lunedì 17 giugno 2024

Meno di un gatto

L’inserto domenicale de Il Sole 24 ore dedica la prima pagina a quello che definisce “Il maestro dell’arte italiana (figuriamoci gli altri), vale a dire M. Pistoletto. Riproduce anche una sua “opera”, vale a dire un QRcode a colori, che, sostiene il maestro, è stato “realizzato in collaborazione con l’intelligenza artificiale”. Un po’ come se Leonardo ci avesse raccontato che la sua Mona Lisa fu realizzata in “collaborazione” con i suoi pennelli. Ah no, l’intelligenza artificiale è tutt’altra cosa. 

Vorrei ricordare che Yann LeCun, il capo dellintelligenza artificiale di Meta, ha affermato che lintelligenza artificiale non è intelligente come un gatto e non riesce nemmeno a capire come caricare una lavastoviglie. Il nostro maestro accompagna l’”opera”, cioè il QRcode a colori, con un testo “che la introduce e spiega”. Eh già, perché se non te la spiegano potresti prenderla per un QRcode che ha avuto un percorso in lavatrice.

Il QRcode di Pistoletto “è visivamente astratto ma è contemporaneamente figurato e letterario”. Se vi chiedete perché un QRcode sia tutto ciò, Pistoletto ve lo spiega: è “un QRcode [che] contiene una narrazione video, che è essa stessa un mio lavoro, il quale a sua volta riporta un testo tratto dal mio libro La Formula della Creazione (in maiuscolo ovviamente).

Attenzione però, il video contenuto nell’opera “è intitolato Il Caso e inizia con la corsa attraverso la città, della Sfera dei giornali attualmente esposta nella sede del Sole 24 Ore. Nel video la sfera diviene una palla che entra nel campo di calcio ed è giocata dalle due squadre nel concorso per la vittoria, che equivale alla pace: la pace sportiva che sostituisce la guerra distruttiva”. Nel preciso istante in cui percepite tutte queste cose, udirete l’ululato di una sirena. Non preoccupatevi, è l’ambulanza che viene in soccorso del maestro dell’arte italiana.

Ovviamente sono io che non capisco, che vedo nelle “opere” del Pistoletto & C. l’ignominioso che compete con l’infantile. La mia è un’ossessione, quella di che cosa fa il capitalismo a quella che viene chiamate arte astratta, concettuale e simili. L’illusione funziona perfettamente, in ogni occasione, le élite culturali, politiche, economiche nel loro narcisismo regressivo si offrono una facile vittoria simbolica. Tutto comprendono e soprattutto acquistano al giusto prezzo di mercato, incapaci di riconoscere il carattere antisociale di questo genere di “arte”, che ha prodotto una desensibilizzazione senza precedenti e un cinismo che va di pari passo con l’indifferenza. 

sabato 15 giugno 2024

Prima dell’11 settembre 2001

 

Centoventi anni fa, in data 15 giugno 1904, a New York si verificò una catastrofe di ragguardevoli proporzioni. 

A Manhattan non c’era solo una Little Italy, ma anche una Little Germany, in tedesco: Kleindeutschland o Dutchtown, ossia un quartiere di immigrati tedeschi nato intorno al 1840. Nessun’altra città dalla metà del XIX secolo aveva conosciuto un’immigrazione tedesca così forte come New York, che divenne la città con il maggior numero di residenti tedeschi dopo Berlino e Vienna.

Nella “Deutschlandle” gli immigrati tedeschi costituivano fino al 45% della popolazione. Si parlava tedesco, ci si sposava tra tedeschi, si leggevano giornali in lingua tedesca e ci si incontrava nelle chiese, nei teatri popolari, nei club e nelle birrerie all’aperto. La comunità tedesca era composta principalmente da operai e artigiani, che erano più istruiti di quelli irlandesi o italiani, ed erano quindi molto richiesti come lavoratori nella città in espansione. Svolsero un ruolo significativo nel rapido boom economico di New York.

L’industria alimentare divenne dominio tedesco. La produzione della birra era saldamente in mano ai tedeschi; inizialmente i piccoli birrifici si trasformarono in grandi attività verso la fine del XIX secolo. Anche macellai e panettieri tedeschi avevano quote di mercato elevate in città. Tuttavia, il gruppo più numeroso di immigrati tedeschi lavorava nel settore dell’abbigliamento, spesso lavoratori a domicilio.

Oltre ad altre professioni manifatturiere come la falegnameria, molti tedeschi lavoravano anche nel commercio e gestivano piccoli negozi dove si vendeva un po' di tutto. Gli immigrati ebrei tedeschi, esclusi da molti mestieri in patria, fecero qui maggiore esperienza e presto controllarono gran parte del commercio al dettaglio di New York. Anche i banchieri ebrei tedeschi riuscirono sempre più a imporsi in concorrenza con le istituzioni finanziarie anglosassoni di lunga data di New York.

Nel quartiere si trovava la congregazione luterana di San Marco, che organizzò per il 15 giugno una gita per scolaresche su un grande piroscafo. Fu scelto il General Slocum, a tre piani, che con il suo scafo lungo 76 metri, era considerata la “nave da escursione più grande e glamour di New York”.

Partì quel mercoledì dal molo della East 3rd Street per Long Island la mattina presto. A bordo c’era un’atmosfera festosa tra gli oltre 1.300 passeggeri (in realtà molti di più), soprattutto donne e bambini.

Subito dopo la partenza, nella stiva della nave scoppiò un incendio. Poiché in quello stretto tratto di mare (chiamato “Porta dellInferno”) le manovre erano difficili e cerano depositi di petrolio lungo la riva, il capitano decise di continuare il viaggio e si diresse a tutto vapore verso un piccolo cantiere navale sull’Isola di North Brother, sperando di percorrere un altro miglio o giù di lì.

La manovra ebbe esito fatale. La velocità e il vento alimentarono ancora di più le fiamme e in poco tempo morirono 1.021 passeggeri tra le fiamme o annegati. Dato che i bambini non avevano bisogno di biglietti, probabilmente il numero delle vittime fu molto più alto. Sopravvissero solo 321 passeggeri. Giorni dopo, i corpi continuavano a riversarsi sulle rive della metropoli. “Uno spettacolo dell’orrore che non può essere descritto a parole”, titolava un giornale.

Il numero delle vittime fu così alto anche perché la Knickerbocker Steamship Company, la società armatrice, aveva trascurato la manutenzione del suo piroscafo di lusso sin dal suo varo nel 1891. Il tappo dei giubbotti di salvataggio si era disfatto nel tempo. Le scialuppe di salvataggio erano state verniciate in tempo, ma erano state incollate allo scafo. I tentativi di spegnere l’incendio fallirono perché i tubi dell’acqua erano marci e non potevano resistere alla pressione. L’equipaggio, che non era stato addestrato per una simile emergenza, reagì con esitazione.

Il capitano della nave fu condannato a dieci anni di prigione, dei quali ne scontò solo tre. La direzione della compagnia di navigazione riuscì a farla franca. Il disastro ebbe effetti duraturi: quel quartiere di Manhattan non riuscì più a riprendersi. La catastrofe dello Slocum non fu la sola causa della scomparsa della Piccola Germania, ma accelerò la fine del carattere tedesco dell’area.

Ciò era già evidente a partire dal 1880. La zona era tutt’altro che pittoresca: negli ultimi tempi sempre più residenti si erano affollati in case sovraffollate senza acqua corrente, le epidemie dilagavano e nella parte orientale c’erano magazzini di carbone, cantieri navali, birrerie e macelli che diffondevano un fetore acre.

Coloro che potevano permetterselo lasciavano Little Germany per trasferirsi a nord verso i nuovi e moderni edifici sopra Houston Street che venivano costruiti a ritmo sostenuto. Sempre più immigrati dall’Europa dell’Est e dall’Italia si riversarono nel Lower East Side. I tedeschi non solo trasferirono le loro aziende a nord, ma anche fuori Manhattan, ad esempio a Brooklyn, che divenne molto meglio collegata grazie all’omonimo ponte, completato nel 1883.

