici hanno tutto l’interesse a questo pathos ipocrita in occasione della sua morte. Trump ha annunciato che il primo viaggio all’estero del suo secondo mandato sarà la partecipazione ai funerali del Papa. Ha affermato: “Stiamo riportando la religione in America”, ordinando che le bandiere statunitensi e statali fossero a mezz’asta in tutto il Paese. Niente di più considerando che negli Stati Uniti appena un quinto della popolazione si identifica come cattolico.

Il presidente fascista argentino Javier Milei, che in precedenza aveva definito Bergoglio un “imbecille”, ha ricordato il momento in cui è stato ricevuto dal Papa in Vaticano e ha dichiarato una settimana di lutto nazionale. Non va dimenticato che l’intera gerarchia ecclesiastica argentina fornì a suo tempo copertura ai torturatori e agli assassini della giunta.

L’erede politica di Mussolini, Giorgia Meloni, si è vantata in parlamento del “privilegio di godere della amicizia del Papa, dei suoi consigli, dei suoi insegnamenti”.

Tutto ciò non è casuale e ha ovviamente un suo perché: le élite dominanti di tutto il mondo sfruttano la morte del Papa come un’opportunità per proclamare un ritorno all’oppio dei popoli nel mezzo della più profonda crisi del sistema borghese, che si sta predisponendo per una reazione fascista di stampo feudale e in prospettiva a una resa dei conti bellica su scala planetaria.

(*) «Sappiamo che il marxismo classico considera la religione come l’oppio del popolo poiché essa, costruendo la speranza dell’uomo sul miraggio di una vita futura, lo distoglierebbe dalla costruzione della città terrena. Tale accusa è priva di fondamento oggettivo. Al contrario, è il materialismo che priva l’uomo delle vere motivazioni per costruire il mondo. Perché lottare se non c’è più nulla da sperare dopo la vita terrena? “Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo”.»

Il marxismo ridotto a dottrina del “magna e bevi”. Marx scriveva: «La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale».

Per Marx la religione è “l’oppio del popolo”, cioè una specie di droga, un paradiso artificiale che impedisce di ribellarsi contro i veri responsabili dell’ingiustizia sociale. La religione devia la rivolta dell’individuo oppresso contro la sua condizione offrendogli la promessa della salvezza dopo la morte, in una dimensione metafisica.

I preti nutrono il popolo con storie infantili, superstizioni e miracoli, per impedirgli di accedere alle cause reali della loro condizione. In tal modo, gli oppressi e sfruttati non esercitano il loro pensiero critico e la loro azione contro i loro veri oppressori e sfruttatori. Marx considera la religione in generale come uno degli aspetti fondamentali dell’ideologia delle classi dominanti.

mercoledì 23 aprile 2025

Ve lo meritate

 

Molti, moltissimi, un Paese così volgarmente confessionale, così bigottamente cattolico, se lo meritano. Anzi, questo liquame clericale lo sentono come la loro fonte di sostentamento e non sono mai sazi. Più gliele danno a bere e più ne ingurgitano soddisfatti: gaudium magnum. Come Molière, anche Bergoglio è morto sul palco. E però la commedia continua, grottesca. A quei pochi che non si assoggettano, non resta, impotenti, che pagare per la messa in scena di queste stronzate medievali con guardie armate di alabarde.

Il gesuita argentino, austero e intransigente mediatore durante gli anni sudamericani, l’hanno trasformato postumo in un Che Guevara della Chiesa cattolica. Un giornale l’ha definito addirittura “aperto al marxismo”, dimenticando le posizioni molto conservatrici. Anche se, rispetto ai suoi predecessori, l’inflessibile Ratzinger e l’ineffabile Wojtyla, Jorge Mario Bergoglio sembrava vagamente un uomo di “sinistra”, ma si trattava solo di un’illusione ottica, di un problema di scala.

I commentatori hanno generosamente riconosciuto al defunto Papa il merito di aver difeso i migranti e di aver messo in guardia dalle conseguenze del cambiamento climatico. Ma abbiamo bisogno di un papa per questo? Ovviamente no. Che senso ha essere il Papa per dire certe sciocchezze che potresti tranquillamente sentire al bar sotto casa? Perché è questa la sensazione che proviamo (almeno alcuni di noi) ogni volta che esaminiamo le affermazioni di questo papa o dei suoi predecessori: la banalità del loro pensiero.

Restiamo sempre delusi dalla piattezza dei pensieri di coloro che ci vengono presentati come grandi intellettuali, menti brillanti, di volta in volta esperti di questo e di quello, il cui unico talento è quello di maneggiare abilmente il linguaggio per affascinarci con le loro belle parole su vecchie idee ammuffite che risalgono al Medioevo. Poi, non c’è niente di più sopravvalutato di un papa, ossia di un uomo che nella vita ha sempre pensato e fatto da prete.

Ogni volta che cambiano papa, chi ci crede spera che sia più moderno e un po’ meno reazionario dei predecessori. E ogni volta si torna subito coi piedi per terra: un papa non può che essere un conservatore, aggrappato ai suoi dogmi e alle sue convinzioni da prete. La conclusione è che, dietro una comunicazione moderna molto efficace, anche questo papa non ha portato nulla di nuovo nella terra dello Spirito Santo. Né c’era da aspettarselo.

Quanto al prossimo pontefice sovrano, l’unica domanda, se proprio vogliamo porcela, è quale nuova strategia comunicativa adotterà per farci ingoiare sempre le stesse vecchie cose, dandoci l’illusione di essere moderni.

Per ricordarci i valori dell’ex capo della Chiesa, ecco una panoramica delle rancide dichiarazioni da lui pronunciate durante il suo regno. Innanzitutto sull’omosessualità. Si dice che Jorge Mario si sia opposto alla criminalizzazione dell’omosessualità. L’ex Papa è stato molto chiaro: essere gay non è sano e consigliava una diagnosi precoce: “Quando si manifesta fin dall’infanzia, ci sono tante cose da fare con la psichiatria, per vedere come stanno le cose”, professava ex cathedra nel 2018, di ritorno dall’Irlanda.

