venerdì 31 ottobre 2025

Il gioco dell'imprevedibilità

 

La minaccia della Cina di tagliare fuori gran parte dell’industria statunitense dalle materie prime attualmente insostituibili non ha mancato di sortire i suoi effetti. I controlli sulle proprie esportazioni di terre rare avevano già costretto l’amministrazione Trump ad abbassare i dazi del 145% sulle importazioni dalla Cina in estate, e ora l’hanno costretta a ridurre ulteriormente i dazi e a revocare una parte delle sanzioni. Questo in sintesi l’accordo annunciato ieri tra Trump e Xi.

Il fatto che la Cina abbia lavorato con lungimiranza strategica per stabilire un quasi monopolio sull’estrazione, ma soprattutto sulla lavorazione delle terre rare, sta ora dando i suoi frutti: ha trovato un’efficace contromisura contro gli incessanti attacchi di sanzioni e dazi degli Stati Uniti.

Tuttavia, Pechino sicuramente non si fa illusioni. Innanzitutto, la pressione che può esercitare sulle terre rare non è sufficiente a costringere Washington a cessare completamente la sua guerra commerciale: i dazi statunitensi rimangono piuttosto elevati e numerose sanzioni sono ancora in vigore. Inoltre, l’uso dei controlli sulle esportazioni ha una data di scadenza. Trump ha sfruttato il suo viaggio in Asia cercando fonti alternative di terre rare in Malesia e Giappone.

Sebbene queste risorse siano attualmente piuttosto limitate, Washington sta contemporaneamente investendo miliardi nello sviluppo di proprie capacità di lavorazione e raffinazione delle terre rare. Gli esperti concordano sul fatto che ciò non accadrà dall’oggi al domani. Prima o poi, tuttavia, gli Stati Uniti saranno in grado di rifornirsi autonomamente. Allora Pechino non avrà più in mano questa contromisura.

La Cina finora ha guadagnato tempo prezioso, che può utilizzare per sviluppare strategicamente la propria industria, in particolare il settore dei semiconduttori, dove è ancora in ritardo. Sulla base dell’esperienza passata, si può presumere che l’economia cinese continuerà a svilupparsi più rapidamente dei suoi concorrenti statunitensi, beneficiando maggiormente dell’assenza di un’escalation incontrollata delle sanzioni.

L’ultima tregua nella guerra commerciale non è quindi solo un successo tattico, ma anche una vittoria strategica per Pechino. Si può presumere che Washington cercherà di compensare altrove. Prima del suo incontro con Xi, Trump ha elogiato l’aumento degli armamenti annunciato dal nuovo primo ministro di estrema destra giapponese. Per Washington vincere il confronto con la Cina è una questione di vita o di morte. Dunque ci si prepara ad ogni evenienza.

Se i popoli non si solleveranno e non lotteranno contro il capitalismo e le politiche imperiali, il destino dell’umanità sarà segnato: tutto entrerà nel gioco dell’imprevedibilità della guerra.

giovedì 30 ottobre 2025

La sosia

 

La sinistra parlamentare è morta. Gli zombie non vogliono togliersi di torno, cercano carne fresca, sangue nuovo. Come quella volta con l’egolatra di Rignano, stanno preparando la discesa a Roma dell’attuale sindaco di Genova. Pensano di aver trovato la controparte di Meloni. Probabilmente, perché le somiglia molto. Le poesie sono apparentemente diverse e però lmetrica è la stessa. E sa recitarle con convinzione. Anzi, forse un po’ troppo per apparire credibile agli smaliziati. Che sono sempre di più. Tuttavia, troveranno degli allocchi che ci cascano ancora. Non penso saranno in molti, ma la réclame sa fare certi miracoli. 

Convertito a un realismo manageriale, il PD evita i dibattiti ideologici (le questioni del dominio, per esempio, di un sistema che appare democratico ma in cui il potere risiede nelle mani dei grandi gruppi economici e finanziari), anzi non ne ha proprio idea, impantanato com’è nei suoi battibecchi personali. Per non parlare poi di ciò che ha combinato al governo sui temi del lavoro e le sue tutele. L’unica cosa a cui puntano realmente i suoi dirigenti è l’esercizio del potere.

Qualunque riflessione critica è ritenuta troppo radicale. Il PD non è mai stato un luogo di interpretazione del mondo, se non per semplificazioni e banalità. Non ci si vuole arrendere all’evidenza, ossia al fatto che il compromesso tra democrazia e capitalismo, incarnato nel sistema rappresentativo, non regge più. La logica delle primarie ha completato questa deriva, con i “progetti” calati direttamente dall’alto. Men che meno di un progetto sociale comune basato sulla rivitalizzazione di quelle che oggi sono considerate e disprezzate come mere utopie. E che invece rappresentano il solo potenziale di trasformazione sociale e politica dal quale ripartire

“Subentra un’epoca di rivoluzione sociale”

 

Il padrone di Amazon vuole licenziare alcune migliaia di suoi schiavi salariati. L’avvento dell’intelligenza artificiale creerà nuovi e massicci licenziamenti in molti settori produttivi e soprattutto nei servizi. È dai tempi di Prometeo che le innovazioni creano nuove forme di sfruttamento e nuove vittime. Le grida d’allarme si fanno più acute del solito poiché la liquidazione di posti di lavoro non riguarda solo i braccianti, ma in particolare i “colletti bianchi”.

Un giorno le macchine sostituiranno quasi completamente il lavoro umano? Ampiamente previsto anche da Marx a metà dell’Ottocento e non solo per mera e fantastica congettura (*). Il problema più serio che si viene a creare sta in capo a ogni comodo liberalismo, ben di là del perimetro semplicemente teorico. 

Innanzitutto l’avvento delle nuove tecnologie, compresa oggi l’IA, non risolve la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico, ossia la produzione di valori d’uso in forma esclusiva di valori di scambio. Non deve sorprendere che la totalità di coloro che se ne occupano, abbagliati dal “feticismo della merce”, eleggono ad oggetto privilegiato della loro ricerca i fenomeni di mercato. Limitando l’analisi ad un solo aspetto della contraddizione, il valore di scambio, non sono in grado di spiegare nemmeno i movimenti di questo.

Anche la forza-lavoro umana, impiegata capitalisticamente, è una merce; e come tale possiede un duplice carattere, quello di valore d’uso e valore di scambio (**). È su tale distinzione che si fonda l’intera società capitalistica, il suo sviluppo e la sua rovina, sia perché la contraddizione interna alla merce rimanda al duplice carattere del lavoro di cui s’è detto, vale a dire al movimento in senso inverso della massa dei valori d’uso, da una parte, e dei valori, dall’altra, in seguito all’aumento della forza produttiva del lavoro.

Confido risulti a tutti pacifico il fatto che con lo sviluppo della grande industria e la sussunzione della scienza nel capitale aumenta enormemente la forza produttiva del lavoro. Se la produzione di valori d’uso tende a scindersi dal tempo di lavoro vivo, quest’ultimo continua tuttavia a permanere, in quanto misura del valore di scambio, come unica fonte di valorizzazione del capitale. Ma poiché nel capitalismo gli oggetti d’uso disponibili dipendono dalle esigenze del capitale, il cui scopo è direttamente il valore di scambio e non il valore d’uso, la produzione di valori d’uso si restringe quando le merci non possono realizzarsi come valori, cioè quando il capitalista non è più in grado di realizzare il plusvalore contenuto nelle merci (questo fenomeno, tra l’altro, è ben evidenziato dalla tendenza alla finanziarizzazione dell’economia).