Molti immigrati tedeschi negli USA hanno sempre preferito modificare il proprio cognome per adattarsi alla cultura dominante anglosassone. La pressione per l’assimilazione portò alla diminuzione della visibilità dei tedesco-americani già all’inizio del secolo. Dopo la catastrofe dello “Slocum” arrivò la svolta decisiva della Prima Guerra Mondiale e tutto ciò che era tedesco venne sospettato da tutti. La seconda guerra mondiale fece il resto.

venerdì 14 giugno 2024

Guerra in Ucraina e grandi affari

 

L’Ucraina si è impegnata per acquisti ventennali di Gnl dagli Stati Uniti, ma al tempo stesso sta collaborando per consentire li passaggio alle forniture di Gazprom anche dopo la fine del contratto di transito.

Si chiama geopolitica, affari, mafia, quello che vogliamo. Tutto ciò mentre migliaia di uomini al fronte si stanno scannando. Leggo ancora sul Sole 24 ore:

«È alle battute finali la sfida tra Stati Uniti e Russia sul mercato europeo del gas. Washington punta a stravincere, Mosca non può permettersi di gettare la spugna e comunque, benché in serie difficoltà, è ancora in gioco: in maggio è anzi tornata a superare gli americani, riconquistando – tra forniture via gasdotto e carichi di Gnl – una quota di mercato del 15%, record da due anni, contro il 14% degli Usa (e il 30% della Norvegia) [...].

«Tra i due contendenti c’è l’Ucraina: tuttora disposta, per quanto possa sembrare incredibile, a concludere affari con entrambi i Paesi quando si tratta di gas. In particolare Kiev sta collaborando nell’organizzare sistemi alternativi che consentano alle forniture di Gazprom di passare nel suo territorio anche dopo la scadenza a fine anno dell’attuale contratto di transito. Nello stesso tempo – è notizia di giovedì 13 – si è lasciata convincere ad impegnarsi per acquisti regolari di Gnl dagli Usa, anche se oggi l’Ucraina produce abbastanza gas da essere autosufficiente».

La guerra del gas, così come quella del petrolio e tante altre così. Cosa dicevo l’altro giorno? Prestiti all’Ucraina perché poi compri merci da chi quel denaro glielo presta o finge di regalarglielo.

Saranno anche fatti contingenti, ma le goccine questa volta le deve prendere M. S. e a litri certi suoi amici.

Se il gas non servirà all’Ucraina, scrive sempre il quotidiano di Confindustria, verrà esportato in altri Paesi dell’Europa centro-orientale, area in cui si trovano le roccaforti del gas russo più difficili da espugnare. Tra queste l’Ungheria, guidata dal sovranista Viktor Orban, vicino al Cremlino, che Gazprom oggi rifornisce via Turchia con il TurkStream, gasdotto con diramazioni che raggiungono anche Bulgaria, Romania, Grecia, Macedonia del Nord, Serbia e Bosnia Erzegovina.

È questa la vera guerra, o quantomeno una delle reali motivazioni dalle quali nasce la carneficina in atto.

Il Gnl a stelle e strisce che sbarcherà in Ucraina sarà importato dalla DTEK, utility privata che ha siglato un accordo con Venture Global (società peraltro ai ferri corti con molti clienti europei, tra cui Edison, che le contestano violazioni contrattuali).

La DTEK, che fa capo alla System Capital Management o SCM, con sede a Cipro, è di proprietà di Rinat Akhmetov, nato a Donetsk (ex Stalino), di etnia tartara del Volga, musulmano sunnita praticante. Ha esordito come assistente di Akhat Bragin, ex macellaio, “una figura mafiosa dell’oblast di Donetsk e in seguito presidente della squadra di calcio Shakhtar Donetsk”, scrive Wikipedia. Bragin subì diversi attentati, morì in un attentato dinamitardo nel 1995 allo stadio Shakhtar di Donetsk. Dopo questo evento, Rinat Akhmetov è diventato proprietario e presidente della Shaktar Donetsk.

In onore di Akhat Bragin, la moschea di Donetsk si chiama Ahat Jami. La moschea è situata a Donetsk ed è stata chiamata “in onore del boss mafioso locale Akhat Bragin e uno dei suoi minareti prende il nome da Rinat Akhmetov”.

Nel 1999, un rapporto ufficiale del Ministero degli affari interni ucraino intitolato “Panoramica delle strutture della criminalità organizzata più pericolose in Ucraina” ha identificato Akhmetov come leader di un sindacato della criminalità organizzata. Il rapporto collegava il gruppo al riciclaggio di denaro, alla frode finanziaria e al controllo di numerose società fittizie.

La più grande azienda del gruppo SCM è Metinvest, impegnata nel settore minerario e dell’acciaio. È una delle più grandi imprese private dell’Ucraina e uno dei maggiori produttori di acciaio in Europa. È anche il più grande produttore ucraino di minerale di ferro. Oltre all’Ucraina, Metinvest ha asset negli Stati Uniti, Italia, Regno Unito, Bulgaria e Svizzera.

Quello di Akhmetov è un profilo che andrebbe indagato meglio.

Macondo

 

Leggo che nel mitico e malfamato Sud ci sono 40 gradi. Immagino più volte al giorno di essere lì. Non in Puglia, che c’è ressa; in Sicilia, della quale conservo un buon ricordo. E anche un curioso e utile oggetto di cucina dove appoggio la moka.

E invece. Attraverso la finestra del mio studiolo, il glicine in fiore e il groviglio di lillà. Sono già marci: piove soltanto da mesi; il giardino è fradicio; la pioggia è entrata nei miei pensieri, bagna le mie frasi e non mi lascia più. Mentre la notte evapora lentamente, mi alzo per scrivere, ascolto il torrente che vien giù, lo scavalco fino a sognare finalmente l’estate.

Vorrei, scrivendo, che tutto diventasse chiaro, diventasse musica. Moltiplico le frasi, e man mano che si svolgono, sempre più lunghe, mi sembra di nuotare contro corrente, comincio a cercare un luogo, e questo luogo è sempre sfuggente. Dove, sospetto, mi attendono da molto tempo. È un segno, una minaccia o al contrario una conferma? Come sempre ho solo domande e quasi mai una risposta definitiva.

giovedì 13 giugno 2024

[...]

 


Emblematica.

Di che cosa avranno parlato tra loro i presunti potenti della Terra al G7, che si tiene, come ripetono tanti giornalai, a Borgo Ignazia, una località inesistente (è il nome di un albergo extra lusso dove si mangia in ciotole per cani spacciate per ceramiche artistiche)?

Della gravissima crisi idrica del Medio Oriente, del fatto che dal 1950 al 2000 la popolazione del MO e del Nord Africa è quasi quadruplicata, passando da circa 100 milioni a 380 milioni, crescendo più velocemente di ogni altra grande regione del mondo?

Quindi dei crimini del governo israeliano e del suo esercito, oppure delle centinaia di migliaia di vittime della guerra scaturita dalle provocazioni della Nato e dai neonazisti ucraini? Suvvia, noi al massimo posiamo fare da camerieri a questi summit e cederemmo quote di sovranità persino all’impero carolingio, se esistesse ancora.

O magari hanno parlato, tra un brindisi e l’altro, del libro di Sahra Wagenknecht, a lungo in vetta alla classifica dei bestseller di saggistica tedesca pubblicata da Der Spiegel? Si sono chiesti il perché di quel successo? Ma certo che no, loro leggono altro, frega nulla di mettere mano agli aspetti strutturali della crisi e degrado, che pure conoscono.

Secondo me erano troppo stanchi per parlare di qualsiasi cosa, perciò si sono sdraiati godendosi il comfort offerto a gratis. Questo giro lo paghiamo noi.


mercoledì 12 giugno 2024

Li hanno sottovalutati

 

Quanti avevano sentito parlare di Jordan Bardella prima di domenica sera? Un eurodeputato ombra, che durante il suo mandato non ha fatto nulla, e però a 23 anni s’è ritrovato vicepresidente di un gruppo parlamentare a Bruxelles e presidente del suo partito a 26 anni. In meno tempo di quello necessario per fare una omelette.

Da adolescente aveva un canale YouTube dedicato alla sua passione per il videogioco Call of Duty (Le Monde). Chattava sui forum online e sui social network, e ciò è bastato per raccogliere punti di simpatia tra i giovani, fin troppo felici di potersi finalmente riconoscere in un politico. Lungi dall’essere un fatto politico, si tratta semplicemente di un fatto generazionale.

Mentre nei dibattiti televisivi il giovane Jordan brilla per la sua incompetenza, i montaggi che pubblica sui social network lo fanno invece apparire sicuro, tranquillo, nel suo elemento. I tempi sono cambiati, per attirare i 18-24enni non ha senso regalare loro un volantino che finirà nella spazzatura: è sui social che si gioca la partita. E in questo gioco Bardella eccelle (Donald Trump ha adottato con passione i codici digitali di questa comunicazione per accaparrarsi elettori).

