sabato 30 settembre 2023

Devo ammetterlo

 

Sarebbe necessario spiegare, ogni sera all’ora di cena, ma anche durante la giornata, quando la nazione (si dice così, ora) sta davanti alla tv, anche prima e dopo i cartoni animati (non credo si chiamino più così, ma insomma avete capito), in modo che anche i bambini, quelli con la famosa “pesca” per intenderci, in modo che possano comprendere fin dalla più giovane età che cosa combinano i loro genitori. Spiegare che cos’è il debito pubblico e magari anche la differenza con il deficit (il suo accumulo diventa debito).

Spiegare che il debito pubblico è sostenibile finché è possibile emetterlo a bassi tassi di interesse, finché non provoca pressioni inflazionistiche o un deficit esterno, finché non è eccessivo. Spiegare che questo non è esattamente il caso italiano. Che invece è il gigantesco debito pubblico che consente alle tecnocrazie europee e alle classi dirigenti (?) nazionali di mettere in discussione il modello sociale e il suo livello di spesa pubblica, che pone le politiche economiche nazionali sotto la lente dei mercati finanziari, ossia di chi copra una parte non trascurabile del nostro debito.

Lasciando stare la questione del perché il debito pubblico è entrato in una spirale ascendente, o del perché c’è uno squilibrio strutturale tra risparmio e investimenti, quindi la perdita di entrate fiscali, insomma cose che darebbero adito a una querelle teologica sulla globalizzazione, spiegare quali effetti produce l’aumento del debito pubblico sulle vite soprattutto di chi conta con le dita e non celata preoccupazione i giorni che mancano a fine mese. Dunque, facendo due calcoli aritmetici dimostrare che dato l’attuale livello dei tassi d’interesse reali, il debito pubblico è insostenibile.

Il tema, a ben vedere, prima ancora di essere economico-finanziario, è politico e sociale (il peso futuro della spesa pensionistica, sanitaria e assistenziale), formativo e informativo. E, se proprio vogliamo dirla tutta, riguarda anche il tasso di fertilità, a cui l’immigrazione può porre solo un rimedio in gran parte temporaneo, dovendo peraltro tener conto, senza ipocrisie, dei problemi sociali che essa innesca e produrrà sempre più (su questo i Vannacci di turno possono vivere di rendita).

Ma prima è necessario spiegare queste cose ai ministri di ogni governo, prima che giurino davanti al presidente della monarchia repubblicana. Spiegare che non viviamo una situazione economica normale, ma di un’incipiente recessione economica, con alta volatilità dei mercati finanziari, che la sostenibilità dell’onere del debito dipende dal livello del tasso d’interesse reale e dalla crescita economica. Dunque, che dato l’attuale livello dei tassi di interesse reali, il debito pubblico è insostenibile, e che avremo difficoltà a rinnovarlo, nel senso che si dovranno pagare interessi sempre più alti ai creditori. Pensate che non sia necessario spiegare queste cose a politici e ministri, o che già lo sappiano? Siete degli incalliti ottimisti. Che sia inutile spiegarlo e che comunque non gli freghi un cazzo? Siete realisti, devo ammetterlo.

venerdì 29 settembre 2023

Santoro, Gruber e De Gasperi

 

Il giornalista ed ex conduttore tv Michele Santoro lancia il progetto per una lista pacifista da candidare alle europee. Da ultimo, ieri sera, ospite di Gruber.

A parte i soliti guerraioli, con elmetto e tastiera, siamo tutti a favore della pace. In modi diversi. Santoro è una voce fuori dal coro, almeno di un certo coro. È un personaggio accattivante, coerente, come quando prese posizione contro la guerra di liberazione della Nato per il Kosovo, il cui popolo musulmano ogni americano ed europeo porta nel cuore; insomma quando gli eroici piloti della Nato bombardarono la radiotelevisione serba a Belgrado perché poco pluralista.

Per queste ragioni, per questo atteggiamento critico, Santoro è stato rimosso di fatto dalla televisione. Come un Daniele Luttazzi, come un Gian Maria Volontè dalla storia del cinema italiano. È un duro lavoro quello degli specialisti di questa selezione, ma dà i suoi frutti.

Per quanto riguarda l’Ucraina, Michele è per la trattativa, subito, per il non invio di armi in Ucraina, per un’Europa libera dal giogo degli Usa-Nato. Ottimo, direi, anche se non gli sentiremo mai pronunciare la parola imperialismo perché è demodé e anche perché Santoro vorrà evitare che gli si rinfaccino certi trascorsi giovanili.

Il giornalista, se richiesto, condanna l’aggressione da parte di Mosca senza se e senza ma. Sarebbe interessante sapere, secondo lui, che cosa avrebbe dovuto fare la Russia in alternativa.

Per avere tribuna e poter in tal modo esprimere le sue idee e proposte di pace e di autonomia, Santoro chiederà il voto degli elettori per far parte del Parlamento europeo. Da lì potrà far sentire alta e forte la sua voce, seppure in un’aula mediamente semivuota. Santoro lascerà il segno con più profondità degli altri, per esempio della Gruber?

A proposito di Gruber, che si sente molto meno italiana di come si sente sudtirolese (non usa mai il termine altoatesina), mi viene in mente, per certi versi, un’altra storia a riguardo di quelli che cercano tribune parlamentari all’estero per far sentire la propria voce.

Ricordano un De Gasperi suddito dell’impero austro-ungarico, il quale “non mise mai in discussione l’appartenenza di tutto il Tirolo all’Impero”. Eletto al parlamento viennese, avuto un seggio anche alla dieta tirolese di Innsbruck, allo scoppio della guerra “De Gasperi sperò che l’Italia entrasse in guerra a fianco dell’Austria-Ungheria e della Germania sulla base della Triplice alleanza”.

Insomma, De Gasperi era uno che vedeva lontano e, fosse stato per lui, non si sarebbe mai mosso dal parlamento viennese. Saltata l’alleanza dell’Italia con l’Austria, s’impegnò perché fosse almeno mantenuta la neutralità italiana. Durante il conflitto ebbe a occuparsi, come parlamentare austriaco, dei profughi e rifugiati (non dei prigionieri italiani).

Nel frattempo che De Gasperi soggiornava a Vienna a spese del governo austriaco, gente come Battisti e Filzi, trentini anche loro come Alcide, combattevano al fronte come italiani e come tali, fatti prigionieri, venivano impiccati dagli austriaci.

Leggo da Wikipedia: “Il successivo 24 ottobre 1918 partecipò alla formazione del Fascio nazionale italiano, una formazione comprendente i deputati popolari e liberali italiani del Parlamento austro-ungarico di cui fu eletto segretario. Il giorno dopo (25 ottobre!) dichiarò che i territori italiani fino a quel momento soggetti alla monarchia austroungarica dovevano considerarsi congiunti all’Italia”.

Già il 29 settembre, la Bulgaria a Salonicco firmava l’armistizio con il generale Franchet d’Espérey, comandante dell’Armata Orientale alleata. Il 20 ottobre si erano dimessi i governi dell’Austria e di Ungheria, ossia della Duplice Monarchia; il giorno dopo si riunivano in assemblea plenaria nazionale i deputati di lingua tedesca e decidevano di formare lo Stato indipendente dell’Austria! La folla mareggiava a Vienna e colonne di operai e gruppi di soldati riempivano strade e piazze. Anche se la proclamazione della repubblica avvenne il successivo 12 novembre, l’impero non esisteva più da settimane.

Pertanto, fino all’ultimo De Gasperi fu fedele alla monarchia asburgica e al suo ruolo di deputato austriaco. Ecco in che cosa si tramutano in effetti le tribune parlamentari, in luoghi di occasionali interventi oratori e regolarissima fonte di emolumenti e prebende.

Chissà se poi la tribuna di Bruxelles, in caso di elezione, diventerà troppo stretta per Santoro, come lo fu per Gruber, di modo che finirà per trovarne anche lui una più comoda in Italia.

giovedì 28 settembre 2023

La continua rapina

 

Uno dei motivi della crescente sfiducia nei confronti della politica è la stanchezza nei confronti dei governi che sembrano soffrire di inevitabilità. Una delle frasi preferite ultimamente a riguardo delle grandi questioni è: “anche i precedenti governi ...”. Ok, anche quello di Cavour.