Ciò che è in radice alla crisi, non è lo sviluppo tecnologico, ma il fatto che esso avvenga entro le forme del modo di produzione capitalistico. Ecco dunque che lo sviluppo delle forze produttive entra in contrasto con la forma e la natura che esse assumono nel modo di produzione capitalistico, cioè con i rapporti di produzione esistenti. “Questi rapporti – scrive Marx –, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale”.

(*) Marx sapeva bene che l’innovazione tecnologica avrebbe progressivamente trasformato il lavoro. Così come Darwin non dovette attendere le scoperte della paleontologia per formulare la sua teoria, allo stesso modo Marx non dovette attendere l’invenzione del microchip per scoprire le leggi che stanno alla base del modo di produzione capitalistico e con ciò il carattere storico e transitorio della forma valore. Tanto gli bastò per immaginare il futuro quale puntualmente esso si conferma in toto. Scriveva Marx nei Lineamenti fondamentali per la critica dell’economia politica (Grundrisse, La Nuova Italia, vol. II, pp. 401- 02):

«La ricchezza reale si manifesta invece – e questo è il segno della grande industria – nell’enorme sproporzione fra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, come pure nella sproporzione qualitativa fra il lavoro ridotto ad una pura astrazione e la potenza del processo di produzione che esso sorveglia. Non è più tanto il lavoro a presentarsi come incluso nel processo di produzione, quanto piuttosto l’uomo a porsi in rapporto al processo di produzione come sorvegliante e regolatore.

L’operaio non è più quello che inserisce l’oggetto naturale modificato come membro intermedio fra l’oggetto e sé stesso; ma è quello che inserisce il processo naturale, che egli trasforma in un processo industriale, come mezzo fra sé stesso e la natura inorganica, della quale s’impadronisce. Egli si colloca accanto al processo di produzione, anziché esserne l’agente principale. In questa trasformazione non è né il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale — in una parola, è lo sviluppo dell’individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza. Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa.

Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio deve cessare di essere la misura del valore d’uso. Il pluslavoro della massa ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non- lavoro dei pochi ha cessato di essere condizione dello sviluppo delle forze generali della mente umana. Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla, e il processo di produzione materiale immediato viene a perdere anche la forma della miseria e dell’antagonismo.

[Subentra] il libero sviluppo delle individualità, e dunque non la riduzione del tempo di lavoro necessario per creare pluslavoro, ma in generale la riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro. Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo di lavoro a un minimo, mentre, d’altro lato, pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza. Esso diminuisce, quindi, il tempo di lavoro nella forma del tempo di lavoro necessario, per accrescerlo nella forma del tempo di lavoro superfluo; facendo quindi del tempo di lavoro superfluo – in misura crescente – la condizione (question de vie et de mort) di quello necessario».

(**) “[...] a tutti gli economisti senza eccezione è sfuggita la cosa semplice che, essendo la merce un che di duplice, di valore d’uso e di valore di scambio, anche il lavoro rappresentato nelle merci deve avere un carattere duplice” (lettera ad Engels dell’8 gennaio 1868).

mercoledì 29 ottobre 2025

Proust aveva già capito

 

Ci è stato detto e ripetuto che non dobbiamo assolutamente perdere la svolta dell’intelligenza artificiale, l’IA. Che, per “restare in gara”, dobbiamo accettarla nelle nostre vite. Persino Wikipedia è apparentemente in declino, abbandonata dai suoi utenti in favore dell’IA, che risponderebbe a tutte le nostre domande.

È un database senza precedenti nella storia dell’umanità, accanto al quale la Biblioteca di Alessandria sembrerebbe un mercatino di remainders. Si può usare per comprare un biglietto aereo, chattare con uno strizzacervelli immaginario o chiedere di che colore era il cavallo bianco di Giulio Cesare. L’Homo sapiens lo sognava da 300.000 anni, l’IA lo ha reso possibile.

Questa tecnologia ha qualcosa di seducente, perché si basa su una gigantesca massa di informazioni accumulata su Internet per anni. Le raccoglie a strascico ed elabora a bischero sciolto. Come la pesca in mare. Il risultato della pesca può dipendere da tante cose, per esempio da come posizioni l’esca: nella rete può impigliarsi una spigola oppure anche il sedile di un water. Random.

Per esempio, della stessa domanda ho invertito le parole chiave, senza che la domanda cambiasse di significato, e ho pescato due risposte diverse: nella prima risposta, in Francia nel XVIII secolo, l’aspettativa di vita alla nascita era di 25-30 anni; nella seconda risposta l’aspettativa saliva a 40 anni. Non proprio la stessa cosa. E potrei continuare con altri esempi.

In genere però le risposte sono “giuste”, nel senso che sono quelle che ti aspetteresti. Il punto è proprio questo: la normatività, la semplificazione e la superficialità delle risposte. Manca poco, l’IA invaderà le aule, minando il cervello degli studenti e la vocazione degli insegnanti. Già è un problema l’uso degli smartphone, che si pensa di risolvere vietandoli nelle scuole.

Per gli adolescenti, internet significa social media. Al punto che negli ultimi anni l’ambito pediatrico ha iniziato a interrogarsi se sia l’utilizzo dei social a rendere i ragazzi depressi, o se i ragazzi depressi semplicemente trascorrono più tempo sui social. Molti studi riguardano l’ansia e la depressione, sollevando preoccupazioni circa l’impatto dei social media sulla salute mentale, sul fatto che in genere i ragazzi sembrano più stupidi di quanto lo eravamo noi alla loro età.

Per la mia generazione e anche per quella venuta dopo ci sono voluti anni e anni di trattamento televisivo e mediatico per raggiungere livelli ottimali di stupidità, che poi si sublima attualmente nella vecchiaia; oggi, invece, per diventare stupidi bastano pochi anni di applicazione mediatica. Ma anche scolastica. Già nell’adolescenza si possono raggiungere livelli di stupidità che un tempo erano appannaggio solo di una ristretta cerchia di fortunati.

Gli utenti dei social media (anche chi sta scrivendo queste parole) sono stati addestrati a dedicare più tempo a mettersi in mostra e meno tempo a relazioni sociali autentiche. Volenterosi ostaggi dell’intensificazione delle dinamiche virali, non abbiamo ancora valutato abbastanza l’impatto che ha avuto nella vita di ognuno e sui profitti di chi gestisce la faccenda una banalità come il pulsante “Mi piace”. Per tacere del resto.

Assistiamo da decenni allo sgretolamento di tutto ciò che un tempo sembrava solido, alla dispersione di tutte le persone che un tempo formavano una comunità. Leggevo in questi giorni di come Marcel Proust, dopo pochi mesi dall’aver installato il telefono nella sua abitazione, decidesse di disdire l’abbonamento. Non sembra abbia spiegato il perché, ma sicuramente preferiva ricevere e far visita personalmente. Oppure comunicare per lettera. Aveva già capito.

martedì 28 ottobre 2025

Per carità di patria

 

Fa bene il presidente Sergio Mattarella a richiamare l’attenzione sul tema della crisi della sanità pubblica, che così ostacola il diritto alla salute costituzionalmente garantito. È tuttavia un richiamo tardivo, e sorvola sul fatto che tale stato di crisi non è casuale. Soprattutto non dice a beneficio di chi va il sostanziale taglio della spesa sanitaria pubblica, e dunque quale sia la strategia che sottende la premeditazione di tali politiche di ridimensionamento della spesa sanitaria pubblica.

Eccepirà il solito cretino televisivo che questo o quel governo ha provveduto a stanziare una certa provvista di quattrini proprio per la sanità pubblica. Quanto a spesa pro-capite l’Italia si assesta al 14° posto in Europa con un gap di 43 miliardi di euro, ultima tra i Paesi del G7. E però i denari per le spese di armamento e per il sostegno della guerra si trovano. E altri ancora nei prossimi anni ne verranno aggiunti.