Sennonché ora si ritrova candidato primo ministro a guidare la Francia. Dopotutto cosa c’è di più normale? Bardella è l’immagine della Francia che viene, l’eroe trionfante delle elezioni europee, è uno come tanti altri leader politici in Europa: un giovane arrivista che sa solo mobilitare adeguatamente la sua immagine.

La telegenia di questi personaggi, in Francia, in Italia e ovunque, assicura l’umida ammirazione dei più disinibiti (eufemismo), che per fortuna e per ora non sono maggioranza. E questo a costoro basta. In che cosa consiste, in definitiva, la democrazia elettorale?

Va detto che negli ultimi decenni siamo stati tutti, chi più e chi meno, volenti o nolenti, declassati. In particolare per effetto dalla televisione e dagli altri media: gli schermi ci mangiano il cervello. Basta vedere, come specchio della società, il linguaggio politico a che cosa s’è ridotto: roba da trivio. E sui social segue il nostro raffinato sarcasmo (c’è, va sottolineato, chi ha staccato la spina, ma sono pochi).

Guarda, quella gente che ha una bandiera con i colori diversi dalla tua/ Odia, quella gente/ che non sventola la tua bandiera/ odia, quella gente/ che non sventola la tua bandiera/ Odia, tutta la gente/ che non sventola la tua bandiera/ odia, tutta la gente/ che ha una bandiera con i colori diversi dalla tua.

Quanto alla scuola, amareggia dirlo, alle ultime generazioni non ha insegnato nulla di duraturo, né realmente la nostra storia, né quella del continente e di tutto il resto. Chi è che, almeno tra coloro che si sono recati a votare, sa come funzionano le istituzioni europee, a parte i pochi i cui neuroni sono ancora connessi?

Sto parlando anche dei giornalisti, metà colti e metà curiosi ma che non si possono mediamente paragonare ai loro coetanei di quaranta o cinquanta anni fa. Chi legge o scrive più un libro serio? Per il resto si accontentano dei riassunti preparati con largo anticipo dalle case editrici.

Vergognarsene? Impossibile: questa è la grande forza dell’ignoranza crassa, è impermeabile alla vergogna. Tra loro, chi conosce le radici dell’estrema destra europea, di là della vaga menzione del neofascismo e neonazismo? Qualche raro specialista, che sa come dalla base all’apice tutti costoro si identifichino in un’identità etnoculturale che affonda le sue radici nella saga degli indoeuropei, da Sparta a Roma. Questa roba c’è dietro Atreju e simili.

E chi altrimenti potrebbe definire correttamente la storia del socialismo e del comunismo se non con dei cliché? Chi la storia della questione mediorientale e di quella palestinese in particolare? Forse Marco Travaglio, uno specialista di malaffare politico e di manette? Si occupasse di quello.

La risposta è già nei nomi


Così come in Italia, anche in Francia in molti si sono detti: “Abbiamo provato di tutto tranne la destra fascista, proviamo per vedere l’effetto che fa”.

Diversamente dall’Italia, la Francia è una repubblica presidenziale.

Il calcolo azzardato di Macron è questo: mandare il Raggruppamento Nazionale a Matignon tre anni prima delle elezioni presidenziali, affinché si scontri con le realtà del potere, cioè con la crisi del sistema.

Bardella potrebbe benissimo ritrovarsi a Matignon già a luglio, tra l’altro giusto in tempo per le Olimpiadi. Per tre anni Macron giocherà a fare il Mitterrand del 1986, rifiutandosi di firmare le ordinanze, bloccando alcune decisioni del governo in ambiti in cui la Costituzione richiede il suo consenso. Bardella si troverebbe nella stessa situazione di Chirac con Mitterrand nel 1986? Bardella-Le Pen non sono Chirac. Macron non è Mitterrand e alle sue spalle non c’è la classe media degli anni Ottanta, la Francia e l’Europa di oggi non sono quelli di allora.

Sia chiaro, a livello della gestione del potere e degli orientamenti geopolitici essenziali, non cambia nulla. Tuttavia queste elezioni europee, così come quelle politiche in Italia del 2022, chiudono un capitolo iniziato nell’ultimo scorcio degli anni ’80 e culminato negli anni 90 in Italia con lo sdoganamento dei fascisti da parte di Berlusconi. Anche in Francia, nel corso dei decenni, si è assistito all’inesorabile ascesa dei fascisti. Nessuno trovava una soluzione per riportare Jean-Marie Le Pen all’1% degli elettori faticosamente ottenuto negli anni ’70, anche perché lo spauracchio dei Le Pen pagava (e, chissà mai nel miracolo, forse paga ancora).

Senza dimenticare che cosa sta avvenendo sul fronte politico (ed economico!) in Germania. Estate 2024, sono di scena le Olimpiadi. È passato molto tempo da quando l’estrema destra in Europa ha inaugurato i Giochi Olimpici. Quando è successo esattamente?

Come si è arrivati a tanto, al fascismo con la cravatta Armani?

La risposta è già nei nomi. In Francia Chirac, Sarkozy, Hollande e Macron, per citare solo i presidenti. In Italia Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema, Monti, Renzi, Letta, Di Maio-Conte-Salvini, Draghi. Al massimo s’è pensato al pannicello del reddito di cittadinanza, alla “lotta all’evasione” (solo pensata), ma al fondo è prevalsa l’idea che il “mercato” avesse sempre ragione. E da dove viene l’ideologia mercatista, perché e come è prevalsa? Tutto ciò era davvero ineluttabile?

Di là del teatrino politico, e pure di gesti ridicoli come alzare il braccio teso, o anche di “una serie di abitudini culturali, una nebulosa di oscuri istinti e pulsioni insondabili” come ebbe a dire Umberto Eco, si tratta di interessi concreti, di classe, di ceto, di casta. Più in grande, dove meglio trovi espresso il nuovo fascismo se non a Washington, a Pechino, a Mosca, a New Delhi, a Davos e ovviamente a Bruxelles? Dove se non a Wall Street e nelle succursali del potere del denaro?

Non si venga ad eccepire che nelle ZTL si vota PD. In realtà è la prova del capovolgimento di fronte e del successo del neoliberismo, del fatto che la sinistra si è trasferita dalle periferie ai quartieri alto borghesi. Com’è che siamo arrivati al punto che oltre la metà degli elettori sceglie di non votare (e una montagna di schede nulle)? Risposta inevasa, perché già la domanda richiama il fatto che in troppi hanno il culo sporco.

Avremmo dovuto fare questo, avremmo dovuto fare quello. Ancora una volta leggeremo e ascolteremo analisi infinite, come dopo una finale di calcio persa. I francesi, non meno degli italiani, amano commentare i propri fallimenti, è lì che danno il meglio di sé. 

martedì 11 giugno 2024

Le Waffen-Ss entreranno nella Nato?


Per qualche ora trastulliamoci con i risultati delle elezioni europee, che non cambieranno nulla. Intanto il mondo va avanti, con le sue guerre e le sue stragi, e dunque non deve stupire il fatto che in Germania si stiano riabilitando le Waffen-Ss (Maximilian Krah, capo della lista europea AfD, aveva dichiarato che un componente delle SS “non è automaticamente un criminale”, dimenticandosi di dire che la maggior parte di loro lo erano).

C’è da segnalare, secondo El Pais, che a Kiev o Dnipro manca l’elettricità mediamente per 10 ore al giorno. In un’altra città, Odessa, ci sono quartieri rimasti senza elettricità per 20 ore. Per questa settimana, l’operatore Ukrenergo stima almeno sei ore al giorno senza rifornimento in tutto il paese. Le forze aeree russe hanno distrutto più della metà della capacità di produzione di elettricità dell’Ucraina. Politici, aziende del settore ed esperti assicurano che la situazione peggiorerà, e diventerà prevedibilmente drammatica il prossimo inverno.

Però c’è la soddisfazione che è stato distrutto un aereo in un aeroporto russo. Dixi, la principale società di consulenza per l’industria energetica ucraina, ha stimato in un rapporto del 28 maggio che la capacità di produzione di elettricità è scesa al 52%, e che le centrali termoelettriche sono le più colpite dai bombardamenti russi. Va aggiunto che la Russia occupa la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa e che ha fornito metà della produzione di elettricità atomica dell’Ucraina.

