lunedì 15 dicembre 2025

La sagra fascista

 

La vittoria alle elezioni e la conquista del potere ha rinvigorito, anche ideologicamente, la nuova destra fascista italiana, ed è per tale via che vorrebbe imporre alcuni dei suoi temi culturali. La consacrazione di una “cultura” con risonanza metafisica e ontologica, che tenta di forgiare una propria tradizione attingendo in particolare alla mitologia dell’indoeuropeismo come ricerca della patria primordiale e un comunitarismo di stampo nativo-americanista (con nonchalance le due cose insieme).

Tuttavia, la concezione ideale e concreta del nuovo fascismo rimane quella di una società profondamente etno-differenzialista che adotta come fondamento non il demos della comunità politica, ma l’ethnos della comunità culturale. Non deve dunque meravigliare come tale approccio, incentrato sulla difesa dei popoli e delle tradizioni europee, sia riuscito a conquistare molti ambiti, partendo da una base ristretta, per diventare la matrice di un intero pensiero politico di destra contemporaneo.

Non a caso viene messa in discussione la cittadinanza per nascita a favore di quella per discendenza, poiché l’obiettivo non è quello di legare cittadinanza e nazionalità, ma di naturalizzare il problema della cittadinanza collegandolo alla questione dell’origine. Su questa vexata quæstio dell’universalismo, fatto proprio tout court dalla sinistra, la destra vince tre a zero a tavolino. Joseph de Maistre ricordava di aver incontrato russi, tedeschi e inglesi, ma nessun uomo. Gratta col ditino nell’ideologia della destra e appare questa merda qua.

L’etno-diferanzialismo però non basta, servono altri padri nobili per ammantarsi di una caratura culturale di peso. Il richiamo a Pasolini, mai troppo amato a sinistra, quindi ad un cosiddetto “gramscismo di destra”, che altro non è che un gramscismo da mensa studentesca. Così come tutto il resto, i loro riferimenti e richiami sono di scarsa complessità e profondità, incapaci di pensare alle idee come produzioni storiche.

Un esempio paradigmatico è il ministro della cultura Giuli, che vorrebbe presentarsi con l’immagine dell’esteta per far dimenticare di essere un ideologo di seconda mano del nuovo fascismo. Lo stesso ineffabile ministro che alla Fiera del libro di Torino acquista le opere complete di Marx ed Engels. Per farne che cosa è facilmente intuibile, posto che il marxismo in Italia nella migliore delle ipotesi è ridotto ad un economicismo.

Leggo, oggi, che viene citato l’incontro tra Nietzsche e Marx a Nizza il 5 maggio del 1882 (*). Cosa ovviamente del tutto inverosimile, ma che al brodo sottoculturale di questa genga neofascista risulta intrigante. Ora, non ci resta che attendere che questi “nuovi” fasci risorti dalle fogne attacchino la sinistra cialtrona con il pretesto di difendere il comunitarismo.

In conclusione, il finto distacco del fascismo odierno dalla sua matrice originaria non deve ingannarci: è semplicemente ipocrita, indisponibile a chiarire la sua effettiva posizione e rispondere del peso tragico del fascismo.

(*) L’incontro tra i due ovviamente non è mai avvenuto. Vero è che Marx, proveniente da Algeri e sbarcato a Marsiglia il 5 maggio mattina, prima di raggiungere, il giorno dopo, Monte Carlo, per incontrarsi col dott. Delachaux, médicin-chirurgien, si ferma a Nizza (Nice), visita la città e i suoi dintorni. Che Nice possa aver alimentato qualche mediocre fantasia è pure possibile. Tra le altre cose, sarebbe stato improbo riconoscere Marx nelle sue nuove fattezze, in quanto pochi giorni prima, ad Algeri, s’era fatto radere a zero la celebre barba e tagliare i capelli (vedi: Marx ad Engels, lettera dell’8 maggio 1882, Lettere 1880-1883, ediz. Lotta comunista pp. 201-03; MEW, vol. 35, pp. 60).

domenica 14 dicembre 2025

Una pietra miliare


Post dedicato al sig. Graziano Delrio

Si finge preoccupazione per il cambio di proprietà di un paio di giornali. Liberal-cialtroni e filosionisti possono stare tranquilli: la linea editoriale, ossia ideologica, non cambierà. Non c’è da preoccuparsene in un sistema totalitario come il nostro, che con feroce delicatezza ci garantisce una certa opulenza in cambio di sostanziale obbedienza e credulità. Salvo e di rigore la “disciplina nella spesa pubblica”, vale a dire ulteriori tagli ai servizi.

Siamo a tutti gli effetti nel pieno di una situazione rivoluzionaria, tanto che si discorre ad ampio raggio di “distruzione creativa”, guidata ovviamente dall’intelligenza artificiale. Tradotto: affossare il vecchio capitale industriale a favore della “innovazione di frontiera”. Non possono che venire in mente le parole di Marx del Manifesto. Poi, di qui a un lustro o due, quando ci si accorgerà che il “nuovo” capitalismo si troverà di fronte ad ancor maggiori difficoltà nel far compiere il necessario salto organico al capitale, saremo tutti nella merda. Chi più e chi meno, al solito.