Eh già, Putin provoca ed è pronto ad assalirci. Lo dimostra il fatto che anche recentemente un caccia russo e un aereo da rifornimento in volo sono entrati nello spazio aereo lituano. Sono penetrati per ben 700 metri – dicono i satelliti – in territorio lituano, anzi in territorio Nato! E, cosa preoccupante, per ben 18 secondi. Non è stato versato nemmeno carburante. La Russia nega ovviamente persino che l’incidente sia avvenuto.

Quando ormai non c’era più nulla da trovare, sono comparsi due Eurofighter spagnoli a pattugliare lo spazio aereo dove non è successo nulla. Speriamo che non si perdano dirigendosi a sud. Ciò è bastato perché il primo ministro lituano Inga Ruginienė dichiarasse al mondo intero: “Questo incidente dimostra ancora una volta che la Russia si sta comportando come uno Stato terrorista e ignora il diritto internazionale e la sicurezza dei paesi vicini”.

È la stessa storia dei celeberrimi droni che un mese or sono hanno sorvolato alcuni aeroporti del nord Europa. Erano senz’altro russi, anche se non vi è prova alcuna. Nessuno s’è azzardato a chiedere lumi al comandante delle “truppe droni” ucraine, Robert Brovdi, il quale, tra l’altro e in spregio al diritto internazionale umanitario che proibisce gli attacchi contro dighe, domenica ha attaccato la diga di Belgorod, in territorio russo.

Insomma, non appena saremo pronti, una bella guerra con la Russia non ce la potrà negare nessuno. Per allora avranno sistemato anche la faccenda del cosiddetto “voto unanime” per approvare le schifezze che la UE ci appioppa. Romano Prodi potrà finalmente mettere l’elmetto con le piume e dare una mano come bersagliere ciclista.

Questo episodio di “invasione” aeronautica è avvenuto poco dopo un vertice UE in cui l’alleanza è venuta ancora una volta meno al suo sacro compito. Infatti, il documento finale adottato sull’Ucraina non menziona più esplicitamente l’uso dei beni russi congelati da convertire in armamenti. Manca anche dal testo il mandato urgente alla Commissione UE di elaborare proposte concrete. Si afferma semplicemente che la Commissione è “invitata” a trovare nuove “opzioni” per il sostegno finanziario all’Ucraina. Intanto con quelle “opzioni” si può continuare a comprare gas e petrolio russi almeno fino al tutto il prossimo anno.

Ciò significa che Putin può continuare (lo fa dal 2022) a finanziare la sua guerra con i soldi dell’Europa fino alla fine del 2026. Il fatto che questo valga anche per l’Ucraina, (l’Italia finanzia a fondo perduto la corrotta cricca di Kiev sottraendo risorse alla nostra spesa pubblica), è tacitamente ignorato. La UE da anni finanzia direttamente o indirettamente due Paesi in guerra tra loro. Anche di questo paradosso Mattarella e altri tacciono. Lo fanno per carità di patria.

lunedì 27 ottobre 2025

Il ricatto

 

Quasi un silenzio di tomba avvolge la vittoria elettorale di Javier Gerardo Milei Luján alle le elezioni parlamentari di medio termine in Argentina. E invece quella che passa ancora per essere la sinistra dovrebbe interrogarsi su questo trionfo dell’estrema destra, anche se ad essere sconfitti sono stati i peronisti (in Argentina il voto è obbligatorio, ma solo il 63% ha votato, la percentuale più bassa dal 1983).

Solo in caso di successo elettorale sarebbero stati erogati i 40 miliardi di dollari promessi da Trump. È una palese interferenza nel processo elettorale di uno Stato sovrano, in realtà equivale a un ricatto. Che ha dato i suoi frutti. La maggioranza degli argentini che hanno votato domenica ha espresso il proprio sostegno a Milei, e ciò nonostante i tagli alla spesa sociale e il crollo dei consumi.

I rappresentanti di Milei, guidati dal Ministro dell’Economia Luis Caputo, hanno in cambio promesso di mantenere stabile la valuta nazionale. Il governo sta mantenendo bassa l’inflazione attraverso il peso argentino artificialmente sopravvalutato. Pare paradossale per una moneta che nell’ultimo anno ha perso la metà del suo valore. Questa è pressoché l’unica promessa elettorale mantenuta finora. Per raggiungere questo obiettivo, stanno immettendo ingenti quantità di dollari statunitensi nei mercati finanziari.

Secondo stime, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha venduto oltre 2 miliardi di dollari sul mercato valutario argentino nelle ultime due settimane e mezzo. Dunque comprando pesos. Senza questo aiuto, Milei probabilmente non sarebbe arrivato indenne alle elezioni parlamentari. Come minimo, una drastica svalutazione del peso argentino e un conseguente aumento dell’inflazione sarebbero stati inevitabili.

Trump ha mantenuto in piedi il suo fedele alleato/suddito. L’importanza del Paese sudamericano non va sottovalutata. La sua posizione geografica (porta d’accesso all’Antartide) e la sua ricchezza di risorse naturali (litio, rame, minerali strategici, gas e petrolio, ecc.). Milei è l’utile idiota.

Per Washington e i circoli esclusivi che lo sostengono Milei rappresenta un progetto economico e sociale che promette rapidi profitti per pochi e vigorosi attacchi alla maggioranza della popolazione. Tra i progetti figurano una nuova legge sul lavoro volta a limitare i diritti sindacali e una riforma fiscale per alleggerire il carico sui ricchi.

Le politiche di Milei andranno a vantaggio anche degli speculatori sui mercati finanziari. Tra questi, la grande banca statunitense JP Morgan, il cui CEO ha incontrato Milei venerdì a Buenos Aires per negoziare ulteriori accordi. L’Argentina è diventata una miniera d’oro per gli speculatori, che guadagnano ingenti somme di denaro con i cosiddetti carry trade.

Con una crisi finanziaria senza precedenti alle porte (non è questione di sé, ma di quando), non vi saranno misure abbastanza drastiche per garantire che l’Argentina non dichiari fallimento.

Non riuscendo a drenare a sufficienza questa liquidità in eccesso, per timore di generare nuove crisi, le banche centrali possono solo osservare distorsioni sempre più evidenti, che in ultima analisi creano azzardo.

Sapendo che le autorità monetarie saranno riluttanti a innescare correzioni di mercato eccessivamente brutali, gli investitori stanno diventando più audaci e assumendo sempre più rischi. Soprattutto, sono convinti che da un momento all’altro, se la situazione dovesse precipitare, le banche centrali torneranno a svolgere il loro ruolo di deus ex machina, grazie a drastici tagli dei tassi di interesse o persino a programmi di acquisto di asset. Tuttavia è probabile che di fronte a un crollo massiccio dei mercati finanziari le banche centrali potranno fare ben poco per arginarlo.

La pace è la continuazione della guerra con altri mezzi

 

Potrebbe essere un’esperienza nuova per Donald Trump: le guerre commerciali non sono necessariamente facili da vincere, come invece aveva affermato all’inizio del già lontano 2018. Se ci si sente troppo sicuri di sé e, per di più, si affronta un Paese economicamente potente, il cui governo è strategicamente prudente, quelle guerre si possono anche facilmente perdere.

Pechino ha implementato controlli sulle esportazioni che ora minacciano di privare gli Stati Uniti delle terre rare necessarie al più sacro dei santuari: l’industria bellica. Questo fa soffrire persino l’imperatore delle sale da ballo di Washington, che già sente il fiato sul collo anche dei produttori americani di soia.