Di sfuggita, condannava il “lobbying gay”. E ancora una volta, la risposta è attenuata perché era destinata alla stampa. Nei corridoi del suo regno, non esitava a scatenarsi. Come durante una conferenza episcopale dove invitò i suoi vescovi a non accogliere nei seminari religiosi persone apertamente omosessuali, ritenendo che ci fosse già troppa “frociaggine”. In tal modo aggirando con nonchalance la spinosa questione del celibato ecclesiastico.

La Chiesa è sempre pronta a giudicare ciò che succede nei pantaloni degli altri, ma detesta quando la gente ficca il naso nei suoi.

E se al Papa non piacciono gli omosessuali, quanto all’altra metà della Luna, non è stato meno esplicito. Soprattutto per quanto riguarda le donne che si rifiutano di essere semplicemente madri. Chi diavolo gli ha dato questa immagine di “papa femminista”, lui che ha definito il femminismo “machismo con la gonna”?.

Deve questa reputazione alla decisione di nominare alcune donne nella Commissione Teologica Internazionale nel 2014? Subito dopo la loro nomina le definì “fragole sulla torta”. Allo stesso tempo, è meglio essere una “fragola” che una “zitella”, cosa che lui stesso ha messo in chiaro nel 2013, invitando tutte le donne a diventare madri.

Che dire dell’aborto? Va da sé che un Papa, con la scusa del “rispetto per la vita”, non sia d’accordo. Ma altra cosa è definire quella sull’aborto una “legge criminale”. Nessuno ha fiatato sugli alti Colli, ovviamente. Poi Bergoglio non ha potuto fare a meno di aggiungere che i medici che lo praticano sono degli “assassini su commissione” (da un discorso pronunciato in Belgio lo scorso anno). Risulta che qualcuno abbia preso posizione?

Quindi, da dove deriva questa immagine del “papa moderno”? Su quasi tutte le principali questioni Jorge Bergoglio si è schierato con conservatori e reazionari. Donne prete? Un “no” categorico. Preti sposati? Ancora “no”, o al limite, in “angoli remoti come l’Amazzonia”.

Nel 2016 definì come un’assurdità le possibili dimissioni del cardinale Barbarin, che per anni aveva coperto un prete pedofilo: “Pensate con la vostra testa e non lasciatevi trasportare dai venti di sinistra che hanno orchestrato tutta questa faccenda”, consigliò ai suoi seguaci. In definitiva, di progressista, aveva solo gli accessori: un iPad e 1,8 milioni di follower su X.

martedì 22 aprile 2025

La logica oggettiva della guerra commerciale

 

Può una ricchezza reale valutata migliaia di miliardi scomparire senza lasciare traccia in pochi giorni, in poche ore o addirittura pochi secondi (trading ad alta frequenza)? Non è raro che in tal modo evapori una parte consistente del valore delle azioni delle più grandi aziende (oggi, all’apertura, contando gli ultimi cinque giorni, il produttore di chip Nvidia ha perso il 14,5% e Amazon il 10%; Tesla ha perso l’11%, portando la sua perdita annua al 46%).

Segno che non si tratta di ricchezza reale, bensì fittizia, meramente speculativa, per quanto possa arricchire specialmente chi è già ricco.

La causa immediata dell’ultimo crollo del mercato azionario statunitense, insieme all’uscita dal mercato obbligazionario che ha visto i rendimenti aumentare, è stata la ripresa degli attacchi da parte dell’amministrazione Trump al presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, con minacce di licenziamento.

Trump ha chiesto a Powell (nominato dallo stesso Trump durante il suo primo mandato) di abbassare i tassi d’interesse, apparentemente con l’obiettivo immediato di dare una spinta a Wall Street e con quello a lungo termine di trovare un capro espiatorio per una recessione negli Stati Uniti che sta diventando sempre più probabile, con licenziamenti in aumento, mandando in frantumi le affermazioni di Trump secondo cui le sue guerre tariffarie darebbero una spinta all’economia americana.

Ma tutto ciò è solo un effetto contingente, casuale. È necessario, per la comprensione della dinamica storica delle crisi borsistiche, tener conto del dato strutturale del capitalismo finanziario. Il compito principale della Fed e delle altre banche centrali è prevenire un aumento dell’inflazione attraverso le loro politiche sui tassi, nella errata convinzione che sia sufficiente e determinante per l’economia nel suo insieme.

Determinate a far sì che il dollaro rimanga la valuta di riserva globale. È questo status che consente agli Stati Uniti di finanziare la montagna di debito pubblico in rapida crescita, ora a 36.000 miliardi di dollari, cosa che nessun altro Paese potrebbe permettersi di fare. Ma il taglio dei tassi di interesse, fortemente voluto da Trump, provocherebbe un’ulteriore caduta del dollaro sui mercati internazionali, compromettendone ancor più lo status di riserva.

Il conto degli interessi sul debito sale a 1.000 miliardi di dollari l’anno e diventa la voce più importante del bilancio statale. Questi processi di fondo si riflettono nell’attuale sconvolgimento provocato da Trump nel fallace tentativo di invertire la tendenza. Un bisonte in cristalleria, scrivevo tre settimane fa.

Giusto quanto scrive il Wall Street Journal: lunedì si è intensificata la contrattazione “vendi America”. Ieri, mentre in Italia anche atei e agnostici recitavano il rosario, il dollaro ha perso l’1,5% rispetto a un paniere di valute principali, con aumento del valore dell’euro e dello yen. Anche il mercato obbligazionario è sceso, con il rendimento del debito del Tesoro aumentato dello 0,08%, attestandosi al 4,41%.

L’oro ha stabilito un altro record ieri, raggiungendo i 3.430 dollari l’oncia (un tempo, non lontanissimo, ci si chiedeva se avrebbe mai superato la soglia psicologica dei 2.000 dollari). Il capitale finanziario cerca un rifugio sicuro nell’asset finanziario ritenuto più sicuro al mondo: l’oro. La merce per eccellenza nella forma di equivalente universale (Marx ride).

Di là di questo aspetto, tutt’altro che secondario, è l’intero mercato azionario, con i suoi prezzi e le sue quotazioni di opzioni, warrant, futures, ecc., che è un inganno. Manipolazione dei prezzi, insider trading, asimmetria informativa e rapporti di potere sproporzionati tra partecipanti diseguali, questo e altro costituisce il capitalismo finanziario.