In nome della “distruzione creativa” passeremo dalla corsa al riarmo alla produzione bellica tout court. Dal lato popolare (chiamo così l’astrazione interclassista), nessuno vuole distruggere tutto e invece ognuno tende a conservare la posizione acquisita. La cosiddetta maggioranza globale non chiede una rivoluzione, nonostante l’accumulo di gigantesche contraddizioni.

Ci accontentiamo, di volta in volta, di un buon natale, con tutti gli eccessi connessi, compresa la libertà di credere o non credere nel momento stesso in cui piazziamo il bambinello ebreo nel presepe. Il natale è una pietra miliare cruciale nella storia, l’individuo la cui memoria viene onorata era una persona a dir poco straordinaria. Mi chiedo se oggi Gesù sarebbe un colono israelita con il mitra o un soldato di Netanyahu. In entrambi i casi, un assassino. 

venerdì 12 dicembre 2025

La dottrina Trump

 

Ai più non importerà nulla, presi come siamo dalle nostre piccole beghe domestiche. Ed è inutile chiedere ai grandi democratici e liberali che popolano i quartieri televisivi che cosa ne pensino. Si tratta dell’oligarchia statunitense (che esista, non c’è più alcun dubbio), la quale sta seguendo le orme dei suoi nuovi modelli di riferimento, i signori della guerra del Corno d’Africa, che da anni si danno alla pirateria.

Il fatto: mercoledì, militari statunitensi, calandosi dagli elicotteri come in un film d’azione a basso costo, sono saliti a bordo e hanno sequestrato una petroliera in navigazione vicino alla costa venezuelana. Secondo quanto riportato dai media statunitensi, la petroliera è la Skipper, carica di 1,1 milioni di barili di petrolio che dal Venezuela era diretta a Cuba. Il Procuratore Generale degli Stati Uniti, Pam Bondi, ha spiegato che la nave era sulla lista delle sanzioni statunitensi perché in precedenza aveva trasportato petrolio sanzionato dall’Iran e dal Venezuela.

Uno dei circa 200 Stati esistenti nel mondo decide di irrogare sanzioni economiche a destra e a manca, come gli pare e piace, quindi di sequestrare beni e, in questo caso, una petroliera. Tutto normale e giustificato dalle parti dei patrioti della libertà e dei diritti umani. Sono fascisti, ma loro ancora questo non lo sanno.

Il Venezuela, che ha bisogno dei proventi del petrolio per finanziare le importazioni di cibo e medicinali, ha protestato contro l’attacco statunitense alla petroliera. Il Ministero degli Esteri di Caracas lo ha definito “una rapina sfacciata e un atto di pirateria internazionale”. Questo è giuridicamente corretto: il diritto internazionale garantisce la libertà di navigazione in alto mare. Le sanzioni statunitensi, come quelle contro il petrolio iraniano o venezuelano, non si applicano comunque lì.

Ma quelle delle autorità venezuelane sono parole al vento, non servono a nulla. Washington capisce solo il linguaggio della forza. La Storia degli Stati Uniti è una storia di genocidio, di persecuzioni, soprusi e atti di violenza contro chi non può difendersi. Ora assistiamo a una ripresa ufficiale della Dottrina Monroe, con un “addendum Trump” che va definendosi (Trump ha annunciato che “succederanno altre cose”).

Anche l’UE, i cui Paesi possono vantare una storia invidiabile di crimini contro l’umanità (Spagna, Germania, Francia, Italia, Belgio, Portogallo, eccetera) sta discutendo il sequestro di petroliere che trasportano petrolio straniero, russo, nel Mar Baltico, sebbene sia ancora un po’ titubante nella pratica. Ci provassero.

L’attacco alla petroliera e il suo successivo sequestro sono avvenuti lo stesso giorno dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace alla golpista venezuelana Machado, che sostiene apertamente il rovesciamento del presidente Nicolás Maduro attraverso un’invasione statunitense.

Si prevedono ulteriori attacchi alle petroliere che trasportano petrolio venezuelano; l’agenzia Reuters ha riferito che oltre 30 navi sono state considerate “a rischio”. Tuttavia, la società statunitense Chevron rimane attiva in Venezuela, organizzando l’esportazione di petrolio venezuelano verso gli Stati Uniti per profitti sostanziali. Sarà inoltre interessante vedere se la coraggiosa amministrazione Trump oserà sequestrare le petroliere dirette in Cina, destinazione della maggior parte delle esportazioni di petrolio venezuelano.

giovedì 11 dicembre 2025

Prevalgono le dimensioni

 

Lunedì, sul quotidiano statunitense Politco, Trump ha offerto questa autovalutazione, confezionata come opinione comune: “Sono considerato una persona molto intelligente”. Per la sua eccentricità e il suo narcisismo sconfinato non rientra per nulla negli schemi consolidati dell’establishment americano, ma a volte ci vuole un pazzo per imporre la ragione. Ad esempio, nel caso di una guerra che costa innumerevoli vite e non può essere conclusa senza compromessi territoriali.