Dopo un breve accesso di rabbia che lo ha portato a minacciare dazi aggiuntivi del 100% su tutte le importazioni dalla Cina, Trump ha ripetutamente dichiarato, quasi implorante, che incontrerà la sua controparte Xi Jinping giovedì prossimo a margine del vertice APEC in Corea del Sud.

Intanto sabato a domenica si è tenuto in Malesia l’ultimo round di colloqui economici e commerciali tra Cina e Stati Uniti, sul tavolo le misure della Sezione 301 degli Stati Uniti sui settori marittimo, logistico e cantieristico cinese, l’estensione della sospensione dei dazi reciproci, la cooperazione tariffaria e di polizia relativa al fentanil, il commercio di prodotti agricoli e i controlli sulle esportazioni.

Bloomberg ha affermato che queste trattative hanno “preparato il terreno” affinché le due parti “allentino le tensioni commerciali che hanno scosso i mercati globali”. La rivista statunitense Fortune ha descritto i messaggi provenienti dai colloqui come “incoraggianti”. L’agenzia Reuters e il Wall Street Journal hanno rispettivamente evidenziato nei loro titoli “colloqui di successo” e una “nota di fiducia”.

Vedremo presto fino a che punto Pechino riuscirà a far revocare i dazi e le sanzioni statunitensi. Questa volta il cessate il fuoco potrebbe durare più a lungo: la Cina può indebolire i controlli sulle esportazioni in qualsiasi momento, ma può anche rafforzarli nuovamente. Trump a quanto pare lo ha imparato.

Non c’è alcuna garanzia che ciò accada: quando una parte fa mostra che l’azione erratica è la sua massima tattica, non si sa mai. Tuttavia, ora ci sono voci all’interno dell'establishment statunitense che invitano alla cautela, anche per quanto riguarda le conseguenze della guerra commerciale per gli Stati Uniti.

A metà ottobre, la Rand Corporation, un influente think tank statunitense, ha pubblicato uno studio che avverte che la lotta di potere tra Stati Uniti e Cina potrebbe degenerare in una spirale incontrollata e in un modo dannoso per gli Stati Uniti.

Gli autori dello studio consigliano di evitare l’escalation e di contenere, per il momento e in qualche modo, il conflitto: “come nella Guerra Fredda”. Resta tuttavia incerto se Trump seguirà questo consiglio. Dopotutto, non sono solo le guerre commerciali a poter essere perse, ma anche le guerre fredde, e il vincitore non deve necessariamente essere lo stesso dell’ultima volta.

Quanto all’Europa, presto o tardi si accorgerà che il suo attuale padrone non intende tutelarne gli interessi, semmai il contrario. La Germania l’ha compreso, tanto che si sta preparando massicciamente ad assumere la leadership dell’Europa continentale anche militarmente. Come sempre è solo questione di tempo.

domenica 26 ottobre 2025

Era un mondo di adulti

 

Ho spesso avuto parole critiche per le interviste di Paolo Bricco impastate di sdolcinatezze, ma quella di oggi sul Sole 24ore non è la solita sviolinata agli dei ex machina della imprenditoria italica, bensì un’intervista a colpi di sciabola ben assestati proprio a quella certa borghesia arruffona e incolta di parvenus attuali.

Merito soprattutto dell’intervistato: Piero Maranghi. Un’intervista da incorniciare a un uomo che, dati i chiari di luna attuali, sembra uscito da un’epoca senz’altro migliore della nostra. Basterebbe questa sua frase, riferita al passato: «era un mondo di adulti, si sbagliava da professionisti».

Figlio dell’ex presidente di Mediobanca, Vincenzo, Piero Maranghi afferma: «L’erosione della centralità di Mediobanca è stata compiuta, in particolare, dall’establishment cattolico di sinistra. L’altro passaggio cruento e mai saturo è stato l’assegnazione della Comit all’Intesa del cattolicissimo Giovanni Bazoli. È stato un atto contro natura, in senso culturale e simbolico».

E, a proposito di fatti recentissimi: «Di fronte ai numeri milionari che vorticano intorno al Ceo uscente [di Mediobanca] Alberto Nagel, Piero dice: “È tutto legittimo. In una sola cosa Nagel e mio padre sono stati uguali, nella battaglia per Mediobanca: hanno ottenuto ciò che volevano. [Vincenzo] Maranghi la salvaguardia dell’istituto e dei suoi ragazzi e nulla per sé. Nagel molti milioni».

Piero Maranghi rievoca, en passant, quando Ciriaco De Mita e Beniamino Andreatta, con l’avvallo di quella rana bollita di Romano Prodi, allora presidente dell’Iri, volevano far fuori Enrico Cuccia da Mediobanca, e dice: «I cattolici sono strani. Vogliono sempre il perdono, o almeno la riconciliazione, anche in terra». E racconta un fatto dai contorni assurdi, ossia cosa si permise di fare «Un andreottiano in purezza come Cesare Geronzi al capezzale di mio padre, che era proprio agli ultimi [...]».

Poi, un’altra stoccata, tra le tante di taglienti e godibili: «La vicenda della politica e di Mediobanca, mutatis mutandis, è paragonabile a quella di Beatrice Venzi alla Fenice. In spregio ad ogni regola di buon senso e di consuetudine si cala dall’alto una figura del tutto inadeguata al ruolo e, poi, si sbraita che le critiche sono mosse solo da pretestuose ragioni politiche. Non è vero: la Venezi lì non ci può e non ci deve stare e non deve passare. Altrimenti, poi, vale tutto».

Si chiama onestà intellettuale e coraggio, roba da adulti.

sabato 25 ottobre 2025

Anche un genocidio culturale

 

Ieri, il medico Ashraf Al-Jedi è stato ucciso in un bombardamento israeliano nel campo profughi di Nuseirat, a sud di Gaza City. Altre 14 persone sono morte con lui. Forse i TG ne hanno dato notizia? Censura e autocensura. A molti potrà apparire falsa e assurda l’affermazione che faccio, tuttavia gran parte dell’informazione è controllata dal sionismo e dai suoi emissari.

Al-Jedi era preside del dipartimento di infermieristica dell’Università Islamica di Gaza. Aveva conseguito il dottorato in Europa. Il suo predecessore, Nasser Abu Al-Nur, è stato ucciso da una bomba il 23 febbraio 2024, insieme a tutta la sua famiglia. L’ultimo rettore dell’Università Islamica, Sufian Tayeh, e la sua famiglia sono stati assassinati in un attacco aereo nel campo profughi di Jabaliya il 2 dicembre 2023. Tayeh era un professore di fisica teorica e matematica applicata di fama internazionale. Infine, Refaat Alareer, professore di letteratura e scrittura creativa all’Università Islamica, è stato assassinato deliberatamente il 6 dicembre 2023. Una delle sue poesie è ormai conosciuta in tutto il mondo: “Se devo morire,/che porti speranza,/che sia una storia”.

Israele intende sradicare la nazione palestinese anche colpendo il suo sistema educativo. Il bilancio fino all’estate del 2024: tre rettori universitari, 17 professori con le loro cattedre e 59 professori associati e assistenti uccisi. Nel giugno 2025, un dettagliato rapporto delle Nazioni Unite rivelò un “modello genocida di attacchi israeliani contro i centri palestinesi di istruzione, cultura e religione”. Israele fu quindi riconosciuto colpevole del “crimine di annientamento”. Ha distrutto il sistema educativo di Gaza “con conseguenze dannose a lungo termine per i bambini e i giovani e per l’identità del popolo palestinese”. A quel punto, il numero di accademici assassinati era salito a oltre 190.

