giovedì 31 agosto 2023

Quelle potenti mediocrità

 

Più che di sogni, si tratta di visioni notturne. Ci vuole pazienza, quando si diventa vecchi, o si sta per diventare, i ricordi diventano quasi un’ossessione.

Non penso di avere nostalgie romantiche di un passato non troppo lontano, ma è un delitto dimenticare. Le giovani generazioni non capiscono, semplicemente non possono capire. È come se a noi, quando eravamo giovani, avessero chiesto di comprendere i patimenti della povera gente al tempo della contessa Onigo, la povertà più miserabile che per fame si nutriva non già di polenta, che in qualche modo saziava, ma di erbe di campo.

Noi già siamo cresciuti a pane e companatico, con la prima televisione, perciò come possiamo comprendere un tempo in cui quasi tutte le persone vivevano al buio, nella più stretta economia. La luce artificiale era una cosa rara, forse magica, creata per illuminare utilmente un debole cerchio attorno alla lampada che la diffondeva. Si badava alla minima spesa, la luce era una di queste (oggi non più minima!). La si spegneva quando si lasciava la stanza. La vita era lenta e il nero attirava la vita.

Al principio degli anni 1960, in un piccolo villaggio di montagna, una sera, quasi fuggendo, scoprii che in quel luogo l’elettricità non era ancora arrivata. Figuriamoci la televisione. Faceva un gran caldo, le porte e le finestre di quelle casupole erano aperte, gli abitanti radunati attorno a un lume a petrolio stavano cenando o avevano finito da poco. Sembrava un presepe, con le pecore (qui le vidi per la prima volta!) nello stazzo attiguo l’abitazione.

Rividi di passaggio quel luogo nel 2009. Irriconoscibile come quasi tutto il Veneto cementificato. Le antiche casupole ingrandite e ristrutturate più o meno con gusto, e poi fabbriche che danno lavoro e producono benessere. Quasi nascosta l’antica villa, che nei suoi anni migliori presentava due meridiane sulla facciata, delle quali però si rinviene solo traccia. Sparita la gondola (c’era!), posta sotto il portico a cinque volte e colonne binarie. Nonostante sia censita tra le ville venete, versa in cattivissime condizioni, né mancano i graffiti e altri vandalici omaggi. Evidentemente ancor oggi non c’è chi le voglia bene. Né io gliene volli, non solo a motivo della sovrastante montagna, che solo a vederla mi angosciava.

E chi mai dovrebbe prendersi cura del nostro fin troppo ampio patrimonio monumentale, forse quelle potenti mediocrità come ce ne sono tante, come ce ne sono troppe, quel potere a cui mancano sia specchi che limiti?


mercoledì 30 agosto 2023

Solo zanzare?

 

La scorsa settimana si è tenuto in Sud Africa il vertice del gruppo di paesi conosciuto con l’acronimo BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Promosso dalla Cina, il vertice BRICS ha concordato di accogliere l’adesione ad altri sei paesi – Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU) – a partire dall’inizio del prossimo anno. Questa è solo la prima fase di un’ulteriore espansione che potrebbe includere paesi come Nigeria, Messico, Venezuela e Vietnam, aumentando sostanzialmente il peso economico, già ora potenzialmente cospicuo, del blocco.

Nel promuovere l’espansione dei BRICS, la Cina ha suggerito che il blocco potrebbe diventare un contrappeso al gruppo G7 e ad altre istituzioni dominate dagli Stati Uniti come il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca mondiale (di cui la Cina fa parte).

Il 6 luglio scorso scrivevo: “Tutti i discorsi sulla la fine dell’egemonia del biglietto verde o la sua sostituzione con il renminbi cinese o una valuta BRICS, sono solo un mito”. Numeri alla mano spiegavo perché nessuna economia è attualmente in grado di coniugare i tre elementi assolutamente necessari per fare della propria moneta una moneta di riserva: la dimensione, la solvibilità e, non ultimo, la libertà finanziaria.

Su questo punto, il vertice BRICS non è arrivato a nulla. Non solo perché nessuna economia è attualmente in grado di stabilire un sistema di scambi con una moneta di riserva alternativo al dollaro, ma perché troppe cose dividono i Paesi che dovrebbero adottarlo.

India e Cina sono ai ferri corti sulle controversie sui confini, con l’India parte del Dialogo Quadrilaterale sulla Sicurezza, un patto quasi militare guidato dagli Stati Uniti rivolto contro la Cina. Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti sono tutti strettamente allineati con gli Stati Uniti. Inoltre, l’Iran e l’Arabia Saudita sono acerrimi rivali sul piano religioso e per l’influenza in Medio Oriente e hanno interrotto i rapporti diplomatici nel 2016. La Cina ha mediato il ristabilimento delle relazioni tra le due potenze mediorientali a marzo, ma funzionerà e in che modo?

Poste in luce alcune delle più evidenti divergenze tra i membri dei BRICS, resta la domanda: cosa unisce o può unire questi paesi? Questa alleanza delle cinque nazioni, alle quali se ne stanno aggregando numerose altre, assume diversi significati in rapporto all’egemonia statunitense, ma può diventare un nuovo potente attore sulla scena mondiale? In termini di popolazione, di Pil e di potenziale militare, questo arcipelago di Paesi, ma anche solo i cinque membri BRICS, mostra dei numeri che sono impressionanti, anche se ancora non eguagliano quelli delle potenze riunite sotto il gruppo G7.

La dichiarata volontà di diminuire la dipendenza dal dollaro dipende dal modo in cui Washington ha sfruttato la posizione globale della propria valuta come arma finanziaria contro i paesi presi di mira. La paura nelle capitali di tutto il mondo, comprese quelle allineate con gli Usa, è aumentata drammaticamente dopo che l’amministrazione Biden ha congelato le riserve della banca centrale russa in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina.

Anche se si arriverà, nell’immediato futuro, a un nulla di fatto per quanto riguarda l’idea di una valuta alternativa al dollaro, la strategia della Cina è quella di indebolire il dominio del dollaro Usa incoraggiando le transazioni in renminbi e con la creazione di un pool più ampio di liquidità in moneta cinese per facilitarne un utilizzo più ampio da parte di trader e investitori nei mercati dei capitali offshore; inoltre, con la creazione del sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (Cips) come rivale degli esistenti sistemi di regolamento interbancario denominati in dollari Chips e Swift; quindi il lancio di un renminbi digitale.

Possiamo considerarle tali iniziative di affrancamento dal biglietto verde come punture di zanzara, ora più fastidiose che dannose per il sistema del dollaro, e inoltre queste strategie devono affrontare ostacoli considerevoli, non ultimi lo sviluppo di turbolenze finanziarie interne in Cina e l’ovvia determinazione degli Stati Uniti a mantenere il dominio della propria moneta, senza il quale non possono vivere. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che l’aggressione economica e militare statunitense sta spingendo i Paesi a considerare lo strapotere di Washington e del dollaro come una minaccia comune.

Infine, per chi conservi un minimo di memoria storica, tale situazione ricorda in modo inquietante i blocchi economici e valutari formatisi negli anni ’30 mentre il mondo precipitava verso il secondo conflitto mondiale.

martedì 29 agosto 2023

Come in un libro scritto male

 

Me lo ricordo bene, era il tempo in cui i dinosauri giravano ancora per la terra. Fiondarmi in quella libreria era diventato un evento significativo delle mie giornate. Stava alla cassa. Certi giorni non c’era. Poteva anche darsi che le mie visite coincidessero con le sue ore di riposo o un giorno libero per comodità personale. Nessun invaghimento, un’amicizia con una persona con la quale mi piaceva parlare. Capiva di libri. Persone così speciali erano già rare allora, figuriamoci adesso.

Per esempio, prendere in giro i “classici”, i nomi famosi della letteratura, è irresistibile, ma richiede un minimo di delicatezza, presuppone che abbiamo capito di cosa stiamo parlando. Un giorno mi disse che doveva sottoporsi a un piccolo intervento, una cosina alla spalla. Non era proprio una cosa da niente, ma alla lunga superò. Dopo sette anni esatti, un nuovo ricovero prolungato, gli fecero la PET e altre cose. Era luglio quando mi presentai con due librini, uno di poesie e l’altro che non ricordo.

In quell’occasione non parlammo di libri o cose così, ma del suo ricovero e della libreria in cui lavorava. I proprietari, tra le due librerie, avevano deciso di chiudere la “nostra”, questioni di fatturato. Acquistai gli ultimi libri, compreso uno molto strano, anzi, stranissimo, con la copertina di spago intrecciato su cui fu incollata quella originale. Chissà com’era finito lì. Il libro mi è ricapitato tra le mani questa sera cercando altro.