L’intero ordine economico e finanziario del dopoguerra è giunto al termine. Le classi dominanti stanno già rispondendo a questo crollo come hanno sempre fatto storicamente, imponendo forme di governo autoritarie e riarmandosi secondo la logica oggettiva della guerra commerciale, ovvero del conflitto militare.


lunedì 21 aprile 2025

La rivoluzione impossibile


(In tema di cattolicesimo, criminalità e pentimento, se vuoi leggere qualcosa di meno scontato, clicca qui oppure leggi questo)

Morto un Papa, se ne fa un altro. La saggezza popolare vede lontano: non cambierà nulla. Del resto, il concilio Vaticano secondo fu un’occasione ampiamente mancata, così come il suo seguito (il metodo Ogino, tanto per dire, non fa ridere solo oggi). La crisi storica del cristianesimo, segnatamente del cattolicesimo, e sotto gli occhi di tutti. Declino della pratica religiosa, abbandono delle “vocazioni”, diserzione dei preti, scandali sessuali. La ferita esistenziale offre al cattolicesimo sempre meno cauzione per inzupparci il pane. Se la religione cattolica non serve più a guadagnare il paradiso ed evitare l’inferno, non interessa più a nessuno. Figuriamoci i dogmi tanto cari alla gerarchica ecclesiastica previa sottomissione di ogni residuo d’intelligenza.

Una profonda crisi che ha scosso le fondamenta della fede, laddove gli interrogativi radicali trovano la loro motivazione nella dialettica della storia borghese, che è la storia della vita economizzata. La Chiesa è in permanenza tradita dalla sua stessa materialità. L’occhio che regna nei cieli sa di essere strabico in tutta umiltà sui traffici mercantili del clero. È così che, nonostante ogni tentativo contrario di Bergoglio, il papa detiene l’autorità spirituale, ma il potere temporale tiene lo scettro del potere. È l’eco beffarda della sacralizzazione del denaro, cui nulla può opporsi realmente. Il monopolio di un monoteismo esclusivo deve dare battaglia contro la concorrenza sul mercato della paura, della morte e della vita rinnegata. Ed è su questo terreno di battaglia che il cattolicesimo arranca sempre di più e volge verso l’irrilevanza.

Il Vaticano si aggrappa, non senza difficoltà, all’Africa e al Sudamerica per i suoi ultimi palpiti. Bergoglio, di questa crisi, del fatto che è diventato largamente anacronistico per le esigenze umane e intellettuali essere cattolici secondo il metodo romano, è stato un consapevole e impotente rappresentante. Sarebbe stata necessaria non una semplice riforma, ma una rivoluzione, ad ogni modo impossibile.

Il conflitto

A Lione, quando scendi alla fermata dell’autobus per andare all’ospedale psichiatrico di Saint-Jean-de-Dieu, trovi Sigmund Freud ad accoglierti. Alla pensilina dell’autobus c’è la sua statua con il divano che funge da panca mentre si aspetta l’autobus. Si possono così vedere dei visitatori sdraiati, sonnecchianti o addormentati, immersi in un sogno o in chissà quale trance.

L’autista dell’autobus dice: “Celui-là attend toujours le bus, mais ne le prend jamais”.

Sembra che la statua sia opera di Georges Faure (da non confondere con il prolifico romanziere di meraviglie fantascientifiche Georges Le Faure). Pare che l’idea di realizzare una scultura di Freud da porre nella pensilina sia nata dagli psichiatri dell’ospedale. Qualcuno ha cercato di decapitarlo con una mazza. La testa è stata riposizionata e consolidata, ma presenta ancora segni di percosse.

In Francia il Viennese ebbe molto successo, innanzitutto grazie a Lacan. Quella degli psicanalisti è una corporazione impegnata nel patologizzare anche per come una persona respira: tutto diventa “sintomo”.

Come nel caso del piccolo Hans, l’unico caso di bambino di cui scrisse Freud. Amava andare a vedere le giraffe allo zoo (penso si trattasse dello zoo di Schönbrunn, a mezz’ora dal centro di Vienna). Si dice che Hans avesse sviluppato una fobia per i cavalli e altri animali di grandi dimensioni. Una notte, il bambino di 5 anni sognò delle giraffe. C’erano una giraffa grande e una piccola, tutta “accartocciata”. In questo sogno, la grande giraffa urlava e il piccolo Hans era seduto sulla piccola giraffa accasciata. Freud, consultato dal padre del bambino, aveva interpretato questo sogno come un accoppiamento con la madre.

A Vienna, l’abitazione dove Freud visse in affitto per quasi cinquant’anni, al numero 19 di Berggasse, è un museo (c’è anche a Londra). Lì ho respirato l’angoscia. Le stanze erano terribilmente vuote, i pavimenti scricchiolavano, i visitatori vagavano in giro con aria seria e disorientata. Leggo che recentemente è stato ristrutturato con inserimento anche di una caffetteria.

Gli psicoanalisti e i loro entusiastici pazienti avrebbero bisogno di un buon bagno di realtà. I seguaci di Freud hanno dalla loro il fatto che ai nazisti non piacesse la psicanalisi. E nemmeno agli stalinisti.

Fuori di questi casi storici, chi si oppone ai deliri della psicoanalisi è considerato un critico maligno, malgrado accetti come ovvia l’idea che la vita cosciente dell’uomo sia influenzata anche da motivazioni inconsce. Ma anche dietro le motivazioni inconsce opera la dinamica oggettiva della natura e della storia. Il concetto di ideologia (che comprende tutte le forme di coscienza sociale) è ancorato esattamente a questa nozione (*).

L’opposizione freudiana tra “coscienza” e “inconscio” diventa opposizione tra motivazioni ideologiche incompatibili che affondano le loro radici oggettive in un preciso contesto socio- economico. Diventa opposizione tra coscienza non ufficiale e coscienza ufficiale, tra ideologia trasgressiva e ideologia della conservazione, tra linguaggi non autorizzati e linguaggi autorizzati.

