lunedì 24 giugno 2024

Bocar Diallo non giocava a pallone

Sento dire e leggo che “l’economia è ormati basata sull’informatica e non più sull’industria”. Strano, perché tutto ciò di cui ho bisogno durante il giorno e la notte è prodotto dall’industria. Come il computer con il quale sto scrivendo, l’elettricità che lo alimenta, l’acqua che sto bevendo. Spesso, ancora, i nostri bisogni sono soddisfatti da piccoli artigiani, come per il pane, o da aziende agricole locali, come per certe verdure, il latte e il vino. Anche le nostre imprecazioni, quando le “cose” dell’informatica non funzionano a dovere, sono prodotte a volte artigianalmente e altre volte industrialmente, come quando le “cose” che non vanno si coalizzano tra loro.

Certo, molte di queste produzioni utilizzano le nove tecnologie, ma ad arrivare a dire che l’economia è ormati basata sull’informatica e non più sull’industria mi pare eccessivo. La guarnizione del rubinetto che ho acquistato venerdì scorso dal ferramenta, e tutta la miriade di merci che c’erano in quel negozio, i vasi di colore e i pennelli che ha portato con sé l’imbianchino, saranno anche stati prodotti con macchinari nei quali è presente molta informatica, i famosi microchip, tuttavia si tratta di prodotti industriali, con tutto il carico d’ingegno e altro lavoro umano necessari per fabbricarli. Anche il ginecologo, per quanto dotato di un ecoscandaglio sofisticatissimo, resta pur sempre un essere umano che manualmente su quella “cosa” là deve agire. Eccetera.

Certo, c’è molta informatica nella nostra vita quotidiana, basti pensare ai nostri inseparabili cellulari, senza i quali ormai non si combina nulla. Sabato, ho pagato tramite internet i bollettini per il rinnovo della patente di guida, ma poi ho dovuto stampare quegli stessi bollettini con la mia vecchia stampante. Elettronica anche quella, ma costruita con materiali plastici, con un cavo per l’alimentazione, il toner, la carta e così via. Mi pare esagerato dire che “l’economia è ormati basata sull’informatica e non più sull’industria”. La mia auto, per quanto vi siano presenti molte componenti elettroniche, funziona ancora a benzina. Petrolio, navi, oleodotti, raffinerie, distributori. Insomma, industria. Produzione basata su molto lavoro manuale e capitale “tradizionale”.

Gians Varoufaks ci racconta della fine del capitalismo, della sua sostituzione con un tecno- feudalesimo che si appropria del “reddito” (ossia di quote di quello che mi ostino a chiamare plusvalore) prodotto dai capitalisti tradizionali che diventerebbero “vassalli”, e tutto ciò è sostanzialmente vero: le grandi aziende tecnologiche, come Amazon e Google, hanno iniziato a dominare i mercati, non solo come fornitori di beni e servizi, ma anche come veri e propri “signori feudali digitali”, controllando l’accesso alle loro piattaforme e imponendo le proprie regole.

C’è effettivamente da cogliere un’analogia con il feudalesimo, ma le analogie storiche non vanno spinte oltre un certo limite. Non si deve “dimenticare” di dire che cosa effettivamente distingue un modo di produzione da un altro. Non riguarda semplicemente le forme di appropriazione del “reddito”, la sostituzione dei mercati tradizionali con piattaforme digitali. Il capitalismo si sta trasformando rapidamente, ma non nelle sue leggi essenziali. Prima di recitare il requiem per la scomparsa del capitalismo vorrei vedere il suo cadavere, non mi basta il certificato di morte redatto da Varoufaks, che lo data al 2008.

Anche Bocar Diallo, 31 anni, originario del Senegal, sarebbe d’accordo con me (ovvero io con lui!) nel sottolineare le condizioni per la valorizzazione del capitale. Anche se forse non conosceva le categorie marxiane di “valore” e “sostanza di valore”, sicuramente però intuiva quelle di “plusvalore” e “lavoro concreto e lavoro astratto”, “lavoro produttivo e lavoro improduttivo”. Insomma, Bocar Diallo, pur con parole sue proprie, avrebbe saputo intrattenerci sulla contraddizione centrale specifica del modo di produzione capitalistico, che ha e avrà sempre origine nella sfera del lavoro.

5 commenti:

  1. Io non ho ancora letto Varoufakis, se non il primo capitolo. Ho però letto altro, e sono convinto che di neofeudalesimo si debba parlare. Che senso ha contrapporre industria a informatica? L'informatica, o per meglio dire la tecnologia, permea l'industria, e lo fa in contrapposizione/sostituzione delle risorse umane. Quando questo processo sarà completato, i Bocar Diallo e gli indiani raccoglitori non rischieranno più la vita (se non per fame). Se ne andrà anche il plusvalore, non perché i lavoratori staranno meglio, ma perché la base di calcolo non ci sarà più.
    Rimane il dubbio: con quali soldi gli ex lavoratori compreranno prodotti e servizi?

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  2. Sembra che in Corea del Sud abbiano lavoratori (stranieri) nella stessa situazione del povero Bocar Diallo
    https://www.pv-magazine.com/2024/06/24/fire-at-south-korea-primary-lithium-battery-factory-kills-22/

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  3. Penso l'assunto di base sia da interpretare come: l'informatica permea praticamente ogni aspetto dell'economia, industria compresa.

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    1. Così va molto meglio, ma resta il fatto che a dominare è ancora la "materia"

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    2. Così va molto meglio, ma resta il fatto che a dominare è ancora la "materia"

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