sabato 27 gennaio 2024

Perché Netanyahu non sarà mai giudicato all'Aja

 

Tel Aviv sostiene che la Corte penale internazionale dell’Aja è un “tribunale antisemita”. Chiunque di questi tempi si opponga a ciò che sta avvenendo a Gaza è antisemita. Opporsi al sionismo è la massima espressione dell’antisemitismo. Almeno questa è l’opinione, anzi il giudizio, dei criminali del governo israeliano, dei capi delle forze armate israeliane, dei loro complici sionisti, che stanno attuando un’operazione militare che ricorda molto da vicino i misfatti della Wermacht a Varsavia.

Che Gaza sia assimilabile a un ghetto non ci sono dubbi; che la sua popolazione venga cacciata, bombardata e sterminata, è un fatto. Che questi e altri fatti alienino simpatia e vicinanza per gli ebrei è un fatto grave, le cui cause però vanno ricercate non solo nella politica di Netanyahu, ma più in generale nell’atteggiamento del sionismo verso gli arabi. I quali, sia chiaro, non sono del tutto innocenti. Così come non sono innocenti i media occidentali e il loro doppio standard, quello di utilizzare una retorica disumanizzante che è servita a giustificare la pulizia etnica dei palestinesi.

Quanto alla Corte penale internazionale dell’Aja (CPI), rientrano sotto la sua giurisdizione i crimini di guerra: genocidio, crimini contro l’umanità e atti di aggressione (quest’ultimo reato solo dal 2018), ma non c’è da farsi illusioni sulla sua indipendenza. Il tribunale permanente ha sede all’Aja, è in funzione dal 2002, gli Stati Uniti – ma non sono i soli – non riconoscono: dopo aver firmato lo Statuto di Roma che istituita la CPI, appena essa è entrata in pieni poteri gli USA hanno ufficializzato la decisione di non ratificare l’adesione (*).

Il paradosso è che gli USA, pur non aderendo alla CPI, quando fa loro comodo vi si appellano. Come quando Antony Blinken, Segretario di Stato americano, il 23 marzo 2022 rilascia un comunicato nel quale affermava: «In base alle informazioni attualmente disponibili, oggi posso annunciare che il governo degli Stati Uniti ritiene che i membri delle forze armate russe abbiano commesso crimini di guerra in Ucraina». Alle dichiarazioni di Blinken fanno eco, pochi giorni dopo, quelle del presidente Biden, che definisce Putin un “criminale di guerra” e ribadisce la necessità di raccogliere informazioni “per poter istituire un processo per crimini di guerra” nei confronti delle forze armate russe.

Bene, s’indaghi sugli eventuali crimini russi ma anche su quelli ucraini. Il Procuratore della Corte dell’Aja, Karim Khan – assistito da uno staff di circa 380 persone –, annunciava di voler aprire un’indagine in Ucraina “il più velocemente possibile” a causa dell’intensificarsi del conflitto, specificando di poter “accelerare ulteriormente le cose” se uno Stato membro gli avesse garantito il mandato per investigare. Due giorni dopo, 39 Stati membri – tra cui l’Italia – segnalava al suo Ufficio la situazione in Ucraina.

Il punto fondamentale è questo: come procede il Procuratore in simili casi? Avvia le indagini, e una volta raccolte prove sufficienti per procedere all’incriminazione, chiede ai giudici della sezione preliminare di emettere un mandato di comparizione o di arresto (se lo ritiene necessario) nei confronti del sospettato, e conduce infine l’accusa durante il dibattimento. L’articolo 63 dello Statuto di Roma prescrive che il processo non può svolgersi in absentia della presenza dell’imputato: a questo scopo la CPI si rimette all’obbligo di cooperazione che investe gli Stati membri, non beneficiando di una forza di polizia propria.