Un rapporto del Ministero dell’Istruzione palestinese di questa settimana ha segnalato circa 20.000 studenti uccisi e oltre 30.000 feriti a Gaza. Inoltre, quasi 800 insegnanti e circa 240 accademici sono stati assassinati.

Un lavoro scientifico, una distruzione strategica delle fondamenta dell’istruzione universitaria e una guerra sistematica contro l’istruzione. Un genocidio anche culturale realizzato non solo con armi statunitensi e ma anche con armi e materiali per uso bellico dei Paesi europei. Storicamente l’Occidente è sempre stato il maggiore fabbricante di guerre e genocidi.

Maya Wind, nel suo libro Torri d’avorio e acciaio, dimostra come le università israeliane sostengono l’apartheid del popolo palestinese. La distruzione della cultura è un passo decisivo verso la completa distruzione di un popolo. Questo è esattamente ciò che Israele intende fare con l’omicidio mirato di insegnanti e studiosi a Gaza e, ora, anche in Cisgiordania.

venerdì 24 ottobre 2025

Finalmente

 

Ma si fermeranno davanti ai cancelli, invece di entrare e applicare i dettami del Tanakh.

Inseguendo un cappello a cilindro

 

«A mio parere la politica verrà messa all’angolo dall’economia», annotava Thomas Mann il 18 dicembre 1919. Nella tracotanza con cui i vincitori impongono le condizioni della pace Mann vedeva i primi segnali di una nuova politica della “potenza” destinata a dominare il futuro. La potenza, scrive nel giugno 1919, «può definire sé stessa giustizia senza aver bisogno di prestare ascolto ad alcuna obiezione».

*

Ieri, inseguendo Charles Haas (1832-1902), il modello principale di Charles Swann, che, come lui, era ebreo, donnaiolo, appassionato di pittura italiana e frequentatore dell’aristocrazia più esclusiva e del Jockey Club, m’imbatto in un dipinto di James Tissot (uno degli artisti ottocenteschi miei preferiti: ricordo una mostra romana del 2015), precisamente in quello che raffigura i dodici membri del Cercle de la rue Royale, altro club esclusivo parigino (*).

Ma quanti erano e quali sono sopravvissuti, anche attraverso fusioni/unioni tra di loro, i club esclusivi parigini, i santuari dell’élite, e non solo quelli parigini? Avvertenza, non affidatevi troppo per questo tipo di ricerca alla AI Overview perché assai imprecisa, come del resto per altre cose.

Per esempio, il Nuovo Circolo dell’Unione, discendente del Cercle de l’Union, ebbe tra i fondatori e i sottoscrittori un certo Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord. Il Nuovo Circolo nacque dalla fusione nel 1916 del Cercle Agricol e del Circolo della rue Royale. Quest’ultimo aveva avuto una sua storia particolare.

Creato nel 1852, questo club era originariamente un ritrovo di pochi amici scelti con cura, che avevano in comune il fatto di essere figli, fratelli o nipoti di membri del Jockey Club (è situato in rue Rabelais, di fronte all’ambasciata israeliana) la cui giovane età li costringeva ad aspettare prima di poterne aderire, il che gli valse il soprannome di Cercle des Moutards, dove “mostarde” era solo un’espressione allusiva.

Al civico 33 di rue du Faubourg Saint-Honoré, adiacente all’ambasciata inglese, ha sede sia il Nouveau Cercle de l’Union e sia il Cercle de l’Union Interalliée, in una dimora privata che fu messa a disposizione del circolo Interalliée dal barone de Rothschild. I due circoli sono tra loro indipendenti.

Né va dimenticato Le Siècle, altro club parigino, fondato nel 1944 dal giornalista Georges Bérard-Quélin, che di cose da raccontare ne avrebbe parecchie. Pare che la quota mensile per far parte di questa borghesia blasonata sia di 220 euro (pasti esclusi).

Nel mondo intero i club privati che contano davvero non sono più di una decina (con ciò non voglio dire che i Rotary e i Lions non abbiano una loro importanza, ma definirli elitari mi sembra eccessivo). Una pur sommaria ricognizione nominativa sui soci di questi club esclusivissimi, così come lo scandaglio dei relativi legami genealogici, illumina più cose di tanti corposi ed eruditi saggi di politica e di economia.

Naturalmente tutto ciò per persone che non vanno di fretta.

(*) Charles Haas è l’ultimo a destra nel dipinto, in piedi, con il gibus grigio, che, ci racconta Proust, era foderato di verde.


giovedì 23 ottobre 2025

Clausewitz e il Maggiolino

 

In un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha delineato il programma di guerra e la politica delle grandi potenze: la Germania deve costruire “l’esercito convenzionale più forte d’Europa”, superare gli obiettivi della NATO e prepararsi ad applicare “la legge del più forte”. L’era di un “ordine basato su regole e sul diritto internazionale” è finita, ha affermato, aggiungendo che ciò che conta ora è la “forza”.

Un giorno nessuno potrà dire che non ci avevano avvisati di ciò che stavano preparando.

Naturalmente il nemico principale, in questo momento, è la Russia. Per varie ragioni, una in particolare: Putin. Al suo posto ci potrebbe essere chiunque, sarebbe sufficiente che fosse prono alle “esigenze” della Nato e delle classi padronali occidentali. In tal caso non ci sarebbe alcuna inimicizia con ciò che resterebbe della Russia. Il vero mortale nemico allora si paleserebbe: la Cina.

Da oggi, le linee di produzione della Volkswagen saranno ferme. Secondo le informazioni di Bild, la produzione della VW Golf nello stabilimento di Wolfsburg sarà sospesa. L’interruzione della produzione rientra nella guerra commerciale in corso tra Stati Uniti e Cina, che ora sta colpendo anche la Germania. La questione riguarda l’interruzione delle forniture da parte del produttore di chip olandese-cinese Nexperia. Dal 2019, l’azienda è di proprietà del colosso tecnologico cinese Wingtech.

Alla fine del 2024, Wingtech è stata inserita in un elenco di aziende soggette a sanzioni statunitensi. Il 29 settembre, l’elenco è stato ampliato per includere le rispettive filiali. Il giorno dopo, il Ministero degli Affari Economici olandese ha assunto il controllo di Nexperia, ha rimosso l’amministratore delegato Zhang Xuezheng, fondatore di Wingtech, e ha trasferito temporaneamente la gestione di tutte le azioni della società a un fiduciario. Per il momento la guerra si combatte così.

Nexperia produce chip standard utilizzati principalmente nella produzione automobilistica, ad esempio nelle luci di emergenza, negli airbag e nei sistemi di frenata antibloccaggio. Ogni singola auto contiene fino a 500 componenti. Con una quota di mercato del 40%, Nexperia è il più grande fornitore mondiale di semiconduttori semplici e genera circa la metà del suo fatturato dall’industria automobilistica.

La Cina ha reagito a questa espropriazione e ha imposto controlli sulle esportazioni. Per esempio, ciò che viene prodotto nello stabilimento Nexperia di Amburgo non finisce immediatamente alla VW o ad altre case automobilistiche, ma viene prima trasformato in diodi o transistor finiti in una fase successiva, che avviene in Cina, e poi si decide se riesportarlo in Europa.

Il mercato mondiale unificato, celebrato qualche decennio fa come globalizzazione pacifica, con libero scambio senza ostacoli, catene di approvvigionamento globali e produzione just- in-time, sta volgendo al termine. Un mondo strettamente interconnesso dal punto di vista tecnologico ed economico si sta attualmente dividendo in blocchi. Come diceva quel tedesco? Mi pare si chiamasse Clausewitz ...

