domenica 12 maggio 2024

Il monopolio della sofferenza e i suoi eredi

 

Shlomo Sand, già professore ordinario e ora emerito all’Università di Tel Aviv, è uno dei più reputati storici israeliani. Nel 2008 pubblicò L’invenzione del popolo ebraico. Osserva: «Vedendo sulla carta geografica dove vivono gli arabi tra il fiume e il mare e dove vivono gli ebrei israeliani tra il fiume e il mare, si capisce che i due popoli sono oggi inseparabili. Ci sono più di due milioni di arabi cittadini israeliani, ce ne sono altri cinque milioni a Gaza e in Cisgiordania, più o meno c’è uno stesso numero di ebrei che vivono su questa terra. Non ho nulla contro l’idea di uno Stato palestinese, però è irrealizzabile. Lo è da tempo, lo è ancora di più dopo il 7 ottobre. Ma il 7 ottobre ha mostrato che anche uno Stato ebraico non ha futuro: serve uno Stato israeliano, in cui i palestinesi siano cittadini a pieno titolo [...]».

Roberto Della Seta, lo intervista per il manifesto e gli chiede: «Lei si considera sionista?

No, non sono sionista perché non credo che Israele debba appartenere agli ebrei del mondo. Ho desiderato per tutta la vita che Israele fosse lo Stato dei suoi cittadini e non lo Stato degli ebrei nel mondo. Uno Stato come l’attuale Israele che dichiara di appartenere non ai suoi cittadini ma agli ebrei di tutto il mondo, per esempio anche agli ebrei italiani, non è uno Stato democratico.

«[...] In parte ha già risposto ma glielo chiedo di nuovo: Israele è uno Stato democratico?

No, non lo è. Non lo è nei territori occupati e non lo è neanche dentro le sue frontiere legittime. È uno Stato liberale. Il fatto che io possa insegnare liberamente dimostra che siamo uno Stato liberale. Ma uno Stato democratico è un’altra cosa: è uno Stato che appartiene a tutti i suoi cittadini.

«[...] Ecco: uno Stato così non è democratico. Io mi batto per l’uguaglianza tra tutti i cittadini israeliani. E so che gli ebrei israeliani potranno continuare a vivere in Medio Oriente solo insieme ai palestinesi.

«Lo racconto nel mio ultimo libro [Deux peuples pour un État, da poco uscito in Francia]: grandi intellettuali ebrei del passato avevano già chiaro che uno Stato esclusivamente ebraico in Palestina sarebbe stato condannato a una guerra perpetua. Tra questi Hannah Arendt, contraria ai due Stati e favorevole a una federazione arabo-ebraica: per lei la nascita di uno Stato esclusivamente ebraico era la premessa inevitabile di guerre continue.»

In un suo libro, Come ho smesso di essere ebreo, Sand scriveva:

«Ottenere che l’Olocausto fosse riconosciuto come uno snodo chiave del rapporto memoriale tra l’Europa e la seconda guerra mondiale diventava un’esigenza morale. La nuova politica sionista e pseudo-ebraica, però non poteva accontentarsi di così poco: marchiare a fuoco il ricordo delle vittime nella coscienza occidentale era solo il primo passo. Si trattava in primo luogo di rivendicare il monopolio della sofferenza proprietà specifica ed esclusiva della nazione ebraica. È in quegli anni che muove i primi passi quella che oggi, non a torto, alcuni chiamano “industria della Shoah”.

«Tutte le altre vittime del nazismo furono relegate ai margini, e il genocidio si trasformò in un’esclusiva ebraica. Da quel momento risulto inammissibile paragonare la tragedia degli ebrei allo sterminio di qualunque altro popolo. Quando gli armeni americani di seconda e terza generazione chiesero che fosse introdotta una ricorrenza ufficiale per commemorare il genocidio dei loro antenati per mano dei turchi ottomani, la lobby filosionista prese le parti della Turchia e cercò di bloccare a tutti i costi il progetto.

