domenica 18 giugno 2023

La traiettoria del mondo

 

Nel film Blade Runner, ambientato nel 2019 in una Los Angeles distopica, il protagonista Rick Deckard, interpretato da Harrison Ford, ispezionando un appartamento trova una squama. Facendola analizzare scopre che non si tratta della squama di un esemplare di serpente appartenente alla fauna selvatica, ma di un rettile artificiale. Com’è noto, il film è basato su un romanzo scritto da Philip K. Dick. Considerando che è stato pubblicato nel 1968, bisogna riconoscere che l’autore ha saputo precorrere i tempi immaginando quel tipo di sequenziamento di un reperto.

Veniamo alla realtà odierna. Raccogliendo campioni di sabbia sulle spiagge, che dovrebbero contenere tracce del passaggio di tartarughe marine verdi in via di estinzione e vittime di patologie virali, i ricercatori dell’Università della Florida hanno scovato frammenti di DNA umano. Incuriositi, hanno poi deciso di prelevare alla cieca campioni d’acqua dal fiume Avoca, che attraversa la cittadina di Arklow, in Irlanda: ancora DNA umano, tranne che nel corso superiore del fiume, dove non ci sono abitazioni.

Trovare DNA umano in natura non è sorprendente, ciò che impressiona è il potere delle nuove tecnologie per il sequenziamento di questi frammenti di DNA, che ora possono essere collegati agli individui.

Raccogliendo campioni di aria che fluttuano in una stanza di 25 mq in una clinica veterinaria, i ricercatori sono stati in grado di stabilire l’identità dei sei membri del personale che vi lavorano quotidianamente, ma anche degli animali visitati e dei virus comuni che portavano. L’analisi è arrivata persino a identificare varianti genetiche associate alle popolazioni europee e latinoamericane, addirittura a tutta una serie di patologie, come l’autismo, il diabete, il cancro e le malattie cardiache.

Ci sono voluti decenni per capire i rischi connessi con il lasciare i nostri dati di navigazione in Internet nelle mani dei giganti digitali; è probabile che ci sveglieremo con una grave sbornia genetica. Le anime comuni, cioè noi tutti, non ne siamo ancora consapevoli, ma le conseguenze del rapido sviluppo delle tecnologie di sequenziamento del genoma umano sono ancora più rischiose per quella che definiamo la nostra vita privata, ossia di quel poco che resta di essa.

Diffondiamo il nostro DNA ovunque e senza saperlo. Una moltitudine di campioni di DNA viene prelevata per scopi di ricerca medica o clinica, per studiare, ad esempio, malattie genetiche rare. Basta un po’ di materiale organico per determinare il sesso del loro proprietario, la sua ascendenza, alcuni rischi di malattie, persino la sua identità completa quando le informazioni vengono confrontate con altre banche dati.

Il tutto in nome della ricerca scientifica, della nostra salute e benessere. È altresì positivo che la profilazione dai dati del DNA sia uno strumento potente per trovare stupratori o assassini. Perché privarsene, dal momento che le persone oneste non hanno nulla da nascondere o da rimproverarsi?

È una “filosofia” di sorveglianza di massa, per la quale il DNA è ormai uno strumento tra gli altri. A poco a poco, riducono lo spazio già esiguo di libertà, costruendo, spesso con il nostro aiuto, una camicia di forza psicologica che limita l’individuo. Presto non sarà necessario andare in Cina per vedere una crescente domanda di sorveglianza per far fronte alle attività che disturbano le cosiddette autorità.

Non solo: accumulando dati sul DNA raccolti in natura o tramite test mirati che consentono di conoscere la nostra etnia, si possono costruire vaste mappe genetiche della diversità umana in tutto il mondo. Non più in uno schema in cui distinguere per esempio gli africani dagli europei, ma la mappatura delle differenze genetiche a livello di popolazione locale!

