venerdì 12 settembre 2025

Senza limiti

 

Il proditorio attacco russo alla Polonia (non quello del settembre 1939) ha provocato lo scoperchiamento parziale di 1 (uno) tetto di lamiera ondulata di abitazione rurale provocando grande spavento negli abitanti dalla casa, i coniugi Kaminski. Per la violazione dello spazio aereo nazionale e il grave danno materiale patito, le autorità varsaviane hanno invocato l'art. 4 del Patto atlantico in prefigurazione dell'attivazione dell'art. 5 e lo scatenamento della Terza Guerra Mondiale.

C’è una domanda che dovremmo porci e che invece è ignorata o troppo sottaciuta: è ancora possibile, senza che l’umanità tutta corra serio pericolo, lasciare la decisione d’impiegare gli arsenali nucleari con un potenziale di distruzione capace di annientare il pianeta più e più volte, in mano a una catena di comando che, tra l’altro, ignoriamo in gran parte da chi sia costituita?

Tutti abbiamo in mente le immagini delle due città nipponiche colpite nell’agosto di 80 anni fa da ordigni atomici. Non abbiamo ben presente, penso, che quelle due bombe rappresentano, in rapporto alla capacità distruttiva delle armi nucleari attuali, poco più che dei grossi petardi. Oggi, un ordigno nucleare di media potenza ha capacità distruttive decine di volete superiore alla bomba di Hiroshima. Un “terzo utilizzo” di quest’arma, rappresenterebbe per il mondo un vero e proprio salto nell’ignoto.

Inoltre, il Giappone non aveva, a sua volta, la possibilità di rispondere sul piano nucleare. In ciò sta una differenza essenziale rispetto a ciò che invece potrebbe accadere attualmente in un conflitto tra potenze dotate di arsenali nucleari e adeguati vettori di lancio.

Alla fine della Guerra Fredda, la probabilità di un conflitto nucleare globale è stata considerata così bassa da non essere più oggetto di dibattito. Oggi, nonostante il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, entrato in vigore nel 2021, l’eventualità di una guerra e la banalizzazione delle armi nucleari ha preso piede nella psicologia di massa.

Sempre più si fa strada che sia possibile superare la “soglia nucleare”, e ciò è conseguenza diretta del tendenziale fallimento della deterrenza, ossia del meccanismo, non solo psicologico, che dovrebbe prevenire la guerra nucleare. Del resto, la crescente multipolarità nucleare rende la deterrenza più problematica.

Nonostante la rapidità degli sviluppi tecnologici contemporanei, non vi è alcuna prova che un altro strumento militare (mezzi ipersonici di precisione, droni, ecc.) possa sostituire le armi nucleari, che rimangono uniche per i loro effetti. Poiché coinvolge i componenti più elementari della materia, nessun’altra tecnologia nel prossimo futuro offre la stessa combinazione di distruzione istantanea su larga scala, così formidabile e prevedibile.

La guerra in Ucraina è un conflitto in atmosfera nucleare. In altre parole, se la Russia ha potuto permettersi di impegnarsi in un’operazione del genere senza timore di subire risposta diretta da parte della NATO, è perché possiede armi nucleari. E, viceversa, è perché i paesi della NATO – Stati Uniti, Francia e Regno Unito in particolare – ne sono protetti che si permettono di aiutare massicciamente l’Ucraina.

Finora le armi nucleari non sono state utilizzate semplicemente perché i protagonisti hanno evitato di mettere in discussione gli interessi più essenziali dei loro avversari. L’ascesa della Cina, quale superpotenza economica e militare, prefigura una lotta che mette in discussione gli equilibri strategici, in primo luogo il dominio statunitense e i relativi interessi vitali della potenza americana.

Un conflitto tra le grandi potenze nucleari non avrebbe, per sua logica e conseguenza intrinseca, alcun limite. Illudersi che superato il gradino nucleare si possa poi fermare

l’escalation è cosa fuori della realtà. Per farsi un’idea, peraltro approssimativa, di ciò che è accaduto sul piano della predisposizione degli armamenti nucleari penso siano utili alcuni dati, peraltro inevitabilmente parziali e tuttavia significativi di ciò che è avvenuto con gli esperimenti nucleari, per esempio, a quote elevate della nostra atmosfera.

Degli oltre 2.000 test nucleari eseguiti da Stati Uniti, URSS, Francia, Gran Bretagna e Cina tra il 1945 e il 1992, la quota statunitense è stata pari a 1.051 test. Vediamo la qualità di questi test. Innanzitutto quelli nella ionosfera e persino nella magnetosfera, a 750 chilometri di altezza.

Nell’agosto 1958 gli Stati Uniti lanciano due testate di 3,8 megatoni – per dare un ordine di grandezza, la bomba sganciata su Hiroshima era di circa 16 chilotoni, vale a dire circa 237 volte meno potente – a 43 e 77 chilometri di altitudine.

Con questa operazione viene scoperto l’effetto EMP, ossia l’impulso elettromagnetico generato dalle esplosioni nucleari ad alta quota che interferisce con i componenti elettronici, danneggiandoli.

Subito dopo si attivava l’operazione Argus, per testare l’ipotesi che un’esplosione atomica nello spazio possa creare delle cinture di Van Allen artificiali con le quali produrre degradazione delle trasmissioni radio e radar, il danneggiamento o la distruzione dei meccanismi di armamento a spoletta delle testate balistiche ICBM, e la messa in pericolo degli equipaggi dei veicoli spaziali in orbita che potrebbero entrare nella “cintura”.

Non contenti, lanciano tre razzi con tre testate da 1,7 chilotoni ciascuna, che esplodono a 160, 290 e 750 chilometri di altezza. L’ipotesi della creazione delle cinture di Van Allen artificiali di radiazioni magnetiche viene confermata.

Nel luglio 1962, una testata ben più potente, 1,45 megatoni (90 volte l’ordigno di Hiroshima), è fatta detonare a 400 chilometri di quota (operazione Dominic/Fishbowl, nell’atollo Johnston), l’esplosione distrugge temporaneamente la fascia interna di Van Allen, mentre l’onda elettromagnetica produce una tempesta magnetica che sulle isole Hawaii (a 860 miglia di distanza) danneggia tutti i sistemi elettrici ed elettronici e, unita alle polveri radioattive ad alta quota, manda fuori uso sette satelliti, che nel 1962 in orbita intorno alla Terra erano ben pochi.

All’interno della stessa operazione vengono effettuati altri cinque test nucleari, tra i quali Kingfish, 300 chilotoni lanciati a 97 chilometri di altitudine il primo novembre, che provoca l’interruzione delle comunicazioni radio sul Pacifico per tre ore.

Eccetera. Quali effetti queste esplosioni in atmosfera possono aver avuto sugli esseri umani? E, altro esempio, sul clima a breve, medio e lungo termine?

giovedì 11 settembre 2025

Ne hanno abbastanza della guerra

 

Secondo dati di Kiev, confermati degli istituti di analisi occidentali, l’esercito ucraino conta circa 800.000 effettivi. In base alla legge marziale, gli uomini di età compresa tra 25 e 60 anni possono essere arruolati nelle forze armate. Secondo gli stessi dati, circa 400.000 di questi sono al fronte. O almeno dovrebbero esserlo.

La realtà è diversa secondo quanto pubblicato dal quotidiano filogovernativo (vi sono solo quelli in Ucraina) online Ukrainska Pravda: «Dal 2022 al luglio 2025, in Ucraina sono stati aperti più di 200.000 casi per abbandono non autorizzato di ununità militare o di un luogo di servizio e più di 50.000 casi per diserzione.»