Nel balletto di personaggi e luci non c’è la minima preoccupazione per ciò che accade realmente e per ciò che si annuncia drammaticamente, dunque di farla finita con la fase delle affermazioni verbali per entrare in quella dei fatti concreti.

Questo divario tra la postura dichiarativa e l’azione dà l’impressione di governi e di una classe politica il cui obiettivo principale (spesso l’unico) è occupare il campo dell’informazione e non agire per i cittadini. Tra tutti i ministeri, quello della chiacchiera è quello dove si lavora di più.

Non è solo lo spread che sfiora i 200 punti (il 28 settembre 2022 era a 243), ma l’impennata dei rendimenti dei Btp a 5 e 10 anni assegnati oggi in asta, che sfiorano rispettivamente il 4,5 e il 5 per cento. Sono interessi aggiuntivi, sono punti di Pil a vantaggio dagli speculatori (quelli che si fanno chiamare “investitori”).

Poi ovviamente c’è la solita Germania a darti una mano, per esempio con il dumping sull’Iva, che dal 1° luglio è passata dal 19 al 16% (quella ordinaria) e dal 7 al 5% per quella ridotta, e ciò consente alle esportazioni tedesche di essere più competitive. Ma vuoi che sia per gente che trascura il fatto elementare che una moneta comune non dovrebbe essere solo un fatto economico, ma un fatto sociale e politico di rilievo fondamentale (sull'iva tedesca vedi commenti qui sotto).

Ad ogni modo, a parte una classe politica e dirigente da far piangere (altro che ridere, fare dell’ironia su questi deficienti sta diventando il kitsch del nostro tempo), si deve tener presente il ruolo della speculazione finanziaria, che ha l’effetto di amplificare gli squilibri esistenti in una situazione data, ossia di creare sfiducia nei confronti del debito pubblico di uno Stato, costringendo il governo ad adottare misure con un costo economico e sociale più elevato di quanto sarebbe stato necessario.

I famosi hedge fund, che non sono fondi privi di rischio; al contrario, si tratta di fondi particolarmente rischiosi, molto più rischiosi dei fondi comuni di investimento, per dire. I loro gestori investono parte del patrimonio del fondo e addebitano commissioni molto cospicue a seconda della performance del fondo stesso. È evidente che ciò li incoraggia a far sì che i fondi assumano rischi di mercato significativi.

Le chiamano “innovazioni finanziarie”. Si pensi ai CDS (Credit Default Swap), una sorta di assicurazione contro l’insolvenza del debitore. Teoricamente questo prodotto potrebbe essere considerato utile, ma c’è una grande differenza con una normale assicurazione. Non puoi assicurare una casa che non possiedi. Nel caso dei CDS sì. È possibile avere CDS sui rischi di default di un debitore senza esserne inizialmente creditore, in modo che la speculazione tramite CDS consiste nell’acquistare un’assicurazione su una casa e poi darle fuoco per incassare l’assicurazione.

Per tacere delle vendite allo scoperto e delle operazioni che hanno luogo sui mercati over- the-counter, dove le transazioni avvengono tra attori senza controllo, in completa opacità. Il capitalismo è questa roba qua; non anche questa roba, ma soprattutto questo genere di rapina. Poi scoppia immancabilmente la bolla e il famoso aumento di valore si rivela per quello che è: schiuma. Queste crisi non appaiono nel panorama sereno di un sistema economico in buona salute, ma in un contesto generale di patologia strutturale.

E non è vero, come sostengono alcuni “critici del valore”, che si tratta di crisi di una qualità nuova rispetto a quelle classiche dei due secoli passati. Come già in passato le crisi si manifestano con evidenza spettacolare nella superfetazione del capitale fittizio, con valori di borsa completamente disancorati rispetto ai reali valori industriali e commerciali. Quello che realmente c’è di nuovo, è la dimensione globale e gigantesca del gioco finanziario, di questo gioco d’azzardo portato al parossismo.

Non è solo pubblicità


In attesa della “manovra”, la suspense è insopportabile.

Ci hanno spiegato in vari modi che cosa è successo tra il primo trimestre del 2021 e il secondo trimestre del 2022 quando sono esplosi i prezzi delle materie prime e dell’energia importate. Questo periodo di “crisi” è divenuto un eterno presente, in cui aziende e altri operatori economici non hanno mai guadagnato così tanto. Ridurre i costi e aumentare i prezzi si chiama guerra di classe.

Nell’ultimo periodo ho scritto cose che ritenevo abbastanza interessanti su questo tema, ma evidentemente mi sbagliavo a riguardo dell’interesse. E del resto devo ammettere che certi temi, come quello della “pesca” (intesa come frutto), acchiappano molto di più. Non ci si avvede di quanto l’aspetto ideologico, nell’ambito della guerra di classe, sia importante.

Non è un caso che sia una catena di supermercati a proporre la storia di una bambina nella parte di Diane Keaton e che negli occhi dei sui genitori, borghesi completamente abbandonati, cerca ciò che teme quanto ciò che vuole. Un sogno in questa interminabile notte d’estate, in cui non ci viene detto il ricarico di prezzo sulle pesche di Leonforte. 

mercoledì 27 settembre 2023

"L’inflazione venuta dal nulla"

 

“Il mercato del lavoro si sta finalmente adattando e probabilmente ci vorrà ancora un po’ di tempo per farlo [...] La creazione di posti di lavoro nel settore dei servizi si sta moderando e lo slancio generale sta rallentando”.

È un bene che con l’aumento dei tassi d’interesse, decisi dalla banca centrale europea, la gente perda il lavoro! Si possono sentire di queste cose in un sistema economico che non sia folle e gestito da sociopatici?

Epperò, dicono, non c’è altra soluzione che aumentare i tassi d’interesse. E grazie tante, ma come si è arrivati a questo punto? La politica monetaria degli anni dopo il 2008 è stata di un lassismo ed esuberanza senza precedenti. Senza credere che l’inflazione sia causata esclusivamente dalla politica monetaria, è ovvio che una politica di tassi d’interesse pari a zero, l’immissione di troppi soldi nel sistema, crea inevitabilmente molte bolle e causa l’inflazione.

Un esempio concreto è quello del mercato immobiliare americano, che rappresenta il più grande asset class globale di azioni e obbligazioni. Negli Stati Uniti, per la cronaca, il mercato immobiliare rappresenta tra le 2 e le 3 volte il Pil americano. In tre anni, tra il 2019 e il 2022, il patrimonio immobiliare americano, secondo dati presentati dal NYT, è aumentato del 45%. Quella politica monetaria, con un’eccessiva creazione di moneta, ha incoraggiato gli acquisti, spesso inutili o che non sono commisurati alle proprie possibilità di reddito (*).

Questo ci riporta con la memoria all’epoca del fallimento di Lehman Brothers. Negli Stati Uniti fu applicato il famoso quantitative easing (QE), un programma di riacquisto del debito da parte delle stesse banche centrali. Fu la risposta americana alla crisi dei mutui subprime: per salvare il sistema bancario, la Banca centrale dovette riacquistare essa stessa i debiti per garantire la liquidità come ultima risorsa e quindi la sostenibilità del sistema bancario.

In pratica, non è esagerato affermare che si trattava di salvare il capitalismo. Il rischio sistemico poteva giustificare queste misure eccezionali, ma non si è trattato solo di gestire la crisi finanziaria di allora o la crisi sanitaria causata dal Covid, cosa che poteva essere ammessa per la durata di un anno o due. Invece hanno continuato a utilizzare il quantitative easing praticamente fino a un’ora fa. E ciò ha ovviamente avuto conseguenze drammatiche sul comportamento di quelli che chiamano agenti economici e sui livelli di debito pubblico e privato.

Bilancio della Federal Reserve, 1914-2020 (in milioni di dollari)

Durante questo periodo, gli Stati hanno preso dalle banche centrali prestiti a tasso zero, ovvero allo 0,10%, allo 0,20%, cioè quasi per niente. Il denaro era praticamente diventato gratuito, una stimolazione monetaria senza precedenti e irrazionale volta a favorire la speculazione borsistica, ad arricchire chi di suo era già ben messo.

I dati del Fondo monetario internazionale, la cui rilevanza non è discutibile, mostrano che dopo il 2009, il debito pubblico mondiale in dodici anni passa dal 65-70% al 124%, ossia lo stesso identico picco post-seconda guerra mondiale.