Non serve l’arma nucleare tattica, basta spegnere i reattori della centrale di Zaporizhzhia.

Rappresentanti del governo ucraino hanno confermato al Financial Times che il Paese è passato dai 55 gigawatt generati prima dell’invasione agli attuali 20. Dixi abbassa la cifra a 18,3 gigawatt. Solo questa primavera, secondo Shmihal, i missili russi hanno distrutto impianti che producevano nove gigawatt di elettricità.

Le aziende del settore confermano che per riparare gli impianti messi fuori uso dai bombardamenti ci vorranno anni. Serhii Nagorniak, rappresentante del Comitato nazionale per l’energia e l’edilizia abitativa, ha spiegato il 6 giugno al notiziario statale che le previsioni indicano che quando le temperature scenderanno sotto i 10 gradi, la popolazione dovrà essere consapevole che sicuramente avrà 10 ore al giorno senza fornitura di elettricità.

Il Servizio statistico dell’Ucraina indica che alla fine dello scorso anno lo stipendio medio mensile nel paese ammontava a 438 euro. La Banca Mondiale ha stimato che già nel 2022, anno in cui è iniziata l’invasione, il tasso di povertà in Ucraina era passato dal 5,5% al 24% della popolazione.

Da giugno la tariffa elettrica è aumentata del 64%, passando da 2,64 grivnie per kilowattora (Kwh) a 4,32 grivnie (da 6 a 10 centesimi di euro). Alcuni giorni prima del Consiglio dei ministri del 30 maggio, era trapelato che l’aumento sarebbe stato dell’80%. Ma la reazione sui media e sui social network ha dimostrato che la misura era altamente impopolare in un momento in cui le autorità devono far fronte a enormi disordini dovuti al processo di reclutamento obbligatorio in corso e che deve incorporare centinaia di migliaia di civili nell’esercito.

In Italia le notizie di “enormi disordini dovuti al processo di reclutamento obbligatorio” non sono giunte, né è prevedibile giungeranno. Le aziende ucraine devono affrontare costi altissimi per ricostruire la rete elettrica e l’Ucraina è sempre più dipendente dalle importazioni di elettricità dall’Unione Europea. La UE finanzia e con quei soldi l’Ucraina copra elettricità e generi di prima necessità dalla UE.

Come si vede, l’Ucraina risponde a tutti i requisiti principali per entrare a far parte della UE. 

Che soddisfazione

 

La settimana scorsa mi trovavo in una località che amo particolarmente, tra gli scavi di un’antica città della quale in verticale non è rimasto nulla. Non perché all’epoca gli Unni l’avessero rasa al suolo (non erano un’impresa di demolizioni, bensì dei razziatori), ma perché tutto ciò che era rimasto in piedi divenne materiale di spoglio durante i secoli successivi.

Oggi, ben cinque università cercano di riportare in luce ciò che il suolo ancora nasconde. E non è poca cosa, sia l’impegno che i risultati.

Parlando con le persone del luogo avvertivo più spiccata che in altre occasioni una nostalgia per il bel tempo antico. Non molto antico, una nostalgia per periodi che non avevano mai vissuto, se mai esistiti. Quasi commossi, per esempio, del restauro in corso della ex stazione ferroviaria da dove partì il cosiddetto milite ignoto verso la sua destinazione finale.

Pensavo: sarà una mia sensazione influenzata dai tempi che viviamo. Oggi butto l’occhio sui risultati delle elezioni: il sindaco confermato con il 74,65 dei voti. Evidentemente ha governato (si dice così ormai anche per gli amministratori di condominio) bene. La sua è una lista civica, ma lui appartiene al partito del Morto. Tutto torna, mi dico.

Se invece guardo ai dati delle europee: toh, mi sbagliavo. Fatico a tenere il passo con quello che sta succedendo. Forza Italia ha raccolto solo il 6,86%. Il primo partito è il PD, con il 27,86. Ha votato il 69,52 degli aventi diritto. Qui la scusa dell’astensione non vale per nessuno. Vedi, le mie erano solo suggestioni: la gente è nostalgica per via del glorioso passato remoto della città, ma poi vota per quella che in tv chiamano “sinistra”. Pure la lista Verdi e Sinistra supera il 6%. Non è poco in una regione come questa.

E invece, scorrendo i dati, il PD è sì il primo partito, ma solo per lo 0,43%. Ossia i Camerati d’Italia hanno preso 8 (otto) voti in meno rispetto ai compagni di Elena Schlein. La coalizione di destra, i tre maggiori partiti che la costituiscono, raccoglie la maggioranza assoluta: il 51,08. Tutto torna, la mia non era solo una sensazione. Che soddisfazione, l’Italia s’è destra.

lunedì 10 giugno 2024

Voto più, voto meno, il potere resta nelle stesse mani


Il potere, in Europa e ovviamente anche in Italia, resta decisamente e saldamente nelle stesse mani di chi l’ha sempre avuto (che non sono le solite larve che vediamo in tv, tutt’altro). Qualunquemente abbiate votato o vi siate astenuti resta inciso su pietra questo fatto: vince sempre l’oligarchia del denaro e dei burocrati. Pensiamo al fatto di per sé significativo che la costruzione stessa dell’Europa è stata progettata originariamente non per la circolazione delle persone e delle idee ma per quella delle merci e dei servizi. E del resto il cardine della UE è l’euro.

A vincere è sempre lo stesso sistema, ma tra voto e non voto c’è una differenza non trascurabile: chi vota rafforza il sistema (il fascino per il potere e l’odio per i rappresentanti possono andare di pari passo). A ciò servono le elezioni “democratiche” (e anche le “altre”), a far sì che gli “eletti” siano destinati a guidare i non “eletti”. Ma si tratta ancora e semplicemente della “casta”, che massimizza i propri interessi personali e di parte. Ma c’è anche un’élite ombra, che influenza, a porte chiuse, tutte le decisioni importanti.

Le norme e le direttive comunitarie, che si applicano a circa cinquecento milioni di abitanti, sono il risultato di una forte pressione da parte di lobby industriali e finanziarie desiderose di assecondare i propri interessi (manipolare esperti, omettere o truccare dati e, nel caso, minacciare). Non cercano di elevarsi al di sopra delle leggi, ma più semplicemente di dettarle (in un testo legislativo ogni parola in più o in meno può rappresentare milioni o anche miliardi di euro). Attività di lobbying dalla quale nessun settore sfugge, dalla farmaceutica ai trasporti, passando per pesticidi ed energia.

Il parlamento europeo è solo fuffa. Chi conta davvero sono le lobby imprenditoriali (gli agenti del capitalismo) e i burocrati e tecnocrati. Quando i funzionari della Commissione europea (l’iniziativa legislativa è nelle sue mani) lanciano un regolamento, cercano di consultare il più possibile i gruppi di interesse economico, cosicchè per tutta una serie di dossier la Commissione dipende molto dal punto di vista espresso dai rappresentanti degli interessi economici.

Poi entrano in gioco i famigerati “triloghi” formati da squadre di negoziatori di Parlamento, Consiglio e Commissione, quasi sempre con un forte conflitto d’interessi, come dimostrano innumerevoli casi. L’intreccio di rapporti tra gli uni e gli altri viene considerato un lavoro di “armonizzazione”. In realtà è uno spazio chiuso, una micro-comunità dove le persone si spostano da una sfera all’altra a seconda delle carriere, dove si forma una ideologia e un linguaggio comune, dove le posizioni si legittimano reciprocamente.

Questi attori possano passare in modo molto semplice dal pubblico al privato e dal privato al pubblico. Tipicamente un commissario europeo diventerà direttore degli affari europei per un grande gruppo farmaceutico. A Bruxelles se ne trovano parecchi di personaggi di questo tipo, che acquisiranno esperienza e competenza su come funziona il settore pubblico, ossia segnatamente l’UE, e poi vanno a venderla al settore privato per fare il migliore lobbying.

Queste cose, chi non vota per una scelta di sfiducia, magari non le conosce bene in dettaglio, ma le intuisce e capisce che la UE è tutt’altro che una faccenda democratica e pulita.

domenica 9 giugno 2024

Piano con le sparate

 

Marco Travaglio nel suo editoriale odierno scrive che “il D-Day, per molti storici, fu un inutile macello senza preparazione né copertura, un flop militare che sortì l’effetto di ringalluzzire i tedeschi”.