A dirlo è la Procura generale alla richiesta del Primo Ministro. Dunque, ufficialmente, più di 250.000 soldati ucraini hanno abbandonato il loro posto e se la sono squagliata. Clamoroso il caso della 155a brigata “Anna di Kiev” addestrata in Francia. Se la sono data a gambe levate in un paio di migliaia. Il comandante dell’unità, Dmytro Ryumshyn, fu arrestato dall’Ufficio investigativo statale ucraino (DBR) con l’accusa di incompetenza e negligenza.

Secondo altre fonti, i casi di allontanamento illecito e diserzione, dall’inizio del conflitto, sarebbero molti di più. I dati mensili sulle diserzioni per il 2025 oscillano tra 16.000 e 19.000 casi al mese. Nei primi sette mesi del 2025, sempre secondo la Procura, sono già stati registrati 110.511 casi.

La differenza giuridica tra “assenza senza permesso” e “diserzione” risiede nella durata dell’assenza del soldato. Generalmente, fino a una settimana di “congedo volontario” è tollerata, a condizione che il soldato si presenti successivamente alla sua unità. Almeno teoricamente, il soldato disposto a rientrare continua addirittura a ricevere la retribuzione per il “periodo di riposo”. Con questa pratica permissiva, la leadership militare ucraina tiene conto anche del fatto che non esiste un sistema di rotazione regolare tra l’impiego in prima linea e quello nelle retrovie, e che i soldati, teoricamente – quelli che sopravvivono, ovviamente – sono tenuti a prestare servizio ininterrottamente dal momento dell’arruolamento, che in casi estremi ammonta ormai a tre anni e mezzo.

L’inefficacia del sistema di “rotazione” è dovuta anche all’afflusso irregolare di riservisti nell’esercito ucraino, rendendo difficile prevedere la sostituzione. Le cifre previste di 30.000 nuove leve al mese vengono regolarmente ignorate. L’impopolarità del servizio militare tra la restante popolazione maschile si riflette indirettamente nella dinamica delle tangenti richieste alle agenzie di reclutamento militare e, almeno in parte, pagate.

Come ha recentemente scritto un soldato ucraino patriotticamente indignato di un’unità nella regione della Transcarpazia, la “tariffa” è ora di 8.000 dollari per l’assegnazione del coscritto nelle retrovie o a un’unità di sua scelta, e di 30.000 dollari per essere “riformato”.

Diserzioni e assenze non autorizzate giocano probabilmente un ruolo significativo nei drammatici resoconti dei comandanti ucraini sulla carenza di personale nelle loro unità. Senza voler minimizzare le perdite, quando fonti militari russe riportano regolarmente la morte di diverse centinaia o addirittura oltre 1.000 “combattenti ucraini”, queste cifre sono molto probabilmente esagerate.

mercoledì 10 settembre 2025

Dialettica bellica


La dialettica di ogni innovazione militare è che risolve un problema ma ne crea un altro. Il suo scopo è la distruzione, indipendentemente dai mezzi tecnici. Il drone, come nuovo dispositivo militare, lo illustra perfettamente: spesso è più economico da produrre di un missile; se viene abbattuto, la perdita è quindi inferiore; e poiché non segue traiettorie balistiche ma è controllato da un’intelligenza umana o artificiale, il suo percorso è praticamente imprevedibile.

Quando un drone viene abbattuto le leggi fisiche di gravità si applicano all’improvviso, e cade ovunque possa cadere. Anche su edifici residenziali civili che non erano previsti come bersaglio. Ancora più fatale è quando i controlli da remoto vengono interrotti dalla guerra elettronica, e il drone continua a volare per un po’, finché, com’è successo, nell’aria non c’è più un’etichetta nazionale gialla e blu, ma una bianca e rossa. E che i polacchi siano gente rissosa è ampiamente noto.

Era “intenzione russa” che i droni entrassero nello spazio aereo polacco, come ha così acutamente dedotto l’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, tale Kaja Kallas, figlia di un filonazista cacciatore di ebrei. In termini giuridici, esiste anche la categoria dell’intenzione condizionale: incidenti che di per sé non causano danni gravi, ma si verificano semplicemente nello “spazio aereo straniero”. Mosca non voleva creare crateri nei prati polacchi.

Sorge la domanda su quale interesse possa avere la Russia nell’inevitabile escalation di tensioni che tali incidenti comportano. O persino la Bielorussia, che pur l’avrebbe dopo il fallimento del cambio di regime orchestrato da Varsavia nel 2020. Rimane un terzo attore per il quale l’attuale escalation si adatta perfettamente, perché la sta comunque perseguendo: l’Ucraina.

La Russia ha accusato il governo di Varsavia di aver tentato di inventare falsi miti per inasprire il conflitto in Ucraina. Tuttavia, il ministero degli Esteri ha dichiarato di essere pronto, così come il ministero della Difesa, a collaborare con la parte polacca “per una completa chiarificazione degli eventi”. Donald Tusk ha intimato alla popolazione polacca di “credere solo alle proprie informazioni ufficiali”. Un’indicazione che ci troviamo di fronte a menzogne che piegano le travi. 

Meglio non indagare

 

In dieci anni la scuola ha perso mezzo milione di studenti. È come se in un decennio fossero spariti gli studenti di una grande regione.

Altra notizia: l’Italia ha un alto numero di adulti con un basso livello di alfabetizzazione: il 37 % di tutti gli adulti tra i 25 e i 64 anni ha competenze alfabetiche di livello 1 o inferiore, un dato superiore alla media dell’Ocse.

Il livello 1 di alfabetizzazione indica l’acquisizione di conoscenze elementari e la capacità di svolgere compiti semplici con strumenti tecnologici e navigare in modo basilare su Internet. Questo livello di alfabetizzazione, sia linguistica che digitale, è il più basilare e permette di comprendere e usare espressioni quotidiane di uso molto frequente.

Il livello 2 di alfabetizzazione indica la capacità di comprendere frasi e espressioni di uso frequente relative ad ambiti di immediata rilevanza personale e lavorativa. Nel contesto dell’alfabetizzazione digitale, il livello 2 implica l’acquisizione di competenze avanzate per interagire attivamente, comunicare e partecipare alla società dell’informazione attraverso il web.

L’individuo può capire frasi isolate ed espressioni di uso comune relative a situazioni quotidiane, come informazioni su sé stessi e la famiglia, acquisti, geografia locale e lavoro. È in grado di descrivere o presentare in modo semplice persone, situazioni di vita o di lavoro, attività quotidiane e può esprimere preferenze personali usando frasi semplici e collegate tra loro.

Si riferisce a un insieme di competenze più evolute rispetto a quelle di base, per un uso consapevole e attivo del digitale. Permette ai cittadini di sfruttare appieno il potenziale del web per informarsi e comunicare, condividere contenuti e interagire con comunità online. Include la capacità di utilizzare strumenti digitali in modo autonomo e critico, valutare le fonti e gestire la sicurezza delle informazioni online.

Ciò significa, volgendo il discorso in negativo e sorvolando sulle competenze a riguardo dell’utilizzo di strumenti digitali in modo autonomo e critico (che non è poca cosa), che quasi il 40% degli adulti (eccettuati nel computo gli over 64) non è in grado di comprendere frasi e espressioni di una qualche complessità relative ad ambiti di immediata rilevanza personale e lavorativa, così come non è capace (o non si trova a suo agio) di descrivere o presentare in modo semplice persone, situazioni di vita o di lavoro, attività quotidiane ed esprimere preferenze personali usando frasi semplici e collegate tra loro. Né di utilizzare strumenti digitali in modo autonomo e critico, valutare le fonti e gestire la sicurezza delle informazioni online.