Finalmente uscì dall’ospedale, gli telefonai a casa. Stava giocando con la sua figliola, in sedia a rotelle ma di buon umore e progettava il futuro prossimo. Ritelefonai per gli auguri di natale. Non c’era più. Come in un libro scritto male, cantava Guccini.

Semplici numeri

 

La crisi ha questo di positivo, fa chiamare le cose con il loro nome: il “mercato” non è altro che capitalismo. La globalizzazione è la mascella del capitalismo sull’umanità. E “mercati” è un altro nome per chi ha come unico obiettivo quello di fare soldi sulle spalle di coloro che la ricchezza la producono: i poveracci che sgobbano.

Il criterio per riconoscere un economista asservito ai poteri del denaro – la maggior parte lo sono – è molto semplice: basti vedere con quale sussiegoso servilismo egli pronuncia “i mercati”, come se fossero divinità superiori alle quali è necessario prostrarsi. I mercati non sono divinità superiori ma grandi gestori del capitale finanziario, il cui scopo è far fruttare questo capitale. Lo scopo nell’investire un euro o un dollaro è guadagnare poco più di un euro o di un dollaro, tutto qui. Banche e monopolisti delle bollette lo sanno bene: pochi centesimi per milioni di titoli o milioni di tartassati.

I creatori di capitale – le banche, gli hedge fund, eccetera – vogliono interessi sul capitale. Prestano a privati affinché comprino case, automobili, elettrodomestici. Quando gli indebitati si trovano nell’impossibilità di ripagare, le banche trasferiscono questi debiti ormai inesigibili agli Stati, che li riacquistano.

Il salvataggio del sistema bancario o degli altri grandi speculatori (da ultimo le banche americane e le immobiliari cinesi) è quindi un fantastico trasferimento di debiti che non valgono più nulla agli Stati, che si troveranno obbligati a rimborsarli attraverso i loro cittadini (quelli costretti a pagare le tasse). Si tratta di una semplice socializzazione delle perdite, in modo che il capitale possa sempre ricevere il suo sacro interesse.

Gli Stati hanno un debito sociale nei confronti dei loro cittadini: istruzione e sanità pubbliche, infrastrutture, pensioni, ecc. Ai mercati devono capitale e interessi. Riducono il debito sociale per pagare gli interessi ai mercati, costituiti per lo più da grandi fortune individuali. Nella lotta di classe gli Stati non possono che stare dalla parte del manico.

Per recuperare, si deve promuovere la cosiddetta “crescita”, vale a dire si deve puntare sull’aumento della produttività della forza-lavoro, ossia sull’accrescimento dello sfruttamento, delle quote di lavoro non pagato. Per farlo è anche necessario delocalizzare. Per trent’anni il capitale è riuscito a spuntare produttività sul lavoro delocalizzandosi. La deindustrializzazione per garantire rendimenti sul capitale del 10, 15 o 20%.

Quanto paga lo Stato italiano d’interessi sul debito? Quanto non riscuote in agevolazioni, fiscalizzazioni social e contributi a fondo perduto a favore dei soliti magnaschei? Quanto ci rimette con le concessioni di beni demaniali praticamente gratuite ai privati? Eccetera. Per confronto: quanto paga in stipendi pubblici e altri costi sociali? Facendo un calcolo a spanne ma assai vicino alla realtà, lo Stato dà ai parassiti, in una forma o nell’altra, più della metà di quello che spende in stipendi alle persone utili, per l’assistenza diretta al reddito dei poveri, eccetera. Non parliamo poi della spesa per armamenti che serve principalmente per ingrassare l’industria militare.

Secondo la Banca d’Italia, “nel 2020 il reddito medio delle famiglie italiane a prezzi costanti e corretto per confrontare tra loro nuclei familiari di diversa composizione, era più alto del 3,7 per cento di quello del 2016, ultimo dato disponibile, ma ancora inferiore di quasi 8 punti percentuali rispetto al picco raggiunto nel 2006”. La situazione non è di certo migliorata in questi ultimi tre anni. Eccola qui, spiegata con dei semplici numeri, la crisi dei “mercati”.

lunedì 28 agosto 2023

Anche i carcerati mangiano meglio

 

Estate rovente anche per i prezzi. C’è chi a Porto Cervo si vede chiedere 50 euro per un caffè e una bibita. Chissà cosa costano le patatine fritte e l’agnello cotto nel latte materno! Sarà meglio bere e mangiare serviti sul proprio yacht. Per chi fosse momentaneamente sprovvisto di natante, vi sono località e fornelli molto più abbordabili di quelli sardi. Posso offrire indicazioni utili al riguardo.

Per esempio: InGalera è l’unico ristorante in Italia realizzato in un carcere, aperto al pubblico sia a mezzogiorno che alla sera, in cui lavorano gli ospiti del carcere di Bollate, in cucina lo chef Davide.

Un critico gastronomico una sera cenò lì, trovò il cibo buono e osservò che “per ottenere prezzi giusti bisogna andare in galera”.

Dunque, non solo in casa dei poveri, ma anche in galera si mangia bene (4,5 stelle su 5 per TripAdvisor). Cibo preparato e servito dagli stessi detenuti, selezionati con cura, i quali riconoscono “nel food un elemento determinante per la cultura e lo sviluppo del nostro Paese”.

Diceva Feuerbach che l’uomo è ciò che mangia. Soggiungo a proposito di ministri e certi giornalisti: non sono mai stati così tanto quello che cagano.

L’idea del ristorante gestito da detenuti nacque da un’ex maestra d’asilo ed ex ristoratrice che aveva fondato un’associazione per favorire il reinserimento degli ex detenuti.

Iniziativa più che lodevole, però a mio giudizio il menù è pretenzioso, i prezzi non proprio economicissimi se una cotoletta costa come tre ore di salario minimo (semmai sarà), ma c’è anche il menù a prezzo fisso.

In questi giorni InGalera è chiuso per ferie, per cui non resta che cenare in masseria o a Montecitorio.

domenica 27 agosto 2023

La configurazione del capitalismo nell'area europea

 

Caduto il famoso “muro”, entrati nell’era della globalizzazione, la sinistra parlamentare cambiò pelle e prospettiva politica. La corrente eurocomunista, che aveva rotto con l’URSS diversi lustri prima, intendeva modernizzare l’obsoleto progetto anticapitalista attraverso la costruzione europea, che divenne sacrosanta e fine a sé stessa.

L’europeismo si trasformò rapidamente nell’unico orizzonte politico di una sinistra parlamentare che abbandonava tutto il resto, a cominciare dal suo “popolo”. Convertita al culto monetario, l’UE e l’euro divennero per l’ex sinistra obiettivo strategico, spacciando la convinzione che una moneta comune potesse garantire pace e giustizia sociale, in sostituzione delle ormai odiate “ideologie”.

Una Bad Godesberg ancora più completa e definitiva.

All’inizio l’euro sembrava avvantaggiare tutti. La Germania otteneva ciò su cui aveva puntato, ossia uno stretto controllo sull’inflazione e una valuta forte per le sue esportazioni di fascia alta; la periferia europea aveva accesso a tassi di interesse sui mercati finanziari che sfidavano ogni concorrenza (la Grecia poi pagherà lo scotto più di tutti). La feticizzazione della moneta europea prese quasi tutti.

La crisi partita nel 2008 vide il sogno europeo infrangersi sempre di più. Gli Stati e la Bce volarono in aiuto del sistema bancario: il debito privato diventava debito pubblico. Il grande capitale, non contento di aver assorbito le sue perdite sulle spalle della gente comune, vide nella “crisi del debito sovrano” l’opportunità di riconquistare i profitti pre-crollo.

I tassi debitori di Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Italia salirono alle stelle. I governi dell’Europa meridionale accettarono i memoranda di Bruxelles (prestiti contro riforme strutturali). Non potendo rilanciare l’attività economica attraverso la svalutazione monetaria, quei paesi, ai quali se ne aggiunsero altri, s’imbarcando in una svalutazione interna gelando i salari e tagliando la spesa pubblica.

La questione dell’euro venne a intersecarsi con una serie di disaccordi che da allora attraversano la sinistra cosiddetta radicale e che però diventano parole d’ordine anche della destra: la nazione, la sovranità, l’internazionalismo, il rapporto con lo Stato. Parole d’ordine che sviano dall’essenziale.