Data la traiettoria del mondo di oggi, non c’è da stare tranquilli.

sabato 17 giugno 2023

Un libro di grande successo


Dopo quasi due settimane, è chiaro che la “controffensiva di primavera” dell’Ucraina, promossa per mesi dai media occidentali, non ha fatto, almeno per il momento, progressi significativi, mentre le forze armate ucraine subiscono perdite devastanti. Dall’inizio del conflitto centinaia di migliaia di soldati ucraini sono rimasti uccisi o feriti, vale a dire una parte considerevole della popolazione in età da combattimento.

Con fredda indifferenza per la massiccia perdita di vite umane, l’amministrazione Biden cerca di combattere la guerra fino all’ultimo ucraino. Ma il problema con questa strategia è che la Nato sta finendo gli ucraini da mandare a morire.

A Washington prendono atto che l’Ucraina da sola non può respingere i russi oltre confine, generando una crisi che porterebbe al crollo del governo Putin. Sanno benissimo che, stante l’attuale situazione sul terreno, aprire una trattativa è impossibile. Non solo, non hanno comunque alcun interesse ad aprire una trattativa, poiché l’obiettivo è il controllo del Mar Nero e dell’Asia centrale, in modo da poter circondare la Cina sui tre lati.

In questo contesto, venerdì i ministri degli esteri dei paesi della Nato hanno concluso un vertice di due giorni volto a finalizzare i piani per un’alleanza militare ufficiale tra la Nato e l’Ucraina. Questo sarà il contenuto del vertice di luglio della Nato a Vilnius.

Il vero problema, tuttavia, non è l’Ucraina che entra nella Nato, ma la Nato che entra in Ucraina, attraverso un’escalation della guerra che porti al suo coinvolgimento diretto nella guerra. L’unica ragione per accelerare l’ingresso ufficiale della Nato in Ucraina è creare il quadro per una tale escalation.

Il governo polacco è ben disposto ad allargare l’area del conflitto, ben sapendo di avere alle spalle, in caso di bisogno, tutta la strapotenza della Nato. Resta da capire fin dove i governi europei, inetti e succubi, accetteranno di seguire Washington su questa strada.

Non va esclusa (non va mai esclusa) un’escalation che porti all’impiego di armi nucleari tattiche. Rammento che nel 1957, Henry Kissinger, nel suo libro Nuclear Weapons and Foreign Policy (*), descrisse l’impiego di armi nucleari tattiche nel combattimento in prima linea, per impedire l’avanzata delle forze convenzionali e per evitare un disastro proprio come quello affrontato dalle forze ucraine. Ciò che vale per gli Usa-Nato vale ovviamente anche per Mosca.

(*) Henry A. Kissinger. Foreword by Gordon Dean. New York, Harper & Brothers for the Council on Foreign Relations, 1957.—xx, 455 pp.. Un libro di grande successo che si può acquistare per meno di 20 euro. 

venerdì 16 giugno 2023

Quella volta che esplose il gasdotto siberiano

 

Rochefoucauld: “Ci sono eroi nel male come nel bene”. Non solo eroi.

*

Quando la “controffensiva” ucraina è iniziata la scorsa settimana, è stata salutata dai media americani come un punto di svolta decisivo nella guerra Usa-Nato contro la Russia.

Dieci giorni dopo, l’offensiva si è trasformata in un bagno di sangue per i soldati ucraini, molti dei quali nuove reclute con poco o nessun addestramento. Il governo ucraino afferma di aver catturato poche decine di kilometri quadrati di territorio nell’ultima settimana, a costo di migliaia di vite. Si è arrivati al punto in cui i media statunitensi descrivono come un enorme trionfo la capacità delle forze ucraine di prendere per alcune ore dei minuscoli villaggio anonimi, fatti passare per fondamentali capisaldi strategici.

Lo stato attuale della guerra ricorda i massacri della prima guerra mondiale. Tutta colpa di Putin? D’accordo, mettiamola pure così. Ma a nessuno importa delle centinaia di migliaia di vite, prevalentemente di giovani, stroncate da una guerra che non porterà, al punto in cui è giunta, da nessuna parte se non a coinvolgerci tutti ancora più pesantemente?

