lunedì 12 febbraio 2024

Il male oscuro dei padroni

 

Nel suo editoriale di ieri sul Sole 24 ore, Sergio Fabbrini ci intrattiene su: Contraddizioni, il male oscuro che affligge i conservatori. Sostiene che «I conservatori non mancano, mentre il conservatorismo è difficili da identificare. Eppure, un conservatorismo culturalmente radicato nella democrazia liberale aiuterebbe il consolidamento di quest’ultima, in Italia e in Europa. Al di là di slogan o di qualche richiamo a intellettuali del passato, di riflessione culturale, da parte dei conservatori, se n’è vista poco». Inoltre, scrive, «ciò che connota queste forze è una “mente illiberale”, poco conciliabile con la cultura occidentale».

Ciò che Fabbrini non distingue nel suo articolo è la differenza tra conservatorismo e reazione. Si può essere conservatori e non reazionari. Si può essere reazionari e non pienamente conservatori nel senso classico del termine. A titolo d’esempio, si può citare il programma fondativo dei fasci italiani di combattimento nella versione presentata in due riprese dal Popolo d’Italia (30 marzo e 6 giugno 1919), a firma Mussolini, per rendersi conto che tale programma (leggere gli 8 punti programmatici del 30 marzo) era tutt’altro che d’ispirazione conservatrice, almeno sotto certi aspetti.

È un esercizio utile quello di confrontare tale programma nelle sue linee fondamentali con ciò che la stampa ha riportato a proposito del cosiddetto “premierato” per trovarvi quantomeno delle assonanze. Ciò che Fabbrini non ha il coraggio di dire, è che il conservatorismo in larga parte si colora di fascismo, nella sua natura anfibia e trasformistica attuale. L’obiettivo resta quello indicato da Almirante nel 1987: il fascismo come “traguardo”.

Che chi allora propugnasse un tale programma fosse semplicemente un esponente della conservazione e non anche un reazionario, pare evidente. Il fascismo come formazione politica puntava a portare “le grandi masse all’adesione allo Stato e come superamento della politica liberale parlamentaristica”, per dirla con le parole di un fascista di allora, cioè Mario Missiroli, che scriveva nel 1934.

I temi della critica fascista di allora e quelli della critica populista e fascistica di oggi sono sostanzialmente gli stessi. Gli stessi temi della critica della sinistra cosiddetta radicale, se non si considerano poi le diverse desinenze politiche. Scriveva Missiroli su L’economia corporativa: «Al capitale produttivo si è andato sostituendo, nella gerarchia dei valori economici, il capitale finanziario. La speculazione minaccia di uccidere l’impresa [...], prospera nel commercio dei titoli, si avvantaggia delle tariffe doganali, si arricchisce con l’inflazione, che invece impoverisce le comunità. È una monarchia assoluta onnipotente e invisibile, che sfida a un tempo lo Stato, il fisco i consumatori e i lavoratori».

Missiroli proseguiva rilevando che il capitale finanziario «accentra in poche mani le azioni delle imprese più disparate, le coordina e le controlla» di modo che «mediante il credito fa degli industriali non più che dei subalterni pronti a un cenno di comando». Insomma una critica da destra, ma pur sempre una critica al sistema, almeno sulla carta perché poi il fascismo all’atto pratico fu tutt’altro rispetto alle sue iniziali critiche e proposte “dinamiche”.

Per concludere, che la critica al male oscuro che affligge i conservatori venga dalle pagine del quotidiano della Confindustria, cioè dal giornale dei padroni sostenitori della appropriazione privata dei beni pubblici e di quel fantasma che è l’”europeismo”, è solo apparentemente paradossale. Il male oscuro che affligge i padroni del vapore in questa fase di crisi storica generale del sistema borghese, è la loro voglia di un fascismo “normalizzato”, quel fascismo che “ha fatto anche cose buone”.

Né fa specie che a scrivere di queste cose siano le “grandi firme” del giornalismo nostrano, gli intellettuali che per decenni hanno contribuito a rimuovere il fascismo dalla coscienza storica degli italiani (salvo la visione celebrativa della Resistenza), a sminuirne le responsabilità collettive, a censurare o idealizzarne i comportamenti. Insomma personaggi più o meno noti che hanno l’attitudine a schierarsi con l’ordine costituito ed esprimere posizioni conformistiche. Del resto l’antico liberalismo conservatore annovera nomi come Gentile, Croce, Chabod, che avevano seguito con simpatia il sorgere del fascismo, perché ritenevano che avrebbe restituito il “senso dello Stato” e l’ordine e la disciplina liberal- conservatrici (o liberal-nazionali, per altri).

P.S. : I passi tratti dagli scritti di Missiroli li ho presi del nuovo libro di Luciano Canfora, Il fascismo non è mai morto (si legge in 2/3 ore e costa 13 euro). Una lettura che raccomando specie a quelli che sono impegnati a convincere soprattutto se stessi che il fascismo “è finito nell’aprile 1945”.

6 commenti:

  1. Notare fascismo dilaga sempre in seguito alla sclerosi sistema liberal borghese

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    1. non sempre. anche quando socialisti e comunisti vincono le elezioni

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    2. Certo, son due diverse tattiche per stessa strategia. Diciamo che in Italia i comunisti non possono vincere le elezioni, allora vada per sclerosi sistemica

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    3. Accidenti.....poche parole e tanta verità. Morbida come la carta vetrata

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  2. commento precedente sono io scusa pigio troppi tasti assieme

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  3. In fondo la questione non attiene alla democrazia (quale poi?) ma lo stato, che quando è etico è fascista

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