martedì 14 novembre 2023

Un settore industriale che non conosce crisi

 

Un aneddoto storico, prima che cambiate canale: Voltaire è conosciuto come uno degli autori più pacifisti e umanitari per i suoi intramontabili riferimenti contro la guerra in Candide e per le sue vigorose campagne sui diritti umani contro i processi iniqui, la tortura e la pena di morte. Ma Voltaire non fu brillante solo in termini artistici e politici, aveva anche uno spiccato senso degli affari. Silenziosamente costituì un importante patrimonio non grazie alla scrittura e alle sue commedie, ma grazie a lucrosi affari: fornendo uniformi all’esercito francese.

Voltaire aveva beneficiato legalmente di ciò che gli specialisti chiamano “economia di guerra”, ossia il sistema che consiste nel produrre, mobilitare e stanziare risorse per alimentare la violenza.

Qual è il ruolo delle multinazionali nel creare e mantenere delle situazioni di conflitto armato? Sappiamo molto bene che la guerra può essere sia economica che politica. Le multinazionali non sono solo attori economici, ma anche attori politici, e in particolare geopolitici. Le grandi imprese si sono infatti internazionalizzate e competono con l’esercizio del potere e della forza da parte degli Stati. Non ultime, tutt’altro, le multinazionali del comparto degli armamenti e delle forniture militari.

Alcune multinazionali possono avere un progetto essenzialmente economico per il raggiungimento del quale usano la violenza e la politica (vedi il caso del rovesciamento di Mossadeq o di Gheddafi), o un progetto essenzialmente politico per il quale la violenza serve loro a prendere il controllo economico necessario per finanziarlo (diamanti, oro, terre rare nelle guerre africane).

Le risorse economiche non spiegano mai completamente un confronto politico, ma sono innegabilmente al centro di numerosi conflitti armati, ultimi quello in Ucraina e quello in Palestina. La guerra è sempre stata uno strumento di strategia economica e un mezzo di arricchimento. “Commercio e cristianesimo” era la parola d’ordine dell’imperialismo Britannico, così come tutti i modelli violenti di accumulazione primitiva che accompagnano lo sviluppo del capitalismo.

Ne ho già scritto nel blog, la prima multinazionale moderna, la Compagnia inglese delle Indie Orientali, aveva un esercito permanente di 200.000 soldati che mobilitò per massacri e battaglie campali, da qui la celebre espressione di Adam Smith, che descriveva la Compagnia come un “monopolio macchiato di sangue”.

Altro caso esemplare è quello della guerra in Iraq, i nuovi contratti assegnati ad aziende internazionali del settore petrolifero, costruzioni e servizi dopo il cambio di regime, insomma un chiaro esempio dei profitti realizzati dagli Stati Uniti e dai suoi paesi alleati grazie alla guerra.

Di seguito, qualche cifra sul giro d’affari delle multinazionali della guerra.

La spesa statale mondiale per gli armamenti ha superato per la prima volta i 2mila miliardi di dollari nel 2021, (+0,7% sul 2020 e +12% sul 2012, in termini reali), raggiungendo il massimo storico di 2.113mld (pari a 5,8mld al giorno, il 2,2% del PIL globale). Il 37,9% di tale spesa globale fa capo agli Stati Uniti e il 13,9% alla Cina.

I cittadini che spendono maggiormente per la difesa del proprio Paese sono quelli del Qatar, Israele, Stati Uniti e Kuwait con più di 2mila dollari pro-capite nel 2021. L’Italia spendeva nel 2021 “solo” 88 milioni il giorno, oggi un po’ di più. Come richiesto dalla NATO, l’Italia sta gradualmente innalzando la propria spesa nella difesa con l’obiettivo di raggiungere la soglia del 2% del PIL entro il 2028.

