venerdì 31 ottobre 2025

Il gioco dell'imprevedibilità

 

La minaccia della Cina di tagliare fuori gran parte dell’industria statunitense dalle materie prime attualmente insostituibili non ha mancato di sortire i suoi effetti. I controlli sulle proprie esportazioni di terre rare avevano già costretto l’amministrazione Trump ad abbassare i dazi del 145% sulle importazioni dalla Cina in estate, e ora l’hanno costretta a ridurre ulteriormente i dazi e a revocare una parte delle sanzioni. Questo in sintesi l’accordo annunciato ieri tra Trump e Xi.

Il fatto che la Cina abbia lavorato con lungimiranza strategica per stabilire un quasi monopolio sull’estrazione, ma soprattutto sulla lavorazione delle terre rare, sta ora dando i suoi frutti: ha trovato un’efficace contromisura contro gli incessanti attacchi di sanzioni e dazi degli Stati Uniti.

Tuttavia, Pechino sicuramente non si fa illusioni. Innanzitutto, la pressione che può esercitare sulle terre rare non è sufficiente a costringere Washington a cessare completamente la sua guerra commerciale: i dazi statunitensi rimangono piuttosto elevati e numerose sanzioni sono ancora in vigore. Inoltre, l’uso dei controlli sulle esportazioni ha una data di scadenza. Trump ha sfruttato il suo viaggio in Asia cercando fonti alternative di terre rare in Malesia e Giappone.

Sebbene queste risorse siano attualmente piuttosto limitate, Washington sta contemporaneamente investendo miliardi nello sviluppo di proprie capacità di lavorazione e raffinazione delle terre rare. Gli esperti concordano sul fatto che ciò non accadrà dall’oggi al domani. Prima o poi, tuttavia, gli Stati Uniti saranno in grado di rifornirsi autonomamente. Allora Pechino non avrà più in mano questa contromisura.

La Cina finora ha guadagnato tempo prezioso, che può utilizzare per sviluppare strategicamente la propria industria, in particolare il settore dei semiconduttori, dove è ancora in ritardo. Sulla base dell’esperienza passata, si può presumere che l’economia cinese continuerà a svilupparsi più rapidamente dei suoi concorrenti statunitensi, beneficiando maggiormente dell’assenza di un’escalation incontrollata delle sanzioni.

L’ultima tregua nella guerra commerciale non è quindi solo un successo tattico, ma anche una vittoria strategica per Pechino. Si può presumere che Washington cercherà di compensare altrove. Prima del suo incontro con Xi, Trump ha elogiato l’aumento degli armamenti annunciato dal nuovo primo ministro di estrema destra giapponese. Per Washington vincere il confronto con la Cina è una questione di vita o di morte. Dunque ci si prepara ad ogni evenienza.

Se i popoli non si solleveranno e non lotteranno contro il capitalismo e le politiche imperiali, il destino dell’umanità sarà segnato: tutto entrerà nel gioco dell’imprevedibilità della guerra.

giovedì 30 ottobre 2025

La sosia

 

La sinistra parlamentare è morta. Gli zombie non vogliono togliersi di torno, cercano carne fresca, sangue nuovo. Come quella volta con l’egolatra di Rignano, stanno preparando la discesa a Roma dell’attuale sindaco di Genova. Pensano di aver trovato la controparte di Meloni. Probabilmente, perché le somiglia molto. Le poesie sono apparentemente diverse e però lmetrica è la stessa. E sa recitarle con convinzione. Anzi, forse un po’ troppo per apparire credibile agli smaliziati. Che sono sempre di più. Tuttavia, troveranno degli allocchi che ci cascano ancora. Non penso saranno in molti, ma la réclame sa fare certi miracoli. 

Convertito a un realismo manageriale, il PD evita i dibattiti ideologici (le questioni del dominio, per esempio, di un sistema che appare democratico ma in cui il potere risiede nelle mani dei grandi gruppi economici e finanziari), anzi non ne ha proprio idea, impantanato com’è nei suoi battibecchi personali. Per non parlare poi di ciò che ha combinato al governo sui temi del lavoro e le sue tutele. L’unica cosa a cui puntano realmente i suoi dirigenti è l’esercizio del potere.