Con totale indifferenza, le potenze degli Stati Uniti e della Nato, insieme ai loro portavoce dei media, trattano la vita degli ucraini come carne da macello. Fossero giovani tedeschi, francesi, italiani o statunitensi a morire a migliaia? E invece sono ucraini (e russi), dunque che importa. Si combatte da oltre un anno attorno alla centrale atomica più grande d’Europa, ma che importa, è colpa dei russi.

Domani il segretario di Stato Antony Blinken sarà a Pechino. Il portavoce del dipartimento di Stato ha spiegato che a Pechino «incontrerà alti funzionari per discutere l’importanza di mantenere aperte le linee di comunicazione per gestire in modo responsabile le relazioni» Ovvio che si parlerà anche dell’Ucraina. Ma chi è Blinken?

Si legge su Wikipedia: “Blinken è nato il 16 aprile 1962 a Yonkers, New York, da genitori ebrei, Judith (Frehm) e Donald M. Blinken, che in seguito ha servito come ambasciatore degli Stati Uniti in Ungheria. I suoi nonni materni erano ebrei ungheresi”.

Si omette di dire che il nonno paterno, Maurice, impiantò una fabbrica a New York dopo aver lasciato Kiev e fu tra i finanziatori del sionismo israeliano.

Donald, il padre di Antony Blinken, fu un importante collezionista dell’astrattista Mark Rothko, partecipò alla fondazione della banca di investimenti Warburg Pincus e fu presidente dell’Università di New York (1970-1990). Con il fratello Alan, Donald fu finanziatore del partito democratico e furono nominati da Bill Clinton ambasciatori in Belgio e Ungheria (pensiamo se diventasse prassi in Italia e in Europa quella di nominare ambasciatori i finanziatori dei partiti!).

Donald, nel 1999, intervenne a favore dell’allargamento a est della Nato, considerando “fortemente esagerato” il timore di urtare la Russia. Il figlio Anthony ha ricordato il padre come suo personale “modello di eroe” (NYT, 23 settembre 2022).

La madre di Anthony, Judith, in seguito al divorzio (1971) si trasferì a Parigi, dove divenne presidente dell’American Center, fondazione artistica. Anthony studiò fino al liceo nella capitale francese, vivendo con la madre e il suo secondo marito Samuel Pisar (1929-2015).

Pisar, ebreo di origini polacche, sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti, visse di contrabbando nella Germania occupata, poi una zia parigina lo mandò a studiare prima ad Harward e quindi alla Sorbona. Cittadino statunitense dal 1961, fu amico e consigliere di Francois Mitterand e Valéry Giscard d’Estaing, speechwriter di politica estera del presidente Clinton, frequentò la Casa Bianca durante la presidenza Obama e fu ambasciatore UNESCO. La figlia che ebbe da Judith, Leah, lavorò alla Casa Bianca sotto Clinton.

Questo l’ambiente sociale e culturale di formazione dell’attuale segretario di Stato statunitense Anthony Blinken, il quale dalla Francia rimpatriò negli Usa per laurearsi nel 1984. Spinto dei suoi professori di Harvard e dal politologo Robert Putnam e dall’economista Richard Cooper, già sottosegretario di Stato di Jimmy Carter e futuro consigliere d’intelligence del presidente Clinton, Blinken approfondì gli studi sull’Europa e si interessò in particolare alla frizione tra Washington e gli alleati del vecchio continente, appena culminata nel 1982 nella crisi del gasdotto siberiano (*).

