mercoledì 3 gennaio 2024

Senza gli arabi

 

La presidente dell’Università di Harvard, Claudine Gay, ha annunciato le sue dimissioni, con effetto immediato. Il suo mandato di sei mesi, il più breve nella storia dell'università, è stato interrotto da una feroce campagna maccartista guidata da politici fascisti e miliardari filosionisti.

Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre e l’inizio della campagna di Israele con le stragi e la deportazione degli abitanti palestinesi della Striscia di Gaza, Harvard ha rilasciato una dichiarazione standard offrendo risorse agli studenti colpiti e condannando l’odio. Allo stesso tempo, dozzine di organizzazioni studentesche hanno co-firmato una dichiarazione dell’Harvard Undergraduate Solidarity Committee che riteneva “il regime israeliano interamente responsabile di tutta la violenza in corso”.

Mentre le munizioni israeliane fornite dagli Stati Uniti assassinavano quotidianamente centinaia di uomini, donne e bambini negli attacchi contro ospedali, campi profughi e luoghi di culto e mentre i politici israeliani proclamavano apertamente ciò che è sempre stato storicamente nelle loro intenzioni, ossia eliminare la presenza palestinese, gli studenti associati a quella dichiarazione e il presidente Gay sono stati attaccati dai finanziatori dell’università, politici e media filosionisti: gli studenti per aver smentito la rappresentazione antistorica e propagandistica degli eventi in corso, e Gay per non averli condannati abbastanza rapidamente e per non averli espulsi.

Un camion con pannelli elettronici che prende di mira il presidente di Harvard, Claudine Gay, percorre una strada martedì 12 dicembre 2023, vicino all’Università di Harvard, a Cambridge, nel Massachusetts. Ci vuole denaro, molto denaro, per organizzare una simile campagna denigratoria e diffamatoria.

Le dichiarazioni successive, in cui Gay inutilmente e ripetutamente affermava che Harvard si oppone al terrorismo, all’antisemitismo e all’islamofobia, e che le dichiarazioni delle organizzazioni studentesche non rappresentano le opinioni istituzionali di Harvard, non sono state sufficienti per placare la campagna contro di lei e contro la presidentessa dell’Università della Pennsylvania, Liz Magill, e la presidentessa del Massachusetts Institute of Technology (MIT), Sally Kornbluth (ebrea).

Dopo i professori universitari, quanto tempo ci vorrà prima che gli artisti vengano trascinati davanti al Congresso e costretti a dire: “Non sono, né sono mai stato, un antisionista”?

A Claudine Gay si può rimproverare solo una cosa, ossia di non essere stata chiara e decisa a riguardo del sionismo. Il sionismo rappresenta quanto di più razzista e violento si possa immaginare. Lo testimonia la sua storia. Il sionismo, fin dalle origini, non si è mai interrogato sulla vera questione palestinese, ossia sulla plausibilità di imporre uno Stato sionista all’interno di una Palestina a stragrande maggioranza araba.

Oggi il problema non sussiste poiché i palestinesi o sono dovuti emigrare, o sono stati espulsi, oppure sono stati “liquidati”. Essi ora rappresentano una minoranza in Palestina. Non trascurabile, certo. Ma tempo al tempo.

Ne è prova una volta di più, la forte e anche violenta contrarietà con la quale, negli anni Venti del Novecento, gli esponenti di spicco del sionismo affrontarono la questione della divisione della Palestina lungo il confine del fiume Giordano, ciò che diede luogo alla formazione dell’attuale Giordania. A tale divisione erano contrari, tra gli altri, ovviamente Chaim Weizmann, Herbert Samuel, ebreo e primo Alto commissario per la Palestina durante il mandato britannico, quindi vari personaggi sionisti, come Wyndham Deedes, segretario del governo civile di Palestina, oppure come il colonnello Richard Meinertzhagen, membro del Dipartimento per il Medioriente del ministero delle Colonie retto da Churchill, che se ne venne fuori con frasi come queste: “Sono esploso quando ho saputo che Churchill aveva separato la Transgiordania dalla Palestina. Lawrence ovviamente era dalla parte di Churchill e lo ha influenzato [...]. Questo riduce il focolare nazionale ebraico a un terzo della Palestina biblica”.

Ecco a cosa in realtà ha sempre puntato il sionismo, a ricostituire la Palestina biblica, senza gli arabi. Gli eventuali inciampi lungo questo percorso di costruzione della Grande Israele, tipo Yitzhak Rabin, vengono eliminati. Al resto ci pensa l’accusa di antisemitismo, un passepartout che fino ad oggi si è rivelato vincente quanto l’appoggio della lobby sionista americana, il cui peso nelle elezioni politiche e nella finanza statunitense è incontestabile.


1 commento:

  1. Le università americane sono coperte di dollari dagli sponsor. Non sanno dove metterli, ma non bastano mai. Negli ultimi anni, c'è stato un flusso di finanziamenti senza precedenti dagli emirati arabi, che, in sostanza, non volevano altro che procacciarsi le ammissioni (e le lauree) per i rampolli dei petrolieri. Dopo il 7 ottobre, hanno soffiato che volevano anche una posizione antiebraica delle Università. A questo punto, però, è insorta l'altra e opposta lobby. In Europa non siamo abituati a certi automatismi, ma negli Stati Uniti se hai un master di Harvard ti prendono (per esempio) come praticante in uno studio legale a 200.000 dollari l'anno, senza neanche chiederti come ti chiami. Non sono solo gli studi legali, ma ci sono le società di consulenza, le grandi corporation, e così via. Allora, si è mossa la lobby di segno opposto, che governa gran parte dei datori di lavoro dei laureati: "non ne assumiamo più neanche uno". Testuale.
    Cazzo, è brutto perdere i finanziamenti in petrodollari, ma i laureati disoccupati sono una pubblicità negativa da far accapponare la pelle.
    Faccio perciò fatica a vedere gli ideali umanitari, e pure il maccartismo.

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