Detta così per esteso mi pare una sciocchezza e mi piacerebbe sapere quali sarebbero i “molti storici che lo sostengono”. Certo, dal punto di vista operativo e per i mezzi e gli uomini impiegati lo sbarco fu un mezzo flop, poiché le truppe d’invasione rimasero imbrigliate nella loro testa di ponte fino ai primi di agosto, ossia per un paio di mesi.

Ma che il D-Day non avesse avuto una preparazione molto accurata è una facezia; che lo sbarco non avesse avuto una copertura aerea (e navale) è, francamente, una fesseria, prova ne siano le decine di migliaia di civili francesi morti sotto i bombardamenti propedeutici allo sbarco.

Va sottolineato, e lo faccio ancora una volta, che una attenta lettura del conflitto per gli anni 1944 e ’45 può essere fatta solo guardando lo scacchiere militare delle operazioni nella sua totale estensione, ossia ponendo in rapporto tra loro le vicende dei diversi fronti di guerra. Per comprendere la reazione germanica allo sbarco angloamericano è necessario tenere presente ciò che avveniva contestualmente sul fronte orientale. Altrimenti non si comprendono alcune decisioni strategiche tedesche e si finisce per fare solo Technicolor.

Hitler accolse la notizia dello sbarco con una certa euforia, convinto che avrebbe rigettato in mare gli alleati. Tanto è vero che egli rimase all’Obersalzberg, in Baviera. Ma i fatti gli diedero torto, e se ne rese conto abbastanza presto, pur non potendo togliere un solo soldato dal fronte orientale (anzi, in seguito, durante l’offensiva delle Ardenne, tolse la Sesta armata corazzata Ss per inviarla sul fronte orientale).

Il 30 luglio 1944, la Terza armata americana, conquistando la città costiera della baia di Mont Saint-Michel, riuscì ad accerchiare le truppe tedesche nella penisola di Cotentin. La caduta dell’importante porto di Cherbourg diventava in tal modo solo una questione di tempo. Quando, tra il 6 e 7 agosto, un contrattacco della Quinta armata corazzata tedesca venne fermato dal fuoco nemico, gli alleati poterono considerare vinta la battaglia dell’invasione.

Dopo di che la situazione sul fronte occidentale cambiò rapidamente, stante la ritirata tedesca dalla Francia e dal Belgio. È a questo punto che viene messa in opera la congiura per eliminare Hitler. Ma tale congiura era ordita da tempo, da prima del D-Day, per via della situazione disperata sul fronte orientale.

In breve: dopo la decisiva sconfitta nella battaglia di Kursk (luglio 1943), l’Armata rossa prese definitivamente l’iniziativa delle operazioni sul fronte orientale e cominciò ad avanzare in profondità sbaragliando le linee tedesche. Il 22 giugno 1944, anniversario dell’invasione tedesca dell’Urss, Stalin, come d’accordo con i suoi alleati angloamericani, lanciò una grande offensiva, l’Operazione Bagration. Le truppe russe annientarono 28 divisioni tedesche, forti di 350.000 uomini.

Ciò impedì allo stato maggiore tedesco in quel frangente di sottrarre truppe a questo fronte per inviarle di rinforzo sul fronte occidentale. Nel settore del Gruppo di armate del Centro il fronte orientale era stato rotto per un’ampiezza di quasi 300 km. Grandi unità tedesche erano state tagliate fuori e circondate dai russi.

Hitler comandò di tenere il fronte a qualsiasi costo. Per suo ordine vennero gettate nella battaglia alcune divisioni provenienti dai settori più tranquilli del fronte e tutte le unità dell’esercito di riserva in grado di combattere, ma anche quei rinforzi furono spazzati via dai potenti colpi dei russi. Il Gruppo di armate del Centro subì perdite enormi, e decine di migliaia di soldati e di ufficiali vennero presi prigionieri. Le unità corazzate russe di punta si avvicinavano con rapidità minacciosa ai confini della Prussia orientale, e anche la linea difensiva del Dnepr, munita di piazzeforti della grandezza di medie città, fu sopraffatta.

L’offensiva sovietica contro il gruppo di armate dell’Ucraina settentrionale iniziò invece il 13 luglio 1944. Fino alla metà di agosto del 1944 l’Armata rossa distrusse 32 delle 56 divisioni del gruppo di armate del Sud, e ne annientò completamente altre otto. Tra il 29 e il 30 luglio 1944 truppe sovietiche passarono la Vistola nella zona di Sandomierz e formarono una testa di ponte sulla sponda occidentale.

Il 10 ottobre 1944 il Primo fronte del Baltico raggiunse il Mar Baltico a nord e a sud di Memel, isolando in tal modo 33 divisioni del Gruppo delle armate del Nord. Alle truppe chiuse nella sacca venne vietato il trasporto via mare, perché Hitler credeva di poter minacciare attraverso di esse il fianco sovietico. Le truppe tedesche che il 26 gennaio 1945 avevano preso il nome di Gruppo di armate della Curlandia, capitolarono solo il 10 maggio 1945 (!), dopo sei battaglie dal risultato indeciso: 208.000 soldati furono presi prigionieri dei russi.

Ebbene, mi pare evidente che se non s’inquadra il conflitto in questa prospettiva “stereoscopica”, non si capisce assolutamente nulla di che cosa è avvenuto realmente nel fatidico anno di guerra 1944, e quale fu il peso determinante delle operazioni sul fronte orientale nel complesso delle vicende di quella guerra.

In conclusione: lo sbarco alleato in Francia tolse pressione sul fronte russo, e ha anche accelerato la conclusione del conflitto (*), tuttavia l’avanzata dell’Armata rossa era diventata per la sua imponenza inarrestabile. Dopo Berlino, i russi sarebbero comunque arrivati a mettere i propri piedi anche dove li aveva messi Alessandro I.

(*) Fino al settembre 1944 la Wehrmacht perse sul fronte occidentale 414.802 uomini, fra morti, feriti, dispersi e prigionieri. Le perdite alleate fino all’11 settembre 1944 furono di 40.000 morti, 164.000 feriti e di 20.000 dispersi.

Il mercato artificiale dell’energia

 

Fateci caso, quelli che dicono che il lavoro non è una merce, poi parlano di “mercato del lavoro”. Il termine mercato non è altro che un sostituto di: capitalismo. E che cos’è il capitalismo se non un sistema di estorsione e rapina?

Come ogni altra merce, anche il prezzo della forza-lavoro è soggetto alla “libera fluttuazione” tra domanda e offerta? Solo teoricamente, in quanto la “libera fluttuazione” dei prezzi è in gran parte un mito, roba per apprendisti mascalzoni che si abbeverano a The Road to Serfdom.

Per i cosiddetti “consumatori” ciò funziona solo quando vengono soddisfatte condizioni che nella realtà non sono mai soddisfatte, a cominciare dalla possibilità di acquistare un sostituto del bene il cui prezzo sta esplodendo. Ciò però non esiste, o lo è in modo molto imperfetto, esempio per le materie prime, come ha dimostrato la crisi petrolifera del 1973 o quella recente del gas.

E poi ci sono mercati assurdi, creati dal nulla. La cosa peggiore è l’elettricità (il mercato dell’energia elettrica e del gas in Italia è stato liberalizzato, per effetto del recepimento delle direttive europee, a partire dal 1999, con il Decreto Bersani). Ecco un bene necessario, addirittura vitale, che è di fatto un monopolio. Ebbene, in nome della libertà di scelta del consumatore, questo essere astratto, magico e onnipotente, si è deciso politicamente di creare un “mercato” artificiale dell’energia.

Si trattava di consentire a qualsiasi operatore privato di insediarsi sul mercato della distribuzione dell’energia e di far sì che questi nuovi utenti delle reti di distribuzione beneficino di un diritto di accesso “libero, trasparente e non discriminatorio”. Viene da ridere (da piangere) solo a sentirlo dire. In realtà, lo smantellamento dei monopoli pubblici della distribuzione vigenti in molti paesi europei ha avuto esattamente l’effetto opposto. Con la fine del mercato tutelato, i prezzi di vendita dell’energia elettrica ai privati sono aumentati, soprattutto in Italia.

Come si vede dalla tabella, il prezzo in Italia è quasi un terzo più alto della media europea. Nel giugno 2014 in Italia era a 81.6 e ora è a 105.24. Lo stesso aumento dei salari e pensioni?