Sarò demodé, ma la teoria monetaria che ha avuto largo corso negli ultimi decenni, la quale afferma che non c’è più limite sul livello del debito, che basta stampare moneta, e dunque che ciò che conta in definitiva è la prosperità e lo sviluppo, ci porterà verso una crisi che temo possa trasformarsi in uno tsunami economico-finanziario.

Le banche centrali sanno perfettamente di essere la causa di questa deriva e che la loro politica di denaro gratis non era né ragionevole né sostenibile. Di conseguenza, da circa un anno le banche centrali dei paesi che rappresentano circa la metà del Pil mondiale hanno adottato contemporaneamente la stessa politica: la riduzione drastica dei propri bilanci e l’aumento dei tassi. Ciò significa che stanno ritirando liquidità, creando rischi reali di un’inversione estremamente brutale del ciclo economico.

Naturalmente, altri fattori hanno contribuito all’inflazione: il confinamento, i problemi delle catene di approvvigionamento, la guerra in Ucraina con l’aumento del prezzo delle materie prime, ecc.. Cose note. Tuttavia i signori che hanno deciso di provocare la Russia sull’uscio di casa, quindi d’imporle sanzioni, sicuramente sono a conoscenza che la Russia è il principale esportatore di materie prime (un terzo, a quanto pare, delle materie prime). Perciò non possono pretendere di scoprire le conseguenze economiche solo dopo averle provocate e mascherandole con la propaganda mediatica dell’”aggressore” e dell’”aggredito”.

Christine Lagarde, in un’intervista dell’ottobre 2022, mentre descriveva Putin come un “uomo terrificante”, espresse la sua sorpresa dicendo: “l’inflazione è venuta fuori dal nulla”. Riescono sempre, sia pure maldestramente (eufemismo), a giustificare l’ingiustificabile. È quella stessa aristocrazia di censo e di scambi responsabile di aver scatenato una spirale di impoverimento e di distruzione del potere d’acquisto; la stessa timocrazia alla quale frega nulla che l’inflazione non colpisce allo stesso modo le diverse classi sociali, e che quando l’inflazione scende, per dire, al 5,2% rispetto alla stima fatta al 5,3%, parla di “una piacevole sorpresa”.

(*) « Existing home prices in the United States soared 45 percent from December 2019 to June 2022, when Covid emerged and then gripped the nation. That rate of increase over such a short interval had never happened in the history of the U.S. national home price index, dating back to 1987, which the economist Karl Case and I first developed». (Robert J. Shiller, FOMO Helped Drive Up Housing Prices in the Pandemic. What Can We Expect Next? NewYork Times, sept. 28, 2022.

martedì 26 settembre 2023

In Europa non esportano solo gas e petrolio

 

La storia del ‘900, specie la seconda parte del secolo, è stata plasmata dalla lotta per il controllo del petrolio e del suo prezzo. Qualche cenno.

Nel 1916, Londra e Parigi, con l’accordo Sykes-Picot, si spartirono la “carcassa del turco”, ovvero il Medioriente (*). Mentre l’Italia, considerata una potenza assolutamente marginale, cercava di conquistare deserti di sabbia, francesi e inglesi si spartivano oceani di petrolio. Avevano già ben identificato il petrolio come arma strategica del futuro (**).

Le multinazionali americane del petrolio non stavano certo a guardare, e già negli anni Venti costituirono il primo cartello, trovando un accordo con gli inglesi. È la storia delle famose “Sette Sorelle”. L’obiettivo era spartirsi le aree di sfruttamento del petrolio, del suo trasporto e della sua distribuzione in Occidente attraverso accordi sui prezzi. (***). Ne seppe qualcosa Enrico Mattei.

Le Sette Sorelle controllavano circa l’85% delle riserve petrolifere mondiali. Una delle loro azioni coordinate fu, nel 1959, di decidere unilateralmente di abbassare il prezzo di acquisto del petrolio prodotto nella penisola arabica e in Venezuela.

Alla fine del 1970, Muammar Gheddafi, appena salito al potere in Libia, costrinse le multinazionali ad accettare un aumento del prezzo del barile. Nel 1971, gli Stati Uniti, già importatori netti di petrolio dal 1949, videro per la prima volta diminuire la propria produzione interna e si trovarono costretti a importare quantità insolite di petrolio. Nell’agosto dello stesso anno, il presidente Richard Nixon annunciò la sospensione degli accordi di Bretton Woods.

I paesi produttori, sempre pagati in dollari, si sentirono ingannati. Cercavano solo una buona opportunità per aumentare i prezzi e ridurre la produzione. La guerra dello Yom Kippur darà loro questa opportunità. La prima crisi petrolifera, nel 1973, mise di fatto fine al potere del consorzio delle “Sette Sorelle”. Da allora, il predominio del settore è passato al cartello dell’OPEC (creata nel 1960 da Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita e Venezuela) e alle compagnie petrolifere e del gas di proprietà statale.

In Europa, al danno economico dovuto alla debolezza del dollaro si aggiunse l’aumento del peso della bolletta energetica. In Italia venne varata la politica economica dell’”austerità”. La lotta sociale si radicalizzò, la Nato, il potere politico e i grandi interessi risposero come già nel 1969, ossia con attentati dinamitardi contro la popolazione.

È in quel torno di anni che gli Stati Uniti ebbero ben chiaro che dovevano rendersi assolutamente indipendenti dal petrolio importato. Impiegarono decenni per ottenere quel risultato, ma ci riuscirono. L’Europa, per contro, è rimasta assolutamente dipendente dall’estero per gli approvvigionamenti di idrocarburi. L’economia tedesca ha goduto per decenni e più di altri Paesi di un prezzo assai vantaggioso per l’acquisto del gas russo.

Nel 1989, con la caduta del Muro e in seguito con quella dell’Urss, venne inaugurato un nuovo ordine mondiale. Prese avvio il Project for the New American Century (Progetto per il Nuovo Secolo Americano, PNAC), con l’obiettivo dichiarato di promuovere la leadership globale degli Stati Uniti, ponendo come principio fondamentale che “la leadership americana è sia un bene per l’America che un bene per il mondo”. La sua sede a Washington DC si trova nello stesso edificio di un’altra organizzazione che difende gli interessi degli Stati Uniti, l’American Enterprise Institute.

Come detto, gli Usa non solo si sono resi indipendenti, ma hanno la necessità di esportare il loro petrolio e gas di scisto. Per questo motivo, il raddoppio del gasdotto russo verso l’Europa (Nord Stream 2) è stato boicottato in ogni modo da Washinton, con sanzioni per le società che partecipavano alla sua realizzazione e con pesanti minacce ai governi, quello tedesco in primis (ne sa qualcosa la cancelliera Merkel). Fino al sabotaggio del gasdotto con l’esplosivo.

Nel 2022, gli Stati Uniti sono diventati, fregandosene di ogni valutazione ambientale, il principale esportatore al mondo di gas naturale liquefatto, superando Qatar e Australia, sull’onda della domanda arrivata dall’Europa. Sono e resteranno il primo fornitore dell’Europa, vendendo a prezzi praticamente più che raddoppiati (****).

Non solo gas, le esportazioni di greggio estratto negli States hanno raggiunto cifre record, così come quelle di prodotti raffinati come benzina e diesel. Però i giacimenti americani di shale oil e shale gas tendono a produrre di meno, dunque è necessario che i prezzi restino alti per rendere vantaggiosi gli investimenti in quel settore energetico. Washington in Europa non esporta solo gas e petrolio, ma esporta anche inflazione e guerra.

(*) Nell’agosto del 1907, c’era già stato un accordo anglo-russo che definiva le rispettive sfere d’influenza in Asia Centrale e Medio Oriente. La Persia fu divisa tra la sfera britannica e quella russa. Londra si rese presto conto che le zone petrolifere erano esterne alla sua zona d’influenza. Nel luglio 1913, il Regno Unito, su raccomandazione di Winston Churchill, acquisì il 51% della Anglo Persian Oil Company, fondata da W. Knox D’Arcy, per usarla a scopi politici. Nel 1915 Londra fece quindi una proposta ai russi, in base alla quale gli inglesi avrebbe preso il controllo della zona neutrale, in cambio della quale i russi avrebbero potuto mantenere Costantinopoli quando avesse avuto luogo lo smembramento dell’Impero Ottomano. Il Kurdistan, paese condiviso da tre potenze regionali e ricchissimo di petrolio, non avrà il diritto di esistere.

