domenica 10 febbraio 2013

Quel ribelle di Soros



Ieri, rispondendo a un commento di un lettore, citavo Soros, il quale teme una “ribellione” in Europa, segnatamente nei paesi in grave difficoltà. La parola rivoluzione è tabù, guai a pronunciarla, si rischia di farsi ridere dietro. “Ribellione” è più soft. Tanto più che c'è Rivoluzione civile, la quale si presenta alle elezioni con un programma da far tremare i polsi, alla borghesia che ha perso il sonno. Sì, a causa delle troppe bollicine stappate in occasione del carnevale elettorale.


Il tempo storico ormai ha la cadenza dei programmi televisivi. Proprio stasera guardavo la prima puntata della riedizione dello sceneggiato ispirato alla vita di Gramsci, della cui qualità posso dire “ben poco”. Anche nel 1919 ci si lamentava del fatto che il soggetto della rivoluzione, il proletariato, fosse assente dalla scena. Tranne che in Russia e per le note ragioni. I servizi segreti occidentali – obbedienti alla parola d’ordine leniniana – avevano trasformato la guerra imperialista in guerra civile, complice il gelo che bloccò nel febbraio 1917 quasi tutte le locomotive e i relativi rifornimenti per il fronte. Lenin e Trotzkij non se lo fecero ripetere due volte, rientrarono in Russia e dopo alcune vicissitudini, in novembre – secondo il calendario gregoriano – decisero che sopra il cielo di Pietroburgo la confusione era giunta al punto giusto. Una pattuglia della polizia fermò Lenin poche ore prima dell’insurrezione per un controllo. Non lo riconobbe sotto le mentite spoglie o forse non se la sentirono di smentire la storia.

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In settimana si terrà a Mosca – ma non ditelo in giro – la prima riunione del G-20 che vedrà raccolti i ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali dei Venti sotto la presidenza della Federazione Russa. C’è da scommettere che si parlerà di cambi. La coperta è corta e ognuno la vuole tirare dalla sua parte. A rappresentarci ci sarà un Carneade, e del resto noi non contiamo nulla sulla scena internazionale nonostante l’ottavo posto (470mld) nella classifica dei paesi esportatori (la Francia è di poco avanti, la GB inesistente e il Canada indietro).

La Germania invece conterà molto perché rappresenta il Reich e cioè l’Europa continentale, Francia inclusa. E perché potrà vantare per il 2012 un surplus commerciale di 188 miliardi di euro (centottantottomiliardi). L'export tedesco ha toccato il record di 1.097 miliardi di euro, il secondo più alto negli ultimi sessant'anni. A Mosca, l’Italia potrà sfoderare un saldo positivo di 2 (due) 11 miliardi. Tenuto conto che l’anno prima segnava meno 20 miliardi, c’è da stare allegri. Ma solo un po’, perché in parte il modesto saldo attivo del 2012 è dovuto alla forte contrazione dei consumi, quindi al calo delle importazioni (-3,9), soprattutto di beni intermedi (-17,2). Aumentano le esportazioni italiane anche grazie all’accentuata diversificazione dell'industria (diversificata ma poco “complessa”) e ai prodotti petroliferi raffinati (+30,7%), perciò è opportuno svendere ciò che resta dell'industria petrolifera nazionale.

Il capitale fa profitti e noi tiriamo la cinghia e ci accapigliamo sull’Imu e sul voto in-utile.

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