sabato 3 febbraio 2024

Una storiella erotico-comico-affaristica

 

Mi sembra di vivere in una terra di nessuno, quasi irreale, piena di ricordi e oggi di marionette. Mi aspetto da un giorno all’altro che una di queste se ne esca con frasi come: “l’atmosfera era migliore durante la guerra”. Avessero una buona dizione o almeno una bella voce. Qualunque cosa dicano, aggiungono insignificanza a insignificanza. Un nulla loquace e un paese che da tempo s’è adattato agli idioti.

Anche nel famigerato ventennio non mancavano le marionette, versione originale di quelle odierne. Ieri mi è capitato di leggere una cosa veramente comica. Parto dall’inizio: ho trovato nella mia bibliotechina domestica un libro che avevo letto poco prima della grande pandemia e che poi avevo dimenticato. È un libro documentatissimo, che però non tratta di quello che dirò in seguito. E allora che c’entra il libro?

In questo libro ho trovato citato il nome di Giulio Brusadelli, un “self-made men”, molto noto negli anni del famoso ventennio, e poi anche nel dopoguerra. Nato da famiglia poverissima, nel 1878 a Cassano Magnago, fece una rapida carriera partendo da operaio tessile fino ad arrivare ad essere a soli vent’anni rappresentante di numerosi cotonifici di cui commercializza i prodotti soprattutto all’estero. Una storia, la sua, che mi ha incuriosito per altri motivi.

Nel 1919 Brusadelli diventa il fornitore, quasi monopolista, delle camice nere, grazie all’amicizia personale con Mussolini, quindi arbitro incontrastato dei titoli tessili in Piazza Affari a Milano. Con decreto del 28 dicembre 1924 è nominato grand’ufficiale su proposta dell’allora presidente del Consiglio dei Ministri, cioè il Benito Amilcare. Un’infornata di centinaia di nuovi cavalieri, commendatori e grand’ufficiali i cui nomi furono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del Regno, la numero 222 (visibile in rete).

Ciò nonostante, il grand’ufficiale Giulio Brusadelli nel 1931 partì per Ponza, non in villeggiatura ma condannato al confino, e a salutarlo alla partenza andò Roberto Farinacci, il ras di Cremona. Questo gesto stava costando, al fascista più fascista del Duce, il deferimento a un consiglio di disciplina del partito fascista. Brusadelli, agente di borsa, era stato condannato dal tribunale per aver agito in borsa in modo da provocare artificiosamente rialzi o ribassi di titoli a fini di lucro personale.

Non era il solo, in quel torno di tempo e in quel territorio della speculazione spadroneggiavano personaggi come Michelangelo Virgillito, con gli assalti alla Liquigas e Lanerossi, oppure il “mitico” Aldo Ravelli, il capo dei ribassisti, e Luigi Palermo, capo dell’Ufficio Borsa del Credit, operatore di Enrico Cuccia, detto il “fuochista” perché rialzista forsennato.

Nulla di nuovo sotto il sole. Pensiamo ai bitcoin, un’invenzione digitale che non è affatto immateriale. Un tipo come Elon Musk, il proprietario delle fabbriche Tesla e dei lanciatori spaziali SpaceX, il cui progetto è quello di distruggere la Terra il più rapidamente possibile per poter giocare a golf su Marte, a suo tempo ha investito l’equivalente di 1,5 miliardi di dollari in bitcoin, e lo ha pubblicizzato sui siti di insulti reciproci chiamati social network. Ebbene ci fu una corsa a comprare e quindi al rialzo del prezzo.

L’antesignano di Musk, il Brusadelli, aveva diffuso la voce che un importante gruppo finanziario era interessato alla società Adamello. Le azioni avevano subito un forte rialzo con grande vantaggio per Brusadelli che ne aveva acquistate molti prima di diffondere le voci. Un’operazione simile era stata effettuata con i titoli Bastogi. Con le azioni Chatillon aveva agito in senso inverso: era riuscito a far sì che esse perdessero quota e che poi, diffondendo la voce che la società non era in grado di distribuire dividendi, aveva impedito che quelle azioni partecipassero a una generale ripresa.

Ma il colpo che aveva scosso maggiormente il mercato finanziario fu quello ai danni della Banca Commerciale Italiana (BCI), di cui allora era amministratore delegato Jósef Leopold Toeplitz, detto Giuseppe e per gli intimi Pino, un banchiere polacco naturalizzato italiano. Le azioni della banca si erano talmente svalutate che essa dovette domandare un miliardo di lire (di allora, ovviamente) allo Stato per coprire le perdite. Toeplitz aveva denunciato Brusadelli e altri che gli avevano passato informazioni sulle attività borsistica dell’istituto.