All’epoca dell’accordo Sykes-Picot, Londra possedeva i dati petroliferi locali e perciò si ritagliò la parte del leone nella spartizione, riservando per sé il sud dell’Iraq, lasciando alla Francia la Siria molto meno promettente.

Woodrow Wilson, che nel 1919 rifiutò Fiume all’Italia, nel 1914 aveva fatto occupare Veracruz, importante porto messicano e regione petrolifera. Ai tedeschi il Trattato di Versailles vietava di avere una compagnia petrolifera.

(**) L’Ammiragliato britannico decise di costruire, a partire dal 1910, navi a petrolio combustibile e non più a carbone. L’Inghilterra, che possedeva la prima flotta del mondo, si ritrovava svantaggiata perché possedeva il carbone ma non petrolio. Il già citato William Knox D’Arcy condusse ricerche in Persia all’inizio del secolo e ottenne una concessione petrolifera di 60 anni a beneficio della Gran Bretagna.

(***) Nel 1904, la Standard Oil, fondata da John D. Rockefeller, controllava il 91% della produzione petrolifera americana, metà della quale veniva esportata come cherosene. La società fu sanzionata dallo Stato federale attraverso lo Sherman Antitrust Act, e fu condannata nel 1911 ad essere divisa in 34 società separate. Queste società riformeranno un oligopolio nel mercato americano e costituiranno in futuro, con Shell e BP, un cartello dal successo economico spettacolare: le Sette Sorelle.

(****) L’Iran possiede, in comune con il Qatar, il più grande giacimento di gas naturale del mondo (South Pars – North Dome). Mentre il Qatar ha investito molto per commercializzarlo (la sua distanza dall’Europa lo penalizza), oggi l’Iran non ha realmente alcuno sbocco, né potrà averne data la situazione geopolitica (della Iran-Pakistan-India gas pipeline, altresì nota come Ipi o Peace pipeline, l’ultima notizia che ricavo è questa: il 29 gennaio 2013, il console generale americano Michael Dodman ha minacciato il Pakistan di sanzioni economiche se non avesse abbandonato il progetto.).

lunedì 25 settembre 2023

Non è il papa degli stuprati

 

I temi preferiti da Francesco l’Argentino, vescovo di Roma e papa dei cattolici, sono lo squilibrio nord/sud, la povertà, i migranti che muoiono cercando di raggiungere le nostre coste, il cambiamento climatico: tante nobili cause! Il papa è davvero uno di sinistra? Per quanto il concetto di sinistra sia oggi slavato in candeggina, non facciamoci ingannare dal suo tono falsamente benevolo ed empatico: è un gesuita in versione populista. La dottrina sociale della Chiesa fu uno dei nuclei centrali del peronismo.

Del vecchio continente, dell’Europa ricca e decadente, sempre più miscredente, gli importa solo che “accolga”. Gli piace sottolineare le responsabilità collettive, quelle dei paesi europei, ex coloni e attuali grandi inquinatori. La ricchezza del Vaticano è apparsa grazie allo Spirito Santo. Dovrebbe ricordarsi di ciò che per secoli hanno combinato i cattolici in America Latina, ma è roba troppo datata e il mea culpa dura il tempo di una scorreggia.

Non aspettatevi che porgano la guancia, né l’una né l’altra, o che la smettano di mettere le mani nei pantaloni dei ragazzini. E poi il buon Francesco è il papa degli annegati, non degli stuprati. Per costoro, l’ufficio reclami del Vaticano è chiuso.

Soprattutto cerca di tenersi lontano dalle responsabilità delle decine di migliaia di stupri e violenze messe in atto dai preti cattolici in tutta Europa (tranne che in Italia, ovviamente). Anche la Svizzera, così attenta a non pestare le uova vaticane, ha dovuto attendere un rapporto sugli stupri dell’Università di Zurigo, pubblicato la settimana scorsa. Poco più di mille abusi, ma si deve tener conto che molte persone sono morte e molte altre sono ancora murate nel proverbiale riserbo elvetico.

Per un caso di calendario, due giorni prima della diffusione del rapporto la Conferenza dei vescovi svizzeri ha confermato l’apertura di indagini canoniche preliminari contro diversi vescovi emeriti o in servizio sospettati di occultamento di violenze sessuali o aggressioni da parte di religiosi cattolici.

Per non dire della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa in Francia. Un approfondito lavoro statistico ha stabilito una stima del numero delle vittime dei preti pedofili: più di 200.000 presunte vittime e una “portata minima” stimata tra 2.900 e 3.200 preti pedofili dagli anni ‘50. Anche in questo caso, come dice lo studio Svizzero, si tratta della punta dell’iceberg.

Personalmente non mi faccio distrarre dalle cifre, specchio preferito, non solo su questo tema, di chi vuole distrarsi dall’essenziale, ossia che non si vogliono mettere in chiaro i motivi che stanno alla base della pederastia ecclesiastica. Quanto al resto, mi pare evidente che dietro alcune frasi e prese di posizione di circostanza si nasconde l’instancabile ossessione di negare la realtà: per decenni la gerarchia cattolica ha nascosto sistematicamente e deliberatamente migliaia di crimini (anche omicidi), ha coperto i loro autori e spesso ha permesso loro di ricominciare, affrancandosi ostinatamente dalla giustizia civile.

Francesco e i suoi cardinali “affermano di voler far luce” sugli abusi sessuali dei preti, ma rifiutano di consentire l’accesso agli archivi della nunziatura e del Vaticano. Vili pagani che vogliono ficcare il naso negli affari clericali. L’uomo con la mitra vuole concentrarsi sulla situazione dei migranti e sul deplorevole atto di chi brucia i libri “sacri”.

Quando alla fine di giugno un cittadino iracheno di 37 anni, fuggito dal suo Paese, ha bruciato alcune pagine del Corano davanti alla più grande moschea di Stoccolma, nell’ambito di un raduno autorizzato dalla polizia svedese, subito Francesco si è offeso in questi termini: «Ogni libro considerato sacro dai suoi autori deve essere rispettato, per rispetto dei suoi credenti. [...]. Sono indignato e disgustato da queste azioni».

Ogni libro ritenuto sacro dai suoi autori? E da quando il papa conosce chi ha scritto la Bibbia, oppure i Vangeli? Quanto al Corano, basta sfogliarlo per rendersi conto di che cosa si tratta e di chi nel corso di un paio di secoli può averlo scritto. Se seguissimo il ragionamento del papa, e se domani scrivessimo un libro “sacro”, nessuno avrebbe il diritto di bruciarlo, di gettarlo nella spazzatura o di usarlo come sostegno del letto.

Il libro sacro “va rispettato, per rispetto dei suoi credenti”? Secondo il sovrano pontefice il credente sarebbe quindi un essere umano di qualità morale, spirituale e intellettuale superiore a chi non crede. Si stabilisce così una gerarchia tra credenti e non credenti. Se vivi senza il Vangelo, senza la Torah o senza il Corano, le tue convinzioni sono di fascia bassa rispetto alle convinzioni di fascia alta dei credenti. Così ha deciso il papa.

Vedere i libri bruciati non è mai stato stata una cosa molto rassicurante. Per secoli questo privilegio è stato riservato proprio alla Chiesa e più in generale alle religioni. Ma questi testi non sono stati scritti da romanzieri, filosofi, accademici o politici. Sono opere interne alle religioni, scritte per sottomettere e controllare le persone, perché obbediscano ciecamente. Bruciarli è un atto di libertà, che libera dalla loro presa sulle coscienze. Bruciarli ha il significato di liberarsi dalle loro catene, dalle affermazioni arbitrarie di cosa è bene e cosa è male.

Daremmo la colpa a uno schiavo per aver spezzato le sue catene per riconquistare la libertà?

domenica 24 settembre 2023

C'è del metodo nell'esproprio

 

Sulla tassazione degli extraprofitti delle banche il governo si predispone a fare marcia indietro (già sono in rete le bozze delle modificazioni), consentendo alle banche di capitalizzare la tassazione prevista dal provvedimento di agosto. Con ancor maggior diritto anche salariati e pensionati dovrebbero poter capitalizzare in proprio le maggiori imposte dovute su eventuali aumenti di reddito.


Non solo le banche, tassare gli extraprofitti di farmacie, centri di analisi mediche e altri laboratori, che non hanno mai guadagnato tanto quanto negli anni del Covid.

Lo stesso si potrebbe dire delle società Internet i cui profitti sono esplosi durante il lockdown, e di tante altre realtà economiche e finanziarie, come le società di intermediazione mobiliare, eccetera.