Nasce così un confronto spesso torbido e tempestoso, che nel chiuso della coscienza riformula in forme specifiche lo scontro che oggettivamente si svolge al di fuori di essa. Il conflitto psichico interiore, anche nelle forme considerate patologiche, trova dunque la sua spiegazione (materialistica e dialettica, non idealistica e soggettiva) in un preciso conflitto ideologico: un conflitto che oppone le forme della coscienza ufficiale a una coscienza non ufficiale.

La psicoanalisi sfrutta precisamente questo conflitto interiore, i blocchi nei processi mentali, la mancata consapevolezza circa la nostra reale posizione nel mondo, inibita e distorta dalla società di classe e dalle sue forme ideologiche.

Tra gli altri, consiglio di leggere questo libro (riedito nel 2022): Luciano Mecacci, Il caso Marilyn M. e altri disastri della psicoanalisi, Laterza.

(*) «Ogni ideologia, una volta formata, si sviluppa sulla base degli elementi di rappresentazione dati e continua a elaborarli; altrimenti non sarebbe un’ideologia, cioè non avrebbe a che fare con idee considerate come entità autonome, che si sviluppano indipendentemente e sono soggette solo alle proprie leggi. Che le condizioni materiali di esistenza degli uomini, nel cui cervello continua questo processo mentale, ne determinino in ultima analisi il corso, rimane necessariamente inconscio in loro, altrimenti sarebbe la fine di ogni ideologia». (Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, 1888, IV Materialismo dialettico).


venerdì 18 aprile 2025

Verso il suicidio

 

Si sragiona per schemi: da una parte i sedicenti difensori del diritto, della libertà e della democrazia, dall’altra gli amici del dispotismo e di Putin, delle presunte mire espansionistiche russe sull’Europa.

Con l’allargamento della Nato ad est, la Russia si è trovata con tutte le sue frontiere, ad ovest e sud-ovest, ostili. E si doveva comprendere (ma non si è voluto) che per la Russia l’occupazione dell’Ucraina da parte della Nato avrebbe significato l’annullamento di tutti i benefici, in termini di sicurezza, della seconda guerra mondiale.

La difesa russa dei propri interessi in Ucraina rappresenta l’effetto che sorge dall’istinto della propria difesa, ossia della propria conservazione. Ad un certo punto è squillato “now or never”. Putin è solo il casuale leader di questo momento storico.

Egli sa bene che quando un avvenimento non si può evitare è meglio che la crisi avvenga. Tra l’altro, l’annessione delle regioni orientali dell’Ucraina toglierà un equivoco dalla carta geografica.

Povera Europa, sia prima con Biden, sia ora con Trump, si trova esposta, per propria grave colpa, a tutte le vicissitudini di una politica di imposizioni (anche di segno opposto) che non controlla né può impedire. Come insegnano da ultimo sia la vicenda dei dazi e sia l’annunciato parziale disimpegno militare americano nel vecchio continente.

A livello apicale i francesi e i tedeschi l’hanno ben chiaro, forse perfino gli italiani. Con il proprio riarmo la Germania diventerà non solo il dominus economico ma militarmente di nuovo una potenza prepotente e brutale (in attesa di aggiungervi il nucleare). È solo questione di tempo: la storia non si ripete, rigurgita. Si corre verso il suicidio.

Una storica visita

Il NYT dedica un breve articolo alla visita della presidente del consiglio italiano alla Casa Bianca. Quello che segue è il testo.

Il giorno dopo l’incontro tra una delegazione giapponese e il Presidente Trump, è stato il turno dell’Italia, con l’arrivo alla Casa Bianca, giovedì, di uno dei pochi leader europei che Trump apprezza: il Primo Ministro Giorgia Meloni.

Come Trump e il Vicepresidente J.D. Vance hanno chiarito durante un pranzo in compagnia della Meloni nella Cabinet Room e in una seduta nello Studio Ovale, desiderano che le sue idee conservatrici e più nazionaliste diventino un modello per il resto d’Europa.

Da parte sua, la Meloni è apparsa abile nel gestire un incontro nello Studio Ovale con Trump: nessuna richiesta che potesse portare a una crisi come quella che ha dovuto affrontare il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, solo elogi a Trump e odi alle sue cause preferite.

«Il mio obiettivo è rendere di nuovo grande l’Occidente», ha affermato, facendo intendere che non c’era spazio nelle sfere dei due leader per programmi di diversità o “ideologie woke”, prima di invitare Trump in Italia per una visita ufficiale.

Ha suggerito di cogliere l’occasione per far sedere il presidente con i leader europei, pur riconoscendo che Trump non si è pronunciato.

Anche Le Monde dedica un articolo alla storica visita della Meloni:

«Giorgia Meloni ha assicurato di essere “certa” che si arriverà a un accordo, pur affermando di “non poter negoziare a nome dell’Unione Europea”. A dimostrazione che c’è ancora molto da fare, Donald Trump ha chiarito di “non avere fretta” e che Giorgia Meloni non gli ha fatto cambiare strategia

*

Pertanto, Meloni sui dazi non ha ottenute nulla; ha detto che vuole fare grande l’Occidente, evidentemente una spacconata; ha invitato Trump in Italia, ma questi, secondo il NYT, non gli ha manco risposto. Meloni è apparsa abile, riferisce sempre il NYT, ma evidentemente abile nell’essere reticente. Quanto è costata all’erario questa visita che poteva essere evitata ed eventualmente sostituita con una telefonata?

mercoledì 16 aprile 2025

Gli “esperti” di carestia

Gli “esperti” di carestia e il “metodo rigoroso”, certo. Apprezzo il lavoro rigoroso della simpatica Cecilia Sala, che dimostra di saper far di conto. Del resto un po’ di ragioneria non fa male, specie se applicata a popolazioni che vivono tra resort di lusso e spiagge bianche. Lo so, lei c’è stata da quelle parti, mentre io gioco semplicemente con la tastiera. Tuttavia mi consentirà di dire la mia a mezzo di questo innocente trastullo.

Sicuramente a Zamzam, in Somalia, non se la passano meglio che nei campi profughi palestinesi. E magari anche da qualche altra parte del pianeta non se la passano troppo bene. Non si muore letteralmente d’inedia a Gaza, questo precisa Cecilia. E nemmeno di freddo, posso aggiungere a mia volta. Come molti bambini israeliani non sono morti dal ridere quando hanno visto quelli di Hamas, così migliaia e migliaia di bambini palestinesi non sono morti per aver ingerito troppo cibo.