Un suggerimento agli amici tedeschi: il Maggiolino VW modello 1937 è ancora in grado di circolare. Non contiene semiconduttori.

Chi laverebbe mai detto che un giorno ... E pensare che il "fondatore" della ditta, sposato con una "mezza ebrea", divorziò opportunamente nel 1938. Alex Springer aderì alla NSKK, che era un’organizzazione paramilitare [nazista], implicata nella politica razzista di esclusione e discriminazione del regime (selezionava i suoi membri per tratti ariani) e nei pogrom antisemiti del 1938» (Wikipedia). Ciò che significa rifarsi una verginità.

mercoledì 22 ottobre 2025

La pace si ottiene ...

 

La pace non è ancora tornata in Medio Oriente, in Ucraina o persino in Congo, come Donald Trump aveva promesso a gran voce nella speranza di vincere il Premio Nobel, inviando in giro per il mondo dei loschi commercianti di cavalli. I suoi negoziatori alati vogliono spegnere incendi alimentati da Washington. I piromani giocano a fare i pompieri. Il gioco è fin troppo scoperto: si schiera l’islamismo selettivamente (utilizzando i regimi wahhabiti in Arabia Saudita, Qatar, ecc., che sono alleati degli Stati Uniti e hanno in parte finanziato lo Stato Islamico) contro attori che ostacolano gli interessi dell’Occidente imperialista: vedi quanto è successo in Siria, con i salafiti di Hay’at Tahrir al-Sham, affiliati ad Al Qaeda, che ora non sono più dei terroristi.

Odiatori anticomunisti di ogni tipo, gli amici della guerra americana ed europea, si stanno radunando sotto la bandiera della “civiltà occidentale”: dai custodi dell’Illuminismo borghese, che, oltre ai diritti umani, ha prodotto anche uno spietato imperialismo; ai fascistoidi che invocano la “tradizione giudaico-cristiana” come baluardo contro la barbarie. E così l’”eredità ebraica” fondata sulla Bibbia (sic!) può essere “difesa” dagli “invasori” palestinesi con l’invio di armi per sterminarli. A supporto, la narrazione del “nuovo antisemitismo”, che scredita ogni critica ai governi israeliani, discendente storico dei persecutori medievali e moderni.

La pace si ottiene non fomentando i nazionalismi e i fondamentalismi, ma riportando la Nato alle posizioni del 1989. Meglio ancora: sciogliendo la Nato. Riportando la comunità europea ai confini del 1989. Meglio ancora: sciogliendola e ripensandola in senso socialista. Creando un sistema monetario internazionale non più incentrato su un’unica moneta. Una nuova organizzazione internazionale della produzione e del commercio con ampi e concreti poteri di pianificazione e cooperazione. Disarmo. Fine del neocolonialismo in Africa e in Sud America. Eccetera. Ma tutto ciò non è realistico, dicono. E allora avanti così, con crisi, tensioni, minacce, fascismi e guerre.

Con zio Fulgencio sarebbe stata tutt’altra storia.

martedì 21 ottobre 2025

L’autunno tedesco


Sempre più patetico il Toynbee de noantri

È invalso il modo di definire qualunque forma di lotta, di resistenza, di guerra non convenzionale, non regolamentare, come “terrorismo”, e il terrore come un abominio. Basti pensare a Robespierre, che viene fatto passare come un mostro, tanto che a Parigi non vi è un solo toponimo che ricordi il personaggio, mentre diversi sindaci francesi hanno proposto di “togliere il suo nome alle strade che gli sono intestate” (*).

Lo steso vale per la lotta armata del periodo a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, depoliticizzata e considerata esclusivamente da una prospettiva di diritto penale, non riconoscendo che la violenza rivoluzionaria contro la disuguaglianza sociale, lo sfruttamento e l’oppressione si determina all’interno di rapporti sociali di classe e ne diventa una componente necessaria attraverso le reazioni violente del sistema di dominio.

È interessante notare come, a tale riguardo, Vera Figner, una socialista rivoluzionaria russa che partecipò all’attentato allo zar nel 1881, affrontasse già nel 1922 tale questione. Scrisse della sua epoca: «Il terrore [che, nella terminologia odierna, in un contesto emancipatorio, corrisponderebbe alla lotta militante o armata] non è mai stato fine a sé stesso. Era un mezzo di difesa, di autoprotezione, un potente strumento di agitazione, e veniva utilizzato solo quando si dovevano raggiungere obiettivi organizzativi [...] che da soli avrebbero reso possibile una rivoluzione allo scopo di trasferire il potere al popolo. Nell’autunno del 1881, l’assassinio dello zar divenne una necessità, un tema scottante del giorno [...]. Diede ad alcuni di noi motivo di considerare erroneamente l’assassinio dello zar e l’attività terroristica come il nostro programma essenziale».

Ed infatti, anche per quanto riguarda la lotta armata degli “anni delle bombe”, delle stragi di Stato per mano fascista, non tutte le organizzazioni di sinistra che vi presero parte possono essere tra loro equiparate, e alcune di esse, specie dopo una certa data, furono troppo impegnate nel confronto militare trascurando le lotte sociali, che però, bisogna riconoscerlo, avevano esaurito la loro spinta nel raggiunto benessere materiale di larghi strati popolari. Ecco dunque che una prospettiva marcatamente militaristica portò i mezzi della lotta, o meglio la loro forma, ad assumere una vita propria. La forma prevalse sul contenuto, che a sua volta divenne astratto e non più (auto)esplicativo.

Non è il caso di suscitare eventuali “sconcerti” e gridolini da parte di anime belle citando casi nostrani. Un dibattito veramente pubblico non vi è mai stato, e non vi sarà, poiché il discorso è stato plasmato dai partiti e dai media, che non possono ammettere che tale contro-violenza agli atti di violenza propri dei rapporti sociali e delle istituzioni abbia avuto il carattere di resistenza politica (**).

Si è continuata a perseguire, fino ad oggi e a fronte dell’enormità della violenza mondiale, quotidiana e sistematica, una logica criminalizzante, individualizzante e quindi depoliticizzante che corrisponde al modello della retorica sulla resistenza armata della sinistra in generale (non mi riferisco solo a Meloni e simili casi politici, sociologici e psicologici a sé stanti, ma a un Cacciari che solo oggi s’avvede che “stiamo vivendo uno stato d’eccezione”). Pertanto la prendo larga preferendo riferirmi alla strategia di approccio e alle fasi della lotta della Rote Armee Fraktion (Frazione Armata Rossa: RAF).

Nacque nel 1970 nel contesto delle rivolte e dei tentativi rivoluzionari anti-coloniali, antimperialisti, antirazzisti e antipatriarcali a livello globale (per la miscellanea ideologica che vi regnava, vedi: Heimat: Die Zeit der vielen Worte (1968–1969), di Edgar Reitz). La rivolta sociale di quegli anni e la RAF si schierarono inequivocabilmente con la maggior parte del mondo che cercava di liberarsi dal colonialismo e da condizioni di arretratezza sul piano economico e dei diritti sociali (il Partito Comunista di Germania era stato ufficialmente messo fuori legge nel 1956). Fu una rivolta e una lotta giustificata, necessaria e giusta, ma fu anche più un sismografo che non il terremoto che credeva di essere.

Oggi, quei proponimenti rivoltosi potrebbero farci sorridere, tuttavia, a parti invertite, il mondo di oggi sarebbe apparso a quelli di allora un mondo di tragicomica follia, tanto che Orwel si vergognerebbe di aver vaticinato delle dispotiche banalità superate in souplesse dalla realtà odierna.