Ci fu anche chi vaneggiava un “euro democratico”, come Yanis Varoufakis, forse non percependo appieno che proprio la UE e l’euro sono forme di dominio del capitale, sono la sua costruzione istituzionale più potente e più caratteristica nello spazio continentale, parte della configurazione storica contemporanea del capitalismo nellarea europea, per dirla in termini di semplice e inconfutabile realtà.

Pertanto, immaginare un percorso riformatore e progressista in una costruzione così fondamentalmente e profondamente liberale è un’illusione: l’alternativa non è quindi lasciarla o trasformarla radicalmente, poiché politicamente e concretamente non è data alcuna possibilità di quel tipo. La Gran Bretagna ne è uscita, ma in tutt’altra situazione e senza essere mai entrata nell’euro.

L’eurozona non è trasformabile, non è possibile riportare il suo modello alla deliberazione parlamentare ordinaria. Gli orientamenti essenziali delle politiche di bilancio o il rapporto con i mercati finanziari della Bce sono esclusi di fatto dalle decisioni del parlamento europeo, che è solo un orpello elettorale. Immaginare una riforma radicale di questo tipo significherebbe snaturare la costruzione europea, le sue finalità, e non capire che vi è stata una metodica cancellazione della sovranità politica nazionale, un’impresa che è stata lungo gli anni la caratteristica più decisiva della costruzione europea.

Il grande capitale è molto contento della creazione di un grande vuoto di sovranità, dell’assenza di un potere pubblico che possa opporsi a quelli privati. Si chieda in tal senso, per citare un nome noto, ai proprietari della Exor (holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia italiana Agnelli, recita Wikipedia), e ciò vale anche per gli altri.

Questa ossessione di neutralizzare la discrezionalità sovrana è particolarmente valida nelle questioni economiche e monetarie, com’è oggi sotto gli occhi di tutti, e venne già intravista come progetto strategico negli anni Settanta, quando la sinistra liberal-comunista (non c’è da ridere) era occupata in faccende di più grande momento. Per esempio rubricare come “deliri” le analisi che evincevano chiari e netti i prodromi di una politica di neutralizzazione della politica nell’epoca eroica del rapporto Rockefeller per la Commissione Trilaterale, il quale metteva in guardia sugli svantaggi della democrazia per la condotta illuminata del sistema.

È questo avvertimento che il fondativo trattato europeo prese alla lettera: quanto sia pericoloso sottoporre alle persone cose di cui comunque non capiscono nulla (politica monetaria, di bilancio, ecc.), oppure le disposizioni in un testo costituzionale, eccetera. Meglio tenerle fuori e attraverso i media dar loro motivi di spensierata distrazione, alternati ad altri, di allarme, preoccupazione, paura, angoscia.

D’altra parte un’uscita dall’euro non è una alternativa praticabile per vie ordinarie, ossia politico-parlamentari, tantomeno per paesi come l’Italia, d’importanza strategica non solo economica. E poi è già impresa disperata recuperare il diritto di ridiscutere tutto ciò di cui ci è vietato discutere. In agosto, di domenica poi ...

sabato 26 agosto 2023

«Stiamo navigando con le stelle coperte da un cielo nuvoloso»

 

I tassi d’interesse rimarranno elevati e potrebbero essere ulteriormente alzati nonostante la riduzione dell’inflazione. Questo messaggio lanciato ieri da due dei principali banchieri centrali del mondo, Jerome Powell, padrino della Federal Reserve americana, e Christine Lagarde, madrina della Banca centrale europea, nel giorno di apertura del simposio della cupola bancaria nel covo di Jackson Hole, nel Wyoming.

Nel suo discorso programmatico, Powell ha affermato che, sebbene l’inflazione sia scesa dal suo picco, “rimane troppo alta” e dunque la Fed continuerà a mantenere una politica “restrittiva”. Naturalmente s’è guardato bene dal citare tre dei quattro maggiori fallimenti bancari nella storia degli Stati Uniti come risultato diretto degli aumenti dei tassi di interesse della Fed.

Dopo la crisi bancaria del marzo scorso, le agenzie di rating hanno abbassato il rating di numerose banche. Questa settimana Standard and Poor’s ha abbassato il rating di cinque banche regionali statunitensi, motivando “condizioni operative difficili”, in seguito alla decisione di Moody’s all’inizio di questo mese di tagliare il rating di 10 banche di medie dimensioni e di metterne altre sei sotto osservazione.

Lagarde è stata ancora più esplicita sulla questione salari: i salariati continuano a mangiare troppo e in Italia anche troppo bene. Bisogna farla finita con questa eccessiva gioia di vivere. In altri termini, mentendo spudoratamente, sostiene che i salari “continuano a inseguire i prezzi” (che poi, parliamoci chiaro, sarebbe un fatto normale in un mondo che non fosse impazzito).

Il mandato della BCE, stabilito dal Trattato di Maastricht nel 1992, è di limitare l’inflazione al 2%. Perché il 2%? Questa cifra del 2% è arbitraria e lo sanno tutti. Persino il banale Krugman dalle colonne del NYT sostiene che quel 2% è una fissazione del cazzo.

La BCE decide sovranamente il livello dei suoi tassi di interesse, che possono essere sia dello 0% che del 10% o del 15%. Questo prezzo del denaro, che è il prezzo più importante della nostra economia, è fissato, non si sa come (le deliberazioni sono segrete e lo saranno sempre) da persone di cui nessuno di noi conosce il nome (Lagarde è solo una figura di cartone), pagate profumatamente con le nostre tasse.

Puntano a una recessione “controllata”, ad un aumento della disoccupazione, a una riduzione ulteriore del potere d’acquisto. È gente fanatica, pericolosa. I tassi decisi a Francoforte orientano le nostre vite molto più di quanto si possa immaginare. Lagarde pensa che sarebbe bello causare qualche decina di migliaia di fallimenti in più e qualche milione di disoccupati in più.

Ai rappresentanti della grande ricchezza non sfugge che a causa dei contrasti geopolitici e delle nuove politiche industriali decise da Washington e imposte al “mondo libero”, il capitalismo sia entrato in una fase di massima confusione e incertezza. Ne sono consapevoli, e vogliono scaricare gli effetti delle contraddizioni del sistema sulle classi che mangiano meglio, tanto per capirci.

La minore crescita non porta minor deficit e la contrazione della domanda e dell’attività finirà per ridurre le entrate fiscali cui si farà fronte con un ulteriore aumento della pressione fiscale, alla faccia delle promesse elettorali di Meloni. In assenza di una politica economica e fiscale realmente coordinata nell’area dell’euro, non essendo possibile un deprezzamento di una propria moneta in modo da aumentare la competitività delle nostre merci e di compensare la riduzione della domanda interna, così come mantenendo un alto livello del costo del denaro, si va dritti verso una grave recessione.


venerdì 25 agosto 2023

La moda della primavera 2024

 

In attesa speranzosa di farsi acchiappare dai vip della televisione al rientro dalle loro defatiganti vacanze, tiene ancora banco il caso del generale scrittore, reso famoso per aver pubblicato un libello nel quale esprime le “sue” idee, ovvero quelle prevalenti tra i quadri organici di ogni caserma. Lo scalpore suscitato da queste “idee”, l’averle rese pubbliche, pare sia costato al generale la “rimozione” dall’incarico, altri dicono la “sospensione dal servizio”, insomma una qualche sanzione disciplinare. Pinzillacchere.

Il generale continuerà a percepire gli emolumenti spettanti, godere dei cospicui introiti derivanti dalla vendita del libro, nella speranza non vana di essere candidato alle prossime elezioni europee (nella posizione di “aspettativa”, si sa mai). Gli specialisti del settore stanno già valutando se potrebbe funzionare per un nuovo partitino adattato a tutti quelli che hanno superato il divario sinistra-destra: pensionati del pubblico impiego, piccoli imprenditori, specialisti del patrimonio immobiliare, omofobi, cattolici fondamentalisti e altro gratin deluso dalle attuali inclinazioni di Meloni. L’obiettivo sarà di catturare tutti quelli in fuga dallo stazzo elettorale.

Elettori, prestate attenzione alla moda della primavera 2024, è molto probabile che furoreggi oltre al nero anche l’amaranto della Folgore.

Che altro poteva fare un generale di divisione in simili condizioni, ossia senz’altra prospettiva di avanzamento, relegato alla scrivania di un quasi museo, senza aver nulla da perdere? Scrivere un libello militante, un ballon d’essai da lanciare nella stessa traiettoria ideologica dominate. Un libello, si badi, che avrebbe sortito un nulla di fatto se non fosse stata l’opposizione a far scoppiare il caso.