Esistono molti modi per distruggere un popolo, per sterminare il nemico. La cosa più semplice è ovviamente quella di eliminare gli umani. Ma possiamo anche (in aggiunta) umiliarli, radere al suolo i loro ospedali, le loro strade e le loro scuole. Queste cose Cecilia le conosce meglio di me, forse come nessun altro, tranne i diretti interessati. Dunque, per quanto mi riguarda è importante sapere anche quanti sono morti di miseria, di mancanza di cure, oppure quanti hanno esagerato con la Nutella. Ma evitiamo di esagerare nel dettaglio contabile da expertise.

*

Negarne la cultura, chiamarli arabi e non palestinesi, per esempio, come fanno certi giornalisti. Dire che Gaza non ha una storia, distruggerne intenzionalmente i numerosissimi siti storici. Situata all’incrocio delle rotte che dall’Egitto e dall’Arabia conducono alla Siria, è stata teatro di numerose invasioni: da parte dei Cananei (2.000 anni prima della nostra era), dei Filistei, degli Assiri, dei Babilonesi, degli Egiziani, dei Persiani, dei Greci, dei Romani, dei Bizantini, degli Arabi (nel VII secolo), dei Curdi, dei Turchi, dei Mamelucchi, degli Ottomani, eccetera. Certo, ci furono innumerevoli distruzioni ben prima della creazione di Israele, e ogni volta gli edifici venivano distrutti, poi ricostruiti, e ancora distrutti e ricostruiti. Sognavano di radere al suolo Gaza e ci sono riusciti. Di cacciarne gli abitanti, ma c’è un grande attaccamento degli abitanti di Gaza a questo patrimonio storico. Perciò, desumo, i sionisti hanno deciso di ridurre drasticamente il loro numero. Come già i nazisti.

Un’occhiata al rapporto pubblicato dall’UNESCO dall’inizio del conflitto e regolarmente aggiornato, le immagini satellitari, ecc. Attualmente sono almeno 88 i siti storici distrutti, tra cui il porto di Antedone, dove sono stati ritrovati resti i più antichi dei quali risalgono al IX secolo a.C., e il suk di Al-Qissariya, costruito nel XIV secolo. Purtroppo l’elenco è lungi dall’essere completo. Ci parli con rigore e precisione anche di questo, cara Cecilia. Resto in ascolto.

Un'altra sconfitta del regime di Zelensky


Nell’agosto dello scorso anno, il regime di Volodymyr Zelensky lanciava l’invasione nella regione russa di Kursk, inizialmente pubblicizzandola come un mezzo per alleviare la pressione sulle proprie forze, a corto di truppe, nel Donbass e migliorare la posizione dell’Ucraina in eventuali futuri negoziati per porre fine alla guerra. Allo scopo, l’esercito ucraino aveva destinato un numero significativo delle sue forze migliori addestrate dal Regno Unito e impiegando carri armati NATO.

L’attacco a sorpresa aveva portato alla conquista tra i 1.000 e i 1.300 chilometri quadrati di territorio, rendendola la più massiccia invasione terrestre della Russia dai tempi della Germania nazista. Il governo russo ha accusato le truppe ucraine dell’omicidio, avvenuto tra settembre e novembre, di 22 civili nel villaggio occupato di Russkoye Porechnoye.

Quella avventura, durata otto mesi, era fin dall’inizio destinata al fallimento e alla perdita di migliaia di soldati ucraini, senza alcun miglioramento nella posizione negoziale di Kiev o la creazione di una “zona cuscinetto” per le forze armate ucraine.

All’inizio di marzo, c’era stato il ritiro “catastrofico” delle forze ucraine dalla città strategicamente importante di Suda. A metà marzo, mentre gli ucraini si ritiravano da Kursk, il mentitore seriale Zelensky dichiarò che i soldati in ritirata se ne stavano andando con la “missione compiuta”.

Ora la Russia annuncia di aver ripreso il controllo di Guyevo, uno degli ultimi villaggi controllati dalle forze ucraine nel territorio russo.

Il maggiore ostacolo alla fine del conflitto armato è rappresentato da Zelensky e dai suoi sostenitori europei. Si presenta sempre più necessaria l’eliminazione del dittatore ucraino.

Valery Zaluzhny (a sinistra) con Andriy Stempitsky, già comandante delle truppe naziste ucraine Settore Destro. Entrambi sono fotografati davanti a un ritratto del leader nazista ucraino Stepan Bandera. 

martedì 15 aprile 2025

Un capitolo inedito dei Vangeli

 

Fuori piove, già da ieri e pioverà anche nei prossimi giorni. Piove che dio la manda e a “stravento”, cioè da nord-est verso sud ovest. Come gli Alisei che portarono Colombo e Tolomeo alle Bahamas e poi a Cuba. Avrei da finire, ma non ne ho voglia, i diari e le agende di un aristocratico romano che leccò per lustri Ciano e il nazionalismo fascista, nel dopoguerra inevitabilmente riabilitato e nominato ambasciatore della repubblica ad Ankara e a Mosca. E allora sogno.

Dopo aver superato la tristezza e la paura, avevo intenzione nei giorni di pasqua di recarmi a Gaza, in un resort con piscina e beauty free “Fassino”, ma mi dicono che è già tutto prenotato. Pace. Andrò allora a Gerusalemme e nei suoi sobborghi per vedere se Dio è lì da qualche parte, come sostengono gli ebrei e tanti altri. Il racconto di un viaggio in “terra santa”, dove millenni fa sgorgava la fonte del culto monoteistico, nel grande ospedale psichiatrico a cielo aperto che è diventata la Palestina, ora terra esclusiva del sionismo.

È giunto per me il momento di andare alla ricerca di ciò che è all’origine di tre diverse dimensioni metafisiche. Visitare il Golgota, la Grotta della Natività (a Betlemme), il Monte del Tempio, la Cupola della Roccia, la Tomba dei Patriarchi (a Hebron), nonché due luoghi diversi in cui si dice abbia avuto luogo l’Ultima Cena, il che solleva il velo su un capitolo inedito dei Vangeli: quella sera, Gesù cenò due volte, ma con chi la prima volta?