Per popolazione adulta s’intendono persone che sono nate tutte nel dopoguerra, anzi, a partire dagli anni Sessanta, ossia nella fase più alta della storia economica e sociale di questo Paese, con livelli di scolarizzazione di massa. Quali giudizi e considerazioni trarre da questi dati? Quei giudizi e quelle considerazioni che ognuno di noi preferisce, posto che il 37% di tali opinioni verrebbe da persone, tra i 25 e i 64 anni, con un basso livello di alfabetizzazione. E per i più anziani è meglio non indagare.

martedì 9 settembre 2025

Più in alto nella futura guerra

La parata di armamenti messa in mostra a Pechino in occasione della celebrazione della vittoria contro il Giappone, alleato dei nazifascisti, è stata interpretata da molti come un’esplicita minaccia. In realtà la Cina non vuole farsi mettere sotto i piedi dai nostri amici di Washington che, tanto per mettere in chiaro su chi minaccia chi e che cosa ci aspetta, hanno cambiato nome al ministero della difesa.

È evidente che ogni parte in causa si sta preparando alla prossima guerra mondiale. Lo Spazio extra-atmosferico sarà il punto di osservazione più alto, non solo per godersi lo spettacolo. E la Luna sta più in alto ancora (vedi Programma Artemis e missione ILRS sino- russa, ovvero la capacità di proiettare colpi dalla Luna e da piattaforme collocate nel sistema solare: assicuro non si tratta di fantascienza) [*].

Lo scopo è sempre quello: poter individuare e colpire il nemico sulla superficie terrestre. Lo dimostra tutta la gestione affidata ai satelliti nella guerra in Ucraina così come nello sterminio dei palestinesi.

Non è casuale che nella cosiddetta space-economy ci siano gli stessi imprenditori del digitale. E non sono certo gli appalti e le commesse statali, i soldi pubblici, il punto centrale. È noto che economia e guerra sono sempre andate di pari passo e dunque non sorprende che lo Spazio sia stato da subito concepito come un ambiente dual use, militare e commerciale.

Le rotte che consentono uno sfruttamento efficiente e profittevole dello Spazio sono poche e fanno i conti con i pozzi gravitazionali e la meccanica orbitale. Gli “hub regionali”, ossia stazioni spaziali in grado di supportare centri manifatturieri, stoccaggio di risorse, impianti di lancio intermedi e basi militari, devono tenere in considerazione i Punti di Lagrange, che sono appena cinque.

I Punti di Lagrange sono anomalie gravitazionali dove interagiscono due campi gravitazionali (in questo caso, quello della Terra e quello della Luna); posizionandosi in orbita intorno a questi punti, un oggetto (satellite, stazione spaziale, telescopio, ecc.) resta stabile senza quasi consumare energia. La Cina nel giugno 2018 ne ha già conquistato uno, il punto L2, collocandovi un satellite in orbita che, per la prima volta, permette di mantenere comunicazioni attive e stabili tra la Terra e il versante nascosto della Luna.

La corsa allo sfruttamento dello Spazio è già iniziata e gli Stati Uniti non possono permettere alla Cina di raggiungere per prima la Luna e costruirvi la propria architettura. Se lo Spazio diventa un ambiente di sfruttamento economico e di posizionamento strategico-militare, c’è bisogno di capitali privati per sostenere gli enormi costi della corsa spaziale contro la Cina.

C’è stata una prima fase, quando la NASA aiutava le imprese a sviluppare lanciatori e navette per il trasporto di beni e astronauti in orbita terrestre bassa e l’obiettivo era il rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale (ISS); quindi una seconda fase, nella quale la NASA stipulava contratti standard, i Commercial Resupply Services (CRS), per comprare questi servizi dalle relative aziende.

Nel 2010 la NASA implementa il Commercial Crew Development, focalizzato sul trasporto di equipaggio sulla ISS, strutturato nello stesso modo: prima fase di sviluppo – costata alle casse pubbliche quasi 1,6 miliardi – poi contratti di servizio per 9,3 miliardi, che garantiscono lanci sulla ISS fino al 2030. Seguono i programmi legati alla missione per l’esplorazione lunare Artemis, con un impegno finanziario statale inizialmente previsto di 45 miliardi di dollari, poi aumentato a 93 miliardi fino al 2025 e destinato a proseguire.

Se la Luna e la space highway sono lontane – per non parlare di Marte – le orbite terrestri sono da tempo molto vicine e conquistate da più attori. Tranne una. Quella dei 31 satelliti GPS, in orbita a 20.000 km di altezza, nella zona MEO (Medium Earth Orbit), storico emblema del legame militare-commerciale dello Spazio.

Posto che lo Spazio extra-atmosferico e i satelliti hanno assunto una rilevanza primaria nella guerra del XXI secolo, la Cina che fa? L’Occidente si emoziona per le dirette televisive dalla ISS, per il ritorno degli astronauti e un po’ anche per i lanci dei razzi SpaceX. Pochi prestano attenzione all’altra stazione spaziale che orbita sulle nostre teste: quella cinese.

Tiangong-1, il prototipo interamente made in China, è stata lanciata nel settembre 2011, nel giugno 2012 è stata raggiunta dal primo equipaggio per qualche giorno, e un anno dopo dal secondo per due settimane; programmata per due anni di vita operativa, nel marzo 2016 è stata posta fuori servizio facendola deorbitare nell’aprile 2018.

La Tiangong-2 è stata attiva da settembre 2016 a luglio 2019, e visitata da due astronauti per trenta giorni. A sua volta è stata avvicendata dalla nuova Stazione spaziale Tiangong, lanciata ad aprile 2021, che compie la sua rotazione terrestre in orbita bassa ospitando, da giugno 2022, un equipaggio permanente di tre persone che possono arrivare fino a sei per 180 giorni.

Da notare che la Cina a suo tempo aveva chiesto di partecipare al progetto della ISS, ma è stata esclusa per legge dal Congresso Usa da qualsiasi progetto NASA. Dunque la Cina fa corsa a sé alla Luna (Missione Chang’e), per una propria base lunare con equipaggio permanente, in collaborazione con la Russia (Missione International Lunar Research Station), e guarda anche verso Marte (Missione Tian-wen).

In cinque lustri Pechino ha saputo costruire una propria rete satellitare, siti e veicoli di lancio, volo spaziale con equipaggio e TT&C (Telemetry, Tracking and Command), ossia la rete di collegamento tra satelliti, veicoli spaziali e stazioni a terra, il tutto con una rapidità di sviluppo da lasciare esterrefatti gli stessi Stati Uniti.

Che devono costruire la loro strategia sul nuovo fattore geopolitico fondamentale costituito dalla Cina, la maggior concentrazione economica e militare al mondo dopo gli stessi Stati Uniti. E la Cina, lo dimostra la recente parata di Pechino, sta passando da una strategia passiva ad atteggiamenti e modalità tipici di una potenza militare [**].

Non solo per terra, nel mare e nell’aria, ma dopo aver eclissato la Russia come leader spaziale, la Cina è pronta a competere con gli Stati Uniti come leader mondiale nello Spazio. Conta più di 1.060 satelliti in orbita, decine dei quali con capacità di intelligence, sorveglianza, ricognizione e molto altro. Pronta a competere anche con armi di counterspace (tra cui sistemi per la guerra elettronica (EW), armi a energia diretta (DEW) e missili antisatellite (ASAT) in grado di interrompere, danneggiare e distruggere i satelliti degli Stati Uniti e dei suoi alleati.