«A partire dagli anni 70 il numero dei discendenti di sopravvissuti non ha fatto che aumentare: di punto in bianco si è iniziato a sgomitare per fare parte dei superstiti. Moltissimi americani di origine ebraica, gente che non aveva mai messo piede in Europa negli anni della seconda guerra mondiale né offerto alcun aiuto materiale alle vittime all’epoca del massacro, si sono dichiarati eredi diretti dei sopravvissuti dei campi di sterminio. I figli di ebrei iracheni e nordafricani hanno finito per considerarsi a tutti gli effetti vittime del nazismo, e non sono stati gli unici. Negli stessi anni in Israele si è iniziato a parlare di una “seconda generazione della Shoah”, poi di una “terza generazione”. Il capitale simbolico rappresentato dalla sofferenza di un tempo, come tutti i capitali, doveva passare ai discendenti in quanto legittima eredità.

«A poco a poco la vecchia identità religiosa, quella del popolo eletto, ha lasciato il posto al duplice culto della vittima eletta da un lato e della vittima esclusiva dall’altro [...].»

*

È in nome di quel monopolio della sofferenza e di quella eredità che Israele si sente autorizzata a far vivere in un regime di apartheid milioni di arabi palestinesi (e non solo). Ad occuparne le terre, demolirne abitazioni, confiscarne i beni, a non riconoscere il loro diritto sulle risorse naturali (acqua e giacimenti di idrocarburi). Soprattutto il diritto, in nome della eredità capitalizzata con la Shoah, di poter impunemente massacrare una popolazione inerme. E tutto ciò avviene con il consenso della maggioranza degli israeliani, dell’autoidentificazione di essere “un popolo” (si pretende per discendenza di un’antica tribù!), un club etnico d’élite, ed eredi di una memoria dolorosa spesso sfruttata in malafede, pronti a rinfacciare di antisemitismo chiunque si opponga alle loro pretese e ai loro crimini.


sabato 11 maggio 2024

Che cosa dipingerebbe oggi Picasso?

 

C’è un potere oscuro, invisibile, che governa le nostre vite. La tecnologia ci lascia nel bisogno; peggio, lo allarga a dismisura. Più che di bravura, ci manca gentilezza. Non c’è via d’uscita, le persone si comportano nel modo in cui gli viene detto di comportarsi. Da folla gregaria. Non c’è modo per sfuggire al collante sociale, di essere altrove. Non basta mettersi in disparte contro la volgarità ideologica: posso capire che un prete sia contro l’aborto, ma contro i contraccettivi è palese la sua contraddizione; che poi paragoni questi ultimi agli armamenti, denota tutta la sua volgarità.

Anche il nostro sentimento anti-establishment è per la maggior parte vago e informe, anzi, conforme. Penso all’assenza di reazioni al voto di “astensione” dell’Italia all’Onu che prevedeva concretamente per il rappresentate palestinese di poter stare seduto all’assemblea tra gli altri rappresentanti degli Stati membri, in ordine alfabetico, oppure di presentare proposte, emendamenti e sollevare mozioni procedurali su tutti gli argomenti, non solo, quindi, quelli strettamente legati alla Palestina o al Medio Oriente. Senza peraltro avere diritto di voto, né poter presentare la propria candidatura per i principali organi delle Nazioni Unite, come il Consiglio di sicurezza, il Consiglio economico-sociale e nemmeno per quello per i diritti umani (continuerà ad avere solo lo status di “osservatore”).

La ragion di stato, ossia gli affari dell’ENI e altre meschinità. La comprensione della storia e della società oggi non è all’altezza del compito. Per tacere dell’arte. Che cosa dipingerebbe oggi Picasso in riferimento a ciò che accade?

venerdì 10 maggio 2024

Un modello memoriale egemone

 

Quando vi capita di stare in compagnia con persone vostre conoscenti, provate a chiedere loro a bruciapelo: “quante persone hanno massacrato in tutto i nazisti nei campi di concentramento, nei campi di sterminio e con altri metodi non convenzionali?”.