Il collegio di difesa era composto da ben nove avvocati, tra i quali proprio Roberto Farinacci, leader fascista intransigentissimo che voleva, a suo dire, fascistizzare il mondo dell’oligarchia finanziaria e industriale (su come avesse conseguito il diploma e la laurea in legge si potrebbe scrivere un libro). L’aveva in particolare con la plutocrazia bancaria, segnatamente con Toeplitz e la BCI. Le sue campagne denigratorie a mezzo stampa nascondevano una sotterranea alleanza con Giacinto Motta, leader indiscusso della Edison, nonché acerrimo nemico di Toeplitz.

Il clima affaristico, clientelare e corruttivo, durante il fascismo, non era per nulla diverso da quello a noi noto con il nome di Tangentopoli: sono arcinote le vicende legate a clan come i Ciano e i Petacci, e non è una fola che a Mussolini fu fatta inaugurare una grande fabbrica nel Lazio che però si sapeva non sarebbe mai entrata in attività; quindi lo “scandalo delle corazze”, con protagonista l’Ansaldo, la Marina militare e il generale Cavallero; così come andrebbe indagato l’accordo tra Fiat e Ansaldo per la produzione di carri armati, assicurando loro una profittevole attività al prezzo dell’inferiorità italiana nella produzione di tali mezzi; non ultimi gli scandali legati al settore turistico-balneare, eccetera. Ne riparleremo a tempo debito, poiché non ho dubbi che gli homines novi ci forniranno croccanti analogie, specie se dovesse passare la “sovranità assoluta con fini trascendenti”, per dirla con Emilio Gentile.

Non voglio tirarla per le lunghe, vengo al dunque per quanto riguarda la vicenda successiva, che vede nel secondo dopoguerra il Brusadelli entrare in società con il celebre Giulio Riva, uomo scaltrissimo, sposato con Raffaella, nipote del cospicuo industriale tessile e senatore del Regno Felice Gajo Lampugnani, un “cesso” terrificante, la definì lui, ma dalla dote ricchissima (*).

Brusadelli, divenuto titolare del Cotonificio Dell’Acqua, in seconde nozze sposa Anna Andreoli, molto più giovane di lui e “donna sofisticata”. La coppia soggiorna in una villa di Capri, acquistata dal Brusadelli dal suo rappresentante di Roma. Ospiti il suo socio, Giulio Riva, e il bel mondo di sempre. Sennonché tra i due soci, Brusadelli e Riva, nascono dei dissidi sia di strategia economica e sia di carattere personale.

Brusadelli, a ragione, ritiene che il tessile sia un settore destinato al declino e disapprova la tendenza del socio a non diversificare gli investimenti. Nel 1948, vende per una cifra miliardaria il pacchetto azionario del Cotonificio Dell’Acqua al Riva. Pochi mesi dopo cambia idea. Il 18 ottobre 1948 si rivolge al Tribunale di Milano chiedendo di rientrare in possesso della maggioranza del pacchetto azionario ceduto. Come motiva tale richiesta? Sostiene che il cotonificio gli è stato estorto dalla moglie con “circonvenzione sessuale e indebolimento psichico”, a vantaggio del suo amante, Giulio Riva, anch’egli industriale tessile.

Si può immaginare all’epoca come questo triangolo piccante e torbido tra il Brusadelli, sua moglie Anna e il Riva potesse arricchire le cronache mondane e rosa in nome del diritto di cronaca. La donna, scrive il legale di Brusadelli nell’esposto al giudice, è una “raffinata distributrice di piaceri sessuali, rivolti a turbare lo spirito del vecchio e a farlo cadere vittima del raggiro”. La signora affida la sua difesa ad un valente avvocato il quale porta davanti al giudice alcuni libri per dimostrare che si tratta di opere acquistate senza malizia, tra le quali quelle di De Sade e Tom Antongini (personaggio che merita indagine), rigettando così l’accusa che fra l’altro parla di letture oscene cui lo avrebbe costretto la moglie “per motivi afrodisiaci”.

Poco dopo Brusadelli si avvede che l’avvocato Candian, cui si è affidato, lo ha condotto fuori strada impostando il ricorso su basi assurde; pertanto tenta di riappacificarsi con la moglie che però non ne vuol sapere. Ne scrive Saverio Tutino sull’Unità, chiudendo l’articolo così: “Nel frattempo il Brusadelli continua, a quanto si dice, a giocare in borsa. Come ribassista o come rialzista?” (vedi in rete copia dell’articolo).