Inoltre, l’articolo 98 dello Statuto stabilisce che la CPI non può chiedere a uno Stato membro la consegna di un individuo di un Paese terzo se ciò lo porta a violare l’immunità personale e diplomatica di quel cittadino, riconosciuta dal diritto internazionale a capi di Stato o di governo, diplomatici o funzionari in missione all’estero (primo comma); oppure ad agire in maniera discordante rispetto agli obblighi stabiliti dagli accordi internazionali siglati con uno Stato terzo, in base ai quali il consenso di quest’ultimo è necessario per procedere alla consegna di un suo cittadino alla Corte (secondo comma). In termini generali: se il cittadino di un Paese che non riconosce la Corte dell’Aja viene imputato di aver commesso crimini sul territorio di uno Stato membro, che in quanto tale ha l’obbligo di cooperare con la CPI, l’articolo 98 offre la possibilità a quest’ultimo di non dare seguito all’obbligo.

Ma c’è dell’altro: per quanto riguarda il secondo comma, il testo non restringe il campo a un tipo specifico di accordo internazionale e non delimita il periodo temporale di applicazione, aprendo alla possibilità di influenzare l’azione della Corte anche con trattati successivi all’entrata in vigore dello Statuto.

In altri termini e concretamente. Per esempio gli Stati Uniti – che non riconoscono la Corte dell’Aja – a partire dal 2002 hanno siglato 93 accordi bilaterali (con altrettanti Paesi) con i quali precludono alle nazioni firmatarie dello Statuto della CPI la possibilità di consegnare personale militare, governativo o cittadini statunitensi alla CPI stessa.

Non è tutto. La possibilità per la Corte di mantenere fede al proprio obiettivo viene fortemente influenzata anche dalle decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che è un organismo politico. È previsto infatti che l’UNSC possa riferire una situazione alla CPI e richiederne l’intervento, con una risoluzione in base al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (minacce alla pace, violazioni della pace e atti di aggressione), anche nell’eventualità che il caso segnalato riguardi il territorio e i cittadini di uno Stato non membro.

Tuttavia tale potere di intervento, è limitato dal famoso diritto di veto in capo ai cinque membri permanenti – Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – che possono bloccare qualsiasi risoluzione. Va tenuto conto che Stati Uniti, Russia e Cina non riconoscono la Corte.

Pertanto, non vedremo mai un politico e militare russo, cinese e tantomeno statunitense davanti al tribunale dell’Aja. Né Netanyahu o qualsiasi altro responsabile di ciò che sta avvenendo a Gaza.

(*) Sono i tempi della guerra in Afghanistan e dell’“esportazione della democrazia” e, di lì a poco, del conflitto in Iraq. Ad agosto 2002 Bush promulga l’American Service-members Protection Act (ASPA), legge – ancora oggi in vigore – che prevede il divieto di cooperazione, di supporto finanziario e di assistenza alle indagini della CPI. Oltre ad autorizzare il presidente a usare “tutti i mezzi necessari”, inclusa la forza militare, per liberare cittadini americani o di Paesi alleati detenuti dalla Corte (definito informalmente “The Hague Invasion Act”, “Legge per l’invasione dell’Aja”! 


5 commenti:

  1. Ma comunque è una sentenza importante, non potranno più dire che è propaganda di Hamas (l'olocausto della Striscia, intendo)
    Pietro

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    1. Non è qualcosa di paragonabile alla shoah, ma senz'altro un massacro sistematico, una pulizia etnica che è uno degli obiettivi del sionismo

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    2. L'olocausto è stato evocato dal primo ministro israeliano quando si è rifatto a Giosuè e gli Amalechiti. È una delle prove portate dall'accusa a supporto dell'intenzione genocida. E a parte tutto questo è un termine tecnicamente corretto stando alla storia e ai dizionari.
      Pietro
      Ps È vero però che la shoah è stato un evento unico nella storia dell'umanità

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  2. È l'unico blog che scrive in maniera sensata della questione Israele-Palestina. Altrove sembra di leggere pura propaganda e di difesa ad oltranza di uno stato che non accetta il legittimo principio dell'autodeterminazione dei popoli.

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