I nostalgici della liretta, sul tipo dei “riconquistatori dell’Italia”, che si proclamano immancabilmente “popolari”, nostalgicamente “neosocialisti”, genericamente “democratici”, graniticamente “antieuropeisti” e naturalmente “patriottici”, sorvolano su alcune cose essenziali a proposito della lira e della schiavitù dell’euro.
Per esempio che, se non fossimo entrati nell’euro, ben prima del 2011 la nostra moneta avrebbe subito attacchi devastanti, i titoli di Stato sarebbero diventati invendibili se non a condizioni capestro. La svalutazione avrebbe reso sì più competitive le nostre merci (ma anche più aggredibili le aziende da parte del capitale estero), e però avrebbe annientato salari, stipendi e pensioni, bruciato come paglia i risparmi e reso gli investimenti problematici. Tutto ciò stava accadendo con l’euro, figuriamoci cosa sarebbe accaduto con la lira. Il 1992 a confronto sarebbe apparso come una trascurabile crisetta.
Riconosco che dietro le crisi finanziarie del 1992 e del 2011 si celavano anche altri propositi, ma ciò non toglie che le condizioni della nostra moneta di allora e del nostro debito favorirono quei famigerati fatti sui quali poi si è anche favoleggiato.
Va presa con beneficio d’inventario anche la leggenda che l’accelerazione del debito pubblico si è avuta con la separazione tra Tesoro e Banca d’Italia.
Dalla metà del 1981, la Banca d’Italia non fu più obbligata ad acquistare le obbligazioni che il governo non riusciva a piazzare sul mercato, un meccanismo che finanziava il disavanzo pubblico con l’ampliamento della massa monetaria (che a sua volta produceva inflazione).
A tale riguardo, vorrei ricordare cose vissute in prima persona, ossia che il tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia nel settembre 1975 era al 6% e già l’anno dopo schizzava al 15% per raggiungere nel 1980 il 16,50, mantenendosi al 14% ancora nel 1986 e infine scendere sotto il 10% solo nel 1993.
Il tasso di prestito alla migliore clientela (prime rate) passava dal 12% nel 1975 al 21% nel 1980, per poi scendere progressivamente al 18% nel 1984, al 15,88 nel 1985 e al 13 nel 1986, eccetera.
Pertanto il fenomeno inflattivo e l’innalzamento dei tassi, cui seguirà a ridosso l’esplosione del debito pubblico, ebbe inizio prima della vituperata separazione tra Tesoro e Banca d’Italia.
La forte crescita del debito pubblico italiano in quegli anni fu causata dall’intersezione tra la politica economica spendi & spandi, la corruttela dilagante, l’inflazione a due cifre e tassi d’interesse insostenibili. È vero che da allora le spese non coperte da entrate fiscali furono finanziate interamente con il collocamento di titoli sul mercato, senza che Bankitalia potesse più fornire alcun salvagente, ma erano proprio quelle spese e il relativo salvagente che, insieme ad altri fattori esogeni, avevano prodotto una elevata inflazione.
È vieppiù necessario ricordare che la stabilità di una moneta e del Paese che la emette non è data dalla facoltà di ampliare la propria massa monetaria a piacere (lusso che possono permettersi gli USA), ma dalla sostenibilità dei propri conti e dalla prosperità della propria economia. Così com’è inutile avere avanzi primari se poi quelle eccedenze le butto regolarmente nel cesso degli interessi sul debito.
Con un tasso d’inflazione annuo intorno al 20%, e il tasso medio annuo dei Bot e dei Btp emessi per finanziare gli sbilanci di tesoreria e il fabbisogno dello Stato, che sfiorava anch’esso il 20%, i titoli di Stato italiani dell’epoca diventarono uno dei principali beni rifugio per le famiglie italiane, tuttavia l’esborso per tali tassi d’interesse in doppia cifra diventava sanguinosissimo per lo Stato.
Le obbligazioni statali diventavano sì uno dei principali beni rifugio per le famiglie italiane, ma soprattutto per quelle più abbienti, fino a diventare un vero e proprio oggetto della loro casalinga speculazione. Allo stesso modo della speculazione sul mattone, che gravava sulle famiglie a minor reddito costrette a pagare l’esplosione dei prezzi delle abitazioni e sottoscrivere mutui ipotecari a un tasso superiore anche al 20%.
Qual è la causa dell’indebitamento dello Stato? È la permanente eccedenza delle sue spese sulle sue entrate, sproporzione che è nello stesso tempo la causa e l’effetto del sistema delle obbligazioni. Per sfuggire a questo indebitamento lo Stato deve limitare le proprie spese, oppure far pesare imposte straordinarie sulle spalle dei ceti più balneari e sui grandi ricchi, che com’è noto sono proprietari anche dei tam-tam.