Blinken, autore nel 1987 di Ally versus Ally (Alleati contro Alleati), beneficiò di conoscenze influenti.aveva lavorato per Marty Peretz, zar di The New Republic, nello studio di Daniel Moyniham, potente senatore di New York. Oltre, grazie all’europeista Jean-Jacques Serva Schreiber e altri, incontrò alcuni protagonisti della crisi del 1982 (quella del gasdotto siberiano). Tra questi anche l’ex cancelliere Helmut Schmidt. Proprio da un colloquio con quest’ultimo, Blinken ricava conclusioni ispirate alla Realpolitik: Washington doveva accettare che l’Europa occidentale non avrebbe rinunciato ai rapporti energetici e commerciali con l’Est, “a meno di condizioni di guerra o acuta tensione”.

(*) È il caso di ricordare che quel gasdotto poteva trasportare fino a 40 miliardi di metri cubi di gas. Dieci di questi sarebbero andati alla Germania dell’ovest, 8 alla Francia e all’Italia, 5 al Belgio, 4 all’Austria, 4 ai Paesi Bassi e 1 alla Svizzera. La negoziazione sul prezzo fu invece molto più complicata.

La Cia raccolse informazioni sulla reazione da parte degli alleati alle pressioni per abbandonare il progetto. Il quadro non era confortante: gli europei non ritenevano credibili le alternative suggerite dagli Stati Uniti, soprattutto quelle relative all’assistenza alla costruzione di centrali nucleari oppure all’aiuto nel cercare fonti alternative di energia in Algeria, mare del Nord o in Nigeria.

Il presidente Reagan definì i leader europei “little chickens“ aggiungendo: “Dovremmo far sapere ai nostri alleati che anche loro pagheranno un prezzo se non si allineano. Abbiamo la memoria lunga”. Ordinò a tutte le società americane di abbandonare ogni iniziativa legata al gasdotto siberiano. La Commissione europea emanò dei “blocking statutes” che minacciavano sanzioni alle società europee che avessero seguito l’ingiunzione americana.

Nel giugno 1982 Reagan e Giovanni Paolo II s’incontrarono a Roma nella biblioteca vaticana. Nessuno sa cosa si siano detti ma Richard Allen, il primo National security advisor di Reagan, disse che si era creata la “più grande alleanza segreta di tutti i tempi”. In luglio

Reagan emise la direttiva segreta NSDD32 con la quale autorizzava misure diplomatiche, politiche e di qualsiasi altra natura per isolare l’Unione sovietica.

Nell’estate del 1982 una tremenda esplosione della forza di tre chilotoni colpì il gasdotto. La forza d’urto fu tale che le stazioni di rilevamento americane in Alaska pensarono si fosse trattato di un test nucleare sovietico. L’esplosione fu visibile anche dallo spazio. Il gasdotto fu, però, riparato in breve tempo e gli europei continuarono a ignorare le sanzioni dei loro alleati americani.

Il gasdotto russo non fu altro che un’operazione commerciale, profittevole per tutte le parti coinvolte, e non una minaccia per l’equilibrio dei poteri tra est e ovest.

giovedì 15 giugno 2023

La verità fa schifo

 

Ho ascoltato un solo intervento di quelli proposti da Repubblica delle idee 2023. A proposito della cosiddetta A.I., il prof. Massimo Cacciari ha detto in sostanza che il vero problema è: in tasca a chi andrà l’aumento di ricchezza promosso da questa nuova tecnologia?

Nelle frasi senti subito se si sta sguazzando in un vecchio stagno, per esempio quando scompare il fatto che il modo di produzione è una configurazione delle relazioni sociali sotto tre aspetti: forze produttive, rapporti di produzione e classi. La proprietà privata dei mezzi di produzione, che definisce le due principali classi, quella dei proprietari e quella dei venditori della loro forza lavoro, definisce anche le forme della distribuzione della ricchezza socialmente prodotta.

Cacciari ama inframmezzare il proprio discorso citando, oltre che locuzioni in greco antico e in latino, i padri ancestrali del pensiero filosofico. Non di rado ama buttare nel calderone anche un nome più recente, quello di Karl Marx.

