domenica 11 febbraio 2024

Erdogan candidato alle europee

 

Mentre l’Unione Europea si prepara ad accogliere nuovi Stati membri in un futuro più o meno prossimo, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, eterno candidato, non è ancora nel programma dei festeggiamenti. Non importa, il “sultano dei tempi moderni”, quello che attraverso i media turchi che trasmettono in Europa si rivolge ai suoi correligionari con “Ciao fratello”, ha sempre una soluzione: se non entrerà dalla porta, entrerà dalla finestra.

È nato in Germania un nuovo partito affiliato al partito turco Partito Giustizia e Sviluppo (AKP). Si chiama l’Alleanza Democratica per la Diversità e la Consapevolezza (Demokratische Allianz für Vielfalt und Aufbruch), o Dava. Il neo partito politico schiera quattro candidati, i quali hanno già fatto campagna per Erdogan o per le sue organizzazioni di sostegno.

L’obiettivo? Ufficialmente dicono che vogliono che le persone di origine straniera, soprattutto musulmani, ottengano tutti i loro diritti e che la politica d’immigrazione sia meno restrittiva. Il partito politico si considera addirittura “centrista” e desidera soprattutto opporsi all’”islamofobia”, riferisce il quotidiano tedesco Bild. È difficile credere che l’islam arrivi a offrire al popolo tedesco un umanesimo illuminista.

Ma il primo obiettivo del nuovo partito non è il Bundestag, dove per entrare devi raggiungere almeno il 5% dei voti. Se il lancio di questo nuovo partito avviene all’inizio del 2024, è soprattutto in previsione delle elezioni europee del prossimo giugno, che potrebbero fungere da trampolino di lancio. Tanto più che, da gennaio, uno straniero residente non dovrà più aspettare otto anni, ma cinque, per presentare domanda di naturalizzazione. La doppia nazionalità, finora riservata ai cittadini dell’Unione Europea e della Svizzera, sarà aperta a tutti.

La Germania ospita la più grande comunità turca d’Europa, con poco meno di 3 milioni di persone sul suo territorio, metà delle quali non hanno il passaporto del paese di residenza. Una situazione che può spiegarsi in particolare con l’impossibilità di conservare la nazionalità turca una volta naturalizzati tedeschi.

Ma oggi si cambia e questi futuri cittadini tedeschi costituiscono un’importante riserva di voti per Dava, anche se non per domani. Un’organizzazione turca ha pubblicato delle previsioni e stima che ogni anno dovrebbero arrivare 50.000 domande di naturalizzazione da parte di questa comunità, quindi ci vorrà molto tempo. Impossibile, quindi, contare solo sul voto tedesco-turco per Dava, che però prevede di aprirsi a gruppi di migranti siriani e iraniani, e in generale a tutti i loro correligionari presenti sul territorio, per portare la voce dei musulmani in Europa.

Anche se il partito afferma di non beneficiare di finanziamenti dall’estero e di essere “un partito tedesco fondato da tedeschi”, basta il pedigree dei suoi membri per capire di che cosa si tratta: Mehmet Teyfik Özcan scrive per la versione tedesca dei media pubblici, la filogovernativa rete televisiva turca TRT Deutsch (seguitissima, descrive Erdogan come “l’unica speranza della comunità musulmana del pianeta, l’unico che osa difendere i musulmani perseguitati”) e molti dirigenti del partito, come Ali Ihsan Ünlü, sono veterani di un’associazione turco-islamica con stretti legami con Ankara. Ma il problema rischia di sorgere anche in altri Paesi europei, perché la Germania non è l’unica finestra attraverso la quale Erdogan intende entrare. Dava intende aprire filiali anche in Austria e nei Paesi Bassi. L’Italia? Tempo al tempo.

In che modo Erdogan e, più in generale, l’AKP possono influenzare la comunità turca in Europa (ricordiamoci che Erdogan, uno dei peggiori autocrati del pianeta, ricatta la pavida UE per via dei migranti)? Le moschee turche, già dai tempi di Atatürk, sono gestite dal Diyanet, una sorta di ministero degli Affari religiosi. Quello che un tempo era uno strumento per controllare la religione è diventato uno strumento per la propagazione dell’islamismo turco. Il Diyanet supervisiona 150 imam per 250 moschee (su 2.500 luoghi di culto musulmano), ovvero circa il 10% delle moschee. Gli imam sono quindi una sorta di funzionari pubblici dello Stato turco. I sermoni degli imam mettono in primo piano l’islamo- nazionalismo turco.

Accanto alle tradizionali moschee turche c’è anche il movimento ancora più radicale, la Confederazione islamica Millî Görüs, vicino ai Fratelli Musulmani e da cui proveniva Erdogan (che poi creerà l’AKP). In Germania, Millî Görüs è considerato dalle autorità un gruppo “islamista fondamentalista”. In Francia, il ramo locale (Confederazione islamica Millî Görüs) siede nel Consiglio francese della fede musulmana come se nulla fosse. È presente in particolare a Bordeaux e Strasburgo, dove la comunità turca è fortemente radicata (in Francia i musulmani sono il 13%). Nella città sede dell’Europarlamento c’è un liceo mussulmano e un campus universitario musulmano, il primo nel suo genere in Europa. Strasburgo ha oltre 20 moschee ed è in costruzione la più grande moschea europea, voluta dall’associazione Millî Görüs, che si è rifiutata di firmare la carta dei principi dell’islam di Francia difendendo l’islam politico. Anche a Milano Millî Görüs gestisce una moschea, quella regolarizzata di via Maderna. Il 10 luglio 2020 la basilica di Santa Sofia a Istanbul è tornata ufficialmente ad essere una moschea.

2 commenti:

  1. La sovrapposizione dell'identità religiosa allo schieramento politico non è cosa nuova, visto che noi abbiamo avuto la DC, e i tedeschi hanno ancora la CDU. Non c'è ragione per cui non si debba applicare agli islamici. D'altro canto, anche certe derive della sinistra, tedesca o no, tendono a essere identitarie.

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    1. L'islam politicizzato non è paragonabile a nessun altro movimento politico a sfondo religioso contemporaneo.

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