Qualunque riflessione critica è ritenuta troppo radicale. Il PD non è mai stato un luogo di interpretazione del mondo, se non per semplificazioni e banalità. Non ci si vuole arrendere all’evidenza, ossia al fatto che il compromesso tra democrazia e capitalismo, incarnato nel sistema rappresentativo, non regge più. La logica delle primarie ha completato questa deriva, con i “progetti” calati direttamente dall’alto. Men che meno di un progetto sociale comune basato sulla rivitalizzazione di quelle che oggi sono considerate e disprezzate come mere utopie. E che invece rappresentano il solo potenziale di trasformazione sociale e politica dal quale ripartire

“Subentra un’epoca di rivoluzione sociale”

 

Il padrone di Amazon vuole licenziare alcune migliaia di suoi schiavi salariati. L’avvento dell’intelligenza artificiale creerà nuovi e massicci licenziamenti in molti settori produttivi e soprattutto nei servizi. È dai tempi di Prometeo che le innovazioni creano nuove forme di sfruttamento e nuove vittime. Le grida d’allarme si fanno più acute del solito poiché la liquidazione di posti di lavoro non riguarda solo i braccianti, ma in particolare i “colletti bianchi”.

Un giorno le macchine sostituiranno quasi completamente il lavoro umano? Ampiamente previsto anche da Marx a metà dell’Ottocento e non solo per mera e fantastica congettura (*). Il problema più serio che si viene a creare sta in capo a ogni comodo liberalismo, ben di là del perimetro semplicemente teorico. 

Innanzitutto l’avvento delle nuove tecnologie, compresa oggi l’IA, non risolve la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico, ossia la produzione di valori d’uso in forma esclusiva di valori di scambio. Non deve sorprendere che la totalità di coloro che se ne occupano, abbagliati dal “feticismo della merce”, eleggono ad oggetto privilegiato della loro ricerca i fenomeni di mercato. Limitando l’analisi ad un solo aspetto della contraddizione, il valore di scambio, non sono in grado di spiegare nemmeno i movimenti di questo.

Anche la forza-lavoro umana, impiegata capitalisticamente, è una merce; e come tale possiede un duplice carattere, quello di valore d’uso e valore di scambio (**). È su tale distinzione che si fonda l’intera società capitalistica, il suo sviluppo e la sua rovina, sia perché la contraddizione interna alla merce rimanda al duplice carattere del lavoro di cui s’è detto, vale a dire al movimento in senso inverso della massa dei valori d’uso, da una parte, e dei valori, dall’altra, in seguito all’aumento della forza produttiva del lavoro.

Confido risulti a tutti pacifico il fatto che con lo sviluppo della grande industria e la sussunzione della scienza nel capitale aumenta enormemente la forza produttiva del lavoro. Se la produzione di valori d’uso tende a scindersi dal tempo di lavoro vivo, quest’ultimo continua tuttavia a permanere, in quanto misura del valore di scambio, come unica fonte di valorizzazione del capitale. Ma poiché nel capitalismo gli oggetti d’uso disponibili dipendono dalle esigenze del capitale, il cui scopo è direttamente il valore di scambio e non il valore d’uso, la produzione di valori d’uso si restringe quando le merci non possono realizzarsi come valori, cioè quando il capitalista non è più in grado di realizzare il plusvalore contenuto nelle merci (questo fenomeno, tra l’altro, è ben evidenziato dalla tendenza alla finanziarizzazione dell’economia).

Ciò che è in radice alla crisi, non è lo sviluppo tecnologico, ma il fatto che esso avvenga entro le forme del modo di produzione capitalistico. Ecco dunque che lo sviluppo delle forze produttive entra in contrasto con la forma e la natura che esse assumono nel modo di produzione capitalistico, cioè con i rapporti di produzione esistenti. “Questi rapporti – scrive Marx –, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale”.

(*) Marx sapeva bene che l’innovazione tecnologica avrebbe progressivamente trasformato il lavoro. Così come Darwin non dovette attendere le scoperte della paleontologia per formulare la sua teoria, allo stesso modo Marx non dovette attendere l’invenzione del microchip per scoprire le leggi che stanno alla base del modo di produzione capitalistico e con ciò il carattere storico e transitorio della forma valore. Tanto gli bastò per immaginare il futuro quale puntualmente esso si conferma in toto. Scriveva Marx nei Lineamenti fondamentali per la critica dell’economia politica (Grundrisse, La Nuova Italia, vol. II, pp. 401- 02):

«La ricchezza reale si manifesta invece – e questo è il segno della grande industria – nell’enorme sproporzione fra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, come pure nella sproporzione qualitativa fra il lavoro ridotto ad una pura astrazione e la potenza del processo di produzione che esso sorveglia. Non è più tanto il lavoro a presentarsi come incluso nel processo di produzione, quanto piuttosto l’uomo a porsi in rapporto al processo di produzione come sorvegliante e regolatore.