Ebbene, se tenesse bene a mente Marx, saprebbe in quali tasche va e andrà a finire la ricchezza aggiuntiva promossa (ossia l’aumento della produttività del lavoro umano indotto) dalle nuove tecnologie. Sul piano pratico s’è già visto lungo i secoli della modernità, cioè a porto franco capitalistico, quali sono le tasche che accolgono la gran parte l’aumento della ricchezza socialmente prodotta. Chi produce direttamente o indirettamente quella ricchezza deve accontentarsi delle briciole, come effetto dell’espansione della produzione e del commercio incidenti sulla riproduzione della forza-lavoro.

Ma la verità fa schifo.

Dicevo, Marx sul piano teorico è stato chiarissimo, basta leggere il capitolo 51 del Terzo Libro, intitolato per l’appunto: Rapporti di distribuzione e rapporti di produzione. Scrive il Vecchio: «Un determinato rapporto di distribuzione è solo l’espressione di un rapporto di produzione storicamente determinato».

Perché? «Il salario presuppone il lavoro salariato, il profitto presuppone il capitale. Queste forme determinate di distribuzione presuppongono quindi determinate caratteristiche sociali delle condizioni della produzione e determinati rapporti sociali fra gli agenti della produzione».

Perché non sussistano dubbi tra i “filosofi” a lui contemporanei e presso quelli del futuro, Marx si prese cura di precisare: «Il carattere storico di questi rapporti di distribuzione è il carattere storico dei rapporti di produzione, dei quali essi esprimono soltanto un aspetto. La distribuzione capitalistica è distinta dalle forme di distribuzione che derivano da altri modi di produzione, ed ogni forma di distribuzione scompare insieme con la forma di produzione determinata a cui essa corrisponde e da cui deriva».

Per quanto riguarda i critici dell’attuale modalità distributiva, ossia la folta schiera dei riformisti del capitalismo che vorrebbero togliere alle classi più ricche per dare qualcosa a quelle più povere, insomma quelli che umiliano la nostra epoca a forza di volerla addolcire, Marx si illudeva di metterli in guardia: «La concezione che considera storicamente solo i rapporti di distribuzione, ma non i rapporti di produzione è una critica iniziale, ancora timida, dell’economia borghese».

E allora perché insistere con le solite balle? Perché i pensieri degli uomini sono marci di tensioni egoistiche, che si concretizzano negli atteggiamenti dove il fondamentalismo ideologico borghese cerca la sconfitta di tutto ciò che gli si oppone (*).

Per gli amanti dell’approfondimento concettuale e storico: «[...] il processo lavorativo è soltanto un processo fra l’uomo e la natura, i suoi elementi semplici rimangono identici in tutte le forme dell’evoluzione sociale. Ma ogni determinata forma storica di questo processo ne sviluppa la base materiale e le forme sociali».

Questo sviluppo storico della “base materiale” e delle corrispondenti “forme sociali” a quali esiti conduce? Risponde sempre il dottor Marx: «Quando è raggiunto un certo grado di maturità, la forma storica determinata viene lasciata cadere e cede il posto ad un’altra più elevata. Si riconosce che è giunto il momento di una tale crisi quando guadagnano in ampiezza e in profondità la contraddizione e il contrasto tra i rapporti di distribuzione e quindi anche la forma storica determinata dei rapporti di produzione ad essi corrispondenti, da un lato, e le forze produttive, capacità produttiva e sviluppo dei loro fattori dall’altro. Subentra allora un conflitto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale».

Prof. Cacciari, sollevando lo sguardo dal suo Spinoza, vede null’altro in γίγνεσθαι?


(*) Penso sia utile precisare che le nozioni di “classe media” o di “borghesia”, che usiamo comunemente per comodità, nascondano la posizione nei rapporti di produzione, che è la sola che conta effettivamente. Per esempio, i dirigenti e professionisti che hanno ricevuta una determinata formazione, che detengono un certo monopolio della conoscenza superiore e il cui carattere intellettuale si incarna in professioni specifiche, in termini di stile di vita (vita di coppia, alimentazione, cultura, pratiche del tempo libero, ecc.) si definiscono più in rapporto un proprio standard che in quello fin troppo generico di “borghesi”. Ciò non toglie che l’ideologia di base sia comune.

