giovedì 13 luglio 2023

La febbre cinese

 

La Cina è proprio un altro pianeta, anche secondo le parole del noto economista cinese Zhang Jun, il quale confuta la “opinione diffusa” che la crescita economica della Cina sia insostenibile a causa della debolezza dei consumi e della dipendenza dalle esportazioni. Sostiene che la Cina beneficia, come l’Occidente, di imprese private che si sono sviluppate attraverso la concorrenza e il mercato, piuttosto che sotto il controllo del Partito di questi meccanismi. La sua narrazione si concentra sullo sviluppo del mercato interno cinese (asset specifici cinesi per le dimensioni del mercato interno) e sullo sviluppo della sovranità economica incarnata in particolare dalla protezione delle catene del valore del paese.

I dati ufficiali recenti dicono che la Cina è entrata in un contesto deflazionistico, che non è un segno di forza e stabilità economica, ma può far presagire a un calo significativo della crescita economica.

Dopo un breve aumento in seguito alla revoca di tutte le misure anti-covid alla fine dello scorso anno, la tanto attesa “ripresa” post-covid non si è concretizzata. I dati rilasciati lunedì dal National Bureau of Statistics mostrano che l’indice dei prezzi al consumo è rimasto invariato rispetto a un anno fa, il tasso più basso in più di due anni. Allo stesso tempo, i prezzi alla produzione continuano a diminuire (a giugno sono diminuiti del 5,4% rispetto a un anno fa, registrando il calo più marcato da dicembre 2015), un’indicazione che la domanda è contratta.

Da mesi i prezzi delle materie prime sono bassi e domanda debole sia interna che estera. Se i consumatori e le imprese continuano a trattenersi dalla spesa o dagli investimenti nella speranza che i prezzi si abbassino, ciò potrebbe portare a una spirale di caduta dei prezzi che si autoavvera, mettendo in discussione l’obiettivo del governo di una crescita economica del 5% quest’anno, con la People’s Bank of China che potrebbe tagliare ulteriormente i tassi d’interesse e allentare la politica monetaria.

L’ultima volta che la Cina ha vissuto un periodo prolungato di deflazione (un breve periodo di calo dei prezzi all’inizio del 2021) è stato nel 2009 a causa della crisi finanziaria globale scoppiata nel 2008.

Il governo ha introdotto un importante pacchetto di stimoli, circa 500 miliardi di dollari, combinato con un aumento del credito per finanziare grandi infrastrutture e investimenti, e ciò porterà a un forte aumento del debito, in particolare da parte delle autorità locali, con i noti problemi nel settore immobiliare esemplificati dalla crisi di Evergrande nel 2021 e di altre società.

La guerra economica in corso condotta contro la Cina dagli Stati Uniti, la spinta al disaccoppiamento sta abbassando ulteriormente le prospettive di crescita economica. Il tasso di disoccupazione urbano complessivo della Cina è rimasto stabile intorno al 5,2%, ma aumenta quella disoccupazione giovanile nei centri urbani. A maggio, circa il 20,8% dei giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni era disoccupato, il tasso più alto da quando i dati hanno iniziato a essere raccolti nel 2018, e sono disponibili solo lavori poco retribuiti.

L’aver abbandonato un’economia pianificata spacciata per “socialista” per un’economia di mercato, ha indubbiamente portato dei vantaggi che più o meno si sono spalmati su gran parte della popolazione cinese. L’ascesa della Cina nel quadro del capitalismo si scontra ora con due ostacoli interconnessi: la determinazione degli Stati Uniti di contrastare un concorrente geopolitico ed economico pericoloso (il cosiddetto derisking, con divieti sull’esportazione di chip avanzati necessari per lo sviluppo high-tech e la spinta per le aziende statunitensi a uscire dalla Cina) e l’esaurimento dei metodi utilizzati in passato per promuovere la crescita approfittando della cosiddetta globalizzazione.

Tutto ciò porterà a ulteriori problemi sociali al di fuori del campo economico e diventerà un fattore scatenante di problemi politici? Il regime era solito sostenere che almeno l’8% di crescita all’anno fosse necessario per mantenere la “stabilità sociale”. Ora l’obiettivo ufficiale di crescita è ben al di sotto di quel livello ...


1 commento:

  1. La premessa da cui occorre partire è che la Cina ha una base culturale plurimillenaria in cui affonda le sue radici e un imperativo essenziale che consiste nel preservare l'unita' nazionale in condizioni di sovrappopolamento. E' questo il motivo per cui tutti i poteri che hanno garantito la stabilità' e la pace interna sono stati graditi ai cinesi e qualificati 'ab antiquo' come "conformi al mandato del cielo". Pertanto, chiunque detenga la somma del potere in Cina deve armonizzare tra di loro i seguenti fattori: la sovrappopolazione, l'alimentazione, la coesione sociale e lo sviluppo. Conseguentemente, i cinesi basano la loro politica sulle priorità interne (che sono quelle testé indicate) e su questo terreno si muovono con duttilità nella tattica e rigore nella strategia. La Cina (e i suoi capitali) non producono guerre, cercano di ridurre i conflitti e investono nelle loro "vie della seta" in base ai loro interessi economici e al principio del "win-win". In genere, ci si chiede se gli Usa vogliano comportarsi con la Cina come si sono comportati con l'Urss. Però agli analisti occidentali e al largo pubblico non viene mai in mente di porsi la domanda simmetrica: che cosa vogliono fare degli Usa i cinesi? Ritengo che porsi questa domanda, in un mondo dove un uomo su quattro è cinese, non sia soltanto un interessante esperimento mentale.

    RispondiElimina