Dunque lo Spazio extra-atmosferico come territorio conteso tra Cina, Stati Uniti e, in terza battuta, Russia. Vista da lassù l’Ucraina è una macchia indeterminata tra i Carpazi e il Mar Nero.

[*] Il 15 ottobre 2024, l’Accademia cinese delle scienze, la China National Space Administration (CNSA) e l’Ufficio del programma spaziale con equipaggio hanno pubblicato congiuntamente il Piano nazionale di sviluppo a medio e lungo termine della scienza spaziale (2024-2050). Un programma di una complessità e ambizione scientifica e tecnologica stupefacente. La Cina condurrà esplorazioni e ricerche scientifiche di frontiera in 17 aree prioritarie e 5 temi scientifici chiave, tra cui Universo Estremo, Increspature Spazio-Tempo, Visione Panoramica Sole-Terra, Pianeti Abitabili e Scienze Biologiche e Fisiche nello Spazio.

La Cina invita i suoi omologhi nel mondo a partecipare attivamente alle missioni satellitari di scienze spaziali e ai grandi progetti scientifici internazionali, e a realizzare scambi internazionali approfonditi seguendo i principi di ampia consultazione, contributo congiunto e benefici condivisi. È prevista per il 2026 una missione spaziale congiunta Cina- ESA, denominata Solar wind Magnetosphere Ionosphere Link Explorer (SMILE).

[**] Nota curiosa: nel 2017 la Cina ha inaugurato una propria stazione per telecomunicazioni spaziali in Patagonia, e secondo l’accordo sottoscritto, l’Argentina non esercita alcun tipo di supervisione sulle attività effettuate: la stazione è pienamente sotto il controllo di Pechino. Proprio la stazione in Argentina è stata coinvolta in due missioni del programma lunare cinese: la Chang’e 4 che ha portato sulla faccia nascosta della Luna un lander e un rover robotici, e la Chang’e 5 che ha prelevato 1,7 chilogrammi di campioni. Ma di là delle singole missioni, l’obiettivo lunare della Cina non è dissimile da quello statunitense: occupare strategicamente il punto di osservazione più alto nella futura guerra.

lunedì 8 settembre 2025

Il discorso del re travicello

 

Il presidente Mattarella, davanti a un’assemblea di capitalisti e dei loro leccaculo, dice “no” allo strapotere delle multinazionali. È una posizione coraggiosa, che mi ricorda certe cose dette e scritte molto tempo fa. Appunto, cose vecchie a cui non si dava retta e anzi si irridevano come di fantasie di spostati di testa.

Veniamo all’oggi e al punto: nella logica globale di privatizzazione del mondo, la ricerca scientifica è finanziata in grandissima parte dalle multinazionali. E se essa è interamente dedicata a sviluppi tecnologici che fanno avanzare la sfera militare (internet nasce a tali scopi, ecc.), insieme ai profitti e al dominio delle imprese, perché stupirsi che quelle stesse multinazionali vogliano giocare anche un ruolo politico?

Di cosa siamo diventati testimoni? Del fatto che il progresso sociale ed umano è diventata roba d’altri tempi. Di chi è la responsabilità? Questa sarebbe stata una riflessione già meno peregrina rispetto a un monito contro il grande capitale che fagocita la politica. Sarebbe stato meno naïf, anche se ugualmente inutile, denunciare, davanti a un’assemblea compiaciuta e obsoleta, un capitalismo che s’inscrive nel postumano, nell’ibridazione uomo-macchina, nell’editing del genoma e, in una parola, nel transumanesimo (un’ideologia tecno-soluzionista quasi eugenetica), che implica un livello di disuguaglianza sociale che diventerà maggiore e peggiore di quello attuale.

Poi, a pagina 10, titolo: «Mattarella sprona l’Europa “Non cedere alle autocrazie”». Non fa nomi, ingessato nel vago, perciò penso si riferisse all’Italia, dove il governo esercita il potere esecutivo in combinazione con quello legislativo e mediatico, aspirando anche a decidere sulle inchieste giudiziarie e la nomina dei vescovi. Un Paese autocratico dove la schiavitù è regolata per contratto e dove l’uguale diritto alla salute sta diventando sempre di più il diritto alla salute di chi può pagarselo. Eccetera.

Fuori dalla sorveglianza Nato, dall’unificazione dei sistemi sociali e delle ideologie, nessun popolo ha diritto di scegliere liberamente i propri percorsi di sviluppo interno. È in questo concetto d’ordine che lor signori basano la distinzione tra “democrazie” e “autocrazie”, che diventa distinzione tra il bene e il male, come se un Netanyahu o quel Zelensky che ha fatto tabula rasa di ogni pluralismo interno non facessero parte di quest’ordine “democratico”.

A scanso di sottintesi, il presidente si riferiva alla Russia. Piaceva al tempo in cui era stata scaraventata nella privatizzazione selvaggia. È arrivato quel mostro di Putin è la musica è cambiata. Tra il 2003 e il 2007 l’economia russa cresce in media del 7% l’anno: l’esportazione di petrolio e gas porta il Paese a surplus commerciali e bilanci pubblici in avanzo. Con vantaggio anche dell’Europa.

Di tale sviluppo è l’esempio, non meramente simbolico, della NASA e Roscosmos che firmano un accordo che impegna la prima ad acquistare dalla seconda i lanci per il trasporto di equipaggi e rifornimenti sulla Stazione Spaziale Internazionale. Potrà sembrare paradossale, ma Russia diventa così l’unico Paese in grado di portare in orbita gli astronauti. Nel 2014 il bilancio Roscosmos tocca il picco con 4,2 miliardi di dollari e la Russia supera gli Stati Uniti e Cina nei lanci spaziali: 34 contro 23 e 16. Particolare attenzione è data anche allo sviluppo di GLONASS, il GPS russo.

Eh no, bisogna rimetterla in riga questa Russia. Di utili idioti alleati in Europa se ne trovano sempre a dare una mano nel momento del bisogno. E al diavolo gli avvertimenti di un Kissinger. Due visioni e due strategie dividono l’establishment americano. Vince quella di chi vuole appiccare il fuoco davanti alla tana del grande orso.

Finché dura la guerra in Ucraina, con la sua pessima gestione da parte del governo Biden, i tentativi di avvicinamento (oh, scandalo!) dall’attuale amministrazione Trump con Mosca non andranno in porto. Washington ha identificato nella Cina il proprio nemico mortale e prova strategicamente a isolarla. La domanda del secolo è: quando la Russia identificherà l’ascesa della Cina come minaccia principale? Ma con questi chiari di luna Putin e Xi saranno a lungo come due piselli in un baccello.

domenica 7 settembre 2025

"Maestro di etica e di vita"

 

“Maestro di sofisticatezza e discrezione”. “Maestro di eleganza senza tempo e visione globale”. “Maestro e guida per il design”. “Maestro di stile e creatività”. E va bene. Ma “maestro di etica e di vita” mi sembra esagerato. E poi guarda caso questi maestri di vita, celebrati dai media, sono sempre dei maschi. E almeno benestanti. Nel caso specifico il “maestro di etica e di vita” era a capo di una multinazionale che appalta a fornitori e subfornitori, per lo più cinesi, che impiegano i loro operai “in condizione di sfruttamento”.