Di quale opposizione si tratta? Di quella sinistra-centro che nel corso di trent’anni, quando è stata, lungamente, al governo, ha fatto e disfatto cose di cui la destra politica può a buon titolo essere invidiosa? Oppure l’opposizione di destra, ora al governo? Quella sinistra per modo di dire e quella destra per i modi di fare che si sentono entrambe a proprio agio nella UE e nella Nato. Dunque la sinistra e la destra che accettano che il nostro paese subisca la politica economico-monetaria decisa da Bruxelles-Berlino-Parigi e che l’Italia non possa avere uno straccio di politica estera autonoma.

giovedì 24 agosto 2023

Come nella Torre di Babele

 

Come sempre il maggior indiziato, dunque il colpevole, è il maggiordomo. Mancano di fantasia, mettiamola così. L’attentato a Coligny, prodromo della notte di san Bartolomeo (24-8-1571), oppure il Watergate, non insegnano niente. La verità sta sempre in fondo a un pozzo. Vedi, ancora per dire, il caso Sacco e Vanzetti, di cui ieri cadeva l’anniversario. E più in fondo al pozzo il caso Moro. Valpreda non era forse il “mostro”? Un mostro pronto all’uso si trova sempre. Poi, se si tratta di un teppista come Putin, si passa direttamente a sentenza scolpita nel marmo.

È esclusa a priori ogni altra ipotesi su chi potrebbe avergli reso quel “favore”. “Da allora – scrive chi ha visto una scatola contenente tutti gli effetti personali di Putin depositati alla reception – ha preparato nei minimi dettagli il regolamento di conti”. E dunque aveva bisogno di far esplodere un aereo, assassinare altre nove persone per colpire un minchione come Prigozhin. L’ex moribondo Putin, scampato a letali patologie e a un tentativo di golpe, dev’essere proprio un cretino.

Dicono quelli ancora più esperti: l’ha fatto proprio per dimostrare chi comanda in Russia. Ben detto, generale Wesley Clark. Lo zar esiste e però a Mosca gestisce un garage. Non la realtà, ma il trucco di una prostituta in agosto. Di Prigozhin sappiamo tutto, e ovviamente anche del suo assassino. Di chi è morto ieri e di chi sta morendo oggi, poi di chi morirà domani in Ucraina ci fotte un cazzo. Il nostro narcisismo finisce per affogare nella causa che difendiamo.

Il mondo così com’è al momento del grande cambiamento climatico. In questi tempi sudaticci, non c’è nemmeno bisogno di un’ondata di caldo per immaginare di vivere come nella Torre di Babele, dove sentiamo tutte le lingue ma tra noi non ci sentiamo e non vediamo niente.

mercoledì 23 agosto 2023

A proposito, oggi cade il centenario

 

Questa mattina, per caso, ascoltavo Alessandro Barbero dire delle cose sugli storici rapporti tra Stati e sulla guerra in generale, quindi su quella in corso in Ucraina. Osservava il professore: si sono dimenticate le numerosissime guerre dopo il 1945 e di quest’ultima pare esista solo un aggredito e un aggressore. Barbero, nel dire queste cose, che un tempo sarebbero parse persino ovvie, non gode più delle simpatie dell’ampio parterre che qui ometto di omaggiare come meriterebbe.

La Storia è diventata una questione geostrategica, allo stesso modo del petrolio, dell’acqua, dell’uranio o delle terre rare. Una materia prima per la quale le grandi potenze si contendono sempre più ferocemente. Tanto più che è facile e allettante scrivere una storia adattata alle esigenze politiche del momento.

Per non parlare sempre dei crimini di Washington, la Turchia continua a non tollerare di essere accusata di aver sterminato il 77% degli armeni. Il re Filippo del Belgio esprime il suo rammarico per la colonizzazione belga del Congo, ma nulla di più sui circa 10 milioni di morti causati da quella occupazione. Israele non si ricorda che prima dell’arrivo dei primi migranti ebrei, alla fine del XIX secolo, in quella parte del Medio Oriente viveva un popolo arabo. E avanti così.

Quale nazione ha le mani abbastanza pulite da rivendicare il diritto di giudicare senza essere a sua volta giudicata e squalificata dalla propria storia? Nessuna. La schiavitù, ad esempio, oggi è considerata un crimine contro l’umanità, ma per molto tempo è stata una risorsa economica perfettamente accettata e integrata da tutte le società che la praticavano, negli Stati Uniti fino all’altro ieri.

Il proliferare delle controversie sulla memoria e sulle responsabilità storiche testimonia la crescente febbrilità delle nostre società, afflitte da una crescente ansia.

Questa battaglia per la memoria non si svolge solo sulla scena internazionale, ma all’interno delle nazioni stesse, con tante mini-guerre civili. Non serve che ricordi che qui da noi il 25 aprile divide ancora. Non c’è nulla da fare, il fascismo non muore e noi, né più né meno come algoritmi, ne restiamo incastrati in modalità binaria sull’antagonismo fascismo/antifascismo.

È così che la Storia stessa si è disgregata e piano piano ha assunto forme nuove. La narrativa storica, manipolata da trafficanti e truffatori della memoria, è diventata una questione politica cruciale quasi quanto l’economia. A proposito, oggi cade il centenario dell’assassinio di Giovanni Minzoni.

martedì 22 agosto 2023

L'intolleranza civilizzata

 

Non volendo occuparsi d’altro, i media stanno dando ampio risalto a un libro pubblicato da un ufficiale dell’esercito, in servizio attivo e però senza ulteriori prospettive di carriera. Il quale scrive e pubblica quello che pensa a proposito delle contraddizioni sociali del presente e di come non poche persone, non solo del suo ambiente sociale, le percepiscono e le vivono. Il tutto nella mimesi identitaria del presente, poiché in definitiva il suo è un discorso militante.

Discorso sostanzialmente identificabile con l’attuale traiettoria politica, fatto da un ufficiale generale, il che spiega lo scalpore e la polemica politica innescata da ciò che passa per opposizione, la quale cavalca qualunque cosa possa fare gioco, fosse pure una cacca di mosca. Il generale Vannacci, questo il nome dell’interessato, in cuor suo può solo ringraziare poiché vende copie a manetta di un libro altrimenti destinato largamente al nulla.

Non ho letto il libro, né lo leggerò, ma da ciò che riportano i media, pare che il generale se la prenda con quella che passa per essere l’egemonia culturale della sinistra o di certi suoi settori. Si tratta di uno stereotipo, poiché non solo non esiste più un’egemonia culturale della sinistra, ma si è estinta da tempo la sinistra. Gli attuali esponenti politici e intellettuali (ma in gran parte anche quelli pregressi) sono solo interessati alla conservazione dell’esistente, salvo qualche ritocco in tinta.

Ciò che più è detestato del dire di Vannacci è la presa di posizione a riguardo dell’omosessualità. Costui ha ben chiara la nozione di omosessualità oppure la riduce all’atto di sodomia? Un dubbio in proposito è dovuto. Per esempio, la pederastia spiega principalmente l’atto, l’omosessualità qualifica una persona. La prima rivela soprattutto la dimensione fisica di un atto che viene o veniva giudicato moralmente riprovevole, mentre la seconda comprende una dimensione psicologica e sociologica che identifica globalmente l’individuo.

Non penso si possa andare troppo sul sofisticato per tipi di caserma come Vannucci: la cara nozione di “anormale”, variamente declinato come ricchione, invertito, ecc., comporta pur sempre una carica performativa che consente la definizione e la costruzione di persone identificate e identificabili come tali.

“La categoria psicologica, psichiatrica, medica dell’omosessualità si è costituita il giorno in cui è stata caratterizzata”, scriveva Foucault. Tutti i comportamenti sociali che non rientrano nella normalità, ossia nella regola stabilita, sono visti e considerati come anormali o quantomeno stravaganti. Fino a pochi decenni or sono rientravano ufficialmente nella categoria clinica. Il militare omosessuale veniva immediatamente “riformato”.

L’omosessualità (termine recente, come quello di eterosessualità, risalente alla seconda metà del XIX sec.) era definita “il vizio vergognoso”, e in lingua inglese non aveva nome, “il delitto senza nome”! Ciò che infastidisce questa gente è che l’omosessuale non sia più una “specie” che se ne sta nascosta come un tempo in un qualche antro buio.

A livello ufficiale oggi assistiamo al fenomeno che l’intolleranza barbarica si è trasformata in intolleranza civilizzata. La destra reazionaria, ma anche parte di quella conservatrice, vorrebbe un ritorno allo stigma del passato.

