giovedì 1 novembre 2018

Un primato che non ci toglie nessuno



La legge 29 gennaio 1992, n. 113, detta legge Rutelli (tale intenzione fu commendevole), stabiliva “l’obbligo per il Comune di residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato, a seguito della registrazione anagrafica”. È stata questa una delle leggi meno applicate, e visto come vanno le cose, potremmo dedurre sia stata una gran fortuna: minore possibilità che gli alberi cadano e facciano danni a persone e cose. È questo un paradosso, ma giust'appunto noi siamo il paese "più e meglio assai" disposto al paradossale.


Quello di paese più paradossale del mondo è un primato che non ci toglie nessuno. Non temiamo le statistiche, né qualsiasi genere di classificazione o giudizio, ma solo i sondaggi elettorali.


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Nel 2013 i nostri rappresentanti (??) hanno emanato una nuova legge (14 gennaio 2013, n. 10) dal titolo “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”, e ciò allo scopo di rendere “operativo” il provvedimento del 1992, ossia è stata emanata nel 2013 una legge al fine di “assicurare l’effettivo rispetto” di una legge del 1992. Del resto, quante e quali norme si sono succedute in tema di autocertificazione dal 1967 in poi? E per quanto riguarda le “interpretazioni autentiche”?

mercoledì 31 ottobre 2018

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Marx indagò le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico. Ad Engels spettò il compito di divulgare le dinamiche alla base di quei fenomeni economici e sociali che noi abbiamo preso a considerare come segno distintivo della nostra epoca solo in anni recenti, vale a dire anzitutto l’incidenza e le conseguenze dello sviluppo tecnologico, il relativo aumento della produttività del lavoro umano, la disoccupazione e sottoccupazione di massa.

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Scrive Engels: 

«È la forza motrice dell'anarchia sociale della produzione che muta l'infinita perfettibilità delle macchine della grande industria nell'obbligo imposto al singolo capitalista industriale di perfezionar le sue macchine, o di sparire. Ma perfezionar le macchine rende superfluo il lavoro umano. Se introdurre e aumentar le macchine sostituisce milioni di operai manuali con pochi operai addetti alle macchine, allora migliorare il macchinario significa render superflui perfino tali addetti alle macchine, cioè creare una massa di salariati disponibili superiore al bisogno di impiego medio occupabile dal capitale […].

Tale eccedenza è in tutti i tempi una palla al piede della classe operaia nella sua lotta per l'esistenza contro il capitale, regolatore che serve a tenere il salario a livello più basso, il solo atto alle esigenze dei capitalisti. Per dirla con Marx, così la macchina diviene l'arma più potente dei capitalisti contro gli operai; il mezzo di lavoro toglie all'operaio i mezzi di sussistenza; il prodotto dell'operaio diviene strumento per il suo asservimento. Cioè ridurre le spese di produzione è a priori una dilapidazione spietata della forza-lavoro e un lesinar sui normali presupposti della funzione lavorativa. Le macchine (il mezzo più potente per ridurre il tempo di lavoro) mutano nel miglior mezzo per mutar tutta la vita dell'operaio e della sua famiglia in tempo di lavoro disponibile per valorizzare il capitale. Il sopralavoro degli uni diviene il presupposto della disoccupazione degli altri. La grande industria caccia nuovi consumatori su tutto il pianeta ma in patria riduce il consumo delle masse a un minimo di fame, fa crollar il suo mercato interno».

martedì 30 ottobre 2018

Stanno riscrivendo la storia (e la geografia)




C'è un errore. Anzi, due: l'anno (2018) e la valuta in euro. E poi una domanda: perché la terra solo al Sud, sarà per caso perché sono ... "terroni"? 

domenica 28 ottobre 2018

Allora sarà tutto molto più facile



Ernesto Galli lamenta che non vi sia una strategia per uscire dai soliti schematismi retorici del riformismo parolaio. Ha ragione, manca una strategia. Per esistere la sinistra deve trovare altre giustificazioni che non sia semplicemente quella di proporsi come partito di governo.