Molte attività e società hanno ottenuto con il Covid i loro migliori risultati. Stiamo parlando di profitti in crescita del 40-60%, mentre sarebbero crollati del 20-30% senza gli aiuti statali. E ora continuano la vendemmia moltiplicando i loro prezzi con la scusa dell’inflazione. Li lasciamo così grassi?

La globalizzazione economica e la legislazione della UE hanno svuotato in gran parte il ruolo fiscale degli Stati. Lo shopping dei trattati fiscali permette alle multinazionali di far divergere la sede delle attività economiche dall’ubicazione dei profitti, garantendone l’occultamento legale (tra l’altro i country by country reporting non sono pubblici, salvo quelli delle finanziarie).

Non solo le multinazionali, ma come ben sappiamo è ampia la frode delle piccole e medie imprese e dei liberi professionisti. Non male il fatto di definirle “professioni liberali” quando si vive di solidarietà nazionale. Si tratta di un vero e proprio abuso del bene pubblico il non restituire allo Stato e alla società almeno una parte dei profitti straordinari realizzati grazie al Covid, all’inflazione e pura speculazione.

Questa classe di devianti fiscali rifiuta sia i fini che i mezzi di tassazione. E per quanto vi è costretta, trova una solida sponda nella complessità fiscale e l’uso sapiente del diritto tributario (uno stuolo di fiscalisti, commercialisti, notai, avvocati per l’ottimizzazione fiscale, che non è roba per redditi tassati alla fonte).

Sia chiaro, non mi faccio lusingare dalla sociologia fiscale, anche perché considero la “legalità”, non solo in materia fiscale, un fatto tecnico e non politico. La dittatura del capitale, la legge del più forte, è abilmente dissimulata ed è una realtà storica che non può essere rovesciata attraverso le “riforme”.

Una limatura ai profitti farebbe sembrare il sistema un po’ meno iniquo, e però neanche questo viene concesso. L’aristocrazia del denaro ha stravinto e le plebi non si prendono cura di queste cose, impegnate come sono in altre faccende di pensiero (non affatichiamole).

La situazione è chiara: esiste un rapporto sistemico tra indebitamento a beneficio di una classe privilegiata di rentiers e tassazione della maggioranza. I creditori, rentiers degli Stati in debito, formano un’élite finanziaria globalizzata, e i contribuenti nazionali hanno l’onere di ripagare il debito. Meglio di tutti lo sanno i greci, quelli poveri s’intende.

Il rigore di bilancio, con la sua quota di prelievi aggiuntivi. L’ineguale tassazione, non serve un manuale per saperlo, non solo produce perdita di entrate pubbliche, ma rafforza la stratificazione sociale e il ruolo ricattatorio delle consorterie politiche (i vampiri di Bruxelles e di altri covi simili la chiamano attività di lobbying, oppure ruling fiscale, ossia negoziazione privilegiata delle imposte).

I beneficiari di rendita, ossia coloro che detengono il debito dello Stato, esercitano pressioni, con l’appoggio delle agenzie di rating, affinché il rimborso del debito sia garantito dal controllo delle finanze pubbliche. Perciò si taglia la spesa sociale, mentre tassare gli utili delle società e i cospicui patrimoni è sempre un no, no, no. Con motivazioni stupide a cui un bambino non crederebbe.

Arriviamo dunque alla categoria sociale che risparmia (i famosi “risparmiatori”), costituita prevalentemente da veri benestanti, categoria favorevole alle misure che mirano a evitare il fallimento delle banche e, più in generale, il collasso del sistema finanziario. Hanno interesse a sostenere i piani di austerità che assicurano il controllo delle finanze pubbliche, essenziale per il rimborso del debito, ma sono ovviamente riluttanti a mettere in discussione il loro status sociale, e molti di loro sono propensi alla “rivolta fiscale” e criticano il peso degli aumenti fiscali che li colpiscono (di striscio).

Non si pensi che sia solo un tratto “italiano”. Il chiagni e fotti è un piatto del menù internazionale, come gli spaghetti o la pizza.

Questa categoria sociale è quella che più massicciamente vota, è politicamente trasversale, ma per ovvie ragioni più orientata a destra, sostiene compatta di essere liberale ma con grandi variazioni per quanto riguarda il sentimento di giustizia sociale. È oscillante nel voto, sfiduciata ma pronta a farsi rappresentare da chi prometta di farlo nei suoi interessi (che considera sempre legittimi).

Quanto alla Banca centrale europea, essa dà una mano continuando il suo folle rialzo dei tassi d’interesse, con il rischio reale di uccidere la gallina dalle uova d’oro con una recessione economica.

Concludendo: non si può credere che ciò accada per caso o motivato da particolari congiunzioni socio-astrali. C’è del metodo in questa follia, nei privilegi fiscali delle classi dominanti e nell’impoverimento strutturale dello Stato: il capitalismo avanzato espropria lo Stato delle sue proprietà facendolo diventare dipendente dai creditori privati.

L’indebolimento dello stato sociale mette in discussione tutto il resto: crollo della politica, crollo del pensiero, crollo della ragione. Ripeto: c’è del metodo nell’esproprio da parte dei padroni della società.

Ci stanno mandando a sbattere contro il muro suonando il clacson, e ne sono orgogliosi. Danno la colpa alla spesa sociale, alle pensioni, sanità, scuola, eccetera. Quanto alla sovranità, c’è chi ne parla, e chi se la compra.

(*) Il sen. Enrico Borghi ha ragione solo in parte quando scrive che il concetto di “extraprofitto” richiama il marxista “plusvalore”. Per Marx, e per la stringente realtà economica, si tratta in ogni caso di estorsione di valore. Marx lo distingue in plusvalore relativo e assoluto. Ma non si può pretendere che degli scribacchini del libero scambio, i teorici dell’efficienza del mercato che parlano di “sacrificio richiesto alle banche”, abbiano la benché minima idea di che cosa si tratti e soprattutto avvertano la decenza di nominare cose di cui conoscono al massimo il significato più superficiale.

venerdì 22 settembre 2023

Creare “fatti sul campo”

 

Nel mezzo di una crisi militare sempre più profonda innescata dal fallimento dell’offensiva di primavera dell’Ucraina, dopo aver dimissionato il suo ministro della difesa e tutti i suoi vice, ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha trascorso delle ore a porte chiuse al Pentagono, incontrandosi con il segretario alla difesa Lloyd Austin e poi con il presidente Joe Biden, alti funzionari del governo, rappresentanti del Senato e importanti esponenti della Camera.

Gli incontri hanno fatto seguito ai discorsi di Biden e Zelenskyj al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in cui Biden ha escluso qualsiasi soluzione negoziata del conflitto mentre Zelenskyj ha recitato la solita parte che in Vietnam fu di Ngô Đình Diệm, “il Churchill dell’Asia sud-orientale”, secondo la definizione di Lyndon Johnson.

Il Pentagono ha affermato che l’incontro mirava a “discutere i requisiti di capacità a lungo termine dell’Ucraina e come sostenerli in futuro in termini di deterrenza verso la Russia”. Nonostante mesi di propaganda mediatica, l’offensiva ucraina si è rivelata una sanguinosa debacle, che le agenzie di intelligence statunitensi ammettono non riuscirà a raggiungere gli obiettivi minimi prefissati.

La verità è presto detta: annunciata con mesi d’anticipo, iniziata il 4 giugno, la controffensiva di primavera, con l’obiettivo primario di attraversare la “linea Surovikin” nel sud del paese e raggiungere il mare d’Azov, dopo mesi di tentativi si è rivelata un’impresa sanguinosissima e finora senza speranza. Le forze di Kiev sono riuscite a passare la prima delle tre linee di difesa costruite dalle truppe del genio russe lungo il fronte. Raggiunta la seconda linea a sud di Robotyne, nell’oblast di Zaporizhia, gli ucraini hanno guadagnato, secondo Le Monde, un’area di appena 1,5 kmq di territorio agli inizi di settembre, ma non sono riusciti ad andare oltre.

Da metà ottobre, con l’arrivo dell’inverno, tutto sarà reso molto più difficile. Del resto, se all’esercito ucraino venisse ordinato di continuare ad oltranza l’offensiva, i soldati si ammutinerebbe. Non sono più disposti a morire per la cricca corrotta di Kiev e per gli interessi di Washington, ma questo non si adatta alle sciocchezze scritte dal dipartimento di stato statunitense e riprese da buona parte dei media occidentali. Ciò non significa che anche i soldati russi mobilitati non soffrano la loro situazione in trincea e le gravi perdite, ma né Mosca né Kiev comunicano dati in proposito.