Ma perché un individuo si riconosce emotivamente e sessualmente attratto da persone dello stesso sesso, quali i processi di soggettivazione? Lo studio delle modalità secondo le quali gli individui sono portati a riconoscersi come soggetti sessuali non è cosa semplice. Bisogna altresì tener conto che il cosiddetto “invertito” e il cosiddetto uomo “normale”, l’omosessuale e l’eterosessuale, non sono state invenzioni di élite ma categorie del discorso popolare prima di diventare fatto clinico, sociologico e altro.

Margherita Hack, per citare un esempio che ricordo chiaramente, definì in modo netto l’omosessualità come una “malattia”. Allora nessuno alzò sopracciglio. Frederich Engels non fu certo tenero a riguardo dello stesso tema. Insomma, nessun eterosessuale in cuor suo considera l’omosessualità come un comportamento “normale”. Ciò che conta realmente è il riconoscimento positivo del diritto di altre persone di avere “sensazioni sessuali contrarie”, come ebbe a chiamarle un medico tedesco nel 1869 (*).

L’omosessualità non è una malattia, così come non sono malattie le “anormalità” psichiche. Vi sono persone che si sentono altro rispetto al loro genere, e altre che si rapportano alla realtà in modo diverso dalla “norma”. E tuttavia ciò non esaurisce il fenomeno dell’omosessualità, e la verità del sesso e dei suoi piaceri risente oggi come ieri della politicizzazione che ne viene fatta, e dei discorsi sottoculturali come quello di Vannacci.

(*) La storia dell’omosessualità umana è lunga quanto quella della stessa umanità, tenuto conto peraltro che non esiste nella storia una sola omosessualità. Eva Cantarella, per esempio, ci ha raccontato la pedofilia nell’antichità. L’omosessualità era talvolta riprovata, ma non era un tabù. L’Historia augusta ci racconta di Tiberio e di Adriano, per non dire poi di Eliogabalo. Lo stoico imperatore Marco Aurelio, a proposito di suo padre, lo plaude per “l’aver messo fine ai rapporti erotici con i ragazzi”, eccetera.

Successivamente, nel 342, Costanzo e Costante, con una costituzione, stabilivano che gli omosessuali passivi fossero condannati alla castrazione; con il Codice Teodosiano del 438, gli omosessuali passivi venivano condannati ad essere arsi vivi; con le Istituzioni di Giustiniano del 533, venivano condannati a morte anche gli omosessuali attivi. Perché questo cambiamento, solo evoluzione della morale o anche altro? Tuttavia, tracce di omosessualità rimossa si trovano ovunque anche nella storia del cristianesimo.

Non c’era nulla di inevitabile

 

Con i processi farsa di Mosca del 1936-1938, Stalin eliminò la leadership del partito che aveva avuto ruoli di rilievo nella Rivoluzione d’Ottobre. I processi furono usati per giustificare e perpetrare il Grande Terrore del 1936-39, in cui Stalin e la GPU uccisero centinaia di migliaia di vecchi bolscevichi, scienziati, artisti, scrittori e capi militari.

Anche Trotsky, che con Lenin fu il massimo esponente del Partito e della Rivoluzione, fu condannato a morte, in contumacia. I governi dell’Europa democratica avevano sbattuto le porte in faccia all’esule Trotsky. Anche Albert Einstein si mobilitò per fargli ottenere asilo. Il 14 marzo 1929, scrisse al ministro delle finanze socialdemocratico tedesco Rudolph Hilferding, autore del celebre saggio Il capitale finanziario: “Se il signor ministro non permetterà al leone ferito Trotzki di entrare e gli darà asilo, allora [...] se non fosse ministro lo prenderei per l’orecchio”.


Trotsky trascorse un primo periodo di esilio, dal 1929 al 1933, a Büyükada, un’isola dell’arcipelago di Prinkipo, nel Mar di Marmara, in Turchia. Fu in quell’isola, non molto distante da un’altra isola, mralı, ove è detenuto da decenni Abdullah Öcalan, che Trotsky scrisse la sua autobiografia, La mia vita, e la Storia della rivoluzione russa (tradotti entrambi da Mondadori). Nel 1933 gli fu permesso di entrare in Francia, poi nel 1935 gli fu concesso l’ingresso in Norvegia, che lo deportò in Messico nel dicembre 1936.

Il terreno politico per il complotto e l’assassinio di Trotsky fu preparato da una campagna internazionale di bugie e falsificazioni architettate dagli apparati stalinisti. E da una strategia terroristica che puntava a fargli il vuoto intorno.

Nel luglio 1937 la GPU rapì e uccise Erwin Wolf, segretario politico di Trotsky. Nel settembre la GPU assassinò Ignatz Reiss, che aveva disertato dalla GPU e aveva dichiarato il suo sostegno a Trotsky. Nel febbraio 1938, la GPU uccise il figlio di Trotsky, Leon Sedov, a Parigi. Nello stesso anno, in luglio, gli agenti di Stalin rapirono Rudolf Klement, il segretario della Quarta Internazionale, il cui corpo senza testa e arti fu scoperto nella Senna.

Trotsky era tutt’altro che fatalista riguardo alla sua sicurezza fisica. I poteri degli stalinisti erano immensi, ma non c’era nulla di inevitabile nel suo assassinio avvenuto 83 anni fa nella sua abitazione, a Coyoacan, un sobborgo di Città del Messico.


lunedì 21 agosto 2023

Una dinastia inglese: tra genetica mendeliana ed evoluzione darwiniana

 

In una ricerca in Internet su Robert Chambers ci si imbatte su uno scrittore e pittore statunitense vissuto a cavallo tra il XIX e XX secolo. Su un suo precedente omonimo, nato nel 1802, non c’è apparentemente traccia. Salvo non si digiti il titolo di una sua opera: Vestiges of the Natural History of Creation. Un libro che ebbe un enorme successo quando apparve, tanto che fu una lettura perfino della regina Vittoria.

Chambers, oggi sconosciuto ai più, si adoperò in ogni modo per rimanere un autore anonimo. Perché è importante il suo libro pubblicato nel 1844? Ebbe l’intuizione dell’evoluzione, ma non la seppe spiegare. Dunque non solo Wallace e poi Darwin, ma anche Chambers. Il “clima” era maturo per questo tipo di “intuizioni”, per una svolta scientifica epocale nell’ambito della biologia (e non solo).

Il lavoro di geologi come Charles Lyell avevano notevolmente ampliato le stime per l’età della Terra e la scoperta di fossili di strane creature estinte contribuì all’idea di evoluzione. Personaggi come il naturalista francese Étienne Geoffroy Saint-Hilaire, uno dei primi sostenitori delle idee evoluzionistiche, e il suo collega, anatomista comparato e zoologo Robert Edmond Grant, ebbero un enorme impatto su Darwin e i suoi continuatori.

Questi studiosi nei loro viaggi per mare sperimentarono una gamma molto più ampia di ambienti. Il più celebre di questi viaggi è stato quello di Darwin come naturalista sulla HMS Beagle dal 1831 al 1836, dove le sue idee evolutive iniziarono a cristallizzarsi.

La questione scottante era determinare se la distribuzione di organismi e specie fosse la conseguenza di una legge naturale dell’evoluzione, e quale potesse essere quella legge. A spiegare per bene e in termini rigorosamente scientifici la faccenda fu Darwin. Per rendersene conto è sufficiente leggere il suo libro più celebre (in realtà una lettura cui s’accingono in pochi oggi), bello anche dal punto di vista stilistico.

Darwin stabilì che ogni tratto che permette a un organismo di essere migliore di un suo rivale, prevale e diventa più comune nelle generazioni successive dando gradualmente vita all’apparizione di nuove specie. Un meccanismo di cambiamento che Darwin chiamò selezione naturale.

Anche se Darwin aveva scoperto il nodo cruciale che aveva l’ambiente nel dettare il cambiamento all’interno delle specie, quello che non poteva sapere era l’enorme estensione con cui tutte le nuove forme di vita erano state influenzate dal nostro pianeta. Basti pensare, per esempio, alla deriva dei continenti.

Quanto allo sviluppo storico della teoria dell’evoluzione, due personaggi importanti furono Thomas Henry Huxley (1825-1895) e suo nipote, Julian Huxley (1887-1975), biologo, genetista e scrittore britannico. Il fratello di Julian fu Aldous Huxley, autore del famoso romanzo distopico Il mondo nuovo, pubblicato nel 1932, ma anche L’eminenza grigia (un romanzo storico che ho riletto più volte).