Nel 2022 gli investimenti per gli armamenti sono cresciuti a una velocità più che tripla rispetto ai ricavi e i titoli azionari hanno realizzato i rendimenti più elevati. Performance di Borsa nel 2022: +34,6% rispetto al -11% dell’indice mondiale. La distribuzione di dividendi è aumentata del 5,2% sul 2021, con l’81% del totale assorbito dagli azionisti dei gruppi statunitensi.

La capitalizzazione del panel di multinazionali degli armamenti segna un +27,1%, nel 2022. Il giro d’affari (+13,3%) e investimenti (+17,5%) in crescita per tutti i settori del comparto. Le indiane Bharat Electronics e Hindustan Aeronautics, a controllo statale, le più capitalizzate, seguite dalla francese Dassault Aviation (capitale netto pari a 25,7 volte i debiti finanziari). Nel 2023 atteso un aumento del 6% dei ricavi complessivi, ma le cose possono andare meglio se il Medioriente s’infiamma.

Nel 2022 il giro d’affari aggregato dei trenta gruppi mondiali con prevalente specializzazione nella Difesa è stato di 432mld di dollari, di cui 316mld si stima siano generati esclusivamente dallo stesso comparto (+4,0% sul 2021 e +10,5% sul 2019). Il panorama è dominato dai player statunitensi con una quota del 74% del totale, seguiti dai gruppi europei con il 22% e da quelli asiatici con il 4%. Anche l’Italia sul podio dei primi dieci: Leonardo ottavo player mondiale per fatturato e 12° per investimenti, Fincantieri sesta per investimenti, entrambi contano per il 21% del giro d’affari europeo e per il 4,7% di quello mondiale. Dunque sarà bene privatizzare anche questi due gruppi industriali italiani.

I primi cinque posti per ricavi stimati generati dal comparto della Difesa sono occupati esclusivamente da gruppi statunitensi: Lockheed Martin 57,5mld di dollari, Raytheon Technologies 37,1mld, Boeing 35,6mld, Northrop Grumman 29,5mld e General Dynamics 25,9mld. In ottava posizione si colloca Leonardo 12,2mld e in 23esima Fincantieri 2,4mld.

L’incremento dei ricavi vede primeggiare la turca Aselsan (+75,0% sul 2021, società a controllo statale), davanti alle tedesche Hensoldt (+15,8%) e Rheinmetall (+13,3%) e alle statunitensi HII-Huntington Ingalls Industries (+12,1%) e Booz Allen Hamilton (+11,8%), tutte in crescita a doppia cifra. Entrambi i gruppi italiani si distinguono per un incremento superiore alla media: Fincantieri con +8,1% e Leonardo con +4,1%. Nel 2022 il rendimento azionario per Leonardo (+34,2%) è stato il quarto a livello mondiale e ottavo per Fincantieri (+11,6%). Tuttavia le due italiane sono fra le meno valorizzate dalla Borsa: Fincantieri quota 1,5 volte il capitale netto e Leonardo 0,6 volte. Sarà proprio il caso di approfittarne e privatizzarle.

(Fonte: Mediobanca)

4 commenti:

  1. Booz Allen mi risulta essere una società di consulenza di management. Anche ammesso che sia consulente di imprese nel settore della difesa, non può essere paragonata alle altre società citate.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Booz Allen Hamilton Holding Corporation (informalmente Booz Allen ) è la società madre di Booz Allen Hamilton Inc., un appaltatore militare e governativo americano, specializzato in intelligence.
      Bloomberg l'ha definita "l'organizzazione di spionaggio più redditizia al mondo".
      Se Mediobanca l'ha inserita tra le multinazionale del settore Difesa, avrà avuto le sue ragioni.
      Grazie per l'attenta lettura del post.

      Elimina
    2. vedi la sfilza di leader politici ed ex generale e ammiragli tra i suoi amministratori e dirigenti:
      https://en.wikipedia.org/wiki/Booz_Allen_Hamilton

      altro che la cupola di totò riina

      Elimina
  2. Finché c'è guerra c'è speranza, come l'omonimo film.
    Pietro

    RispondiElimina