Forse con Massimo Cacciari, uno che “non si è sposato né ha avuto figli perché ha letto Nietzsche”, come dichiarava egli stesso nel 2019. Anch’io ho letto qualcosa, per esempio il meglio e il peggio di Louis-Ferdinand, ma non per questo ho preso la tessera di CasaPound. Distanze filosofiche e letterarie. Su un punto però siamo d’accordo io e il Filosofo televisivo: con la vecchiaia abbiamo un rapporto tremendo. Per via degli acciacchi per quanto mi riguarda. Cacciari invece non so, forse per via della prostatite, oppure di Seneca: se la morte è fine o passaggio. Bel viatico.

«La fede è un dono – sostiene oggi il veneziano di Castello –, il mio ragionamento dà spazio alla fede solo sul piano logico». Devo aver perso qualche lezione. Dice: «Ciò che so è che per me pensare così la morte è l’unico modo per vivere autenticamente». Poi precisa: «Non me ne frega nulla della morte in quanto scomparsa. Nulla muore, tutto si trasforma. Viene meno la mia consistenza fisica, il mio corpo diventa altre cose. Perché dovrei stare attaccato spasmodicamente a questi processi? È normale, la natura si trasforma continuamente, ma niente si distrugge». Ottimo, qui siamo in territorio Antoine-Laurent, mio pane quotidiano per tanti anni.

E però Cacciari aumenta la dose: «La mia realtà non si annichilisce». Piano, chiarisca in che senso. «[...] noi non ci annulliamo. Ognuno di noi produce costantemente informazioni e pensieri: perché mai dovrebbero annullarsi? La luce che produciamo non si esaurisce. Scompare, certo, non si vede più. Ma procede. Può darsi che io venga visto tra qualche millennio in qualche altra galassia».

Dio buono, finalmente qualcuno che mi dà speranza, secondo “logica” e non secondo “fede”. Qualcosa del genere l’aveva ipotizzato anche Engels, nei suoi ultimi anni, ma non “luce che scompare ma non si esaurisce”, “galassie” e simili. C’est la différence entre un matérialiste et un levantin. Crede Cacciari che la memoria possa essere una forma di immortalità? «Se è memoria attiva, sì; memoria vivente che renda possibile sperare». Eh, così mi ha tagliato fuori. Mi spegnerò su questo cazzo di pianeta. Addio galassie, addio bastioni di Orione, addio per sempre dottor Tyrell, addio Cavallo in f6.

Continuo la visita palestinese senza dimenticare il Muro del Pianto, naturalmente, dove non mancherò di infilare il foglietto rituale su cui scrivere la mia preghiera: “Signore, replica da par Tuo come quella volta con Sodoma e Gomorra”. Davanti alla chiesa del santo sepolcro, potrei incontrare persino Gesù. Perché è lì che si suppone sia stata piantata la vera Croce con inchiodato il vero Cristo. Come bonus verità, sembra che sotto, sepolto, ci sia il cranio di Adamo ...

Ma, potreste dire, non è masochista addentrarsi in territorio ostile e avere sotto il naso la causa delle nostre e soprattutto loro sfortune, e di molte delle tragedie che per millenni hanno colpito l’umanità? Per giudicare e combattere qualcosa, bisogna conoscerla e capirla bene, rispondo in tono pontificio. Quindi dovrei esplorare la scena del crimine originale, incontrare i rappresentanti delle tre “grandi” fiabe monoteiste, sempre se costoro saranno disposti a parlare con un non credente della mia specie. Vorrei dibattere con loro sul tema: “vivere senza Dio e in libertà”.

Passando da monaco a rabbino, da rabbino a imam, da imam a prete, da prete a colono, da colono a sceicco. Temo che i miei interlocutori troveranno un po’, solo un poco, provocatoria la mia presenza e le mie domande, a dimostrazione che questi individui apparentemente integerrimi, grossi, grassi e buoni a nulla possono essere anche dei veri e propri ipocriti subdoli a cui è meglio non voltare mai le spalle. Avranno letto Nietzsche?

Una scossa storica epocale

 

“ [...] il modo di produzione capitalistico trova, nello sviluppo delle forze produttive, un limite che ha nulla a che vedere con la produzione della ricchezza in quanto tale; e questo particolare limite testimonia del carattere ristretto, semplicemente storico, transitorio, del modo di produzione capitalistico; prova che esso non costituisce affatto l’unico modo di produzione in grado di generare ricchezza, ma, al contrario, arrivato ad un certo punto entra in conflitto con il suo stesso ulteriore sviluppo”.

Queste cose sembrano scritte oggi in riferimento a un prossimo domani, ma sono in realtà state scritte e ulteriormente argomentate sul piano scientifico oltre 160 anni fa. Le scriveva Marx in vari suoi manoscritti, per esempio, in quello che sarà edito postumo come cap. 15° del III Libro.

Alcuni hanno provato a pensare ai compiti rivoluzionari che attendono come alla soluzione di compiti “tecnici”. Si trattasse solo di questo, ossia dello sviluppo tecnologico, peraltro indispensabile ma non sufficiente per il raggiungimento di certi obiettivi, basterebbe il determinismo a salvarci, dove tutto accade secondo ragione e necessità, quindi il dominio della necessità causale in senso assoluto che nega la necessità dell’agire umano.

Marx nella citazione ci dice che dentro la tecno-scienza si nasconde una scossa storica epocale, della quale un secolo e mezzo dopo le sue parole siamo tutti testimoni diretti. Allo sviluppo delle forze produttive, all’aspetto della tecno-scienza, è necessario affiancare un altrettanto epocale compito politico, quello di ribaltare l’intero progetto tecno-scientifico, liberandolo dal legame con la produttività umana che, come dice Marx nel passo citato, è fine a sé stesso, ossia indispensabile per la valorizzazione capitalistica, la quale trova un suo limite storico ed “entra in conflitto con il suo stesso ulteriore sviluppo” (*).