L’indebitamento dello Stato è una necessità, e con tale indebitamento il commercio dei debiti dello Stato diventa un ramo della speculazione finanziaria. Ogni generazione ne lascia dietro a sé un’altra più indebitata, ogni nuova generazione incomincia a condizioni più sfavorevoli e pesanti. Questo è un discorso che in dettaglio ci porterebbe lontano e a dire alcune cose sgradevoli.
I nostalgici della sovranità della liretta, sul tipo dei “riconquistatori dell’Italia”, dovrebbero infine ricordare, prima di coricarsi la sera e al risveglio il mattino dopo, che il rating sui nostri titoli del debito è mezza tacca sopra il livello “spazzatura”, come Bulgaria e Romania che della loro moneta sono pienamente sovrane. Se l’Italia non è ancora a livello dell’Argentina ciò è dipeso solo dall’euro della matrigna UE.
L’afflato di riconquista della sovranità di stampare moneta propria mi ricorda un filmato dei primi del secolo scorso che mostra un tizio lanciatosi dalla torre Eiffel con un improbabile paracadute. Ovviamente precipitò come un sasso. Ebbene, quando rivedo quel filmato penso al probabile dibattito tra i numerosi sostenitori che ebbero ad accompagnare quel disperato tentativo, sui motivi “tecnici” adotti circa il mancato funzionamento del paracadute. Dio ci preservi dai voli pindarici dei disperati e del loro largo seguito che vogliono riconquistare libertà di stampare a go-go una propria moneta sopra una montagna di debito.
Ministra dell'economia subito
RispondiEliminaFosse solo questione di ministri. Se arriva il vaiolo dei somari in Italia è strage.
Eliminal'Italia è stata mantenuta in vita artificialmente, a debito. Personalmente avrei preferito fosse fondata sul lavoro.
RispondiEliminai battitori di moneta avrebbero almeno evitato tutti questi salvataggi...
RispondiEliminase si scambia il debito per "lavoro" arriveremo a scambiare i lockdown per "sanità" e il vaccino per "dovere"... scambiare l'altare per la patria...
RispondiEliminaRiporto una tabella da cui si vede che:
RispondiElimina1) L’inflazione aumenta dai primi anni ‘70 e comincia a diminuire a partire dal 1980
2) Nello stesso periodo il rapporto debito/pil passa dal 37% (1970) al 56% (1980)
3) Dal 1980 al 1990 l’inflazione passa dal 19,55% (1980) al 6,61% (1990)
4) Nello stesso periodo il rapporto debito/Pil passa da 56% a 95%
L’inflazione diminuisce proprio nel decennio che vede il debito pubblico quasi raddoppiare (il famoso divorzio è del 1981), mentre nel decennio precedente buona parte dell’inflazione era inflazione importata (aumento dei prezzi delle materie prime in particolare il petrolio
https://www.money.it/Prezzo-del-petrolio-storico-WTI
https://www.quotidianomotori.com/automobili/prezzo-del-petrolio/)
Le fonti sono il sito di Banca d’Italia, il sito www.inflation.eu e il sito dell’Istat
nno % debito/pil media annua
1960 31,00% CPI Italia 1960 1,39%
1961 29,00% CPI Italia 1961 2,84%
1962 29,00% CPI Italia 1962 6,52%
1963 28,00% CPI Italia 1963 6,91%
1964 27,00% CPI Italia 1964 5,80%
1965 30,00% CPI Italia 1965 3,33%
1966 31,00% CPI Italia 1966 2,35%
1967 31,00% CPI Italia 1967 3,03%
1968 33,00% CPI Italia 1968 0,96%
1969 33,00% CPI Italia 1969 4,17%
1970 37,11% CPI Italia 1970 5,36%
1971 41,95% CPI Italia 1971 4,61%
1972 47,70% CPI Italia 1972 7,38%
1973 50,64% CPI Italia 1973 12,52%
1974 50,17% CPI Italia 1974 24,50%
1975 56,64% CPI Italia 1975 11,24%
1976 56,21% CPI Italia 1976 20,50%
1977 55,22% CPI Italia 1977 14,06%
1978 59,45% CPI Italia 1978 11,60%
1979 58,25% CPI Italia 1979 18,82%
1980 56,08% CPI Italia 1980 19,55%
1981 58,46% CPI Italia 1981 18,11%
1982 63,14% CPI Italia 1982 16,44%
1983 69,40% CPI Italia 1983 12,29%