Come businessman, a differenza degli invasati guerrfondai leader europei e dei rappresentanti della NATO, Trump ha una visione sobria della situazione negoziale in Ucraina: ritiene che la guerra sia dannosa per i profitti. Allo stesso tempo, sottolinea che nessuno dovrebbe morire (a meno che non siano venezuelani). Alla domanda su quale delle due parti in guerra sia in una posizione più forte, risponde senza esitazioni: “La Russia”. Non gli interessa cosa sia giusto o sbagliato: “Sai, alla fine, di solito prevalgono le dimensioni”.

Gli chiedono: “E Zelenskyj?” Risponde: Deve imparare “ad accettare le cose”. A quelli che insistono nel sostenere l’Ucraina “finché non vincerà questa guerra”, Trump ribatte: “finché non crollerà”. Non è follia, si tratta di pragmatismo. Quello che manca a quei pezzi di merda che ogni giorno parlano di riarmo e di guerra. Un sano pragmatismo che può salvare vite umane. I politici europei, ma in primo luogo quelli ucraini, dovrebbero capire che “devono stare al gioco”. Non sono nella situazione di avanzare richieste massimaliste.

Se si fossero valutate le “dimensioni”, questa guerra non sarebbe mai incominciata. Centinaia di migliaia di persone non sarebbero morte invano. Ma è stato Putin. Eh già, è stato lui a cominciare questa guerra. Non ci sono dubbi: la Nato, la UE, Washington, i fascisti ucraini, in alcun modo volevano questa guerra. Dopo l’Ucraina toccherà alla Polonia, poi al resto d’Europa, i cosacchi in Piazza san Pietro. La buona notizia è che si sa già chi li accoglierebbe a braccia aperte.

Ci pensa quel pezzo di galantuomo di Calenda al tracciamento.

mercoledì 10 dicembre 2025

Da una distanza di sicurezza


Oggi, a Oslo, è stato conferito il premio Nobel per la pace alla figlia di un magnate dell’acciaio, già proprietario dell’industria siderurgica Sivensa, nazionalizzata da Hugo Chávez.

María Corina Machado, questo il suo nome, sta cercando di far tornare indietro le lancette dell’orologio a favore della sua classe sociale. Incarna perfettamente l’oligarchia razzista venezuelana, desiderosa di cancellare la rivoluzione bolivariana e l’inclusione della popolazione meticcia.

Fautrice di un programma ultraliberista simile a quello di Milei in Argentina, nel 2010 è stata eletta al parlamento. Nel 2012 si è candidata alle primarie di destra, ma ha ottenuto solo il 3% dei voti. La sua base elettorale è costituita da ONG come Sumate e Vente Venezuela, finanziate dagli Stati Uniti. La sua ammirazione per il Likud è un riflesso di ciò che avrebbe fatto al potere, dopo aver sostenuto senza successo i colpi di stato contro Chávez e poi contro Maduro.

Machado fu tra i firmatari del decreto golpista che abolì tutte le autorità democratiche nel Paese e insediò come presidente il capo dei padroni venezuelani, Pedro Carmona (va ricordato che negli Stati Uniti, il XIV Emendamento vieta a coloro che sono stati condannati per insurrezione di ricoprire cariche pubbliche).

Già un paio di decenni or sono, Machado aveva chiesto l’intervento degli Stati Uniti. Oggi, questa sostenitrice di Trump sta apertamente sostenendo un’invasione statunitense per rovesciare il legittimo presidente Nicolás Maduro.

Una flotta di navi da guerra statunitensi solca il mare del Venezuela nei Caraibi con una forza d’invasione di 15.000 marines e i caccia penetrano nello spazio aereo del paese sudamericano ricco di petrolio. Inoltre, va ricordato che il Venezuela non viene attaccato perché è una “dittatura”, ma perché bisogna contenerne l’esempio contagioso.

Alfred Nobel, istitutore dell’omonimo premio, voleva onorare le persone che promuovono la “fratellanza tra le nazioni” e si impegnano per “l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti”.

Secondo il Comitato per il Nobel, la donna venezuelana si è qualificata per il premio grazie al suo “impegno instancabile per i diritti democratici del popolo venezuelano e alla sua lotta per una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”.

In assenza di Machado, è stata la figlia a ritirare il premio. Poco prima della cerimonia di premiazione, Machado ha annunciato su X di essere in viaggio per Oslo. L’Istituto Nobel la attende a breve. Probabilmente ha deciso di attendere l’agognato attacco al suo Paese da una distanza di sicurezza.