Ben presto il lato piccante della vicenda scivola nell’ombra; gli accertamenti giudiziari pongono in chiaro un vasto giro di evasioni fiscali. Brusadelli ha un patrimonio di 50 miliardi (di allora!) ma paga al fisco 400 mila lire, corrispondenti a un imponibile fiscale di solo 2 milioni e mezzo l’anno (un misero 16%), invece di pagare 230 milioni di complementare e 3 miliardi di patrimoniale (esisteva). A questo punto le indagini fiscali si allargano a Giulio Riva e ad altri industriali tessili. Si scopre così che Riva, residente nel comune di Saronno, con un patrimonio di 65 miliardi, paga su un imponibile di solo 3 milioni l’anno. Franco Marinotti, ancora più potente di Brusadelli e di Riva, patrimonio 120 miliardi, paga al comune di Milano su un reddito di solo 11 milioni.

Brusadelli subì un processo per evasione fiscale e fu condannato a un’ammenda di 34 milioni (**). 

Grosse evasioni anche dalla Cucirini Cantoni, dal Cotonificio Olcese, dalle Manifatture Rossari, dal Cotonificio De Angeli, al quale è legato il ministro socialdemocratico dell’Industria e commercio, Ivan Matteo Lombardo. Il Governo, nel quale oltre al Lombardo siede come ministro del Tesoro Giuseppe Fella, esponente dell’industria tessile del biellese, tenta di arginare le conseguenze dello scandalo, anche perché Brusadelli e gli altri evasori sono in gran parte sostenitori della Democrazia Cristiana.

L’Italia è unita sul malaffare, levasione fiscale e l’impunità per chi se la può comprare.

(*) Raffaella Lampugnani, moglie di Giulio Riva, era la nipote dell’industriale cotoniero Felice Gajo (1861 – 1935). La vera svolta della vita di Felice Gajo fu rappresentata dal matrimonio con la ricca legnanese Ida Lampugnani, zia di Raffaella. Alla morte di Felice, che non aveva avuto figli, la società venne guidata dal marito di Raffaella, erede di Gajo. L’Unione manifatture contava 14 stabilimenti, 213.000 fusi di filatura, 20.252 fusi di ritorcitura, 4.921 telai e una potenza installata di 6500 HP. Riva manipolatore di pacchetti azionari, acquisì la maggioranza dell’Olcese, allora la più importante filatura (solo filatura) di cotone e rayon coi suoi 400 mila fusi. Nel 1947 acquisisce il Cotonificio Valle di Susa. Il già gigantesco complesso viene ulteriormente potenziato. Altri stabilimenti vengono acquistati: il Cotonificio Valli di Lanzo, il Cotonificio di Strambino, ed altri minori. Riva morì in una clinica milanese a seguito di una banale operazione di appendicite. Il suo impero era costituito da 600 mila fusi di filatura e 150 mila di ritorcitura, perlomeno 10 mila telai e 15 mila dipendenti distribuiti su 25-30 stabilimenti, decine di società commerciali e finanziarie controllate e collegate in Italia ed all’estero. A Saronno l’Istituto tecnico statale è intitolato a Giulio Riva. Il figlio di Giulio, Felice, eredita l’impero cotoniero. Aveva frequentato il collegio «Leone XIII di Milano, scuola privata gestita dai gesuiti (vi ha studiato anche Mario Monti).

Felice Riva fu protagonista negli anni Sessanta-Settanta non solo quale presidente del Milan calcio, ma soprattutto nella sua qualità di un bancarottiere in “esilio” a Beirut.

(**) Nella seduta della Camera dei deputati del 25 nov. 1953, l’on. Jannelli interrogava il ministro di Grazia e Giustizia «per conoscere perché è stato lasciato cadere in prescrizione il reato che dette origine alla nota vertenza fiscale tra lo Stato e gli industriali Giulio Brusadelli e Carlo Camagna, prescrizione accertata in data 20 aprile 1953 dalla Sezione feriale della Corte di appello di Milano. Per conoscere, inoltre, l’ammontare del danno che lo Stato ha subito per l’avvenuta prescrizione; se vi siano responsabilità accertabili; e quali provvedimenti intenda adottare perché simili ritardi non abbiano a ripetersi, quanto meno per giudizi che possono destare un particolare allarme».

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