martedì 24 maggio 2011

tuli, tuli, tulipan



Per comprendere come stanno andando le cose nell’economia mondiale, soprattutto per quanto riguarda la componente finanziaria, non è necessario essere degli esperti. Anzi, è utile non esserlo, così si possono evitare quei pregiudizi che rassicurano per sempre un laureato in economia di essere dalla parte dei controllori e non degli sfigati. Per lo stesso motivo non è indispensabile conoscere il gergo anglosassone dei manipolatori della schizofrenia coatta e dei simulatori di opinioni. Mai come in questo caso è bene affidarsi a un sano scetticismo e cioè avere ben chiari pochi concetti: il primo e il più importante dei quali è che solo il lavoro crea valore; il secondo, conseguenza del primo, dice che la speculazione finanziaria non crea ricchezza, ma la confisca e spartisce tra i più fortunati dei giocatori (più o meno sempre gli stessi); terzo, la finanza e la borsa non hanno nulla o quasi a che vedere con la funzione di sostegno della componente economica industriale che avevano in un ormai lontano passato.

A confronto della speculazione finanziaria attuale, quella famosa sui bulbi di tulipano degli inizi del XVII secolo aveva come “sottostante” qualcosa di concreto, chi falliva rimaneva con un pugno di bulbi, ma con la possibilità di coltivare dei fiori dai colori sgargianti e petali di velluto. Attualmente il “sottostante” è fatto di debiti inesigibili e scommesse folli sul nulla.

Prima o poi il gioco è destinato a interrompersi con ancor maggior clamore, la polvere nascosta sotto il tappeto è diventata una catena montuosa e mostruosa di cui nemmeno gli “addetti” ci saprebbero svelare la reale consistenza e le vette raggiunte. Si possono azzardare delle stime, e sono così pazzesche da sembrare inverosimili. Quando scoppierà la prossima crisi finanziaria (tenuto conto che questa non è finita) non potrà trovare compensazione nell’intervento dello stato. Le grandi banche e società d’intermediazione speculativa continueranno sì ad essere considerate troppo grandi per poter fallire, ma allo stesso tempo i loro debiti sono effettivamente così giganteschi da non poter essere tamponati dagli Stati (essi stessi forti debitori).

Allora si apriranno scenari inediti, imprevedibili ma certamente apocalittici. In Grecia già lo stato non paga più le medicine in uso negli ospedali e le case farmaceutiche stanno facendo le valige, oppure coprono le forniture in cambio solo di contanti. Gli stipendi e le pensioni sono già stati tagliati, ma non basta e si tratta ancora di quisquilie. La Grecia e il Portogallo sono poca cosa, hanno un PIL che è quello delle nostre province di Vicenza e Treviso, e perciò per qualche tempo troveranno soccorso, anche perché ci sono di mezzo i crediti delle banche tedesche. Così per l’Irlanda e il Belgio. Per la Spagna e l’Italia il discorso sarà diverso, così com’è diverso per non pochi stati degli Usa, a cominciare dalla California, poi il Massachusset, Wisconsin, Pennsylvania, ecc.. E anche il Giappone non se la passa bene, visto che ha il debito pubblico più elevato del pianeta.

Non è la “civiltà del denaro in crisi”, come sostengono taluni, ma la barbarie di un sistema sociale basato sulla rapina a cui partecipano un po’ tutti, basta pensare ai fondi pensione, a quelli comuni d’investimento e via via speculando. Il salariato è contento dei rendimenti che il proprio fondo pensione gli sta garantendo, ma spesso ignora o gli fa comodo ignorare che in tal modo alimenta la speculazione sia in azioni di società quotate ma anche in prodotti della cosiddetta finanza ombra, recando spesso danno ad altri salariati e in generale agli interessi del mondo del lavoro. In Italia ci sono più di 500 fondi pensione e oltre 4,5 milioni d’iscritti con una cifra investita di oltre 70 miliardi di euro (poco se confrontata con le cifre dei fondi pensione americani, giapponesi, olandesi, ecc.). Chi controlla i gestori di questi fondi?

Concludendo, quando scoppierà la prossima grande bolla finanziaria travolgendo l’economia intera (dalla produzione ai servizi e ovviamente il credito) le diatribe dei modesti attori che recitano “io son diverso da te” davanti allo specchio deformato della Tv, ci sembreranno ancora più ridicole e risibili. Ma sarà tardi.



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