Del resto è nella natura stessa di questo sistema economico tutelare gli interessi dell’offerta piuttosto che della domanda. Il diritto di accesso “libero, trasparente e non discriminatorio” è semplicemente il grimaldello ideologico-giuridico per agevolare la rapina.

In questo mercato, i fornitori, che vendono tutti la stessa merce, ricorrono all’avvelenamento delle persone vulnerabili, in particolare gli anziani, per vendere loro contratti a basso costo. E dal lato del consumatore è una gran rottura di coglioni un grattacapo sapere se cambiare fornitore o meno. In realtà basta andare sul sito dell’Arera per rendersi conto che non esiste di fatto una reale concorrenza.

Ce lo dice, a proposito del gas (ma vale anche per l’elettricità) lo stesso Besseghini, presidente di Arera: “Non basta la concorrenza per abbassare i prezzi: il mercato del gas è concentrato”, ovvero è un mercato sotto monopolio privato. L’Arera comunica: Elettricità: bollette in calo del 19,8% nel secondo trimestre 2024. Nel mercato tutelato!

Arera calcola che nel 2024 i clienti in tutela pagheranno l’energia in media 33 centesimi al kilowattora; i clienti sul mercato libero nel 2024 pagheranno l’energia 38 centesimi al kilowattora. Salvo complicazioni.

sabato 8 giugno 2024

Idrogeno: tutte le sfumature del sogno

 

A 10 anni, nessuna lettura mi affascinava più di Jules Verne. Il povero Salgari l’avevo abbandonato già prima e non era mai nata empatia, mentre Jack London sarebbe arrivato l’anno seguente assieme a Dumas, che acquistavo per 200 lire (trattabili) alla libreria antiquaria del buon Giorgio Rigattieri, giusto dove s’incontrano calle della Mandola e quella de la Cortesia.

Ne L’Isola Misteriosa, romanzo pubblicato nel 1875, potevo leggere di Cyrus Smith che esulta: “Sì, amici miei, credo che un giorno l’acqua verrà usata come combustibile, che l’idrogeno e l’ossigeno, che la costituiscono, separatamente o simultaneamente, forniranno una fonte inesauribile di calore e di luce...”.

L’idrogeno è stato a lungo oggetto di speranze e fantasie. È incapace di una vita da single, ha bisogno di aggregarsi sempre a un altro elemento con cui formare una molecola. Appena trova un atomo di ossigeno, due atomi di idrogeno vi si incollano e formano acqua. E se incontra un atomo di carbonio, vi si lega e forma gli idrocarburi, dal più semplice e leggero metano (un atomo di carbonio addossato da quattro atomi di idrogeno) fino alle pesanti e complesse molecole degli idrocarburi liquidi e quelle ostiche degli idrocarburi solidi come il carbone.

C’è un solo modo per ottenere idrogeno: staccarlo dalle molecole in cui è combinato. E per fare ciò serve energia. L’H può essere estratto dall’acqua (elettrolisi) facendola attraversare da un flusso molto potente di corrente elettrica (ma anche per effetto dell’acqua: idrolisi). In buona sostanza si tratta di conversione dell’energia elettrica in energia chimica. Per produrre quella corrente elettrica, per una massiccia produzione industriale di H, si può usare una centrale a carbone, una centrale alimentata dal sole o dal vento, una centrale nucleare e così via.

Dal modo di procedere alla scomposizione (i procedimenti tecnici sono molto complessi), di H ne esistono commercialmente di diversi “colori”: quello grigio e quello verde vanno per la maggiore (c’è anche il blu, ma in natura H è incolore). Quello grigio viene utilizzato per la produzione di fertilizzanti e la raffinazione del petrolio. A livello mondiale il 95% proviene da gas, petrolio e carbone. Ultra inquinante, è uno dei principali emettitori di gas serra.

Quello “verde” verrebbe dalle energie rinnovabili. Sennonché le famigerate energie rinnovabili danno luogo a diverse sfumature di “verde”, per esempio includono l’energia nucleare (in tal caso l’idrogeno viene definito “viola”). L’idrogeno ottenuto con il sole è più “verde” di quello ottenuto con il vento, eccetera.

Allo stato attuale delle conoscenze e a causa dei persistenti vincoli tecnologici ed economici, scrive un rapporto commissionato da Macron all’Académie des sciences (“L’hydrogène aujourd’hui et demain”), sotto la direzione del chimico Marc Fontecave, membro dell’Accademia delle Scienze e professore al Collège de France, saranno ancora necessari sforzi di ricerca e innovazione per consentire all’idrogeno di svolgere un ruolo importante nella strategia energetica francese.

Non è proprio una buona notizia per la Francia, che sull’idrogeno sta investendo miliardi di euro. “Tutto indica – si legge ancora nel rapporto – che gli obiettivi fissati non possono essere raggiunti. Alla fine del 2023, la potenza degli elettrolizzatori installati era di soli 0,03 GW, molto lontana dai 6,5 GW fissati per il 2030 (solo lo 0,5% di questo obiettivo).

Nel 2050, la Francia potrebbe, secondo le speranze del settore, consumare 3,9 milioni di tonnellate di idrogeno “verde” ogni anno. Ma ciò non accadrà, dice l’Accademia, perché richiederebbe il lancio di 20 nuovi reattori EPR.

Inoltre, non è stata ancora effettuata alcuna analisi globale delle emissioni di CO2 derivanti dall’idrogeno “verde” (in rete si possono leggere autorevoli balle suffragate da numeri roboanti). La strategia sull’idrogeno di Macron e di altri disperati, che dovrebbe contribuire a contenere il cambiamento climatico, porterà in realtà a un peggioramento del fenomeno. Per un motivo semplice: altrove in Europa si ricorrerà all’elettrolisi. Quindi sarà “green”? Dipende dal tipo di energia impiegata (esuliamo da considerazioni su elettrolizzatori e produzione variabile e intermittente).

Tuttavia, l’Accademia, con un colpo di spada: “La produzione di idrogeno [“verde”] mediante elettrolisi nei paesi dell’UE che utilizzano massicciamente carbone e gas per la produzione di elettricità (Germania, Polonia, per esempio) porta a livelli di emissione [...] molto più alti di quelli associati all’idrogeno grigio!» Attenzione: sarà peggio. E il punto esclamativo è nel testo.

E noi, produttori di parmigiano e altre prelibatezze, che cosa c’entriamo? Tranquilli, tutto ciò avverrà nel famoso condominio europeo e noi saremo svegliati dal nostro torpore non appena si accenderanno le luci (e riceveremo la bolletta green, convinti di abitare tutti in Sicilia).


venerdì 7 giugno 2024

Il Churchill di Rignano e la guerra imminente


Ho letto che la Corea del Nord ha inviato a quella del Sud palloncini pieni di spazzatura ed escrementi. Non è proprio quello che sta succedendo in tutto il pianeta: non mandiamo la nostra merda agli altri? Non è questo il capitalismo? No, mi sbaglio: il capitalismo vende la sua merda agli altri.

Quando sei schiavo, è logico, rimani nella fase anale. Riciclare la nostra merda è grossolanamente il punto in cui ci troviamo in termini di civiltà. Senza distinzione tra Corea del Nord e gli altri.

La sfumatura è definitivamente naufragata con il naufragio dell’intelligenza, e senza di essa le idee non sono altro che propaganda.

L’avessero letto davvero il Manifesto di Ventotene! Come si fa ad associare il nome di Spinelli a quello di Churchill? Ma hanno idea di chi fosse quest’ultimo sul piano non solo delle idee?

Il suo lato estroso popolava i cimiteri quando era un condottiero di guerra. A lui dobbiamo uno dei più grandi disastri della prima guerra mondiale, l’operazione dei Dardanelli del 1915-1916. Pianificata per aprire un secondo fronte, provocò 100.000 morti.

Fu tra i vincitori della seconda guerra mondiale? Riconosciamogli il merito, ma va anche detto che nel maggio 1940, il successo dell’operazione Dynamo – il rimpatrio di 330.000 soldati inglesi bloccati a Dunkerque – fu dovuto al fatto che Hitler fermò la sua offensiva. Se l’avesse continuata, il destino di Churchill e probabilmente dell’Inghilterra sarebbe stato segnato.