Ogni volta, invariabilmente, di primo acchito la risposta sarà: “Sei milioni”. Se poi specificate che la domanda era riferita a persone in generale e non soltanto ad ebrei, allora vedrete che i vostri interlocutori il più delle volte non sapranno rispondere o resteranno nel vago.

E accade la stessa cosa per quanto riguarda la filmografia che ha ad oggetto i campi di concentramento e di sterminio. Quasi sempre gli internati, le vittime, sono ebrei, o prevalentemente ebrei. Che in quei campi siano morti cinque milioni di polacchi, e che due milioni e mezzo fossero cattolici, lo spettatore non lo sospetta.

Auschwitz, per esempio, era stato istruito in origine per detenere prigionieri polacchi, e non ebrei, ma anche questo è un dettaglio che non merita di essere citato quando si parla di Shoah. Passi poi che un soggetto istruito ma poco acculturato come Barack Obama abbia potuto definirlo senza un’ombra di esitazione come un “campo di sterminio polacco”.

Che gli ebrei polacchi siano stati in grandissima parte cancellati dalla faccia della terra dalla ferocia germanica non dovrebbe far dimenticare che, quando si parla di proporzioni, il numero di rom (tzigani) assassinati in Polonia è molto vicino a quello delle vittime ebree. E però queste vittime raramente sono nominate e sempre en passant.

I crimini nazisti (e fascisti) sono stati trasformati in una tragedia esclusivamente ebraica. Ci si dovrebbe chiedere perché si è giunti a dare un carattere esclusivo alla morte ebraica, dimenticando in un silenzio assordante la morte degli altri. Tzigani, comunisti e socialisti, testimoni di Geova, resistenti e avversari politici, soldati e funzionari sovietici, omosessuali e altre vittime ancora sono state quasi tutte espunte dal fenomeno.

Un esempio è il Giorno della Memoria, che risponde a un modello memoriale egemone (basta leggere cosa dice Wikipedia). Quanto ha influito dal dopoguerra a oggi questo modello egemone sulla ridefinizione dell’entità ebraica contemporanea?

L’obiettivo dalla politica sionista dello Stato di Israele è stato quello di «accumulare un capitale di prestigio esibendo un passato doloroso nel modo più drammatico possibile. Tutte le altre vittime del nazismo sono state relegate ai margini, il genocidio si è trasformato in un’esclusiva ebraica».

Queste parole, che faccio mie, appartengono a un professore israeliano dell’università di Tel Aviv, il più grande ateneo pubblico d’Israele. Antisemita pure lui?

giovedì 9 maggio 2024

Uno Stato di "eletti"

 

Troppo spesso ancora oggi gli ebrei sono descritti come portatori di caratteri loro propri, addirittura sui generis, trasmessi per via ereditaria. Uno speciale corredo genetico distinguerebbe gli ebrei da tutti gli altri esseri umani.

Questa è una teoria cara ai sionisti e, paradossalmente e per altri opposti motivi, all’antigiudaismo.

Nei registri anagrafici israeliani un cittadino può risultare di nazionalità “ebraica”. Del resto Israele si autodesigna ufficialmente come Stato del popolo ebraico. Lo Stato di Israele designa ebreo un suo cittadino non perché parli l’ebraico, racconti barzellette ebraiche, mangi cibo ebraico, scriva in ebraico o pratichi attività specificatamente ebraiche. Nulla di tutto questo.

Si è censiti come ebraici perché quello Stato, ossia Israele, ha esaminato l’albero genealogico di quel determinato cittadino, appurando che è figlio di una madre ebrea, che sua nonna era ebrea e così pure sua bisnonna, di generazione in generazione fino alla notte dei tempi. Un po’ come se per essere cittadino italiano si dovesse essere figli di una madre cattolica, a sua volta discendente di una nonna, una bisnonna e così via, cattoliche.