L’oggetto tecnico in sé, per quanto possa dimostrarsi “intelligente”, in realtà è immemore del “suo” progetto, ossia la pacificazione della lotta per l’esistenza, e scambiando questa incoscienza con la sua presunta neutralità, esso fornisce il veicolo ideologico perfetto per celare e imporre la perpetuazione politica ed economica del dominio, ossia che il capitalismo rappresenti lo stato di natura finalmente perfetto.

E qui arrivano quelli che oppongono: ma ribaltare l’intero progetto tecno-scientifico, la fine del processo di valorizzazione capitalistica quale scopo precipuo della produttività umana, tutto ciò non eliminerà le classi sociali e le contraddizioni che tale antagonismo comporta. Questo presupposto ideologico perfetto li rasserena: teniamoci le cose per come si trascinano, tanto in prospettiva non c’è nulla di meglio. È il conservatorismo che parla, quello che prima o poi, sotto la pressione della crisi sistemica, dell’accentuarsi della “fatica del vivere”, trascolora in aperta e nera reazione, nell’invocazione dell’uomo provvidenziale che tutto risolve.

(*) Si tratta, come scrivevo ieri, della tenuta del modo di produzione capitalistico, che proprio nel momento del suo massimo trionfo mostra di non farcela più, salvo ricorrere, ancora una volta ma non più nelle identiche condizioni del passato (la storia non si ripete, rigurgita), al tutti contro tutti, in una spasmodica voglia d’igiene del mondo.

lunedì 14 aprile 2025

Una forza motrice del capitalismo

Scrive il NYT che «La Cina ha sospeso le esportazioni di un’ampia gamma di minerali e magneti essenziali, minacciando di bloccare le forniture di componenti essenziali per case automobilistiche, aziende aerospaziali, aziende di semiconduttori e appaltatori militari in tutto il mondo.

Le spedizioni di magneti, essenziali per l’assemblaggio di qualsiasi cosa, dalle automobili ai droni, dai robot ai missili, sono state bloccate in molti porti cinesi mentre il governo cinese elabora un nuovo sistema normativo. Una volta entrato in vigore, il nuovo sistema potrebbe impedire definitivamente alle forniture di raggiungere alcune aziende, tra cui gli appaltatori militari americani.»

Dei cinesi si può dire di tutto, perfino che sono dei comunisti, accusa infondata e dimostrata dal fatto che la lotta di classe è stata ampiamente messo a tacere nella Repubblica Popolare Cinese (così come in tutte le società contemporanee), ma non si può dire che i cinesi non facciano sul serio. Trump vuole la guerra tariffaria? Loro gliela servono su un piatto di ittrio.

Anche per quanto riguarda i prodotti agro-alimentari, le tariffe trumpiane stanno favorendo paesi come il Brasile, come spiega Mario Seminerio (un tipo estremamente permaloso, specie con i cretini, ma sa le cose e le racconta bene): la Cina opera con le barriere non tariffarie, di solito invocando contaminazioni alle derrate agricole o presenza di sostanze proibite nella carne per bloccare le importazioni quando la tensione sale. In tal modo il mese scorso non ha rinnovato a centinaia di impianti americani di lavorazione della carne le autorizzazioni a esportare in Cina.

Sempre Seminerio sottolinea che Pechino si rivolge soprattutto verso il Brasile per le importazioni agricole. La quota degli Stati Uniti nelle importazioni alimentari della Cina è crollata dal 20,7 per cento nel 2016 al 13,5 nel 2023, mentre quella del Brasile nello stesso periodo è cresciuta dal 17,2 al 25,2. Gli europei, in attesa della ratifica del trattato di libero scambio col Mercosur, potrebbero anche essere costretti a passare a una fornitura di proteine per mangimi per animali dal Brasile anziché dagli Stati Uniti.

Ancora: l’Ue sarebbe pronta a imporre dazi compensativi del 25 per cento su soia, carne bovina e pollame statunitensi tra aprile e dicembre, e dunque cresce il timore che il Brasile non riesca a soddisfare la domanda. L’Europa sta finendo in competizione con la Cina per gli stessi prodotti. Il che vuol dire prezzi più alti per i mangimi, che generano inflazione alimentare.

Ma non è detto – avverte Seminerio – che questi scenari ad alta criticità si realizzeranno effettivamente. Trump invece attende la telefonata di Xi Jinping per poter poi vantarsi di aver ricevuto il bacio più ambito sul deretano.

Fin qui Seminerio. Trump ha ovviamente ben chiaro che la Cina è il più forte competitore degli Stati Uniti, ma non ha capito che la Cina è diventata una forza motrice fondamentale del capitalismo. Un evento storico epocale inimmaginabile solo poco tempo addietro. Pensa che il capitalismo sia business e consumi. Con tali credenziali ideologiche, Trump e quelli come lui (sono tanti) governano il mondo senza aver chiaro che cosa sia nella sua essenza il capitalismo e come agisca nel processo storico. La sfida non riguarda solo la Cina in quanto tale, non solo le sorti degli Stati Uniti e dell’Europa, ma il divenire e la tenuta del modo di produzione capitalistico. 

In un momento di rabbia

 

Di Gaza è già stato detto tutto o quasi, dell’Ucraina ci pensa Repubblica a informarci, cioè a definire la Russia come imperialista e una minaccia per l’Europa. Perciò nel cacofonico impero del libero dazio non ci resta che attendere la nuova Tesla a benzina e far propria l’alternativa vegana alle uova: per Pasqua dipingere le patate.

Ieri ho visto una foto che ritrae in primo piano le mani di Albert Einstein. Aveva le unghie molto sporche, ma una mente molto pulita quando, nel suo ultimo appello per la pace firmato con Bertrand Russell l’11 aprile 1955, a pochi giorni dalla sua morte, diceva: “Ci rivolgiamo come esseri umani ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto”.

Sarà stato anche “pacifismo borghese”, ma che distanza siderale dall’oggi!

Personalmente non sono pacifista ad oltranza, velleitario esserlo in un mondo diviso tra padroni e schiavi, tra imperi e popoli oppressi, quando la realtà del conflitto sociale e della guerra risulta essere un dato strutturale. Mi viene in mente, al riguardo, il monito di Marx, quando già nel Manifesto (lo scrisse a 27 anni) paventava la distruzione reciproca dei contendenti. Verrebbe da dire: socialismo o morte.