1984 74,90% CPI Italia 1984 9,37%
1985 80,90% CPI Italia 1985 8,89%
1986 85,12% CPI Italia 1986 4,15%
1987 89,11% CPI Italia 1987 5,19%
1988 90,83% CPI Italia 1988 5,38%
1989 93,31% CPI Italia 1989 6,28%
1990 95,22% CPI Italia 1990 6,61%
1991 98,59% CPI Italia 1991 5,88%
1992 105,49% CPI Italia 1992 4,87%
1993 115,66% CPI Italia 1993 4,38%
1994 121,84% CPI Italia 1994 4,03%
1995 116,86% CPI Italia 1995 5,57%
1996 116,30% CPI Italia 1996 2,86%
1997 113,57% CPI Italia 1997 1,90%
1998 110,43% CPI Italia 1998 1,68%
1999 109,36% CPI Italia 1999 2,11%
2000 104,89% CPI Italia 2000 2,70%
2001 104,53% CPI Italia 2001 2,37%
2002 101,65% CPI Italia 2002 2,83%
2003 100,16% CPI Italia 2003 2,50%
2004 99,70% CPI Italia 2004 2,03%
2005 101,89% CPI Italia 2005 1,99%
2006 102,49% CPI Italia 2006 1,87%
2007 99,68% CPI Italia 2007 2,61%
2008 102,33% CPI Italia 2008 2,24%
2009 112,43% CPI Italia 2009 1,02%
2010 115,29% CPI Italia 2010 1,88%
2011 116,40% CPI Italia 2011 3,29%
2012 123,11% CPI Italia 2012 2,31%
2013 128,53% CPI Italia 2013 0,66%
2014 132,09% CPI Italia 2014 0,00%
2015 134,81% CPI Italia 2015 0,09%
Bragadin
Buongiorno,
Eliminaforse andrebbe aggiunta una terza colonna, cioè quella del disavanzo primario rispetto al PIL e poi una quarta, cioè quella del tasso medio di interesse reale dei G7. Con la terza colonna ci accorgeremmo che la crescita decisa del rapporto debito/PIL negli anni '80 ha avuto come ragione principale proprio la differenza tra quanto speso e quanto incassato negli anni precedenti il fatidico divorzio, con la quarta ci accorgeremmo che la crescita dei tassi di interesse fu una scelta quasi obbligata per tenere sotto controllo l'inflazione e per consentire al paese di evitare ampi deflussi di capitale in un momento in cui tutti i paesi più industrializzati offrivano rendimenti elevati. Se avessimo agito diversamente ci saremmo dovuti orientare verso nuove svalutazioni, i salari avrebbero perso valore reale e l'inflazione molto probabilmente sarebbe stata più alta. Il divorzio è stata soprattutto una questione di "credibilità" internazionale, sul piano politico. Le istituzioni finanziarie, anche quelle ammantate di "sovranità", sono sempre al servizio del Capitale e sul finire degli anni '70 ci fu la famosa svolta monetarista che coinvolse le economie più sviluppate del mondo con l'abbandono dell'illusione keynesiana che aveva accompagnato l'intero dopoguerra e infettato buona parte della sinistra europea, persino i tanto temuti comunisti italiani. L'Italia non poteva scendere da quel treno e così è stato. In ogni caso immaginare che sia possibile muovere indietro la ruota della storia, riavvolgere il nastro e tornare alla moneta sovrana, panacea di tutti i mali, è alquanto illusorio e soprattutto sposta l'attenzione dalla questione principale cioè dai rapporti sociali di produzione e distribuzione del valore.
Saluti
Costantino
sull'ultima frase mai avuti dubbi
EliminaA lei non viene in mente che il debito aumenta per l'esplosione della spesa pubblica? Infatti ho scritto: "Qual è la causa dell’indebitamento dello Stato? È la permanente eccedenza delle sue spese sulle sue entrate, sproporzione che è nello stesso tempo la causa e l’effetto del sistema delle obbligazioni".
RispondiEliminaSpesa complessiva del bilancio dello Stato in migliaia di euro in valori monetari: 1977: 32.310.914; 1978: 42.986.136; 1979: 58.097.972; 1980: 80.430.261; 1981: 89.184.944; 1982: 133.266.025; 1983: 166.284.462; 1984: 178.286.445; … 1987: 240.356.211.
La mia fonte è la Ragioneria generale dello Stato.
Pertanto, in soli due anni, dal 1977 al 1979, la spesa pubblica raddoppia; in undici anni si moltiplica per otto!
