venerdì 15 febbraio 2013

Il feticismo delle merci



Siamo alle prese con una settimana di canzonette e di esodati vaticani, ma intanto l’India straccia il contratto di fornitura con Finmeccanica e Hollande va a Nuova Delhi con uno stuolo di ministri e un carico di industriali a firmare contratti. Che dei magistrati possano fare quello che vogliono, anche contro gli interessi della nazione e favorendone indirettamente altre, è uno dei tanti deliri di questa repubblica del kiwi. Non è però colpa dei magistrati. Parliamo d’altro.


Oggi il capitalismo sta distruggendo la struttura organica della vita, ma un tempo ebbe anche una funzione positiva e progressista. La comparsa nella seconda metà del XIX secolo dei grandi magazzini ebbe per esempio un’importanza fondamentale nell’emancipazione femminile. Ed è con l’abbigliamento prodotto industrialmente e venduto nei grandi empori commerciali che per la prima volta sono messi in discussione vecchi codici di distinzione di classe, almeno apparentemente.

Nel 1852 Aristide Boucicaut (pronuncia: Buscicò) inaugurò a Parigi un piccolo negozio, Le Bon Marché, denotandolo di un nuovo modo di concepire il commercio al dettaglio: piccolo margine di guadagno sulle singole merci, ma grande quantità e soprattutto varietà di prodotti in vendita; prezzi fissi e chiaramente indicati sull’intera gamma degli articoli (una novità assoluta); ingresso libero e senza obbligo d’acquisto. I prezzi fissi, prestabiliti, non contrattabili, rispondono anche al fatto che non ci si può fidare che i numerosi commessi contrattino in modo vantaggioso per il padrone. Boucicaut inventa i saldi e la settimana del bianco, e degli spazi per “parcheggiare” i mariti. Capisce prima dei situazionisti che il consumo è uno spettacolo, fino al punto di organizzare dei concerti e altri eventi di richiamo nel suo tempio del consumo.

In generale però non sempre i prezzi dei prodotti erano più bassi rispetto a quelli dei negozi tradizionali, ma solo il prezzo di pochi prodotti era più economico, e dopotutto il risparmio ricavato sull’acquisto di queste poche merci a buon mercato si perdeva perché l’acquirente, anche con risorse limitate, comprava poi prodotti che prima non avrebbe mai pensato di acquistare. Il consumismo e i prezzi civetta non sono dunque una novità recente, salvo in paesi commercialmente molto arretrati come l’Italia, laddove i grandi magazzini diventano un fenomeno di massa quasi un secolo dopo.

Anche a Londra nacquero i grandi magazzini commerciali, Burt e soprattutto Selfridge, Potter Palmer a Chicago, Myer in Australia, eccetera. Questo nuovo tipo di negozi punta soprattutto sulle donne, creando per loro uno spazio adatto dove trascorrere un po’ di tempo fuori casa, luoghi dove non solo possono prendere visione delle merci, ma possono toccarle e anche indossarle nel caso si tratti di capi d’abbigliamento. Soprattutto ogni merce è dotata di un cartellino che ne esprime il prezzo, perciò si evita di sentirsi rispondere dal commesso: madame, si tratta di un prezzo molto impegnativo; oppure: madame, abbiamo per lei articoli più economici. Un imbarazzo non da poco. Le merci inoltre si possono far recapitare al proprio domicilio, ma anche subito sostituire o riparare dopo l’uso. Una rivoluzione.

È in prossimità di questi grandi magazzini che le famose suffragette (donne che puntavano a ottenere anzitutto il diritto di voto) organizzano le loro prime manifestazioni pubbliche, e sono gli stessi magazzini che finanziano con la pubblicità le loro riviste! Ed è sempre nei grandi magazzini che le suffragette si vestono secondo dettami di moda ben definiti e riconoscibili.

Questo fenomeno commerciale non fa altro che favorire le tentazioni, domocratizzare il lusso esponendo gli avventori alla seduzione dei bisogni supplementari indotti e innescando nei clienti reazioni psichiche a catena con gli oggetti dei loro desideri. Lo shopping compulsivo, l’impulso inestinguibile all’acquisto, costituisce il culmine patologico del potere di fascinazione delle merci, tanto più che l’atto dell’acquisto è un atto di dominio, di potere. Émile Zola nel romanzo Au Bonheur des dames (Al paradiso delle signore), descrive dettagliatamente i principali metodi di commercializzazione del desiderio: “i satins dai toni nacrés dell’acqua di sorgente e le sete leggere dalle trasparenze di cristallo, verde Nilo, cielo indiano, rosa di maggio, blu Danubio”, sono osservati e toccati con dita tremanti di gioia sensuale da donne pâles de désir, e vengono reclamizzati con imponenti campagne pubblicitarie da quel trafiqueur de désirs che è ormai il proprietario dei grandi magazzini. Siamo nel 1883, l’anno della morte di Karl Marx, colui che dedicò un capitolo de Il Capitale proprio al feticismo della merce.

Perciò fanno ancor più ridere i teorici della decrescita, la loro condanna morale della pleonexia (non quella platonica, la brama insaziabile del possesso), non capiscono che in un sistema economico capitalistico il possesso di una determinata merce diventa come un certificato di appartenenza a un determinato status. Il capitalismo, mirando al profitto, ha bisogno di moltiplicare sempre più i consumi, di allargare i confini della limitazione o autolimitazione dei desideri, perciò crea bisogni sempre meno urgenti e con ciò procede spedito bel oltre le colonne d’Ercole della pleonexia antica.

Ritornerò sull’argomento. 


4 commenti:

  1. Scusami, non ho capito, quando dici "contro gli interessi della nazione"... ti riferisci agli interessi della borghesia italiana? Perché, come be sappiamo, il mondo non è diviso in nazioni ma in classi. Ti saluto con stima.

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    1. a volte assumo il punto di vista borghese proprio per metterne in evidenza le contraddizioni

      la società è divisa in classi ma il mondo è ancora diviso per nazioni, perciò i proletari si sono sparati tanto gli uni contro gli altri

      cordialissimi saluti

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  2. Cosa dovevano fare i magistrati, far continuare il giro di tangenti da centinaia di milioni di euro?
    E poi, mi associo alla domanda di marco. Gli interessi della nazione? non è lo stesso che dire popolo? e il popolo, non è un soggetto interclassista?

    Anch'io la saluto, con stima non lo so, ma con interesse sì.

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    1. appunto dico che i magistrati non hanno colpa, loro applicano la legge
      è il sistema che evidentemente non funziona, ossia funziona a quel modo.
      inutile fare i moralisti, le commesse internazionali si vincono solo pagando le mediazioni
      se io trovo un compratore per le tue merci (che altrimenti resterebbero invendute) è chiaro che pretendo una percentuale
      nel caso di specie si tratta di una vera e propria corruzione, ma funziona così. è un sistema marcio, non lo giustifico, prendo atto di com'è
      va bene anche solo l'interesse.
      cordialmente

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