La maggior parte dell’élite tedesca, la leadership politica, così come i vertici militari e di polizia, si schierarono ovviamente dalla parte degli assassini provenienti dai ranghi dei governi e dei servizi segreti occidentali, della polizia, dell’esercito, delle dittature e dei fascisti che assassinarono Patrice Lumumba, Salvador Allende, Steve Biko, Martin Luther King, Fred Hampton e innumerevoli altri.

La RAF, emersa dalla rivolta sociale interna del 1968, si ribellò alla continuità del nazifascismo nella Germania Ovest, al riguardo leggere gli editoriali della giornalista Ulrike Meinhof nella rivista Konkret (***). Il potere e le ricchezze della classe capitalista e dei perpetratori nazisti persistettero nello Stato della successiva Germania Ovest. Basti l’esempio del cancelliere Adenauer, che annoverava Hans Globke come uno dei suoi più stretti collaboratori e direttore della Cancelleria della Repubblica Federale. La denazificazione postbellica è stata nella sua sostanza in gran parte un mito (****).

Per la RAF all’inizio prevalse il primato dell’azione rispetto all’attacco militare, così come la conosciamo dalla storia dei movimenti anarchici, ossia una possibile pratica volta principalmente a ottenere un effetto politico e ideologico. L’incendio doloso di grandi magazzini alla fine degli anni ‘60 da parte di coloro che successivamente saranno militanti della RAF, fungeva da espressione militante di messa in discussione di una società in cui tutto – compresa la vita stessa – diventa una merce. Lo stesso dicasi per le azioni della RAF nel 1972 contro gli edifici della polizia e al grattacielo Springer di Amburgo (la RAF nacque anche per rompere il potere dei manipolatori): erano espressioni di propaganda d’azione.

Inoltre, molto più che in Italia, le loro speranze erano legate alle lotte del Viet-Cong, dei Tupamaros in Uruguay, così come delle Pantere Nere e dei Weather Underground negli Stati Uniti, dell’ANC in Sudafrica e del FPLP in Palestina. Ciò portò la RAF al dilemma strategico e cruciale di prendere le distanze dall’aspetto rivoluzionario della lotta (sull’esempio, da noi poco noto, delle Revolutionäre Zellen) e di puntare sulla lotta di liberazione e all’antimperialismo.

Dopo l’arresto dei suoi principali esponenti, nel 1973 la RAF fu sciolta. Il progetto RAF era di fatto concluso.

Fu lo Stato che, nonostante la sconfitta della RAF, condusse la guerra nelle prigioni, applicando una forma di prigionia progettata per distruggere il nemico all’interno della democrazia borghese. Sebbene non fossero più collegati a un gruppo rivoluzionario esterno dal 1973, ai prigionieri fu imposto un regime di detenzione, voluto e ordinato dall’élite al potere, che si basava sull’annientamento – sia psicologico che fisico – o sulla sottomissione (la vicenda di Holger Meins è in tal senso esemplare).

Fu proprio questa repressione (poco nota in Italia nelle sue determinazioni concrete) a portare alla rinascita della RAF. Tra il 1975 e il 1977, la RAF non aveva alcuna idea di lotta armata rivoluzionaria. Le condizioni sociali erano già cambiate. Nel 1977, non rimaneva quasi nulla delle idee radicali della rivolta del 1968, che aveva scoperto la nuda realtà di un dominio di classe che si poteva rovesciare, salvo poi trovare il modo di accomodarsi in seno al sistema, rivelando l’orientamento piccolo borghese di buona parte di quella gioventù meramente protestataria.

L’assalto all’ambasciata della Germania Ovest a Stoccolma, nel 1975, fu un tentativo di liberare i prigionieri della RAF le cui vite sembravano minacciate non solo agli occhi della “seconda” RAF, ma anche dell’intera sinistra e dell’opinione pubblica di sinistra liberale.

Nel 1975, il governo avrebbe potuto avviare trattative con il Holger Meins Commando della RAF per proteggere le vite degli ostaggi nell’ambasciata, ma Schmidt si affidava alla logica militare e a uno Stato forte (stato di emergenza), che corrispondevano a una forma di governo autoritaria e più importante persino della sopravvivenza del personale dell’ambasciata. È lo stesso atteggiamento di “fermezza” che si avrà tre anni dopo in Italia.

I diplomatici dell’ambasciata di Stoccolma non sarebbero morti, per quanto sbagliata e deplorevole fosse la loro uccisione da parte della RAF, se Schmidt e la sua squadra di crisi non fossero stati ossessionati dalla risoluzione militare del conflitto militarizzato.

Poi, nel 1977, nonostante il disastroso esito dell’Offensiva 77, lo Stato avrebbe potuto dare priorità alla vita di Hanns-Martin Schleyer, e proteggerla, avviando negoziati con i prigionieri del carcere di Stammheimer o la RAF. La squadra di gestione della crisi sacrificò uno dei loro perché ancora una volta erano disposti ad affidarsi fin dall’inizio a una soluzione puramente militare e volevano applicarla.

Schleyer era stato un membro del Partito nazista e delle Ss, il suo compito era quello di integrare l’industria della Cecoslovacchia occupata dai nazisti nell’economia di guerra tedesca, a 60 chilometri dal campo di concentramento di Theresienstadt. Fu corresponsabile del trasferimento di decine di migliaia di persone ai lavori forzati e allo sterminio nei campi di concentramento e, nel dopoguerra, divenne funzionario economico e infine presidente della Confindustria tedesca.

Anche il caso dell’assassinio di Siegfried Buback va letto in tal senso: ex nazista, come procuratore generale praticava tattiche di terrorismo di Stato contro i prigionieri. La RAF voleva porre un limite a tutto questo. Volevano porre un limite anche alla caccia all’uomo degli anni ‘70, con l’uccisione di coloro che a volte non erano nemmeno armati e persino indifesi.

Si voleva stabilire un qualche equilibrio di potere e liberare i prigionieri sottoposti a condizioni inumane (forme di isolamento e detenzione speciale ancora vigenti sia in Germania così come in Italia). Si trattava di infrangere la logica del terrorismo di Stato. Ciononostante, la RAF commise errori politici che la privarono della sua legittimità (*****). Trasferì la situazione bellica dei movimenti di liberazione anticoloniali e antimperialisti alla metropoli tedesca, dando priorità all’aspetto militare rispetto a quello politico, il che portò alla sua sconfitta.

La RAF avrebbe dovuto riconoscere, dopo la sconfitta del 1977 e l’orribile morte cui furono sottoposti i suoi membri nel carcere di Stammheim, che quella che sarebbe diventata la “politica degli omicidi” dal 1979 in poi, non avrebbe offerto alcuna prospettiva di liberazione per la situazione metropolitana, e quindi non ci si poteva aspettare alcun progresso da quella strategia.

Sarebbe stato necessario utilizzare una analisi più strutturata e precisa dello stato dello sviluppo economico sociale e delle sue prospettive a breve e medio termine, e invece quell’analisi interpretò lo sviluppo economico della transizione dal keynesismo al neoliberismo come l’economia di guerra di un sistema instabile.

Oggi, negli anni Venti del XXI secolo, mutate le coordinate politiche e sovvertite quelle geopolitiche, quell’analisi acquisterebbe più senso. Nella realtà storica di allora, il capitale globalizzato ebbe un successo inedito e ammirevole nel processo di ristrutturazione (anche ideologica). Preparò l’Unione Sovietica alla sua fine. Kohl insieme a Gorbaciov sancirono definitivamente la fine dell’esperimento socialista iniziato nel 1917 e culminato nel fallimento del socialismo stalinista.