Politicamente, Churchill era il prototipo del carrierista. Cambiava partito praticamente ad ogni sigaro, e fu solo all’età di 30 anni che incontrò il suo primo lavoratore, una creatura che trovò molto esotica. È a causa della sua arroganza aristocratica che la sua politica economica fu una politica fortemente classista: Churchill lottò con tanto ardore contro i proletari quanto contro i tedeschi. Per questo motivo, una volta finita la guerra, gli inglesi lo ringraziarono rimandandolo a casa.

La sua attività preferita consisteva nello stappare bottiglie di champagne e svuotare quelle di whisky il più velocemente possibile. Quanto alla sua imponente produzione letteraria, è noto che richiese battaglioni di penne.

Se Churchill fosse stato saggio, cioè se non fosse stato Churchill, non sarebbe mai tornato al numero 10 di Downing Street. Il suo ultimo mandato – dal 1951 al 1955 – fu fallimentare. Come amava dire, il successo è passare di fallimento in fallimento senza mai perdere l’entusiasmo.

Dunque, che senso ha rendere certi personaggi del passato modelli di perfezione, ma soprattutto che c’entrano le idee di Spinelli con quelle reazionarie di quel razzista, imperialista e classista di Churchill?

Non sono solo le sfumature che mancano alla nostra epoca. Manca la libertà, quella vera: è la fine di ogni rivolta, la messa a morte dell’idea del rifiuto.

Il rifiuto della Nato, per esempio, ossia di quella vasta coalizione militare destinata a fare la guerra. Il rifiuto di questa Europa, che non è quella di Spinelli e Schuman. Quella è morta. Viva, viva la guerra imminente! 

mercoledì 5 giugno 2024

Il mito più lungo

 

Domani si terranno le celebrazioni dell’anniversario del D-Day, ovvero lo sbarco americano e inglese in Normandia. A festeggiarlo è soprattutto la Francia, che troverà la sua ricompensa nel sentimento del dovere compiuto. Non importa che la guerra con la Germania l’avesse persa, che si alleò con Hitler con voto unanime della sua legittima assemblea nazionale. Poco importa che il vincitore di Verdun accolse Hitler con una franca stretta di mano, che i francesi fossero in maggioranza antisemiti fino ai lobi parietali. Sono cose che ai francesi non è opportuno ricordare, così il loro mondo fatto di grandeur potrà continuare a girare e gli uccellini a cinguettare attorno alla loro innocenza.

A feticizzare quella guerra è oggi Macron, promovendone altre. Egli rappresenta un buon esempio di come una certa visione del passato difficilmente ci aiuti a pensare al presente. Ma lasciamo da parte questo personaggio, ambiguo sotto molti aspetti, e torniamo allo “sbarco”. Voglio proporre una specie di controstoria, di là dei luoghi comuni di certa storiografia e soprattutto di là della mitizzazione hollywoodiana [*].

Innanzitutto mi preme chiarire che se anche lo sbarco in Francia non fosse avvenuto, l’armata Rossa, dopo aver vinto la battaglia di Kursk e in seguito all’Operazione Bagration, stava ormai dilagando, raggiungendo e superato la Vistola nel luglio 1944, ed in ogni caso prima di un anno sarebbe arrivata a Berlino.

Quello russo era considerato da Hitler come il fronte principale. Un tritacarne che inghiottiva ogni mese decine di migliaia di uomini delle armate tedesche (in certi mesi anche centinaia di migliaia di uomini). Hitler considerava quello occidentale come un fronte secondario. Non a torto, almeno per quanto riguarda i primi mesi dopo lo sbarco in Normandia. Tanto è vero che, secondo le deposizioni di Otto Günsche e Heinz Linge, aiutanti di campo personali di Hitler, la mattina del 6 giugno 1944, ricevendo la notizia dello sbarco, il dittatore la accolse quasi euforico.

Uno sbarco alleato in Francia se lo aspettavano tutti, in Normandia anche (contrariamente a certa vulgata postbellica), dove infine erano state concentrate le forze di difesa germaniche. «Mentre Hitler parlava ancora con Keitel e Jodl, venne annunciato l’arrivo di Göring. Hitler gli si affrettò incontro. Göring era già nell’anticamera. Hitler, con espressione raggiante, afferrò la mano destra di Göring con entrambe le mani e gli gridò tutto eccitato: “Göring, ha sentito? Questa mattina gli angloamericani sono finalmente sbarcati in Francia, e proprio nel posto in cui noi li attendavamo! E di là noi li ributteremo fuori!».

Sul fatto di ributtarli in mare sappiamo che si sbagliava, tuttavia gli alleati rimasero quasi due mesi rinchiusi nella loro testa di ponte. Solo alla fine di luglio ruppero il fronte tedesco nei pressi di Avranches. La breccia era larga, all’inizio, solo qualche chilometro. Il comando supremo tedesco diede ordine al feldmaresciallo von Kluge, che comandava il Gruppo di armate occidentali, di chiudere la breccia e ricostituire la continuità del fronte.

Il contrattacco progettato non ebbe luogo poiché si verificò un fatto del tutto inaspettato: il comandante in capo, von Kluge, lasciò il suo quartier generale e non si fece più vedere per due giorni. Non si sapeva dove fosse (aveva raggiunto la linea del fronte e aveva tentato, invano, di prendere contatto con gli americani), e quando riapparve, Hitler lo convocò presso il suo quartier generale. Durante il tragitto, von Kluge si avvelenò nella sua automobile. Hitler con i suoi generali non era un pappamolle come Mussolini con i suoi.

La scomparsa di Kluge gettò nel caos più completo le unità del gruppo di armate occidentale, che per parecchio tempo avevano dovuto difendersi senza ordini e senza direttive di operazioni dagli attacchi delle truppe americane. La perdita di tempo causata dal tradimento di Kluge, la confusione delle truppe tedesche, che in gran parte si ritirarono su nuove posizioni di partenza, e la necessità, che tutto ciò comportava, di dislocare in modo diverso le truppe impedirono la realizzazione del contrattacco progettato.

Il comando supremo tedesco si accorse allora che le sue truppe, in caso di ulteriore avanzata dei reparti americani in direzione di Granville e di Saint-Lo, presso Falaise, avrebbero corso il rischio di essere tagliati fuori e circondate. Al posto del contrattacco progettato, von Rundstedt ricevette l’ordine di ritirare le truppe dalla Francia e dal Belgio e di attestarle dietro la Linea Sigfrido e nei Paesi Bassi.

La Wehrmacht si ritirò dunque dietro la Linea Sigfrido, proteggendosi con combattimenti di retroguardia di bassa intensità. Le truppe anglo americane occuparono la Francia e il Belgio quasi senza incontrare resistenza da parte dei tedeschi. Gli americani, in particolare la Terza Armata comandata dal generale Patton, non sfruttarono neppure la difficile situazione che si era creata per i tedeschi a causa della defezione di Kluge. Solo perché il comando americano non si rese conto della situazione e perse tempo, fu possibile al comando supremo tedesco salvare le proprie forze e ritirarsi dietro la linea Sigfrido senza perdite sostanziali.

A proposito del ritiro delle truppe tedesche dalla Francia e dal Belgio, Hitler osservò ironicamente che Eisenhower e Patton erano stati certamente i primi a stupirsi di quel successo inaspettato. «Quei due rammolliti» dichiarò Hitler «grazie alla ritirata delle nostre truppe, decisa dal comando tedesco, si ritengono addirittura dei grandi strateghi».

Quando i reparti tedeschi ebbero raggiunta la Linea Sigfrido, nella seconda metà di ottobre, si ebbero alcuni combattimenti locali nella regione di Aquisgrana. Negli altri settori della linea regnava la calma.

Nell’operazione di sbarco aereo “Market Garden”, conclusasi con un fallimento, che aveva lo scopo di conquistare, nei Paesi Bassi, il passaggio sul Reno, gli alleati persero, alla fine di settembre del 1944, circa 17.000 uomini. Anche i combattimenti per conquistare il controllo della foce della Schelda furono violentissimi; l’Armata canadese perse, tra ottobre e novembre, circa 13.000 uomini.

*

Senza l’impiego delle forze armate tedesche contro l’Unione Sovietica, non solo non sarebbe avvenuto il D-Day, ma nessun altro sbarco sarebbe stato praticabile nel continente europeo. La Germania avrebbe in tale caso avuto a disposizione una forza militare schiacciante. Milioni di uomini in armi, ben addestrati e determinati, migliaia di carri armati e altri mezzi corazzati, migliaia di aeroplani avrebbero reso folle qualsiasi tentativo d’invasione sul fronte occidentale e meridionale.