Quel cittadino considerato ebreo dallo Stato di Israele potrebbe aver avuto un padre e un nonno ebrei, ma ciò non lo farebbe diventare ipso facto un cittadino ebreo dello Stato d’Israele. Parlare e imprecare in ebraico non gli sarebbe servito a nulla, così come non gli sarebbe servito a nulla aver frequentato fin da bambino le scuole israeliane. Fino alla fine dei suoi giorni sarà etichettato dalle autorità come un immigrato polacco, tedesco, italiano, russo, e che dir si voglia. E così anche se fosse nato in Israele ma non da madre ebrea.

Non solo. Quel cittadino non può rinunciare di essere ebreo, e ciò stando alle leggi in vigore nello Stato israeliano, conformi in questo ai canoni della halakhah, ossia alle leggi religiose ebraiche. Il fatto di essere o non essere ebreo non ha nulla a che vedere con il libero arbitrio. Soltanto in casi limite l’anagrafe israeliana potrebbe accettare di modificare la nazionalità di un cittadino, ossia nel caso si convertisse a un’altra religione.

E se quel cittadino fosse laico e non credente, ossia un cosiddetto ateo? Se non credesse nelle balle sulla trascendenza, di essere creatura di Dio e non viceversa? Ancora nel XXI secolo, in Israele e nel resto del mondo, i sionisti respingono senza perdere l’idea stessa di una nazionalità israeliana di matrice puramente civile: si può parlare sempre soltanto di nazionalità “ebraica”.

Scrive lo storico israeliano Shlomo Sand: «A chi desidera considerare Israele come il proprio Stato nazionale di appartenenza restano due sole possibilità: essere figlio di madre ebrea, oppure sottoporsi a un lungo e tortuoso cammino di conversione religiosa secondo i canoni della legge ebraica, anche se in cuor suo l’aspirante cittadino è ateo al cento per cento».

Molti degli studenti di Shlomo Sand sono di origine palestinese, parlano correntemente l’ebraico e a norma di legge dovrebbero essere considerati israeliani a tutti gli effetti. Eppure nei registri del ministero dell’Interni risultano censiti una volta e per tutte come “arabi” e non come israeliani. Non è in loro potere modificare questa situazione, né oggi né mai. Qualcuno, penso a campioni come Chiaberge e altri, che propugna (giustamente) lo jus soli per i nostri immigrati, ha avuto mai da dire qualcosa a riguardo dello status dei palestinesi nati e residenti in Israele?

Per contro, s’immagini che in qualunque altro Paese le autorità imponessero a chi si riconosce come ebreo di farlo scrivere sulla sua carta d’identità, per non parlare di un ipotetico censimento nazionale condotto con simili criteri. Ma è esattamente ciò che avviene in Israele, e di ciò nell’occidente liberale e democratico non si parla.

mercoledì 8 maggio 2024

Di quale antisemitismo stanno parlando?

 

Comprendo le preoccupazioni per il caso Falcinelli, ma del resto è noto che gli Stati Uniti sono un regime a larghi tratti fascista (sì, proprio fascista). E la cosa è ben rappresentata dai 2500 arresti di manifestanti del Gaza Solidarity Encampment e altre organizzazioni studentesche. Del resto, la storia degli Stati Uniti è la storia di un regime di segregazione razziale, di linciaggi, di assassinio di popolazioni autoctone e poi di oppositori interni ed esterni, eccetera. Dunque non c’è da stupirsi. Semmai ci sarebbe da stupirsi perché Repubblica dia così ampio risalto al caso Falcinelli e tratti i manifestanti dei campus universitari dapprima alla stregua di terroristi e poi copra i loro arresti col silenzio. Stupore in realtà immotivato se si considera la proprietà del giornale e la sua direzione.

In molti casi, studenti e docenti sono stati accusati di “violazione” per essersi seduti sull’erba o aver occupato gli edifici del campus, mentre sono stati incarcerati anche i giornalisti che hanno filmato gli studenti arrestati. In molti casi si parla di “rivolta” quando invece si tratta di pacifiche manifestazioni o semplicemente di presenza nei campus. Quanto al presidente Joe Biden, in molteplici dichiarazioni continua a ripetere la grande balla secondo cui l’opposizione allo sterminio sionista del popolo palestinese è un’espressione di antisemitismo. Tutto ciò sta avvenendo da mesi senza che la libera stampa (salvo eccezioni) dell’occidente democratico sollevi sopracciglio, senza che la UE si pronunci per delle sanzioni contro Israele, nel silenzio di molti che diventa complicità.