Non ha strategia non solo per incapacità, per assenza d’idee, di leadership, ma per un motivo di base: la sinistra inseguendo il proprio pragmatismo s’è adeguata con gioia al liberismo, professando anzitutto l’identità d’interesse tra capitale e lavoro. Su questo equivoco, così come su altri, la sinistra ha perso la propria identità ed è un’evidenza storica perfino pleonastica che quando la sinistra fa disastri la società esce sempre a destra.

La sinistra sconta una caduta verticale della sua cultura politica, così come in generale si nota una incultura diffusa, e già questo ha in sé molti pericoli, anzi è uno dei dati più preoccupanti della nostra epoca. Deve porre al primo posto l’analisi critica e l’autocritica, e invece vive di polemica assecondando la sottocultura che si esalta attraverso i social. C’è altrimenti il rischio di essere minoritari? È un rischio che va accettato, non ci sono scorciatoie.

Quello che Galli non può ammettere (data la sua posizione di classe) e che la sinistra ignora bellamente (per lo stesso motivo), riguarda un fatto strategico fondamentale: oggi più che mai il superamento del capitalismo è un problema aperto. Le persone che rappresentano la sinistra sono ben lontane dal condividere anche solo l’ipotesi di tale questione, in gran parte disinteressate ad interrogarsi realmente sugli effetti prodotti dalle nuove tecnologie, dal monopolio e dalla globalizzazione, se non nella lettura ideologica corrente. Non sono per nulla inclini a prefigurarsi un domani diverso da come si prospetta nel capitalismo e sotto il governo di filibustieri decerebrati.

Si tratta invece di dimostrare anzitutto che un’alternativa a questo sistema ha ragioni serie, che vanno tradotte in programma di lungo periodo entro una dinamica molto più vasta di quella meramente nazionale; e così per quanto riguarda la tattica sull’immediato, dal tema del lavoro, del reddito, della fiscalità, dell’ambiente, tutti obiettivi intermedi che devono avere per forza di cose respiro e collegamento quantomeno europeo.


Se però il nuovo soggetto politico della sinistra che si propone unitariamente per le prossime elezioni europee avrà tra i suoi esponenti le vecchie cariatidi, allora per la destra fascistoide sarà tutto molto più facile.

Come piace a lui


Vivremo tempi interessanti? Non ho dubbi, basterà non tirare le cuoia prima d’allora. Di tempi interessanti ne ho già vissuti alcuni, quasi tutti d’autunno. Ricordo sopraggiungere improvvisa e incredibile la nebbia che in rapidi banchi ci avvolse nel tardo pomeriggio dell’ultimo giorno di mare. Fu quello uno dei momenti più malinconici della mia prima giovinezza. Del resto accadeva nella stessa spiaggia, a pochi passi, dove meno di un decennio dopo Visconti girerà Morte a Venezia. E che la città stesse morendo era un dato di fatto conclamato dall’esodo inesorabile dei suoi abitanti verso la terraferma, dei quali noi non fummo i primi ma nemmeno tra gli ultimi.

Venezia restaurata, resa asettica alla patina del tempo, turistica, non sarebbe più stata la stessa. Ciò avvenne ben prima della realizzazione dell’opera pubblica più demenziale della sua storia, il “mose”; ben prima del passaggio delle grandi navi da 115mila tonnellate. Anche negli anni Sessanta transitava nel canale della Giudecca una grande nave, la Cristoforo Colombo, gemella della sfortunata Andrea Doria. La stessa che portò in Italia, tra gli altri, l’esule cubano Alvar González-Palacios. Appunto, una sola grande nave, di nemmeno 30mila tonnellate di stazza lorda, una barchetta a confronto dei giganti di oggi che innumerevoli e settimanalmente transitano per lo stesso canale. La Colombo attraccava comodamente al molo delle Zattere, davanti alla sede della Società adriatica di navigazione (mi pare si chiamasse così) e al consolato di Francia (a tale riguardo rammento una veridica liaison dangereus tra la silfide francese, moglie del giovane console, e … ).