Non ho mai sostenuto che l’aumento della spesa pubblica non abbia influito sull’aumento del debito.
EliminaTuttavia sarebbe opportuno chiedersi quale sarebbe stato l’aumento del debito senza il famoso divorzio: con la banca centrale che acquista il debito non collocato presso il pubblico c’è anche un effetto calmiere sui tassi di interesse (= minore spesa per interessi).
Inoltre gli interessi incassati dalla banca centrale sui titoli pubblici ritornano al tesoro dello stato come dividendi pagati dalla banca centrale (= minore spesa per interessi).
Il discorso è molto complesso, perché chiama in causa anche la natura giuridica del soggetto “banca centrale” e i suoi obbiettivi statutari solo per citare le cose principali.
In ogni caso il famoso “divorzio” si è ricomposto quando la BCE è stata in qualche modo “costretta” ad intervenire con il QE (se non fosse intervenuta, probabilmente l’euro non esisterebbe più, e poiché la BCE esiste in quanto esiste l’euro…).
Infine non farei paragoni con l’Argentina (il cui debito era emesso in dollari sotto legislazione estera) e neanche con altri paesi che hanno strutture produttive ed industriali un tantino diverse dall’Italia (e quindi problemi diversi).
Bragadin
Il suo intervento in contraddittorio è opportuno. Non volevo replicare per lasciarle l’ultima parola (volentieri ugualmente), ma vedo necessaria una precisazione. Non discuto in linea di principio la bontà del fatto che la Banca d’Italia acquistasse il debito invenduto emesso dal Tesoro, e ciò com’era avvenuto in condizioni normali; ma a un certo punto questo salvataggio sugli acquisti dell’invenduto divenne esiziale perché permetteva alla “politica” di emettere debito à gogo, tanto copriva Bankitalia. Penso fosse questa la preoccupazione di Andreatta. Ampliamento della massa monetaria e del debito che peraltro è continuato con spensieratezza e le conseguenze che sappiamo, mantenendo i tassi sul debito in verticale. Quello che voglio dire è altro, e cioè che l’aumento del debito pubblico non ha come causa, soprattutto come causa principale, tale separazione.
EliminaAggiungo riguardo al riferimento all'Argentina. Penso che l'Italia sarebbe stata oggetto di attacchi alla lira e l'avrebbero costretta in condizioni perfino peggiori. Ma questa, in assenza di controprova, è solo una mia opinione.
EliminaVedo che la discussione si sposta sulla politica, il che aprirebbe una diatriba infinita. Alcune considerazioni: perché ad un certo punto la "politica" è diventata una cosa cattiva? E soprattutto perché è passato questo messaggio?
EliminaPer definizione la politica dovrebbe mediare tra interessi contrapposti e trovare una sintesi se non la migliore possibile almeno la meno dannosa. Però ad un certo punto la politica è diventata sporca per definizione. Facciamo l'esempio delle privatizzazioni degli anni '90: il succo era in sintesi, lo stato è inefficiente, il privato no (purtroppo recentemente si sono visti esempi di questa efficienza del privato)
Ma se lo stato è così inefficiente, perché c'è stata la corsa ad accaparrarsi le le aziende pubbliche? Chi se le prendeva se erano così inefficienti? Se invece non lo erano perché svenderle con i risultati che sappiamo?
E poi perché se un settore è in crisi corre dall'inefficiente stato a battere cassa?
Io penso che alcuni gruppi di potere semplicemente siano riusciti a far accreditare i loro privatissimi interessi come interessi nazionali a danno di intere categorie di lavoratori, avendo anche il supporto di una certa parte politica.
Bragadin
E a proposito dell'onnipresente speculazione nel 1992, se non ricordo male, questa si accanì ugualmente contro un paese "serio" come la Gran Bretagna, oltre che contro il nostro, additato come un paese da operetta anche da buona parte dei suoi abitanti.
EliminaBragadin
Direi che l'jncultura barbara, un bel po' "Chiagni e fotti!") del più deficit (e debito) per tutti non è cambiata di una virgola passando dalla moneta nazionale a quella europea.
RispondiEliminaPoiché non è matematicamente possibile che il deficit e debito aumentino senza limite, il patatrac sarà tanto più doloroso quanto in là nel tempo.
Una vera e propria predazione intergenerazionale ed ecologica.
Il fatto che deficit e debito siano aumentati a dismisura con l'euro è una aggravante ulteriore.
Se guardi bene la tabella noterai che il debito pubblico comincia a scendere dal 1994 circa fino al 2008, quindi scende anche nei primi anni dell'euro (che esiste dal 1999).