Un solo esempio per quanto riguarda la forza aerea ancora disponibile dopo la battaglia di Inghilterra. Durante l’operazione di approvvigionamento di Stalingrado la Luftwaffe perse 488 aerei da trasporto. Queste perdite ammontavano quasi a due terzi di tutti gli aerei da trasporto posseduti dalla Luftwaffe.

Un altro dato significativo dell’impegno germanico in Russia, riguarda caduti, feriti, dispersi e prigionieri. Si tratta complessivamente di milioni di uomini. Del resto e per contro tale dato è confermato dalle enormi perdite sovietiche.

L’entità effettiva delle perdite delle forze armate sovietiche in termini di vittime, incluso il numero di persone morte in prigionia, ammonta probabilmente a 26,9 milioni (con una precisione di più-meno 5 milioni, ma supera in ogni caso la soglia dei 20 milioni (studio realizzato nell’ambito del convegno internazionale “Gefallen – Gefangen – Begraben. Zahlen und Fakten zu sowjetischen und deutschen Opfern des Zweiten Weltkriegs“, tenuto nel luglio 2010 a Dresda).

Le statistiche sulle perdite militari tedesche della seconda guerra mondiale sono divergenti. Nel dopoguerra il servizio di ricerca militare Deutsche Dienststelle (WASt) era incaricato di fornire informazioni alle famiglie dei militari uccisi o dispersi durante la guerra. Conservavano gli archivi di oltre 18 milioni di uomini che prestarono servizio in guerra. Alla fine del 1954 avevano identificato circa 4 milioni di militari morti e dispersi (2.730.000 morti e 1.240.629 dispersi).

Lo storico militare tedesco Rüdiger Overmans, sulla base di una ricerca a campione sui registri ufficiali (con un livello di confidenza del 99%), ha concluso nel 2000 che il totale dei militari tedeschi morti e dispersi è stato di 5.318.000, compresi coloro che morirono come prigionieri di guerra (Deutsche militärische Verluste im Zweiten Weltkrieg, Oldenbourg editore, 2000) [**].

Oltre il 60% delle perdite germaniche ha avuto luogo sul fronte orientale. Senza quelle perdite di uomini, mezzi e materiali non vi sarebbe stata nessuna vittoria alleata sul fronte occidentale. Si sarebbe dovuto attendere il 1945 e gli sviluppi della ricerca e realizzazione della bomba nucleare. Ma prima d’allora si sarebbe raggiunto un accordo tra le parti. Contatti in tal senso non cessarono mai, nonostante l’impegno solenne delle parti alleate nel conflitto (dunque compresa la Russia) di non aderire a una pace separata con la Germania.

Perfino nell’estate del 1944, erano in atto tali trattative da parte degli alleati. La rapida avanzata russa spaventava i circoli britannici influenti, che chiedevano alle truppe angloamericane di passare a un più rapido attacco in profondità. Delle divergenze tra gli angloamericani e russi Hitler era ben informato dai rapporti segreti che gli giungevano da Madrid, Lisbona, Ankara e Stoccolma. Inoltre, Hitler leggeva quasi ogni giorno, durante la riunione sulla situazione militare, le comunicazioni delle agenzie di notizie britanniche, tra le quali l’Agenzia del London Exchange, che riportavano duri giudizi contro la Russia sovietica.

Nel settembre 1944 Hitler sapeva che gli angloamericani erano pronti a concludere con la Germania una pace separata. Prima, però, egli avrebbe dovuto andarsene. La richiesta di allontanare Hitler era stata avanzata dagli inglesi durante colloqui, sollecitati per iniziativa degli inglesi, con funzionari del ministero degli esteri tedesco a Stoccolma. Quando Hitler venne a saperlo, ordinò di interrompere le trattative. Il rappresentante permanente di Ribbentrop presso Hitler, l’ambasciatore Hewel, rivelò a Otto Günsche, aiutante personale di Hitler, il suo disappunto per il fatto che i colloqui di Stoccolma fossero stati interrotti. Egli diceva che la guerra sul fronte orientale era talmente compromessa, che si rendeva indispensabile concludere la pace con le potenze occidentali.

Fin dal 17 gennaio 1944, la Pravda diffuse la voce che Ribbentrop stesse trattando con l’Inghilterra per una pace separata. Non vi sono tuttavia prove di questo fatto. È comunque dimostrato che sia la Gran Bretagna, gli USA e l’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale mantennero i contatti con il Reich tedesco, attraverso canali diplomatici e dei servizi di informazione.

Secondo il Suchdienste (Servizi di ricerca) del governo tedesco furono 300.000 le vittime tedesche (compresi ebrei) della persecuzione razziale, politica e religiosa nazista. Questa statistica non include 200.000 persone tedesche con disabilità che furono uccise nei programmi di eutanasia Azione T4 e Azione 14f13.

Dopo la guerra furono giustiziati circa 20.000 criminali di guerra e funzionari nazisti e altri 70.000 morirono internati nei campi di detenzione. In Italia, per quanto riguarda i criminali fascisti e delle forze armate, il governo De Gasperi-Togliatti decise per l’amnistia.

[*] Meno di un anno prima di quel fatidico 6 giugno 1944, di sbarchi ce n’erano stati altri, in Italia. Quello in Sicilia dal punto di vista operativo fu quasi un disastro. L’altro sbarco, quello di Anzio, nel gennaio 1944, andò anche peggio. In Sicilia solo la pochezza difensiva del reale esercito italiano consentì che lo sbarco non si tramutasse in un clamoroso fallimento. Hitler, con il suo cinico acume ebbe ad osservare: «Non sono che dei codardi, questo Churchill e questo Eisenhower! Al loro posto io sbarcherei a Genova o addirittura ad Amburgo, non in Sicilia che per noi è un posto meno pericoloso. Churchill, quell’ubriacone, è tutto contento che ci dissanguiamo in Russia e se ne sta ad aspettare ...».

In totale, dal 10 luglio 1943 al 17 agosto 1943 combatterono in Sicilia circa 345.000 soldati dell’Asse, di cui circa l’85% erano truppe dell’Esercito italiano. Solo 100.000 uomini poterono essere evacuati verso l’Italia continentale, di cui circa il 40% erano membri della Wehrmacht. Gli Alleati persero circa 21.700 soldati, di cui circa 17.000 feriti. Il teatro italiano sarebbe rimasto un teatro di guerra secondario, gli Alleati non riuscirono a conquistare l’Italia se non con la sconfitta della Germania (per giungere da Salerno a Roma impiegarono nove mesi e da Anzio cinque mesi).

Tra lo sbarco in Sicilia e quello di Anzio, ve ne fu un altro, quello di Salerno (eccezione fatta per lo sbarco inglese del 3 settembre 1943 nell’estremità sudoccidentale della Calabria e a Taranto). Tuttavia le truppe anglo americane non erano ancora riuscite a conseguire fino a quel momento alcuna vittoria decisiva, benché avessero di fronte solo deboli forze tedesche. Con grande fatica le truppe angloamericane si spingevano avanti metro dopo metro, e dopo ogni passo avanti si fermavano. Il fronte tedesco a Montalbano, presso il convento di Montecassino, non aveva potuto essere spezzato.

L’avamposto di Montecassino era il perno del fronte tedesco chiamato Linea Gustav, lungo la quale, in base ai piani del comando supremo della Wehrmacht, doveva essere fermata l’avanzata delle truppe alleate. Secondo i piani degli alleati la Linea Gustav doveva essere superata nell’ottobre 1943; ma soltanto nel gennaio 1944 essi raggiunsero le sue posizioni difensive, per le difficoltà causate dalle condizioni atmosferiche, dei rifornimenti e dei ritardi nelle operazioni di sbarco, oltre che per l’accanita resistenza tedesca. Il 15 febbraio 1944, 229 bombardieri alleati sganciarono circa 500 tonnellate di bombe su Montecassino. In questo attacco morirono complessivamente 250 civili. Dopo quattro battaglie intorno a Montecassino, gli alleati riuscirono ad aprire la breccia decisiva il 13 maggio 1944. Le truppe tedesche si ritirarono allora lungo la Linea Gotica.

[**] Nella guerra contro l’Armata Rossa l’esercito italiano perse circa 72.000 uomini. Durante la prigionia sovietica morirono in circa 28.000, ovvero più della metà del totale (49.000 prigionieri).