Il fisiologo e biofisico Andrew Huxley, fratellastro di Julian, ricevette il Premio Nobel nel 1963 per il suo lavoro sulle membrane delle cellule nervose. Dunque una vera è propria dinastia di scienziati e scrittori (il padre di Julian e di Aldous, Leonard, fu scrittore ed editore), laddove ognuno di loro e in ogni periodo ha prodotto un lavoro scientifico straordinario oppure un capolavoro letterario.

Thomas Henry Huxley nacque a Ealing, nella zona ovest di Londra. La sua famiglia era di classe medio-bassa e in seguito si trasferì a Coventry (che diventerà tristemente famosa nel 1940), un centro di tessitura della seta e produzione di nastri. Nel XIX secolo, la città era un centro del movimento cartista e dei seguaci del socialista utopista Robert Owen.

Thomas Henry non rimase immune a questa cultura cittadina, refrattaria all’ortodossia e al conservatorismo dominante. S’impose determinati rituali di autoistruzione, monumentali sotto ogni punto di vista. Si formò come medico e dal 1846 al 1850 fu assistente chirurgo durante il viaggio dello HMS Rattlesnake verso dell’Australia, segnatamente nello stretto di Torres, che separa Cape York dall’isola della Nuova Guinea.

Iniziò a considerare la questione dell’evoluzione nel 1850, dopo il suo viaggio. Questo fu un periodo di grande fermento scientifico. Sebbene TH Huxley fosse un evoluzionista convinto, non fu d’accordo con l’idea centrale della teoria di Darwin: la selezione naturale. Ne discusse direttamente con Darwin, e sebbene Huxley fosse persuaso dall’evoluzione in generale, non fu mai disposto ad accettare che questa avvenisse per mezzo della selezione naturale.

Il dibattito che seguì la pubblicazione del libro di Darwin, nel 1859, assunse aspetti di aspra polemica poiché andava a destabilizzare millenarie credenze religiose. Com’è noto, la più influente delle confutazioni rivolte a Darwin ebbe come base il lavoro del prete anglicano William Paley (1743-1805), quello della famosa analogia dell’orologiaio per dimostrare l’esistenza di Dio. I suoi seguaci erano esponenti della cosiddetta “teologia naturale”. Paley sostenne che la struttura complessa delle cose viventi e i notevoli adattamenti delle piante e degli animali richiedano un “disegnatore intelligente”.

T.H. Huxley fu ferocemente contrario a qualsiasi spiegazione religiosa dell’origine delle specie. Divenne noto come il bulldog di Darwin per la sua infaticabile difesa della teoria dell’evoluzione contro l’oscurantismo religioso (contro il vescovo Wilberforce). Huxley si adoperò di rendere la scienza accessibile alla classe operaia, pubblicando Lectures to Working Men nel 1865 e partecipando a numerose conferenze. Nel 1880 scrisse The Crayfish, con il quale spiegava i principi della zoologia presso il grande pubblico.

Negli ultimi anni della sua vita, Darwin adottò aspetti dell’evoluzione lamarckiana nelle edizioni successive di The Origin. Il naturalista francese Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) fu un evoluzionista che avanzò la teoria delle caratteristiche acquisite. Sosteneva che le caratteristiche acquisite durante la vita di un organismo potessero essere trasmesse alla generazione successiva. Questa concezione contraddiceva il lavoro precedente di Darwin.

Darwin accettò l’idea di fondere la sua concezione dell’evoluzione naturale (per adattamento) con la teoria dell’ereditarietà ampiamente sostenuta all’epoca. Questa teoria postulava che le nuove caratteristiche fossero fornite alla prole da entrambi i genitori.

Il problema per Darwin era che qualsiasi variazione prodotta come parte del processo evolutivo sarebbe stata diluita dopo la riproduzione, annullando così ogni vantaggio adattivo.

Se, nel corso del tempo evolutivo, la “diluizione” dell’ereditarietà elimina la variazione, come può operare la selezione naturale, la quale richiede assolutamente la variazione? L’incapacità di rispondere a questa domanda fu una delle cause del declino del darwinismo sul finire del XIX secolo.

Darwin e i suoi sostenitori non avevano una corretta teoria dell’ereditarietà, questo il loro problema principale. Sebbene Gregor Mendel (1822-1884), lo scienziato tedesco-ceco che scoprì le leggi dell’ereditarietà, studiasse il fenomeno ereditario (i famosi piselli) negli stessi anni in cui Darwin pubblicava i suoi lavori, i risultati della sua scoperta rimasero sconosciuti fino alla loro riscoperta all’inizio del XX secolo.

Il lavoro di Mendel fu riscoperto indipendentemente nel 1900 dal botanico olandese Hugo de Vries e dal botanico tedesco Carl Correns. Il nipote di T.H. Huxley, Julian, lavorò nella prima metà del XX secolo per risolvere la crisi dell’evoluzione darwiniana. Julian e altri studiosi misero in chiaro come la genetica mendeliana fosse collegata all’evoluzione darwiniana.

C’è sempre da imparare (o ripassare) qualcosa in attesa dell’alba.

domenica 20 agosto 2023

Non lo vedo

 

Sapete che cos’è la tokenizzazione? La nuova frontiera per mezzo della quale tra non molto diventeremo tutti dei giocatori d’azzardo senza bisogno d’intermediari. Invece del banco lotto avremo la possibilità di perdere il nostro gruzzolo con lo smart contract, a sua volta basato sul blockchain. Come scrivevo mercoledì scorso “il tecno-gergo non governa solo l’economia, ma anche il vocabolario”.

Stamane mi chiedevo fino a che punto si spingerà la speculazione, non solo quella finanziaria. Nessun ostacolo potrà arrestare l’oceano di valore fittizio la cui schiuma è data dai piccoli “risparmiatori” che sognano vincite (dubbie) e rivincite (aleatorie). Marx ha scoperto le leggi che governano il processo capitalistico, quelle stesse leggi che i preti, in tonaca o senza, chiamano “cupidigia” ed “egoismo”.

Prima della fine di questo decennio, il mondo sarà cambiato di nuovo, e non solo per via della tokenizzazione. Sommando la popolazione di Cina e India si arriva a quasi 2,9 miliardi di persone, e i volumi dei prodotti fabbricati nei due Paesi supera ormai il 40% della produzione mondiale. Sono numeri che rappresentano la realtà di oggi e annunciano quella di domani.

Nel frattempo giornali e tv ci raccontano che dobbiamo affrontare il problema del caro ombrellone e quello del prezzo esorbitante dei carburanti, il granchio blu e i conti del ristorante non saldati, perciò a noi che cosa importa di ciò che avviene in una dimensione (economica, sociale, geografica, ecc.) diversa dalla nostra? Tuttavia ciò mi ricorda qualcosa che accadde all’inizio del 2020 e che molto presto e per troppi aspetti è stato da molti dimenticato, anzi, rimosso.

Povera Italia e povera anche l’Europa, “sull’orlo della recessione”, titola oggi il quotidiano “giallo”. Le teste di cavolo di Bruxelles avevano fatto un calcolo con quattro variabili: il tasso di inflazione (meno del 3%); debito/Pil (60%); crescita (3%); deficit di bilancio (3%). Il “quadrato magico”: se la crescita è inferiore al 3%, siamo in difficoltà, se il debito è superiore al 60%, siamo ancora in difficoltà, eccetera.

Il Patto di stabilità è figlio dall’ideologia del “vincolo esterno”, espresso come il “peso della globalizzazione” (non puoi farci niente, devi partecipare alla competizione globale), a volte come “benefica concorrenza europea” (gli irlandesi non hanno l’imposta sulle società, ecc.). Il vincolo esterno impone di essere competitivi quanto gli altri, se non di più. Spazzatura dell’Agenda di Lisbona, che nel 2000 si era posta l’obiettivo di fare dell’Europa la zona più competitiva del mondo.

Come diventare più competitivi? Con la disinflazione competitiva. La dura legge di una moneta forte, inflazione zero, che grava sui costi, e in primis sul costo della forza-lavoro, “appesantisce”, “ostacola”, “gonfia” la competitività. Ricordate le omelie domenicali di Eugenio Scalfari sulla necessità di trasferire “opulenza” dalle classi lavoratrici occidentali a quelle orientali? È così che si è affermata l’idea che la protezione dei livelli salariali fosse un ostacolo al mercato.

Poi è arrivata al galoppo l’inflazione (non solo a causa del Covid), i salariati si sono trovati senza alcuna protezione, con nessun meccanismo automatico di adeguamento di salari e stipendi, e anzi con contratti di lavoro scaduti da anni e che non si sa quando e come verranno rinnovati.