Sanzioni alla Russia: predicano bene e fanno come gli pare

 

Ieri, il NYT pubblicava un interessante e curioso articolo: Gli Stati Uniti stanno pagando miliardi all’agenzia nucleare russa. Ecco perché.

«La dipendenza degli Stati Uniti dall’energia nucleare è pronta a crescere poiché il paese mira a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Ma nessuna società di proprietà americana arricchisce l’uranio. Gli Stati Uniti una volta dominavano il mercato, fino a quando un vortice di fattori storici, tra cui un accordo di acquisto di uranio arricchito tra Russia e Stati Uniti progettato per promuovere il programma nucleare pacifico della Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ha permesso alla Russia di accaparrarsi metà del mercato globale. Gli Stati Uniti cessarono del tutto l’arricchimento dell’uranio.

«Oggi, le aziende americane pagano circa 1 miliardo di dollari all’anno all’agenzia nucleare statale russa per acquistare il combustibile che genera più della metà dell’energia priva di emissioni degli Stati Uniti.

«È uno dei flussi di denaro rimanenti più significativi dagli Stati Uniti alla Russia, e continua nonostante gli strenui sforzi tra gli alleati degli Stati Uniti per recidere i legami economici con Mosca. I pagamenti per l’uranio arricchito vengono effettuati alle filiali di Rosatom, che a sua volta è strettamente intrecciata con l’apparato militare russo.

«Gli Stati Uniti e l’Europa hanno in gran parte smesso di acquistare combustibili fossili russi come punizione per l’invasione dell’Ucraina. Ma la costruzione di una nuova catena di approvvigionamento di uranio arricchito richiederà anni e molti più finanziamenti governativi di quelli attualmente assegnati.

«Circa un terzo dell’uranio arricchito utilizzato negli Stati Uniti viene ora importato dalla Russia, il produttore più economico del mondo. La maggior parte del resto viene importata dall’Europa. Un’ultima porzione più piccola è prodotta da un consorzio anglo-olandese- tedesco operante negli Stati Uniti. Quasi una dozzina di paesi in tutto il mondo dipendono dalla Russia per più della metà del loro uranio arricchito.

«”Non possiamo essere tenuti in ostaggio da nazioni che non hanno i nostri valori, ma è quello che è successo”, ha detto il senatore Joe Manchin III, il democratico del West Virginia che guida la commissione per l’energia del Senato. Il signor Manchin è lo sponsor di un disegno di legge per ricostruire la capacità di arricchimento americana che promuoverebbe sussidi federali per un’industria che gli Stati Uniti hanno privatizzato alla fine degli anni ‘90.

«La dipendenza lascia anche le centrali nucleari attuali e future negli Stati Uniti vulnerabili a un arresto russo delle vendite di uranio arricchito, che secondo gli analisti è una strategia concepibile per il presidente Vladimir V. Putin, che spesso utilizza lenergia come strumento geopolitico».

Per quanto riguarda le sanzioni: Washington predica bene e razzola come le pare. Anche il gas russo, almeno fino al prossimo anno, continua a transitare attraverso l’Ucraina, alla quale Mosca paga per i diritti di transito.

Per quanto riguarda “Lo stato della guerra”, il NYT scrive:

«Controffensiva dellUcraina: le forze aeree russe e le armi di artiglieria hanno reagito contro l’avanzata delle truppe ucraine, martellandole nell’area di diversi villaggi meridionali che l’esercito ucraino aveva ripreso dal lancio della sua nuova campagna. Difesa di Marinka: i soldati ucraini, in inferiorità numerica, con armi e carri armati, stanno facendo tutto il possibile per mantenere la piccola città strategica vicino a Bakhmut».

Per oggi, da New York è tutto.