Il mese scorso, l’autorità garante della concorrenza e del mercato ha multato Giorgio Armani per 3,5 milioni di euro perché le sue dichiarazioni sulla responsabilità etica e sociale non riflettevano le reali condizioni di lavoro presso i fornitori.

«Secondo l’autorità di regolamentazione, Giorgio Armani e la sua controllata GA Operations si sono presentati negli ultimi tre anni come esempi di sostenibilità ed etica, sia nelle loro comunicazioni pubbliche sia sul loro sito web aziendale Armani Values. Hanno sottolineato l’importanza di buone condizioni di lavoro e della sicurezza dei dipendenti come valori fondamentali del marchio.

«Nel motivare la multa, l’Antitrust ha spiegato che le due società “hanno reso dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale non veritiere, presentate in modo non chiaro, specifico, accurato e inequivocabile”. Dichiarazioni che, pur pubblicizzate dal gruppo, sarebbero in contrasto con le effettive condizioni di lavoro riscontrate presso fornitori e subfornitori artefici di larga parte della produzione di borse e accessori in pelle a marchio Armani.

«In pratica, l’attenzione alla sostenibilità sarebbe diventata uno strumento di marketing per rispondere alle crescenti aspettative dei consumatori. Dalle indagini dei carabinieri che avevano portato all’amministrazione giudiziaria, poi revocata, era emerso che le società esternalizzavano buona parte della produzione a fornitori che, a loro volta, si avvalevano di subfornitori, per lo più cinesi.

«Soprattutto questi ultimi, avevano rilevato i militari dell’Arma, impiegavano i loro operai “in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente e in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”. Le accuse, analoghe a quelle che hanno interessato altri brend della moda (Alviero Martini, Dior, Valentino), raccontavano di operai cinesi pagati meno di 5 euro l’ora per assemblare borse vendute a 75 euro ai fornitori ufficiali, che a loro volta le rivendevano alla società principale per 250 euro, fino al prezzo finale nei negozi di ben 1.800 euro.

«Infine, in un documento interno alla Giorgio Armani S.p.A. del 2024, precedente all’apertura della procedura di amministrazione giudiziaria richiesta dalla Procura della Repubblica di Milano, si afferma addirittura che “nella migliore delle situazioni riscontrate, l’ambiente di lavoro è al limite dell’accettabilità, negli altri casi, emergono forti perplessità sulla loro adeguatezza e salubrità”.»

venerdì 5 settembre 2025

Il buon senso di Trump

 

Per la Russia la presenza della Nato ai confini della Federazione è uno dei motivi scatenanti della guerra. Che cosa propongono i cosiddetti “volenterosi”? Di inviare truppe della Nato in Ucraina. Chiaro che in tal modo si verrebbe a creare una situazione di guerra aperta tra l’Europa e la Russia. Una guerra alla quale la Cina non potrà restare indifferente per ovvi motivi legati soprattutto alla propria sicurezza, nel caso la Russia dovesse perdere la guerra e il controllo del proprio territorio.

Per fortuna, al momento, i cosiddetti “volenterosi” sono sostanzialmente due: Francia e Regno Unito. Soprattutto Macron, il quale si vede sfuggire, ma mano che il tempo passa, l’occasione di passare alla storia. È un ambizioso con gravi problemi psicologici irrisolti da quando era un adolescente. È uno di quelli che sono venuti al mondo in giacca e cravatta, con un piano ben saldo in mente.

Macron è sempre stato un antipatico, e di recente lo ha ammesso: “Non sono mai stato un adolescente. Non mi piacciono gli adolescenti. Non li capisco. Mia moglie sì”. Pronunciò la frase in presenza dello scrittore Emmanuel Carrère e di altri collaboratori durante una cena. Innanzitutto, c’è da notare la laboriosa messa in scena di una simile affermazione. Una frase che si lascia apparentemente sfuggire a fine pasto, osservando l’effetto che produrrà.

Poi, Brigitte. Sappiamo che si sono conosciuti sui banchi del liceo, lei da una parte della scrivania e lui dall’altra, e potremmo pensare che dopo tanti anni di matrimonio, questo non fosse più un problema. S’è visto che non è così, lei non manca di prenderlo a schiaffi.

Macron sicuramente non ha vissuto i dubbi dell’adolescenza: le crisi d’identità, l’ansia e la sensazione di non sapere da dove cominciare. Forse non crede nemmeno all’esistenza di quest’età turbolenta. In ogni caso, non gli importa. È nato vecchio. Nel mondo di Macron, i giovani sono invisibili: non vengono interpellati, vengono disciplinati. Devono ubbidire, nel caso armarsi e partire per la guerra.

Perché è chiaro (almeno a me, scusate la presunzione) che non è sufficiente un esercito volontario, per quanto plurale nelle alleanze, quando si sfida una potenza come la Russia, esercitata alla guerra da più di tre anni. Dopo qualche migliaio di morti e feriti si avvertirà la necessità di rimpinguare i ranghi. Esattamente quello che fa l’Ucraina e la Russia, dunque non si tratta di un’ipotesi avventata.

Basta dar retta alle parole dello stesso Macron rivolte nel luglio scorso ai giovani francesi: “Avrò bisogno di voi tra due anni, tra cinque anni, tra dieci anni”. Non la Francia avrà bisogno di loro, ma lui stesso ne avrà bisogno. Sebbene Emmanuel Macron non possa ricandidarsi nel 2027, nulla gli impedisce di candidarsi nel 2032. Ma è possibile, nel suo immaginario bellico, abbia bisogno di quei giovani prima dei due anni.

Il Financial Times ha scritto che «gli Usa non intendono più finanziare programmi di addestramento ed equipaggiamento per le forze armate nei paesi dell’Europa orientale che si troverebbero in prima linea in un eventuale conflitto con la Russia». Vuoi vedere che Trump ha più buon senso della schiuma bellicista europea? Magari tra una settimana ci smentirà.

giovedì 4 settembre 2025

L'utopia a portata di mano

La storia non si fa con i “se”. Tuttavia i “se” possono aiutare la comprensione dei fatti storici. Per esempio: se allo scioglimento del patto di Varsavia fosse corrisposto lo scioglimento della Nato, molte cose oggi sarebbero sicuramente diverse. Nel dettaglio: i fascisti ucraini non avrebbero trovato la sponda della Nato per instaurare il loro regime, quindi non ci sarebbe stata l’invasione russa, i gasdotti funzionerebbero a pieno regime, la nostra bolletta energetica sarebbe molto più leggera e i nostri rapporti commerciali con la Russia sarebbero ottimi e in espansione. La prova di ciò non l’abbiamo e però non si tratta di una ipotesi strampalata.

Pertanto, la prima fonte dei nostri guai, e non solo dei nostri, riguarda il fatto che l’Europa è rimasta prigioniera dell’ideologia della guerra fredda, vale a dire degli interessi geopolitici statunitensi. Il primo dei quali è: dividere l’Europa dalla Russia, creando un antagonista che ci tenga “occupati” militarmente ma anche economicamente e finanziariamente. Da ciò trae forza Washington, che non disdegna poi di metterci dei dazi senza che la UE possa alzare paglia.

Quanto al fatto che la Russia non sia un paese democratico, sul tema ci sarebbe molto da dire. È un paese democratico a modo suo, come noi lo siamo a modo nostro. Alcuni giorni fa, leggevo sulla Izvestija un articolo molto dettagliato e di grave preoccupazione sullo stato della redditività nell’industria russa. Un reportage del genere non vedrebbe la luce sui giornali padronali italiani. Questo esempio, non significa ancora nulla, ma può offrire un’idea sui nostri preconcetti a riguardo della libertà di stampa in Russia.