Pensare di uscire dall’euro non è nelle nostre possibilità sia materiali e sia politiche; pensare di riformare questa UE significherebbe doverla raderla al suolo con tutti i suoi filistei. È questa l’unica strada, non vi sono altre opzioni. C’è e quanto è radicato e diffuso l’interesse per un simile progetto? Allo stato attuale delle cose non lo vedo proprio.

venerdì 18 agosto 2023

Passato agosto

 

Certi luoghi balneari diventano il teatro di un estetismo della vita. Ogni spiaggia ha il suo Papeete, il suo Twiga in sedicesimo, eccetera. Quelli che arrivano e siedono al tavolo, nei primi momenti sembrano come poeti in cerca d’ispirazione, ostentano la stessa strana aria assente, si guardano intorno per incontrare volti conosciuti, più ancora cercano di essere riconosciuti.

La nuova epoca ci ha aperto le braccia, e però mi vengono in mente le prime scene del film I vitelloni, uno dei pochi buoni film di Fellini, con un Sordi che non ha ancora replicato troppe volte sé stesso. Quel raduno estivo proposto dal regista, prima di un amaro inverno, dimostra che ogni epoca ha le sue superficialità, le tendenze che oggi ci seducono domani finiscono nel ridicolo.

Un crocevia di stili e di mondi che si assomigliano. Si scappa dalla spiaggia rovente per venire a sudare quello che si tracanna a prezzi non moderati. Seduta al nostro tavolo, tra gli altri, c’è Monica, “quasi pensionata” (le mancano sei anni!). Racconta il suo inferno: voleva dimostrare ai suoi genitori che non era una fallita che bazzica l’università. Ha abbandonato gli studi di lettere per lavorare come segretaria in un grande gruppo di assicurazioni, a sua volta assorbito di recente da un gruppo assicurativo ancora più grande.

Da allora muore lentamente nella sua torre climatizzata dove smista la posta, risponde a chi chiama, sostituisce le cartucce della fotocopiatrice e fa da straccio ai colleghi di più alto grado che la chiamano con un vezzeggiativo. Parla delle nuove architetture (quel genere che io definisco crudeltà architettonica e violenza urbana), sognava di fare la scrittrice, ma su questo film non dice altro.

Afferma che dove lavora, tutto sommato, si trova bene. “Vedere la città dall’alto è rassicurante”, dice convinta e affascinata dal cemento di uno dei più grandi centri economici d’Europa, la vetrina nazionale della modernità high-tech. È un posto pratico, con il centro commerciale vicino per comprare le sue piccole cose prima di rientrare a casa, dove vive sola.

Anche il suo compagno vive solo (non sono tra loro sposati, e non ho chiesto di più), lavora nel ramo assicurativo, in posizione apicale. Lui ci racconta che dal lunedì al venerdì per cenare acquista solo cibi “svelti”, insalate e alimenti che basta riscaldare. Ridendo ci dice che aziona la lavastoviglie una o due volte alla settimana. Il sabato e la domenica, invece, gli piace mangiare con gusto, nei ristoranti più scelti. Poi, in genere, vanno a ballare o frequentano luoghi dove ci si incontra tra gente che si conosce.

Poi, appunto, ad agosto, vivono un paio di settimane di tregua. Molto simpatici, sorridenti, alla mano, sembrano contenti, probabilmente lo saranno anche passato agosto.

La crisi del modello capitalistico cinese

 

Circa tre settimane fa, in una riunione del Politburo, presieduta da Xi Jinping, è stato riconosciuto che l’economia cinese sta affrontando “nuove difficoltà e sfide”. I problemi economici derivano, tra gli altri fattori, dal calo della domanda interna e da un'economia globale “cupa e complessa”.

I prezzi stanno diminuendo, aumentando la minaccia di deflazione. Le vendite al dettaglio e la produzione industriale di luglio hanno deluso le aspettative e gli investimenti nel settore immobiliare stanno precipitando.

L’indice Hang Seng della borsa di Hong Kong è sceso del 9% dall’inizio dell’anno e del 5% solo negli ultimi 5 giorni (una flessione analoga era avvenuta a giugno). Anche un altro indice azionario, chiamato CSI 300, che tiene traccia delle più grandi società quotate a Shanghai e Shenzhen, è sceso di circa il 5%. Questi dati danno l’idea che c’è burrasca nell’economia cinese, tantopiù che il secondo operatore immobiliare, Evergrande Group, ha dichiarato bancarotta presso una corte di New York. Si parla di 340 miliardi di dollari già alla fine dello scorso anno.

Non va meglio per la prima società immobiliare cinese, la Country Garden, che questo mese ha perso circa la metà del suo valore di borsa. I suoi problemi sono emersi all’inizio di agosto quando non è riuscita a pagare interessi per 22,5 milioni di dollari su due titoli per un valore nominale totale di 1 miliardo di dollari.

Poca roba, ma il fatto che la società stesse lottando solo per effettuare un pagamento degli interessi, piuttosto che il rimborso completo di un’obbligazione, è indicativo di una situazione di liquidità molto ridotta. Anche per questo colosso si parla di circa 300 miliardi di debiti.

Non va meglio per il conglomerato Zhongzhi, il cui braccio finanziario Zhongrong è uno dei maggiori operatori nel settore fiduciario cinese (quasi 3.000 miliardi di dollari). Raggruppa i risparmi di società e individui facoltosi e li utilizza per concedere prestiti e investire in materie prime, azioni, obbligazioni e proprietà immobiliari.

Il pericolo è che si verifichi un circolo vizioso negativo, con lo stress immobiliare che causa tensioni nel sistema finanziario, minando l’espansione del credito e deprimendo la crescita, il quale a sua volta aggrava il crollo del settore immobiliare. Si tratta di un rischio sistemico che produrrà conseguenze su tutta l’economia, non solo a quella cinese.

La People’s Bank of China, la banca centrale cinese, ha annunciato un taglio di 15 punti base del suo tasso d’interesse al 2,5%. Troppo poco e troppo tardi. I problemi strutturali dell’economia cinese sono quelli di una classica crisi capitalistica: i consumi interni non sostengono la crescita, aumenta la disoccupazione e il debito delle grandi società di speculazione immobiliare è diventato gigantesco e insostenibile.

La principale risposta delle autorità è stata quella di reprimere quelli che vengono visti come commenti “negativi” sullo stato dell'economia. L’Ufficio nazionale di statistica ha deciso di non pubblicare i dati sulla disoccupazione giovanile urbana, che copre la fascia di età compresa tra i 16 e i 24 anni, che ha registrato un aumento fino al record del 21,3 per cento a giugno, un raddoppio del tasso dal 2019.

I crescenti problemi che il regime deve affrontare non saranno risolti da queste misure burocratiche e poliziesche. Sono problemi radicati in condizioni oggettive, come l’esaurimento di una componente vitale della crescita economica cinese, basata su proprietà finanziate dall’espansione del credito e sullo stimolo pubblico per le infrastrutture.

Il peggio deve ancora venire.

giovedì 17 agosto 2023

L'invito

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Raccolgo l’invito, tanto più se formale, e rifletto sull’ipotesi prospettata, che in realtà è un assioma: una volta si tratta di scappati di casa, un’altra di nani da giardino, comunque un bailamme umanoide di incompetenti e analfabeti. E fin qui siamo d’accordo. Secondo Seminerio & C. si salverebbe solo il mitico Draghi, l’ultimo degli illuminati, salito al cielo per non vedere più le scelleratezze di quaggiù.

Quando avremo, semmai lo avremmo, il piacere di leggere una critica che tenga conto delle aporie, chiamiamole così per non istigare estremismi, di base di questo sconclusionato sistema? Aporie di base, ma vogliamo scherzare? Questo sistema economico è sicuramente, e lo si iscriva a bilancio di default, “il più meglio assai” di qualunque altro sistema sociale del passato, del presente e del possibile. Dunque, non ci resta che migliorarlo con ritocchi misurati e soprattutto della stessa tinta.

Questa risposta allinvito la scrivo immaginando che l’interessato, per mera curiosità, ogni tanto scenda dal podio e sbirci in mezzo a noi poveretti, e tenuto conto che il Divino è dindole iraconda, e se appena il gessetto stride sulla lavagna lancia fulmini e saette.

mercoledì 16 agosto 2023

Storia vecchia

 

Porre un minimo di legge ai salari sembra diventato un attentato contro la libera impresa. In buona sostanza il solito coro dice ai lavoratori salariati: il vostro compito non è solo quello di essere poveri e docili, ma di esserlo in modo tale da accettare qualunque condizione di sfruttamento.