Di fronte alla tragedia palestinese, di quale antisemitismo stanno parlando? Oggi nessun uomo politico può sognarsi di esprimere pubblicamente posizioni antiebraiche, se non forse in qualche zona dell’Europa centrale e nella sfera islamico-nazionalista. Nessun organo di stampa credibile accetterà di propagandare frottole antisemite, nessuna casa editrice degna di questo nome è disposta a pubblicare autori che predicano l’odio nei confronti degli ebrei. Nessuna emittente radiofonica e nessuna rete televisiva, pubbliche o private che siano, concedono spazio a opinionisti ostili alla popolazione ebraica. Se ogni tanto capita che i mass-media lascino passare per sbaglio frasi diffamatorie nei confronti degli ebrei, l’errore viene immediatamente rettificato, senza eccezione possibile.

Dunque? Sopravvivono sacche di odio antiebraico, residui di un passato remoto che bisbigliano nel segreto, figure marginali o di spostati, ma il grande pubblico si guarda bene dall’attribuire a quelle parole la benché minima plausibilità. La giudeofobia imperante di un tempo nelle civiltà cristiane occidentali fino ad anni recenti era, purtroppo per chi l’ha patita allora, tutt’altra cosa. Il termine stesso di “antisemitismo” è stato coniato da uomini che odiavano gli ebrei: la qualifica di “semita”, chiaramente razzista, è priva di qualunque fondamento storico.

Allora, perché tanta ferocia repressiva, che cosa motiva questo clima ideologico? D’accordo, il solito appoggio al sionismo, che tanta parte ha nella finanza e nei media, ma c’è dell’altro. Serve a stoppare preventivamente l’emergere di un’opposizione politica all’imperialismo occidentale e alle sue guerre.

Il 4 maggio 1970 quattro studenti della Kent State University, nel nord-est dell’Ohio, manifestanti disarmati furono assassinati e altri nove rimasero feriti sotto il fuoco della Guardia Nazionale. Protestavano contro la decisione del presidente Richard Nixon di intensificare la guerra in Vietnam inviando truppe statunitensi nella vicina Cambogia.

Quegli omicidi hanno strappato la maschera della “democrazia” e della “libertà” dal volto dell’imperialismo americano, mostrando che la classe dirigente americana era disposta a usare in patria contro l’opposizione politica gli stessi metodi feroci che stava usando nei suoi massacri nel sud-est asiatico.

I quattro studenti uccisi avevano tra i 19 o 20 anni. In quel momento i loro assassini non stavano reagendo ad un attacco improvviso o ad una carica da parte degli studenti, o in risposta al lancio di sassi, bottiglie o altri oggetti. Due degli assassinati erano addirittura dei passanti, si trovavano a 130 metri dalle truppe. La maggior parte dei feriti si trovava a decine di metri e il più lontano a 200 metri dagli assassini in divisa, i quali spararono a raffica. Nessuno degli assassini, né i loro comandanti, né il governatore dell’Ohio, James A. Rhodes, che ordinò loro di occupare il campus e li incitò, fu mai assicurato ai tribunali. Anzi, Rhodes, al suo secondo mandato (1963-1971), fu poi rieletto per altri due mandati (1975-1983).

Il governatore descrisse i manifestanti come “peggio delle camicie brune e degli elementi comunisti. Sono il peggior tipo di persone che ospitiamo in America. Penso che ci troviamo di fronte al gruppo più forte, ben addestrato, militante e rivoluzionario che si sia mai riunito in America”.

Erano gli anni in cui il Dipartimento di Stato, attraverso la CIA, con la complicità del comando Nato in Italia e la rete Gladio, organizzava la strategia della tensione avvalendosi della manodopera fascista. Erano gli anni delle bombe e delle stragi.