Quanto al funzionamento dell’amministrazione della giustizia in Russia, non sono molto ottimista, ma pensando all’amministrazione della giustizia in Italia non mi sentirei di scagliare la prima pietra. E così di seguito. Non per questo ho l’ambizione di stabilirmi in Russia, non solo per ragioni climatiche ma anche per altri, spero intuibili, motivi. Potrei scegliere di andare ad abitare nel meridione d’Italia, dove il clima è l’aria che si respira (intendo quella atmosferica) è sicuramente migliore di dove vivo oggi. Tuttavia, nessuno me ne voglia, questa opzione la devo scartare per motivi molto seri e che tutti conosciamo e che non riguardano il traffico automobilistico.

Le isole felici non esistono nemmeno più in letteratura e fanno fatica anche nei miei sogni. La Russia è quella che è e noi siamo quello che siamo, ognuno con le proprie caratteristiche la propria storia. Hanno i loro problemi e noi i nostri, tanto per dirla banalmente. I discorsi sulla libertà e la democrazia sono solo un pretesto per nascondere interessi (vedi i nostri rapporti con le petromonarchie). Che poi non sono gli interessi dei popoli ma solo delle élite.

In Russia non esistono più i Gulag, mentre noi cerchiamo di installarne qualcuno in Albania e altrove. La situazione delle loro carceri non è in generale un modello da imitare, ma nemmeno le prigioni italiane sono un vanto, tutt’altro, per non dire di quelle americane e non mi riferisco a Guantanamo.

Con ciò non voglio convincere nessuno (ci mancherebbe prendersi una briga del genere) sulla bontà della situazione politica e sociale in Russia, ma non vedo il motivo di tanti preconcetti e perché la più importante area economica del mondo debba scegliere di stare con una parte invece che con un’altra quando si potrebbe trovare un accordo con entrambe e vantaggioso per tutti.

Più che di un nuovo manifesto di Ventotene avremmo bisogno di un accordo di Strombolicchio.

mercoledì 3 settembre 2025

In guerra come si può

Laminatoio presso l’acciaieria di Magnitogorsk, 10 giugno 2025.

Siamo passati da: “la Russia fallirà domani”, al nuovo dogma: “il drago cinese s’inchiappetta l’orso russo”. Come in tutte le cose di questo mondo, che non sono mai semplici e lineari, sarchiando in questo nuovo terreno dogmatico si può trovare uno strato di verità.

È un fatto che la Russia dipende dalle sue esportazioni di idrocarburi, come un Kuwait qualsiasi, o quasi. Così come l’Italia dipende dalle sue esportazioni meccaniche, agro-alimentari, della moda, quindi dal turismo e altro. In modo non molto dissimile anche la Francia campa così. Gli Stati Uniti fanno eccezione: detengono il monopolio della moneta di scambio internazionale, di internet e dell’ideologia dominante.

La Russia, al contrario per esempio dell’Italia e della Francia, e al momento anche degli Stati Uniti, è un paese in guerra da tre anni e mezzo. È leader mondiale nell’esportazione e nella produzione di gas naturale e petrolio, possiede anche giacimenti di carbone, metalli e altre materie prime; tuttavia, essendo sottoposta a sanzioni economiche e finanziarie da parte dal suo tradizionale nemico, gli Stati Uniti, e dunque anche da parte dei satelliti di Washington, si trova a dover fronteggiare una situazione non facile per la sua economia: la crescita sta rallentando e il deficit di bilancio è in aumento.

A luglio, il Fondo Monetario Internazionale ha ridotto le previsioni di crescita del Paese dall’1,5% allo 0,9% per il 2025. Si tratta di un dato ben lontano dagli sbalorditivi tassi di crescita del 4% raggiunti nel 2023 e nel 2024, quando lo Stato aveva dedicato tutte le sue risorse finanziarie alla guerra (Le Monde).

Per la zona euro, la crescita prevista è dello 0,9%, anch’essa simile a quella del 2024 e a quella prevista per quest’anno in Russia. Quella dell’Italia si aggira generalmente attorno allo 0,5% - 0,7% (stima Istat e FMI), ma è noto che l’Italia è in guerra dal 1940.

Nel 2021, prima dell’escalation del conflitto tra Russia e Ucraina, la Russia ha importato 821 prodotti a duplice uso dai paesi che hanno imposto le sanzioni, 403 dei quali provenivano principalmente dall’Unione Europea. Questo elenco includeva beni di consumo come droni, prodotti intermedi come microprocessori e apparecchiature avanzate come termocamere e sistemi radar. Le importazioni russe di questi prodotti erano concentrate principalmente nei settori dei macchinari, della chimica e dei metalli.

Più in generale, nel 2021, l’Unione Europea (fornitore essenziale) e la Cina erano i due principali fornitori di beni a duplice uso alla Russia in ciascun settore. Con la guerra e le sanzioni a chi altri poteva rivolgersi Mosca se non ai Paesi che non le sono ostili?

Innanzitutto un dato, tenendo sempre conto che la Russia è un paese in guerra non solo contro l’Ucraina, cosa di non molto conto, ma con l’intera Alleanza Atlantica: le importazioni russe di questi prodotti a duplice uso sono aumentate fortemente tra il 2021 e il 2023, passando da 37,8 miliardi di dollari a 52,9 miliardi di dollari, con un incremento del 40%.

Non solo i prodotti a duplice uso sono particolarmente colpiti dalle restrizioni all’esportazione, ma le sanzioni finanziarie hanno reso più complessi gli scambi commerciali con l'Unione Europea in generale. Pertanto, le importazioni russe di prodotti a duplice uso dall’Unione non sono cessate del tutto, ma sono diminuite del 35% tra il 2021 e il 2023. Di fronte a questo shock, la Russia ha dovuto adeguare le proprie importazioni, rendendole più concentrate e quindi più dipendenti dai suoi nuovi fornitori.

Le importazioni dall’Unione Europea, che rappresentavano il 42% delle importazioni russe di beni a duplice uso prima della guerra, sono state sostituite da quelle provenienti da altri paesi (Cina, Turchia, ecc.). Pertanto, la quota delle importazioni russe di tali beni dalla Cina è più che raddoppiata, passando dal 30,2% nel 2021 al 66% nel 2023.

Oggi, le importazioni russe di beni a duplice uso dipendono quindi principalmente dalle forniture cinesi. E però c’è un altro dato di cui tener conto: a causa del calo delle importazioni di veicoli in Russia (saturazione del mercato) e del calo delle esportazioni di petrolio in Cina, i volumi degli scambi commerciali sono diminuiti dell’8,1% su base annua tra gennaio e luglio 2025, secondo i dati doganali cinesi pubblicati la scorsa settimana. Questi cali sono stati compensati da un forte incremento delle esportazioni russe di alluminio, rame e nichel.

Sebbene ridotte, le quote di altri fornitori come Turchia e Hong Kong sono aumentate considerevolmente dall’inizio della guerra, passando rispettivamente dall’1,78% e dal 2,8% nel 2021 al 4,8% e al 4,2% nel 2023. Percentuali comunque assai basse.

È dunque questa la situazione che evoca gridolini orgiastici presso i nostri soliti maître à penser della fellatio liberista. Con un’economia circa nove volte più grande di quella russa, non ci sono dubbi su chi domini le relazioni Russia-Cina, cosa che Mosca riconosce. Tra non molto ci sarà da considerare chi domina l’economia europea!