(*) Jean-Clément Martin, Robespierre, Salerno Editrice, p. 7. Di grande interesse l’Introduzione (poco più di 6 pagine).

(**) Queste belle anime non si oppongono alla violenza in sé, ma piuttosto principalmente alla violenza che riconoscono come diretta contro sé stessi e l’élite sociale di cui fanno o credono di far parte. Sono favorevoli alla violenza perché tutto rimanga com’è.

(***) Ne esiste una raccolta anche in italiano: Stampa Alternativa, aprile 1980.

(****) Anche in Italia il Sessantotto nacque nelle scuole italiane, dove si insegnavano umbertinate sabaude, e servì se non altro (ma che lo dico a fare?) per capire che cosa era veramente successo durante il ventennio e nella resistenza e se era vero che il fascismo era stato debellato dallo Stato democratico. Si scoprì che non era vero, e se ne ebbe conferma con le stragi e le bombe. Per questo quel red block terrorizza tutt’oggi l’occidente e segnatamente l’Italia, da Repubblica (nata per reprimere) a gente come il pompiere Veltroni (solo a vederne la faccia viene il voltastomaco).

(*****) Non voglio né affermare né negare la questione della legittimità dell’omicidio di Buback o di altri, anche perché non rifletterebbe la complessità politica ed etica di quello come di altri atti. Penso che tali atti possano essere valutati solo nel contesto storico e sociale in cui sono avvenuti, nel caso di specie tale atto è nato da un tentativo disperato di autodifesa.

Nell’attentato allo Zar, alla fine del XIX secolo, il suo cocchiere morì con lui. L’autista del leader franchista spagnolo Carrero Blanco morì con lui. Eccetera. È deplorevole che muoiano anche degli innocenti – e non lo dico come una frase vuota – ma non conosco alcuna soluzione a questo problema da poter considerare corretta. È stato e sarà sempre un problema importante per tutti i tentativi rivoluzionari e per la guerra di guerriglia. A non farsi alcuno scrupolo sono comunque i responsabili – i più vari e l’elenco è lungo – di migliaia o milioni di omicidi stando seduti a una scrivania.

Della RAF, per mano della polizia e dei servizi segreti tedeschi, furono uccisi 24 membri e semplici simpatizzanti. I morti attribuiti alle azioni della RAF furono 33. La RAF si è sciolta ufficialmente nel 1998.

lunedì 20 ottobre 2025

Zelensky nel film sbagliato

 

Si potrebbe pensare che il presidente ucraino abbia partecipato a un altro incontro rispetto a ciò che ha raccontato. Nelle dichiarazioni rilasciate ieri, inizialmente riservate ma poi pubblicate oggi, Zelenskyy ha dichiarato: “Penso che il messaggio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sia stato positivo”. Ha rilasciato questa dichiarazione prima che agenzie e organi di stampa riportassero la notizia di un incontro molto teso a Washington venerdì, durante il quale Trump ha sostenuto il congelamento della guerra lungo le attuali linee del fronte.

“Che entrambi cantino vittoria, che sia la storia a decidere!”, ha scritto in seguito sul suo portale Truth Social il futuro premio Nobel per la Pace. Zelenskyy non ha ricevuto gli ambiti missili da crociera a lungo raggio Tomahawk, ma il suo corteggiamento nei confronti dell’azienda di difesa statunitense Raytheon a quanto pare ha dato i suoi frutti. L’Ucraina sta ora preparando un contratto per l'acquisto di 25 sistemi di difesa aerea Patriot dall’azienda. Il portale filogovernativo Axios ha riferito che Trump non ha fatto promesse del genere.

Nel frattempo e com’è noto, sono in corso i preparativi per un incontro tra Trump e Putin in Ungheria (il russo vi arriverà passando dalla Bulgaria). “C’è ancora molto lavoro da fare”, ha dichiarato lunedì il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa statale russa RIA, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov e il suo omologo statunitense Marco Rubio si parleranno presto al telefono. Funzionari governativi di entrambe le parti si incontreranno nei prossimi giorni. Peskov ha anche sottolineato che la Russia sta lavorando seriamente con gli Stati Uniti per un accordo di pace per l’Ucraina.

Per chi ci crede alla pace, ovviamente. Finché in Ucraina saranno al potere i nazionalisti, nessun reale accordo pace sarà possibile. Non solo, l’approccio trumpiano è stato nuovamente respinto dalla leadership dell’UE, che si è schierata apertamente a favore di Kiev nel fine settimana. L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri, l’ultra rossofoba Kaja Kallas, ha chiesto, in primo luogo, un posto al tavolo dei negoziati per l’Ucraina e l’Europa e, in secondo luogo, che la Russia fosse identificata come quella “che non vuole porre fine a questa guerra”. “Dobbiamo risvegliare il desiderio di pace anche da parte russa”, ha affermato l’ex primo ministro estone mentre indossava l’elmetto.

Intanto oggi i ministri dell’Energia dell’UE, contro i voti di Ungheria e Slovacchia, hanno approvato un divieto totale sulle importazioni di petrolio e gas dalla Russia a partire dal 2028. I burocrati ben pagati a Bruxelles, dove il freddo è un concetto sconosciuto, se ne fregano delle famiglie costrette a pagare il gas molto più caro. Questa indifferenza per le preoccupazioni della gente rafforza i “pregiudizi” degli euroscettici in giudizi fondati.

Nessuna illusione

 

La pace, la tregua, il cessate il fuoco e altre fantasiose espressioni ieri hanno avuto la loro consacrazione: le truppe con la svastica israeliana hanno massacrato 45 palestinesi a Gaza e hanno ulteriormente limitato l’invio di aiuti. Israele ha accusato Hamas di aver violato l’accordo prendendo di mira e uccidendo due soldati. Il giorno prima, sabato: “Colpito il bus su cui viaggiavano gli Abu Shaaban. Tra le vittime, sette bambini tra i cinque e gli undici anni”. E chi cazzo erano gli Abu Shaaban? Semplicemente una famiglia palestinese sterminata in un normale scontro tra un minibus e un carroarmato.

Dall’annuncio dell’accordo di “cessate il fuoco”, 97 palestinesi sono stati uccisi in 80 diverse violazioni dei termini dell’accordo da parte delle forze israeliane. Inoltre, 230 persone sono rimaste ferite in questi attacchi.

Ancora una volta, torno a ripeterlo, ha vinto Netanyahu: ha ottenuto il rilascio degli ostaggi e ora può proseguire il “lavoro sporco” nel soddisfatto silenzio di quasi tutti.

Non si parla più, come agli inizi della carneficina, dell’uccisione di “capi di Hamas”, veri o solo presunti, poiché affermarlo dopo decine di migliaia di morti sarebbe ancora più ridicolo. L’Europa e gli Stati Uniti possono continuare ad inviare armi e altro materiale per usi bellici, gli ebrei possono fregarsi le mani: è Hamas a non rispettare gli “accordi” sottoscritti.

Intanto Israele ha confiscato oltre 70 acri (28,3 ettari) di terra palestinese vicino a Nablus, nella Cisgiordania occupata, dichiarando l’area off-limits per scopi militari. Dall’inizio del 2025 sono stati emessi 53 ordini di sequestro per vari scopi militari, un pretesto per prendere il controllo delle terre palestinesi. Va avanti così da decenni.

Non c’è da farsi nessuna illusione, il progetto sionista va avanti. Ottant’anni di propaganda sionista hanno radicato l’idea che Israele è nel suo diritto di occupare e di “difendersi”.