Anche sul fronte interno le cose non vanno meglio, dove la popolazione è sempre più stanca del conflitto in corso. Da notare che il miliardario ucraino Igor Kolomoisky, artefice dell’ascesa di Zelenskyj e presidente del Parlamento ebraico europeo (esiste!), è stato incriminato formalmente per manipolazione finanziaria delle sue partecipazioni nel settore del petrolio e del gas: lo riportano i media ucraini.

Con il fallimento dell’offensiva ucraina, l’amministrazione Biden è giunta alla conclusione che l’unico modo per raggiungere gli obiettivi degli Stati Uniti è aumentare massicciamente il loro coinvolgimento nel conflitto. Biden teme che l’esito delle elezioni del 2024 possa mettere a repentaglio il proseguimento del coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto e sta cercando di trasformare la guerra in uno scontro diretto con la Russia, ossia di creare “fatti sul campo” che renderebbero impossibile a una nuova eventuale amministrazione di porre fine al conflitto.

giovedì 21 settembre 2023

Chi luciderà gli stivali


Una cosa in particolare mi manda fuori dai gangheri quando leggo un libro o un articolo. Sono le citazioni o gli aneddoti riferiti a Marx senza indicazione della fonte. Una disinvoltura piuttosto comune sotto qualunque bandiera, ma che nella pubblicistica italiana trova il suo modello esemplare.

Stavo leggendo un articolo pubblicato a suo tempo da un giornale al quale in anni lontani sottoscrissi più volte un abbonamento, nonostante vi scrivesse gente come Giovanni Riotta e il fantasma di Lucia di Lammermoor. Riporto l’aneddoto così come viene raccontato nell’articolo:

«[...] torna alla mente l’episodio di Marx con la signora Kugelmann, la moglie del noto ginecologo che ospitò il filosofo a casa sua, per alcuni mesi, dopo che aveva ultimato la stesura del primo libro del Capitale.

Trovandosi tutti insieme a tavola, si narra che un ospite avesse punzecchiato la “vecchia Talpa” provocandolo con una domanda su chi avrebbe lucidato le scarpe nella società comunista. “Lei, naturalmente!”, lo fulminò Marx.

La signora Kugelmann, per stemperare il clima, commentò scherzosamente che non riusciva a immaginarsi Marx in una società veramente egualitaria, visti i suoi gusti e le sue abitudini così aristocratici. “Nemmeno io”, fu la risposta del filosofo tedesco, “quell’epoca verrà ma noi non ci saremo più!”».

Sia chiaro: sostanzialmente quanto raccontato è esatto, ma che ci volete fare, ho la fissa per i maledetti dettagli.

Per prima cosa bisogna risalire alla fonte, che come ho detto non è citata nell’articolo. Ricordavo l’aneddoto, sebbene l’avessi letto quasi mezzo secolo fa. Sgranocchiando un grissino e bevendo un primo bicchiere di un decente vermentino sardo acquistato stamani con lo sconto del 30%, mi diressi verso il mio sancta sanctorum per pescarvi a mano sicura il volume che riguarda l’aneddoto sul Grande Vecchio (*).

Consulto l’indice al nome di Gertrud Kugelmann, moglie del dottor Ludwig Kugelmann, pioniere della ginecologia, quindi le relative pagine. Trovo conferma nei miei sospetti, ovvero che alcuni dettagli nell’articolo del giornale non corrispondevano esattamente a quanto testimoniato dalla figlia di Gertrud.

È vero che Marx fu ospite dei Kugelmann nel 1867, ma non per “alcuni mesi”, bensì per alcune settimane. Non solo “dopo la stesura” de Il Capitale, ma proprio tra aprile e maggio nel mentre ad Amburgo l’editore Meissen stava stampando il libro (vedi lettera del 24 aprile e 7 maggio ad Engels). Marx già il 19 di maggio faceva ritorno a Londra, soggiornando a Manchester da Engels dal 21 maggio fin verso il 2 giugno 1867 (MEOC, XLII).

Vero anche, secondo la testimonianza resa da Franziska Kugelmann dopo il 1900, che Marx alla domanda su chi avrebbe lucidato le scarpe nella “società del futuro” aveva risposto: «Lei, naturalmente!». Tuttavia, secondo Franziska, ciò non avvenne a tavola, ma in un contesto imprecisato, e quella fu l’unica volta in cui Marx perse la pazienza per simili domande.

Anch’io (si parva licet) perdo la pazienza quando mi chiedono di congetturare sul futuro e di proporre soluzioni o azioni per il presente. In genere, si tratta di postulanti che hanno bisogno di sapere in anticipo a quale futuro capataz dovranno lucidare gli stivali.

(*) Colloqui con Marx e Engels, Testimonianze raccolte da Hans Magnus Enzensberger, Einaudi, 1977, p. 258.

I responsabili di ogni crisi e ignominia

 

Quest’anno a nessuno è passato per la testa di ricordare l’85° anniversario dell’8 settembre, e però certe cose ritornano. Tipo la battaglia sul grano. Solo che questa volta i protagonisti dello scontro sono la Polonia e l’Ucraina. Ho grande curiosità per quando l’Ucraina dovesse entrare a far parte della UE. Insomma, vedere che cosa accadrà tra la grande fratellanza di fascisti ucraini, polacchi e ungheresi.

Intanto, cosa che dovrebbe interessare particolarmente se non fossimo intronati da altro, la Federal Reserve ha deciso di non alzare i tassi di interesse nella riunione di ieri, tuttavia ha segnalato che potrebbe alzarli nuovamente in almeno una delle due riunioni previste per quest’anno.

Nel suo intervento alla conferenza stampa successiva all’incontro, il presidente della Fed, Jerome Powell, ha nuovamente insistito sul fatto che “il mercato del lavoro rimane teso”. Anche se il divario tra posti di lavoro e lavoratori si è ridotto, la domanda di lavoro continua a superare l’offerta disponibile, una situazione che la Fed intende invertire.

Vuole che il tasso di disoccupazione aumenti, con le proiezioni del Federal Open Mark Committee (FOMC) – il cosiddetto dot plot (è un grafico) – che fissano il tasso di disoccupazione al 4,1% per il prossimo anno, rispetto al livello attuale del 3,8%.

Insomma, nero su bianco, i partecipanti al FOMC si aspettano che il “riequilibrio nei mercati del lavoro continui, allentando le pressioni al rialzo sull’inflazione”, ha detto Powell. Laddove per “riequilibrio”, secondo questa feccia di suprematisti delleconomia, significa una politica monetaria restrittiva per creare più disoccupati e più precariato. Più chiaro e semplice di così non si potrebbe.

In un rapporto di questa settimana, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), che copre 38 economie sviluppate, ha insistito sul fatto che i tassi di interesse dovevano rimanere elevati anche in presenza di segnali di stress nell’economia mondiale.

Il solito Pierino, a questo punto, alzerebbe la mano chiedendo: in quale altra maniera riporteresti il tasso d’inflazione attorno al 2 per cento? L’unico modo che hanno per rispondere alle contraddizioni del sistema capitalistico è quello di attaccare l’occupazione, i salari e i livelli di sussistenza.

Questa perversità non è il prodotto di un pensiero difettoso, è l’espressione della logica di classe, essenziale al sistema di rapina capitalistico. Nell’ultimo mese, i rapporti di tre importanti organizzazioni – la Fed, il Financial Stability Board e da ultima la Banca dei Regolamenti Internazionali – hanno evidenziato il ritorno delle rischiose scommesse speculative da parte degli hedge fund nel mercato dei titoli del Tesoro statunitense, ma anche, soggiungo, su quello del petrolio.

Si tratta di speculazione ad alta leva finanziaria, ossia con ampi livelli di debito che cerca di sfruttare le piccolissime differenze tra il prezzo dei titoli del Tesoro e il loro prezzo nei mercati dei futures (*). La fonte della crisi non risiede nella periferia ma nel centro stesso del sistema finanziario globale. Il mercato del Tesoro statunitense costituisce il fondamento del sistema finanziario globale.