Questo riorientamento delle forniture di beni a duplice uso dimostra invece la capacità della Russia di adattarsi utilizzando nuove reti per aggirare le restrizioni commerciali. Va inoltre tenuto conto che l’aumento del valore delle importazioni russe potrebbe derivare da un aumento dei prezzi dei beni importati, e dunque per distinguere tra effetti di prezzo e quantità è necessario calcolare un tasso di compensazione per ciascun prodotto a duplice uso.

Questo tasso confronta la riduzione delle importazioni dai paesi che impongono sanzioni con l’aumento delle importazioni da altri paesi. Nel 2021, dei 600 prodotti importati principalmente dai paesi che impongono sanzioni alla Russia, 474 hanno visto il loro commercio diminuire (qualcuno in Italia se n’è accorto). Di questi, 154 sono stati interamente compensati da paesi che non hanno partecipato alle sanzioni, di cui 64 esclusivamente dalle esportazioni cinesi.

Settori strategici come i reattori nucleari, i macchinari e le apparecchiature elettriche e gli strumenti ottici mostrano tassi di compensazione particolarmente elevati: oltre un terzo delle forniture russe è stato completamente compensato in questi tre settori.

Sorprendentemente, nonostante l’attenzione prestata dai paesi occidentali alla cinquantina di prodotti utilizzati dall’esercito russo sul campo di battaglia in Ucraina, solo 31 hanno registrato un calo dei loro volumi di esportazione dai paesi che hanno imposto sanzioni. Di questi prodotti, 18 sono stati completamente compensati da altri paesi.

L’imposizione di restrizioni all’esportazione da parte dell’Unione Europea e di altri fornitori russi ha portato allo sviluppo di flussi commerciali volti ad aggirare il regime sanzionatorio. Alcuni paesi come Turchia, Armenia e Azerbaigian hanno consentito la spedizione di prodotti a duplice uso provenienti da paesi che applicano sanzioni sul mercato russo.

Per esempio gli ausili alla radionavigazione, un prodotto a duplice uso con numerose applicazioni militari, è emblematico. Mentre le esportazioni turche di questo prodotto verso la Russia erano quasi nulle prima della guerra, sono aumentate esponenzialmente (del 936%) a partire dal 2023, in concomitanza con un aumento delle importazioni turche dai paesi che impongono sanzioni.

Questo fenomeno è lungi dall’essere limitato a pochi casi aneddotici. Se consideriamo come riesportato un prodotto il cui aumento delle esportazioni verso la Russia rappresenta almeno la metà dell’aumento delle importazioni dai paesi che impongono sanzioni, quasi un quarto delle esportazioni turche verso la Russia è costituito da prodotti riesportati. Questa quota è significativa anche per altri paesi come Armenia (90%), Uzbekistan (74%) e Azerbaigian (66%).

Le sanzioni occidentali hanno tuttavia raggiunto un loro obiettivo, rendendo l’approvvigionamento dalla Russia non solo più difficile ma anche a volte più costoso e in certi casi anche di qualità inferiore. In guerra ci si arrangia come si può.

La soluzione di ogni problema

 

Ci sono due modi d’approcciare le innovazioni tecnologiche: abbracciarle con tutto il cuore o impuntarsi con tutte le proprie forze per illudersi di restarne fuori. Quindi, alcuni di noi le guarderanno per il resto della vita come fossero degli idioti davanti a un video su TikTok, e altri invece preferiranno stracciare la propria carta di credito piuttosto che abbonarsi a Netflix e simili.

C’è anche una terza opzione, più sfumata, di compromesso e più facile a dirsi che a farsi: sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie cercando, per quanto possibile, di non diventarne degli schiavi compulsivi.

Ci sarà sicuramente qualcuno (io, per esempio) che si rifiuta di rinunciare al proprio telefono fisso (finché dura il collegamento col Kremlino), pur maneggiando da mane a sera il cellulare. Ci viene chiesto lo spid o simili per tutte le nostre procedure amministrative (per sapere in tempo reale il pH delle mie urine, per esempio). Alcuni, specie i molto anziani, non ne capiscono niente e non hanno nemmeno un computer? Non è un problema in capo a chi decide di queste cose, è un problema che ricade sugli anziani stessi e preferibilmente sui loro congiunti più giovani (ne siamo entusiasti).

La tecnologia digitale si è insinuata furtivamente, peggio di un’invasione di cimici, e quel che è peggio è che, per quanto tu ti impegni, arriverà inevitabilmente il giorno in cui dovrai cedere a un corriere troppo zelante che ti chiederà un selfie per consegnarti un pacco raccomandato.

Certo, il digitale è fantastico, cambia la vita, e poi Amazon è davvero pratico, no? Acquisto un libro usato da un libraio di Vattelapesca e due giorni dopo lo sto già leggendo. E poi ancora più fantastica è arrivata l’intelligenza artificiale. A differenza di Internet, che ha lasciato il segno lentamente ma inesorabilmente, l’intelligenza artificiale, per chi se ne intende, è arrivata nelle nostre vite con la potenza di un bulldozer.

In uno schiocco di dita, le élite tecnologiche sono riuscite a diffondere la loro nuova creatura in tutto il pianeta. E come possiamo evitare qualcosa che ci viene imposto ovunque? Nei chatbot, sui social network, a scuola, nelle aziende. Su Google, che sorpresa. Digiti qualunque cosa, per esempio: “come si stura un lavandino?”, ed ecco che t’arriva la voce di un idraulico. Anche lui lavora in nero come un idraulico umano.

Ieri ho chiesto una cosa sulla rivoluzione francese e subito Google mi ha servito una torta Marie-Antoinette alla crema chantilly guarnita di bignè. È impossibile sfuggire a qualcosa che i geni del business si sono affrettati a etichettare come una “soluzione”. Soluzione a che cosa? A tutto, ovviamente! Riscaldamento globale? L’intelligenza artificiale troverà la soluzione. Ho cercato: “legislazione sulle successioni ereditarie rivoluzione francese”. Risultato: tutto apparentemente giusto, per chi si accontenta. Però parla di “libertà di testamento” e altri truismi. Col cavolo. Ho dovuto fare da me (*).

Solitudine? Basta parlare con un’intelligenza artificiale, come quel tizio nella telenovela Un posto al sole (questa mi è stata raccontata lunedì sera!). Quello che originariamente doveva essere solo uno strumento e un valido aiuto per determinati compiti si è rapidamente trasformato in un fine in sé. I geni che ci hanno venduto questo progresso sono, ovviamente, gli stessi che ignorano il danno ecologico, psicologico e molto altro ancora.

Ovviamente non parlano dei disturbi psicologici indotti da ChatGPT e simili, che hanno già causato anche dei suicidi, e ancor meno della standardizzazione del pensiero delle giovani generazioni e di quelle future, incapaci di formulare altro nella loro testa se non una domanda. Il tempo lo confermerà, abbiamo affrontato il problema dalla prospettiva sbagliata: l’intelligenza artificiale non è una soluzione, ma piuttosto l’inizio dei problemi.

(*) «I rivoluzionari non dimostrarono molta simpatia per la libertà di fare testamento. Mirabeau si oppose inutilmente al mantenimento dei testamenti e non riuscì ad ottenere la loro soppressione. Mirabeau considerava anormale che un uomo potesse disporre dei suoi beni dopo la morte, un figliol prodigo dissipato. Robespierre condivideva il suo punto di vista. La Convenzione lo seguì, considerano non valide le clausole imperative o proibitive dei testamenti, soppresse la facoltà di fare testamento, tranne per somme irrisorie e destinate a persone non appartenenti alla famiglia dell’autore del testamento» (Dizionario storico della Rivoluzione francese, Ponte alle Grazie, p. 899).