Non perché il socialismo sia garanzia della pace perpetua, come pensano gli sciocchi del marxismo da un lato e i malati di anticomunismo dall’altro, ma se non altro il socialismo costituirebbe la premessa dalla quale partire per costruire una umanità degna di questo nome. Se nel passato non fu possibile per molte ragioni, oggi esistono le premesse a ciò necessarie.

E difatti non si capisce perché un proletario ucraino dovrebbe uccidere un proletario russo e viceversa, se non rispondendo a una logica d’interesse che non li riguarda affatto. Vale anche per israeliani e palestinesi, per chiunque altro.

Dunque predisponiamoci, noi europei, a spendere e spandere per nuovi 1.200 carrarmati, 2.700 veicoli di fanteria, 900 pezzi di artiglieria, nuovi aerei e missili, altre 49 brigate (quarantanove!), le quali assommeranno a oltre 200.000 nuovi soldati. Questo annuncia il segretario europeo per la Difesa e lo Spazio Andrius Kubilius, un lituano (non avevano chi altri mettere a qual posto?). E dove li andranno a prendere oltre 200.000 nuovi proletari da vestire in divisa? Ci pensa il commissario agli Affari economici, tale Vladis Dombrovskis, un pacifista polacco che dichiara come cosa fatta la reintroduzione della leva militare (lo preconizzavo anni fa in questo blog notoriamente filorusso e antiamericano).

In un momento di folle rabbia verrebbe quasi da dire che Stalin e Hitler non portarono a compimento il “lavoro”. Ma tranquilli, è solo un attimo di rabbia, poi passa e mi rassereno addentando una mela.

domenica 13 aprile 2025

La fabbrica in testa


Sul Sole 24 ore di oggi c’è un articolo intervista dedicato a Mariacristina Gribaudi. Chi è Mariacristina? Anzitutto una bella donna, “il cui sguardo, chiaro come il vetro, va oltre le finestre per arrivare lontano”. Così la descrive Maria Luisa Colledani, autrice dellarticolo che profuma di fragranze imprenditoriali e di marchetta redazionale.

Eh sì, perché Mariacristina, prima ancora di essere l’attuale presidente della fondazione dei musei civici di Venezia, è una imprenditrice, figlia e moglie di imprenditori. «Gli impegni della presidente – ci informa la redattrice del Sole – sono infiniti, i sei figli, la gestione della Keyline [una fabbrica di chiavi] che, con il marito hanno scelto di guidare a turni di tre anni (“così negli altri tre anni possiamo studiare”), i viaggi per portare la fondazione Muve ovunque».

È la stessa Mariacristina a rivelarci ciò che personalmente stentavo a credere, ossia che il suo “compito è salvaguardare per le generazioni future le 700.000 opere conservate nelle raccolte”. Io mi ero fatta l’idea, evidentemente sbagliata, che il suo compito fosse quello di vendere biglietti (Philippe Daverio chiamava tale attività museale “bigliettame”).

Il 30 aprile inizierà la mostra “L’oro dipinto. El Greco e la pittura fra Creta e Venezia”. Sicuramente nella mostra nemmeno si accennerà a una peculiare attività imprenditoriale veneziana che aveva luogo a Creta e a Cipro, quella delle piantagioni di canna da zucchero. La manodopera era costituita da schiavi, non nel senso moderno del termine, ma nel senso di allora, quando le galee veneziane (e genovesi) trasportavano tale merce dolente acquistata per esempio a Tana, località del Mare d’Azov.

Tartari, russi, circassi, ziki (un sottogruppo etnico dei circassi), che le carovane conducevano nel porto dopo chissà quale faticoso viaggio e quali tragiche vicende. Circa 80% di quegli schiavi erano donne, spesso giovanissime, come testimoniato negli atti rogati dal notaio Moretto Bon, il quale in tale veste operò a Trebisonda e Tana (*). Prevalentemente quelle schiave venivano adibite a lavori domestici un po’ in tutte le città italiane ed europee.

Per esempio, Cosimo Medici detto il Vecchio, di schiave domestiche ne aveva cinque, da una di esse, circassa acquistata a Venezia, nacque un figlio che fu legittimato: Carlo dei Medici. Secondo stime veridiche, tra il ‘400 e il ‘500, nelle città italiane del settentrione il 4-5% della popolazione era costituita da schiavi. Potessi, suggerirei a Mariacristina una mostra sul tema della tratta degli schiavi operata dai veneziani per lunghi secoli. Si potrebbe intitolarla: Il vero oro di Venezia.

L’imprenditrice/presidente dichiara: «I musei non sono solo spazi in cui andare tre volte nella vita, da bambini, da genitori e da nonni [ovviamente si riferisce al volgo, quello che non può permettersi tre anni sabbatici], ma sono la fabbrica del nostro passato, quindi, la fabbrica di oggi non è altro che il museo di domani. Per questo dobbiamo prenderci cura delle fabbriche e chi conosce la gestione di un museo d’impresa può trasferire le conoscenze nella gestione dell’arte. Stiamo scrivendo una pagina di futuro [...]». E altre presenti e futuribili modestie.

Il modello di società che ha in testa Mariacristina Gribaudi è quello della fabbrica. La dittatura di classe della borghesia ha come ideologia questa roba qua. Quaranta ore alla settimana da operaia, con qualche turno notturno e festivo, per più di quarant’anni, senza bambinaie e domestici a casa e qualche anziano da accudire, gli farebbero passare la voglia di fabbrica? Forse.

(*) Moretto Bon, notaio in Venezia, Trebisonda e Tana, Comitato per la pubblicazione delle fonti relative alla storia di Venezia, Sz. III – Archivi notarili, Venezia 1963. Giacomo Filiasi, Memorie storiche de’ Veneti, vol. II, tomo 6°, p. 189, Modesto Fenzo editore, Venezia 1797 (nella seconda edizione del 1811 la descrizione sulla tratta degli schiavi è stata espunta dal testo). Peter Spufford, Il mercante nel Medioevo, Potere e Profitto, Ist. Poligrafico dello Stato, pp. 338 e sgg.