Questa settimana l’Institute for International Finance ha reso noto che il debito globale ha raggiunto il nuovo record di 307.000.000.000.000 di dollari nei primi sei mesi dell’anno, dopo essere aumentato di 10.000 miliardi di dollari. Il debito nazionale degli Stati Uniti questa settimana ha raggiunto i 33.000.000.000.000 di dollari.

Oltre a creare le condizioni per turbolenze sui mercati finanziari, l’aumento del debito ha importanti implicazioni sociali perché è accompagnato da un aumento dei tassi di interesse. Un caso tipico è quello italiano, dove gl’interessi sul debito, annualmente tra gli 80 e i 100 miliardi, ci strozzano.

In altre parole, sia nei paesi sviluppati che in quelli meno sviluppati, la spesa per servizi sociali, sanità, istruzione e altre spese necessarie dovrà essere tagliata per pagare le cedole dei detentori di obbligazioni. Il pagamento degli interessi, insieme all’aumento delle spese militari, stanno diventando i capitoli della spesa pubblica in più rapida crescita.

(*) Se i finanziatori degli hedge fund richiedono un aumento di liquidità agli hedge fund stessi ai quali hanno prestato denaro – una richiesta di margine – perché il valore dell’attività sottostante su cui si basa il prestito è diminuito, ciò può innescare una svendita di asset per soddisfare la richiesta e una spirale discendente, poiché i mutuatari cercano di soddisfare la domanda di liquidità aggiuntiva. In altri termini: questa repentina richiesta di liquidità può avere, sul mercato del reddito fisso, effetti destabilizzanti simili alla richiesta dei correntisti presso le banche, com’è accaduto di recente.

mercoledì 20 settembre 2023

Lo dimentichiamo troppo spesso

 


A te, "Gibon".

Non sono certo le scogliere bretoni o napoletane, ma anche le spiagge quasi metafisiche dell’Adriatico in fine stagione possono regalarti una serenità inestimabile, senza tutti quegli umani che si pavoneggiano quasi nudi sulla spiaggia. Qui l’esistenza si riaccende, l’opposto divampa senza il clamore della merda mediatica, dell’infinita stupidità umana, specie quella dei campi di battaglia, l’impensabile che è la morte dei bambini.

Chi ci può dare la forza di distruggere la nostra disperazione politica? Sono in molti a pensare sia il sarcasmo l’arma migliore. Non più, non bastano i supplementi di una vera grande rivolta.

Ancora per una settimana o due sarà possibile perdermi nell’ebbrezza della sera, penetrare il tempo e godere il cielo, abbracciare i sogni che mi vengono incontro. Mi piace questa solitudine, ma non la clausura, i preti o l’esibita temperanza. La solitudine dove si affollano i greci e i romani dell’antichità, i solitari del XVII secolo. Mi viene in mente una citazione di Marco Aurelio, pressappoco: “Devi vivere tutto come se lo stessi rivivendo”.

Con il passare degli anni la vita diventa sempre più semplice. Fanculo le ingiunzioni: il tempo è dato, abbiamo voglia di approfondire il nostro amore per la vita, di leggere e pensare, di sentire il sapore vivo del vino e dei baci, di ridere, di guardare i volti e di lasciarci scivolare. Dentro l’enigma dell’universo ognuno di noi diventa l’indizio di una possibilità.

Ecco, quest’ultima cosa la dimentichiamo troppo spesso.

Il nostro Toynbee a proposito dell'immigrazione

 

Ieri sera, in tema d’immigrazione, ascoltavo quello che passa per essere il nostro Toynbee, il quale proponeva che l’Europa, dunque in primis l’Italia, facesse come fecero gli Stati Uniti tra l’Ottocento e il Novecento. La conduttrice della trasmissione, di cui si può dire molto ma non che sia stupida, non gli ha riso in faccia solo per pietà.

Possibile che Paolo Mieli non si renda conto delle sproporzioni riguardo la situazione di allora degli Stati Uniti e quella odierna dell’Europa? Possibile non sappia che, a un certo punto, Washington introdusse leggi con rigide quote d’entrata sulla base delle nazionalità degli immigrati e accordi con Paesi che non esistevano solo sulla carta? E che lo poteva fare in quanto per attraversare l’oceano sono necessarie delle grandi navi mentre, al contrario, per arrivare a Lampedusa dalle coste nordafricane è sufficiente un gommone e poche ore di viaggio?

Possibile non sia chiaro che, proprio sulla base dell’esperienza storica americana, una reale integrazione tra popolazioni di cultura (e di pelle, finiamola con le ipocrisie!) così diverse può darsi come eccezione e non come pratica normale? Che, sempre appunto sulla base della storia americana, questo tipo d’immigrazione può comportare dei seri problemi di convivenza? E dunque, se Mieli voleva fare un esempio storico, sarebbe stato più opportuno che risalisse a quanto accadde nel 376 sul Danubio e ciò che seguì. Indagando le cause che produssero le crisi di allora, il nostro Toynbee scoprirebbe delle analogie di sicuro interesse per i suoi concioni televisivi, giornalistici ed editoriali.

Il maggior problema, anche a riguardo dell’immigrazione, è costituito dal fatto che la UE esiste solo come unione monetaria, con prevalenza dei grandi interessi delle consorterie economico-finanziarie e della grande borghesia, ma non come una reale unione politica (nell’accezione ampia e concreta del termine). Né mai esisterà come tale, anzitutto perché Washington non lo consentirebbe, poi perché ogni Paese europeo va per la sua strada, prevalendo il nazionalismo spinto e interessi contrapposti (vedi, tra mille esempi, che un accordo tra TotalEnergies ed ENI e tra Libano ed Israele per la spartizione dei giacimenti di gas è avvenuto solo sotto l’egida di Washington). Ed è un fatto normale ed ineliminabile quando dominano i grandi affari mentre il pubblico è distratto dalle chiacchiere. La vicenda jugoslava, quella libica e quella ucraina, da ultimo quella Gabon-Niger, ne sono prova. Per tacere di tante altre cose.

martedì 19 settembre 2023

La felicità di Lenin

 

Trovo gli attuali recensori sempre più ... scarsi, o forse sono io che comincio a sentire il peso degli anni, neanche fossi Matusalemme, e avverto il disinteresse degli altri per quello che è stato il mio mondo. È per questa via che spiego il mio disincanto per quello che è il loro di mondo, al quale appartengo solo in forza di varie credenziali tipo lo Spid.

L’isola magica che cambiò pure Lenin l’austero, è il titolo di una recensione nell’inserto domenicale del Sole 24ore, scritta da Giuseppe Scaraffia, non tra i peggiori, ed ha ad oggetto l’isola di Capri (ammetto di averla visitata solo una volta, un fottuto incanto riservato a pochi). Lenin – Scaraffia non lo precisa – vi approdò un paio di volte, la seconda nel giugno del 1910, proveniente da Parigi, quasi all’improvviso a bordo del traghetto “Mafalda”, che attraccò a Marina Grande.

Fu ospite di Maksim Gor’ckij, nella sua villa. Pare che Lenin in quel momento vivesse una profonda crisi esistenziale e volesse cambiare vita. Che cosa ci racconta Scaraffia? «Capri è una magia che trasforma le persone: persino l’austero Lenin, ricorda Gorkij, ne era stato influenzato: “Lo ricordavo duro e flessibile, ma a Capri c’era un altro Lenin, un uomo allegro, con un vivo e inesauribile interesse per tutte le cose del mondo, con un comportamento sorprendentemente dolce verso gli uomini”». Tutto qui, secondo Scaraffia.

Un comportamento dolce verso gli uomini, infatti Lenin vi incontrò, tra gli altri, il comunista indiano Manabendra Nath Roy, e il cinese Sun Yat-sen, che penso non abbiano bisogno di presentazioni presso i lettori di questo blog. Ma soprattutto Lenin ebbe un comportamento dolce verso le donne, una in particolare, e non era una “ballerina”, di quelle che piacevano a Malinovskij (alias Bogdanov), anch’egli presente nell’isola in quell’occasione quale correttore degli ultimi racconti di Gor’ckij (Skazki ob Italii).

In quei giorni di soggiorno a Capri, Lenin fu protagonista di un pericoloso incidente marittimo, al largo della Grotta Azzurra. Una mattina, in barca, stava pescando. Poi, data la calura, si era spogliato e in mutande da bagno si era sdraiato e messo a dormire nel fondo della barchetta presa a noleggio. Si alzò, si tuffò in mare e nuotò con foga attorno all’imbarcazione, quando vide un clipper venire verso di lui. Si trattava del “Tiffany” di Boston, che attraversava la baia a grande velocità con la bandiera statunitense a garrire in bella vista.