«La Costituente sopprime il sistema familiare dell’ancien régime e decide che tutti gli eredi dello stesso grado avranno lo stesso diritto di successione, abolendo così il diritto di primogenitura e concedendo ai bastardi riconosciuti dai genitori il diritto di ottenere la loro parte di eredità. Le sostituzioni e i maggioraschi sono soppressi e le donazioni tra vivi limitate. Il diritto di testamento è riservato ai non eredi, e limitato a somme irrisorie. La legislazione rivoluzionaria mirava così a spezzettare la proprietà e a pareggiare il più possibile i redditi» (ibidem, p. 888).

Vedi anche qua.

martedì 2 settembre 2025

Quando la Russia fallirà


Ci è stato raccontato che la Russia era prossima al default nel 2023, poi nel 2024 e ancora nel 2025. Sicuramente lo sarà nel 2026, o al più tardi nel 2027. Del resto anche Putin è moribondo a causa delle più svariate e gravi patologie. Con questo non voglio dire che Mosca se la passi bene.

Qualcuno che crede di essere spiritoso e di sapere come funziona il capitalismo, sostiene che per mettere in ginocchio la Russia è sufficiente tagliargli le esportazioni di idrocarburi. Anche dei carboidrati, soggiungo.

A chi vende Mosca il proprio gas e petrolio? Praticamente a tutti, anche all’Italia, ma specialmente Francia, Spagna e Belgio. Che magari poi riesportano in Germania. Non è da escludere che a Bruxelles si scaldino in parte col gas russo.

Abbiamo presente quell’oca starnazzante di Macron, che vuole inviare truppe europee a morire per Zelenskyj? Almeno fino all’inizio di quest’anno la Francia era il maggior importatore europeo di gas naturale liquefatto (GNL) russo, per un valore di 2,68 miliardi di dollari.

Secondo i dati del Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (CREA), al 29 maggio 2025 la Russia aveva generato oltre 883 miliardi di euro in esportazioni di combustibili fossili dall’inizio della guerra, di cui 209 miliardi di euro provenienti dagli Stati membri dell’UE.

Da quando l’Ucraina ha sospeso all’inizio di quest’anno il gasdotto Bratstvo, che riforniva l’Europa dalla Russia attraverso il territorio ucraino, l’Europa si è rivolta alla Turchia, con TurkStream, che attraversa il Mar Nero ed è operativo dal 2020. Nel periodo gennaio-febbraio 2025, le importazioni di gas russo in Europa, instradate attraverso la Turchia, sono aumentate del 26,77% rispetto al volume dell’anno scorso.

Oltre alle vendite dirette, la Russia può contare sui ricavi derivanti dalla raffinazione del petrolio: in Turchia e in India, le raffinerie lavorano il petrolio greggio russo sanzionato, a volte miscelato con petrolio proveniente da un’altra fonte, per rivenderlo ai paesi dell’UE. Una scappatoia che consente il riciclaggio di questo petrolio sanzionato da parte di un paese terzo.

La Francia è anche un importante consumatore di fertilizzanti russi. Dall’inizio del conflitto, le importazioni di questi fertilizzanti sono aumentate dell’86%, passando da 402.000 tonnellate nel 2021 a 750.000 nel 2023. L’agricoltura francese dipende dai fertilizzanti russi. Ma allora ci prendono in giro? Certo.

Una prova? Dal sito ufficiale dell’Unione Europea: «L’UE eliminerà gradualmente le importazioni di petrolio e gas dalla Russia entro la fine del 2027, in base a una proposta legislativa presentata oggi [giugno 2025] dalla Commissione europea». Quando i cosiddetti leader europei s’incontrano tra loro, si danno di gomito e ridono a crepapelle.

Mosca è il terzo produttore e il secondo esportatore di petrolio greggio al mondo. Vende soprattutto a Cina ed India, due potenze con una popolazione che assomma al 36% di quella mondiale. Un dato sul quale si riflette assai poco.

Un discorso a parte merita l’uranio, che vede protagoniste la Nigeria e la Georgia (ma guarda un po’). La Nigeria ha deciso di nazionalizzare l’estrazione dell’uranio del gruppo nucleare francese Orano, con evidente scorno della Francia e soddisfazione di Russia e Cina. La Georgia, che detiene alcune delle maggiori riserve di uranio della regione, ha annunciato ufficialmente la vendita delle sue riserve, in particolare alla Russia. C’è bisogno che a Tbilisi la gente scenda in piazza con le bandiere della UE.

E il debito pubblico russo? Il rapporto debito/PIL si aggirava intorno al 16-17% prima del 2022 e ha registrato una diminuzione fino al 16,4% nel 2024.

Quando si parla di debito pubblico, mi viene in mente quello italiano, ovviamente, ma anche quello statunitense non scherza. Nel mese di agosto, il debito pubblico degli Stati Uniti, in rapporto al PIL, ha superato il livello più alto raggiunto dall’inizio del XX secolo, considerando che nel 1945 era al 106% (Congressional Budget Office - CBO).

L’ammontare del debito americano oggi ammonta a più di 37.000 miliardi di dollari, ovvero il 130% del PIL. Solo dieci anni fa era circa la metà 18.176 miliardi di dollari, con un rapporto del 101,4%. Il governo degli Stati Uniti sta ora spendendo più per il pagamento degli interessi che per la difesa (la “difesa” più cospicua del mondo).

Queste cifre sono così enormi da essere vertiginose. Per darvi un’idea della situazione: ogni cinque mesi, gli Stati Uniti aumentano il loro debito di altri 1.000 miliardi di dollari; ogni anno, aggiungono due terzi del debito pubblico italiano, accumulato in cinquant’anni!

Scrive sempre il CBO, un ente indipendente: «Il debito pubblico, alimentato da ampi deficit, raggiungerà il livello più alto di sempre nel 2029 (misurato in percentuale del prodotto interno lordo) e continuerà a crescere, raggiungendo il 156% del PIL nel 2055. È destinato ad aumentare anche in seguito». Senza dire del debito privato ...

Quanto al deficit: «rimarrà elevato rispetto agli standard storici nei prossimi 30 anni, raggiungendo il 7,3% del PIL nel 2055».

È normale che un paese s’indebiti, soprattutto dopo una crisi economica o dopo una guerra. Ad esempio, dopo le guerre napoleoniche, il debito della Gran Bretagna era pari al 300% del suo PIL. Ma per un paese dove si prevede una crescita economica nei prossimi tre decenni più lenta rispetto a quella degli ultimi tre decenni, e con una crescita demografica che sarà più lenta nei prossimi 30 anni rispetto agli ultimi 30, più che della Russia mi occuperei della crisi americana.

Nei prossimi 25 anni, il principale fattore trainante dell’aumento della spesa federale a lungo termine sarà l’invecchiamento della popolazione americana, poiché il numero di persone di 65 anni o più aumenterà molto più rapidamente della popolazione in età lavorativa, determinando un aumento della spesa per i programmi per i pensionati. Mal comune mezzo gaudio dicono a Roma.

«Su base pro capite, il sistema sanitario statunitense è il più costoso tra gli altri paesi ricchi. Eppure, i risultati sanitari americani non sono generalmente migliori di quelli dei nostri pari e, in alcuni casi, sono peggiori, anche in ambiti come l’aspettativa di vita, la mortalità infantile, l’asma e il diabete.»

Notare che la spesa sanitaria italiana pro capite è inferiore alla media e appena superiore a quella coreana.