L’operaio non è più quello che inserisce l’oggetto naturale modificato come membro intermedio fra l’oggetto e sé stesso; ma è quello che inserisce il processo naturale, che egli trasforma in un processo industriale, come mezzo fra sé stesso e la natura inorganica, della quale s’impadronisce. Egli si colloca accanto al processo di produzione, anziché esserne l’agente principale. In questa trasformazione non è né il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale — in una parola, è lo sviluppo dell’individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza. Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa.

Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio deve cessare di essere la misura del valore d’uso. Il pluslavoro della massa ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non- lavoro dei pochi ha cessato di essere condizione dello sviluppo delle forze generali della mente umana. Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla, e il processo di produzione materiale immediato viene a perdere anche la forma della miseria e dell’antagonismo.

[Subentra] il libero sviluppo delle individualità, e dunque non la riduzione del tempo di lavoro necessario per creare pluslavoro, ma in generale la riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro. Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo di lavoro a un minimo, mentre, d’altro lato, pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza. Esso diminuisce, quindi, il tempo di lavoro nella forma del tempo di lavoro necessario, per accrescerlo nella forma del tempo di lavoro superfluo; facendo quindi del tempo di lavoro superfluo – in misura crescente – la condizione (question de vie et de mort) di quello necessario».

(**) “[...] a tutti gli economisti senza eccezione è sfuggita la cosa semplice che, essendo la merce un che di duplice, di valore d’uso e di valore di scambio, anche il lavoro rappresentato nelle merci deve avere un carattere duplice” (lettera ad Engels dell’8 gennaio 1868).

mercoledì 29 ottobre 2025

Proust aveva già capito

 

Ci è stato detto e ripetuto che non dobbiamo assolutamente perdere la svolta dell’intelligenza artificiale, l’IA. Che, per “restare in gara”, dobbiamo accettarla nelle nostre vite. Persino Wikipedia è apparentemente in declino, abbandonata dai suoi utenti in favore dell’IA, che risponderebbe a tutte le nostre domande.

È un database senza precedenti nella storia dell’umanità, accanto al quale la Biblioteca di Alessandria sembrerebbe un mercatino di remainders. Si può usare per comprare un biglietto aereo, chattare con uno strizzacervelli immaginario o chiedere di che colore era il cavallo bianco di Giulio Cesare. L’Homo sapiens lo sognava da 300.000 anni, l’IA lo ha reso possibile.

Questa tecnologia ha qualcosa di seducente, perché si basa su una gigantesca massa di informazioni accumulata su Internet per anni. Le raccoglie a strascico ed elabora a bischero sciolto. Come la pesca in mare. Il risultato della pesca può dipendere da tante cose, per esempio da come posizioni l’esca: nella rete può impigliarsi una spigola oppure anche il sedile di un water. Random.

Per esempio, della stessa domanda ho invertito le parole chiave, senza che la domanda cambiasse di significato, e ho pescato due risposte diverse: nella prima risposta, in Francia nel XVIII secolo, l’aspettativa di vita alla nascita era di 25-30 anni; nella seconda risposta l’aspettativa saliva a 40 anni. Non proprio la stessa cosa. E potrei continuare con altri esempi.

In genere però le risposte sono “giuste”, nel senso che sono quelle che ti aspetteresti. Il punto è proprio questo: la normatività, la semplificazione e la superficialità delle risposte. Manca poco, l’IA invaderà le aule, minando il cervello degli studenti e la vocazione degli insegnanti. Già è un problema l’uso degli smartphone, che si pensa di risolvere vietandoli nelle scuole.

Per gli adolescenti, internet significa social media. Al punto che negli ultimi anni l’ambito pediatrico ha iniziato a interrogarsi se sia l’utilizzo dei social a rendere i ragazzi depressi, o se i ragazzi depressi semplicemente trascorrono più tempo sui social. Molti studi riguardano l’ansia e la depressione, sollevando preoccupazioni circa l’impatto dei social media sulla salute mentale, sul fatto che in genere i ragazzi sembrano più stupidi di quanto lo eravamo noi alla loro età.

Per la mia generazione e anche per quella venuta dopo ci sono voluti anni e anni di trattamento televisivo e mediatico per raggiungere livelli ottimali di stupidità, che poi si sublima attualmente nella vecchiaia; oggi, invece, per diventare stupidi bastano pochi anni di applicazione mediatica. Ma anche scolastica. Già nell’adolescenza si possono raggiungere livelli di stupidità che un tempo erano appannaggio solo di una ristretta cerchia di fortunati.

Gli utenti dei social media (anche chi sta scrivendo queste parole) sono stati addestrati a dedicare più tempo a mettersi in mostra e meno tempo a relazioni sociali autentiche. Volenterosi ostaggi dell’intensificazione delle dinamiche virali, non abbiamo ancora valutato abbastanza l’impatto che ha avuto nella vita di ognuno e sui profitti di chi gestisce la faccenda una banalità come il pulsante “Mi piace”. Per tacere del resto.

