La vittoria alle elezioni e la conquista del potere ha rinvigorito, anche ideologicamente, la nuova destra fascista italiana, ed è per tale via che vorrebbe imporre alcuni dei suoi temi culturali. La consacrazione di una “cultura” con risonanza metafisica e ontologica, che tenta di forgiare una propria tradizione attingendo in particolare alla mitologia dell’indoeuropeismo come ricerca della patria primordiale e un comunitarismo di stampo nativo-americanista (con nonchalance le due cose insieme).
Tuttavia, la concezione ideale e concreta del nuovo fascismo rimane quella di una società profondamente etno-differenzialista che adotta come fondamento non il demos della comunità politica, ma l’ethnos della comunità culturale. Non deve dunque meravigliare come tale approccio, incentrato sulla difesa dei popoli e delle tradizioni europee, sia riuscito a conquistare molti ambiti, partendo da una base ristretta, per diventare la matrice di un intero pensiero politico di destra contemporaneo.
Non a caso viene messa in discussione la cittadinanza per nascita a favore di quella per discendenza, poiché l’obiettivo non è quello di legare cittadinanza e nazionalità, ma di naturalizzare il problema della cittadinanza collegandolo alla questione dell’origine. Su questa vexata quæstio dell’universalismo, fatto proprio tout court dalla sinistra, la destra vince tre a zero a tavolino. Joseph de Maistre ricordava di aver incontrato russi, tedeschi e inglesi, ma nessun uomo. Gratta col ditino nell’ideologia della destra e appare questa merda qua.
L’etno-diferanzialismo però non basta, servono altri padri nobili per ammantarsi di una caratura culturale di peso. Il richiamo a Pasolini, mai troppo amato a sinistra, quindi ad un cosiddetto “gramscismo di destra”, che altro non è che un gramscismo da mensa studentesca. Così come tutto il resto, i loro riferimenti e richiami sono di scarsa complessità e profondità, incapaci di pensare alle idee come produzioni storiche.
Un esempio paradigmatico è il ministro della cultura Giuli, che vorrebbe presentarsi con l’immagine dell’esteta per far dimenticare di essere un ideologo di seconda mano del nuovo fascismo. Lo stesso ineffabile ministro che alla Fiera del libro di Torino acquista le opere complete di Marx ed Engels. Per farne che cosa è facilmente intuibile, posto che il marxismo in Italia nella migliore delle ipotesi è ridotto ad un economicismo.
Leggo, oggi, che viene citato l’incontro tra Nietzsche e Marx a Nizza il 5 maggio del 1882 (*). Cosa ovviamente del tutto inverosimile, ma che al brodo sottoculturale di questa genga neofascista risulta intrigante. Ora, non ci resta che attendere che questi “nuovi” fasci risorti dalle fogne attacchino la sinistra cialtrona con il pretesto di difendere il comunitarismo.
In conclusione, il finto distacco del fascismo odierno dalla sua matrice originaria non deve ingannarci: è semplicemente ipocrita, indisponibile a chiarire la sua effettiva posizione e rispondere del peso tragico del fascismo.
(*) L’incontro tra i due ovviamente non è mai avvenuto. Vero è che Marx, proveniente da Algeri e sbarcato a Marsiglia il 5 maggio mattina, prima di raggiungere, il giorno dopo, Monte Carlo, per incontrarsi col dott. Delachaux, médicin-chirurgien, si ferma a Nizza (Nice), visita la città e i suoi dintorni. Che Nice possa aver alimentato qualche mediocre fantasia è pure possibile. Tra le altre cose, sarebbe stato improbo riconoscere Marx nelle sue nuove fattezze, in quanto pochi giorni prima, ad Algeri, s’era fatto radere a zero la celebre barba e tagliare i capelli (vedi: Marx ad Engels, lettera dell’8 maggio 1882, Lettere 1880-1883, ediz. Lotta comunista pp. 201-03; MEW, vol. 35, pp. 60).