Come che sia, la prua della nave puntò proprio verso Lenin e la sua barchetta. Qualcuno dalla nave forse s’accorse di quanto stava avvenendo, ma troppo tardi per evitare d’investire il guscio caprese preso a noleggio. Anche Lenin, travolto e ricevendo un colpo alla testa, scomparve tra i flutti. Il clipper era di proprietà della famiglia Morgan, che fino al 1919 sarà proprietaria di due grandi omonime acciaierie.

Si racconta che Cindy, la figlia unigenita di Stein Morgan e Sarah Gertrud O’Hara detta Moonlight, fosse “una giovane di bellezza quasi vertiginosa”. Nel momento dell’impatto con la barchetta dell’ancora poco noto Lenin, aveva 27 anni. Lenin fu tratto a bordo, dove il medico ospite della nave, il famoso professor Gustav Rosenkratz, si prese cura di lui. Ancora di più si prese cura di Vladimir la bella Cindy.

Ciò che accadde in seguito, si può leggere in un libro di Davide Pinardi, Viaggio a Capri, i dieci giorni che sconvolsero Lenin.

P.S.: Pinardi, docente di storia contemporanea, si prende diverse licenze storiche. Manabendra Nath Roy e il cinese Sun Yat-sen non furono mai tra gli ospiti di Capri. Nath Roy lasciò l’India per la prima volta nel 1916 e Sun Yat-sen aveva altro di cui occuparsi in Cina nel 1910. Per una meno fantasiosa e paradossale ricostruzione del soggiorno caprese di Lenin, rinvio a un mio post di qualche anno fa.

È probabile che Pinardi abbia preso a modello proprio Krupp per descrivere il suo magnate dell’acciaio Morgan.

Gennaro Sangiuliano, attuale ministro della Cultura, è autore di un libro su Lenin a Capri. Scrive che Lenin nel 1910 intrecciò relazioni con il gotha dell’aristocrazia europea: dalla potentissima famiglia industriale dei Krupp, il cui capostipite fu coinvolto in uno scandalo sessuale proprio sull’isola e, distrutto nell’immagine, si suicidò.

Anzitutto non si tratta del capostipite, Friedrich Krupp, né del suo successore Alfred Krupp, bensì del di lui figlio Frederich Alfred, che ebbe la passione per la biologia marina, scienza che praticò, a bordo del suo panfilo a vapore Maja, nelle acque del Golfo di Napoli ed ebbe come base per le sue spedizioni l’isola di Capri, cercandovi rimedio all’asma, ospite dell’albergo Quisisana. Divenne una curiosità per i turisti, data la sua fama di grande industriale dell’acciaio.

Nel 1902, un giornale socialista napoletano accusava Krupp di essersi dedicato, a Capri, a pratiche contro natura (così si diceva allora). Anche una vaiassa locale, che scriveva sul quotidiano Il Mattino di Napoli, diede sfogo alla sua ferocia, sollecitata dal marito, un giornalista specializzato in scandali e che ricattava, senza ricavarne frutto, il Krupp. In Italia si scatenò una bagarre politica tra giornali conservatori che difendevano Krupp e giornali di sinistra che l’accusavano.

Frederich Alfred non diede troppo peso alla cosa, ma dopo un articolo del socialdemocratico Vorwärts, che riprendeva le accuse del foglio italiano, scoppiò lo scandalo in Germania. Nel processo, il Vorwärts si sforzerà di addurre prove e gli avvocati di Krupp si adoperano a dimostrarne l’innocenza. Intanto il sospetto graverà sul Krupp, anche se un giorno il sospetto dovesse essere cancellato ... semper aliquid haeret.

Krupp, già cagionevole di salute, cominciò a stare sempre più male. Il 21 novembre, per espressa disposizione di Krupp i domestici non avevano ancora chiamato il suo medico. Il mattino successivo, di buon’ora, il dottor Vogt trovò Krupp privo di coscienza, assieme a un altro medico praticò due iniezioni di etere. L’infermo parve riprendersi, riacquistare lucidità. Alle 8:15 il respiro si fece difficile, con progressiva debolezza cardiaca e raffreddamento cutaneo. Nel pomeriggio sopraggiunsero altri medici, ma il paziente perse coscienza e alle tre pomeridiane sopravvenne la morte. Dunque che si fosse trattato di suicidio, come afferma il ministro scrittore, è solo una speculazione senza alcuna prova.

La vedova Margarethe ritirò la causa per diffamazione intentata dal marito contro Vorwärts. Se le “accuse” contro Krupp fossero giustificate oppure no, è stato discusso a lungo. In ogni caso oggi non si potrebbe più parlare di “accuse”.

lunedì 18 settembre 2023

Una repubblica fondata sul discount

 

In un supermercato, essere poveri significa in definitiva darsi l’illusione di non esserlo, grazie ai piccoli piaceri che accetti di concederti: cibo di qualità per il tuo cane o gatto (entrambi?), un ninnolo, un piccolo elettrodomestico superfluo: eh già, il lusso del superfluo, la capacità di non limitare la propria vita a un bisogno vitale.

Non mi serve l’Istat, quell’istituto statistico che trucca i metodi di conteggio per calcolare il numero dei lavoratori poveri. Il contatto con le situazioni reali, qui nel “ricco Veneto”, è sufficiente per una rappresentazione veritiera della situazione sociale. Ed è un fatto che nel supermercato davanti a casa vedo sempre meno clienti. Preferiscono i discount.

Sono tempi in cui ognuno confronta la realtà del proprio portafoglio con ciò che può o non può comprare. E di che cosa, in fondo, può davvero fare a meno. Ti senti povero e finora non ti eri mai considerata così? In un’epoca in cui i prezzi, già alti, ora stanno esplodendo, è sempre più complesso definire chi è povero e chi no.

Se la soglia di povertà è fissata al 60% del reddito medio della popolazione, significa che sei povero con un po’ meno di mille euro il mese. Che ci fai con quella somma se devi mangiare, scaldarti, vestirti e curarti. Situazione che riguarda, dicono, qualcosa come una dozzina di milioni di persone, soprattutto i molto giovani e gli anziani.

Non va meglio in Francia, a dar retta alla società di sondaggi Ipsos: un francese su tre non può permettersi tre pasti il giorno. Deduco che la Francia di Macron, potenza nucleare, non è un paese dove tutti hanno abbastanza da mangiare. Quanto agli altri, molti di quelli che consumano i loro tre pasti, fanno esattamente come gli italiani: selezionano e stringono la cinghia.

Si entra come in un enorme frigorifero congelato nel silenzio. Benvenuti nell’obitorio del potere d’acquisto. Grandi manifesti fluorescenti: l’offerta del giorno, quella della settimana, del mese e l’urgenza di acquistare qui e ora. Un insieme di linee sature conferiscono al luogo un’estetica artificiale, un abbozzo del consumo americano.

Secondo il principio del discount, i costi sono ridotti al minimo. Molti prodotti vengono riposti nelle loro scatole su pallet. Pochissimi dipendenti e niente musica. Risuona solo la vibrazione dei congelatori, interrotta di tanto in tanto dal motore elettrico del transpallet per mettere la merce sugli scaffali.

Una società di opulenza e privazione. C’è la mamma che ha ceduto ai coni gelato di primo prezzo per la merenda dei figli, ma ha rinunciato alla carne di manzo. Ha infilato nel carrello molta pasta, latte UHT, fettine di pollo e di maiale, scatolette di tonno, qualche verdura, pochissima frutta, per un totale di 125 euro, un paniere che dovrebbe permettere a lei e ai suoi due figli di tenere il passo della settimana.

Sono pochissimi i marchi della pubblicità televisiva. È passato molto tempo da quando erano comune appannaggio delle classi lavoratrici. Lidl e Aldi sono gli ultimi bastioni dove confrontiamo il nostro portafoglio con la realtà, con i limiti delle nostre “scelte” di vita. Che cosa posso acquistare, cosa posso davvero ottenere di ciò che desidero o di cui ho bisogno? Ho lo stile di vita sano che ho sempre sognato? Se siamo quello che mangiamo, Lidl e Aldi sono un grande specchio dove ognuno contempla la realtà del proprio posto nella società.