Assistiamo da decenni allo sgretolamento di tutto ciò che un tempo sembrava solido, alla dispersione di tutte le persone che un tempo formavano una comunità. Leggevo in questi giorni di come Marcel Proust, dopo pochi mesi dall’aver installato il telefono nella sua abitazione, decidesse di disdire l’abbonamento. Non sembra abbia spiegato il perché, ma sicuramente preferiva ricevere e far visita personalmente. Oppure comunicare per lettera. Aveva già capito.

martedì 28 ottobre 2025

Per carità di patria

 

Fa bene il presidente Sergio Mattarella a richiamare l’attenzione sul tema della crisi della sanità pubblica, che così ostacola il diritto alla salute costituzionalmente garantito. È tuttavia un richiamo tardivo, e sorvola sul fatto che tale stato di crisi non è casuale. Soprattutto non dice a beneficio di chi va il sostanziale taglio della spesa sanitaria pubblica, e dunque quale sia la strategia che sottende la premeditazione di tali politiche di ridimensionamento della spesa sanitaria pubblica.

Eccepirà il solito cretino televisivo che questo o quel governo ha provveduto a stanziare una certa provvista di quattrini proprio per la sanità pubblica. Quanto a spesa pro-capite l’Italia si assesta al 14° posto in Europa con un gap di 43 miliardi di euro, ultima tra i Paesi del G7. E però i denari per le spese di armamento e per il sostegno della guerra si trovano. E altri ancora nei prossimi anni ne verranno aggiunti.

Eh già, Putin provoca ed è pronto ad assalirci. Lo dimostra il fatto che anche recentemente un caccia russo e un aereo da rifornimento in volo sono entrati nello spazio aereo lituano. Sono penetrati per ben 700 metri – dicono i satelliti – in territorio lituano, anzi in territorio Nato! E, cosa preoccupante, per ben 18 secondi. Non è stato versato nemmeno carburante. La Russia nega ovviamente persino che l’incidente sia avvenuto.

Quando ormai non c’era più nulla da trovare, sono comparsi due Eurofighter spagnoli a pattugliare lo spazio aereo dove non è successo nulla. Speriamo che non si perdano dirigendosi a sud. Ciò è bastato perché il primo ministro lituano Inga Ruginienė dichiarasse al mondo intero: “Questo incidente dimostra ancora una volta che la Russia si sta comportando come uno Stato terrorista e ignora il diritto internazionale e la sicurezza dei paesi vicini”.

È la stessa storia dei celeberrimi droni che un mese or sono hanno sorvolato alcuni aeroporti del nord Europa. Erano senz’altro russi, anche se non vi è prova alcuna. Nessuno s’è azzardato a chiedere lumi al comandante delle “truppe droni” ucraine, Robert Brovdi, il quale, tra l’altro e in spregio al diritto internazionale umanitario che proibisce gli attacchi contro dighe, domenica ha attaccato la diga di Belgorod, in territorio russo.

Insomma, non appena saremo pronti, una bella guerra con la Russia non ce la potrà negare nessuno. Per allora avranno sistemato anche la faccenda del cosiddetto “voto unanime” per approvare le schifezze che la UE ci appioppa. Romano Prodi potrà finalmente mettere l’elmetto con le piume e dare una mano come bersagliere ciclista.

Questo episodio di “invasione” aeronautica è avvenuto poco dopo un vertice UE in cui l’alleanza è venuta ancora una volta meno al suo sacro compito. Infatti, il documento finale adottato sull’Ucraina non menziona più esplicitamente l’uso dei beni russi congelati da convertire in armamenti. Manca anche dal testo il mandato urgente alla Commissione UE di elaborare proposte concrete. Si afferma semplicemente che la Commissione è “invitata” a trovare nuove “opzioni” per il sostegno finanziario all’Ucraina. Intanto con quelle “opzioni” si può continuare a comprare gas e petrolio russi almeno fino al tutto il prossimo anno.

Ciò significa che Putin può continuare (lo fa dal 2022) a finanziare la sua guerra con i soldi dell’Europa fino alla fine del 2026. Il fatto che questo valga anche per l’Ucraina, (l’Italia finanzia a fondo perduto la corrotta cricca di Kiev sottraendo risorse alla nostra spesa pubblica), è tacitamente ignorato. La UE da anni finanzia direttamente o indirettamente due Paesi in guerra tra loro. Anche di questo paradosso Mattarella e altri tacciono. Lo fanno per carità di patria.