Per loro niente stock option, azioni gratuite, gettoni di presenza e soprattutto paracadute d’oro (oltre il pensionamento “normale” in base allo stipendio). Nel frattempo il salario medio, tutto compreso, dei lavoratori salariati di quanto è aumentato negli ultimi vent’anni?

I grandi capi, quelli che fanno crescita esterna, cioè delocalizzano e fanno fusioni e acquisizioni, quanto hanno guadagnato mediamente? Un confronto pro capite come questo piacerebbe leggerlo in qualche “libero” giornale, blog pragmatico o twitter realista.

Fare degli operai e degli addetti ai servizi degli irresponsabili. Nove euro l’ora, vergognatevi! Non ce lo possiamo permettere, dove andrebbe a finire la redditività delle imprese? E poi senza distinguere tra chi vive al nord e chi al sud: come potremmo stimolare la mobilità con una più accentuata differenziazione dei rispettivi salari reali?

La preoccupazione comune di questa gente è fare in modo che il lavoro costi il meno possibile ai padroni. Storia vecchia.

Quanti anni a salario minimo deve lavorare uno sfigato per guadagnare quello che intasca uno sfruttatore di schiavi salariati in un anno? Non gli basterebbe una vita, spesso neanche più d’una.

Si preferisce gettare la gogna sui percettori del RdC. Ma può venire voglia di lavorare quando vedi quello che offrono a te e quegli stipendi favolosi a loro? Disparità medievali.

Perché pagare così tanto i manager? Perché sono insostituibili? Ovviamente no. Neanche Lukaku o Mancini lo sono. Forse gli stipendi sono alti a causa della concorrenza internazionale? Non fateci ridere.

Va tuttavia riconosciuto che un bravo manager è quello che sa creare le “frodi carosello”, oppure iscrivere nei bilanci di un gruppo delle passività e svalutazioni di società acquisite ad hoc, o ancora e per motivi opposti gonfiare il valore di società fantasma.

E altre truffe travestite da affare (il tecno-gergo non governa solo l’economia, ma anche il vocabolario). Del resto come spiegare che un laureato in filosofia diventi amministratore delegato di una multinazionale se non per la sua abilità nelle acrobazie societarie e finanziarie?

I signori e le signore che si alternano al governo vogliono che si lavori più a lungo per finanziare le pensioni, gli ospedali, l’assistenza sociale, insomma la spesa pubblica, compresi gli stipendi dei grandi manager. Ci vogliono soldi, tanti soldi. Devono provenire necessariamente e principalmente dai lavoratori salariati.

Lavoro, lavoro e ancora lavoro. Non si parla d’altro, oltre che di corna d’élite. La domanda è: a quali lavori, quanto pagati, con quale status? Si potrebbe aggiungere un’altra domanda, di matrice anarco-insurrezionalista, dunque pericolosa: per produrre che cosa?

Un’unica determinazione governa la testa di quella gente: assegnare agli schiavi il salario più basso possibile. Storia vecchia anche questa.

martedì 15 agosto 2023

La curiosità, il vizio

 

Un lettore mi ha chiesto a che cosa pensi durante le mie passeggiate mattutine. Beh, posso non soddisfare simili curiosità? Dopo la cena di ieri sera, in cui s’è fatto uso e abuso di cibo e alcol, questa mattina pensavo: mi limito a una tazzina di caffè, oppure le abbino anche uno yogurt? Con più ansia ancora: oggi a pranzo solo un’insalata mista, oppure le affianco un po’ di pesce surgelato? Decisioni importanti per il mio benessere. Poi, mentre imboccavo il sentiero della pineta pensavo di scrivere questa roba qua sotto. Il giorno di ferragosto è follia scrivere di queste cose, ma forse lo è sempre. Ma tant’è, il vizio dello scrivere non te lo togli facendoti una doccia.

*

C’è stato un tempo in cui tutto era più semplice. I padroni erano severi ma giusti, gli operai erano bravi lavoratori, laboriosi e non piagnucoloni per qualche lira. Tutto andava così bene che i dipendenti non avevano bisogno di scioperare per chiedere qualcosa. La legge glielo vietava e tutti erano contenti. A quel tempo, potevamo fidarci dei padroni perché volevano solo la felicità dei loro lavoratori. E i treni, notoriamente, arrivavano in orario.

Tutto sarebbe dovuto continuare così per secoli e permettere all’Italia di diventare una grande potenza, con la sua bella collezione di deserti di sabbia. Non è successo per colpa dei tedeschi, di uno di loro in particolare. Dopo questa parentesi, con il nuovo regime, l’Italia sarebbe diventata ricca e prospera. Non subito, e solo in parte. Infine, sconfitta l’ubbia del comunismo che la minacciava, abrogata la scala mobile per i lavoratori, elevato a vangelo il Libro Bianco sul mercato del lavoro, l’Italia è diventata finalmente un Paese moderno, liberato dalle inefficienze economiche e normative che ne hanno ostacolato “il pieno dispiegarsi delle sue potenzialità”.

Da decenni non facciamo altro che raccogliere le raccomandazioni di padroni ed economisti (l’antico coro), nonché quelle dell’Unione Europea sulla modernizzazione dell’organizzazione e dei rapporti di lavoro, dunque sulla “competitività e valorizzazione del capitale umano”, che si traduce in flessibilità (in entrata e in uscita) della forza-lavoro (part-time, interinale, intermittente, temporaneo, a somministrazione, a tempo determinato, a progetto, in cooperativa, eccetera, eccetera, eccetera) e in politiche per favorire la diffusione di bande di privati “polifunzionali”, nonché raccomandazioni su “coesione e dialogo sociale” (governare il conflitto tra padroni e schiavi).

Per l’evasione fiscale s’è provveduto con la creazione dei cosiddetti “paradisi” all’interno della stessa UE. Per quanto riguarda la svalutazione dei salari è bastato aderire all’euro. Per il divario tra Nord e Sud, il famoso Libro Bianco sul mercato del lavoro (2001) introduceva un’idea rivoluzionaria alla quale nessuno fino allora aveva pensato: “mobilità delle persone stimolata da una più accentuata differenziazione dei rispettivi salari reali”.

La collusione sistemica tra i circoli decisionali europei e il mondo degli affari, non meno di quella che coinvolge i governi nazionali, è cosa nota (Bruxelles è la seconda più grande concentrazione di lobbysti al mondo dopo Washington). Contrariamente a quanto pensano i complottisti, i lobbysti a nome e per conto delle multinazionali non cercano di organizzare il mondo (frega nulla), semplicemente di adattarlo ai propri migliori interessi.

Facendo leva sulle “necessarie riforme”, si sono messi sotto pressione la manodopera e i servizi pubblici. L’Italia è finita dove doveva finire: nella fogna. Sta diventando un paese sempre più sottosviluppato: lavoro precario e sfruttamento a manetta, salari di fame, senza medici e infermieri, senza taxi, senza aerei, senza una rete ferroviaria adeguata, senza speranza e senza distributori di noccioline allo sportello. Questa terra dell’abbondanza dove doveva scorrere il miele, non la vedremo mai.

Tutto ciò lo sappiamo. Era il caso di ricordarlo proprio il giorno di ferragosto? Non è colpa mia, prendetevela con quel lettore tanto curioso.

domenica 13 agosto 2023

Vite

 

Ho una vera passione per i fenomeni sociologici, specie per quelli osservabili a tarda sera e di primo mattino. In quest’ultimo caso l’arrivo ad Atene dei tanti Filippide che incontro nella mia passeggiata lungo il percorso che separa la spiaggia dalla pineta. Mi colpiscono soprattutto gli abbigliamenti. Molti quelli stravaganti, ma alcuni davvero comici. Stamani c’era un signore in maglietta e pantaloncini corti che indossava delle calze di lana grossa fin quasi alle ginocchia. Quasi tutti con il loro cellulare agganciato al braccio. Misurano il kilometraggio, la frequenza cardiaca e forse anche quella delle loro scorregge.

Che cosa passi per la testa di questa variopinta umanità proprio non so. Forse la guerra in Ucraina, le morti nelle carceri, la prossima stangata autunnale? È molto più probabile che riflettano su come fottere il prossimo tuo che ami come te stesso. Quello che so per certo è che cosa pensano gli innumerevoli cani al guinzaglio, costretti sicuramente loro malgrado a correre e sudare senza che ve ne sia valido motivo. Pensano: che vita da bestie fanno questi umani.