EliminaBragadin
Arrivo un po’ tardi, ma è meglio, così posso evitare cose già dette. Mi limito a due argomenti: uno è l’inflazione, il secondo l’euro. Avendoli nominati uno di seguito all’altro, non posso fare a meno di ricordare l’inflazione che seguì all’introduzione dell’euro. L’uomo della strada, interpellato a bruciapelo, dirà che un euro vale in realtà mille lire. Sbagliando, perché occorre distinguere fra classi di prodotti e servizi. Dobbiamo però dire con costernazione che l’ISTAT ha volontariamente arruffato le carte, e nessuno possiede il dato preciso. Il meccanismo è il seguente: c’era un “paniere”, abbastanza stabile, anzi troppo stabile, perché conteneva prodotti ormai poco acquistati, che continuavano ad avere lo stesso peso: famoso il caso delle sigarette nazionali semplici, che nessuno fumava più. Qual è stata la furbata? Aggiornare il paniere. Anno dopo anno, nei primi tempi dell’euro, il paniere veniva cambiato, se ben ricordo anche nella misura del 40%. Ora, è sufficiente la licenza elementare per capire che se nel 2002 il paniere non conteneva un certo prodotto, e nel 2003 il prodotto veniva inserito, la variazione di prezzo per quel prodotto era zero. Aggiungasi che, nei primi anni 2000, si verificava il piacevole fenomeno della riduzione del costo dei computers e dei servizi di telecomunicazioni. Peccato che, contemporaneamente, si avesse un forte incremento del prezzo degli alimentari, dei tessuti e dei beni durevoli non elettronici, con in testa i veicoli a motore e le abitazioni (sia acquisto che affitto). Morale: l’aumento dei prezzi tra il 2002 e il 2007 risultò, se ben ricordo, intorno al 17%, mentre la percezione del cittadino che andava in pizzeria era ben diversa. E intanto l’ISTAT si autoincensava per avere aggiornato il paniere.
RispondiEliminaQuesto per l’euro. Se risaliamo all’inflazione degli anni ’70, capisco che possa essere sgradevole dirlo, ma la causa principale furono gli aumenti salariali.
I rapporti fra Tesoro e Bd’I non cambiarono poi tanto nel 1981. La Banca d’Italia era pur sempre l’istituto di emissione, e a quel tempo questo significava, differentemente da oggi, stampare carta moneta. La quale si stampava ricevendo in cambio dal Tesoro titoli di debito. Meno male che l’indole risparmiatrice degli italiani soffermò la sua attenzione sui BOT, altrimenti saremmo veramente diventati l’Argentina.
Per il resto, sono d’accordo con te e con Bragadin. Aggiungo solo una piccola notazione: una cosa è farneticare di uscita dall’euro, un’altra domandarsi se l’entrata sia stata tempestiva, sufficientemente meditata e ben negoziata. Non dimentichiamo che la Grecia pagò a caro prezzo la falsificazione dei conti effettuata per avere la vacua soddisfazione di essere nella moneta unica. Anche i bambini sanno che analoga falsificazione, sia pure di inferiore impatto, avvenne in Italia.
basterebbe anche solo notare come l'esplosione del debito avviene dopo il divorzio. E l'esplosione non dipende tanto dalla spesa corrente ( che diminuisce ) ma dagli interessi che (al netto dell'inflazione) aumentano. È surreale leggere in un blog di ispirazione marxista la tesi fondante del mainstream neoliberale: statobruttoecattivo. Nessuno sostiene che la monetizzazione del debito offra una soluzione facile a tutti i problemi ma essa rende una soluzione tecnicamente possibile. Al contrario controllare il debito con le regole attuali è tecnicamente impossibile.
RispondiEliminaDa che cosa desume (non dai dati che riporto) che la "spesa corrente diminuisce" quando aumenta il debito?
EliminaQuanto alla "tesi fondante del mainstream neoliberale", le mie parole sono tratte da "Le lotte di classe in Francia" di un certo Marx.
la tesi fondante del mainstream neoliberale è che la politica è una cosa brutta e sporca e che quindi è meglio lo stato non si occupi di economia. Il debito diventa un problema insormontabile quando lo stato rinuncia alla possibilità di finanziarlo con l'emissione di moneta. Il divorzio è un fatto estremamente rilevante dal punto di vista ideologico perché segna la vittoria della tesi di cui sopra.
Eliminail quantitative easing, per esempio, che cos'è?
Eliminaun ottimo strumento nelle mani sbagliate, quelle della finanza.
Elimina@Erasmo
RispondiEliminaSiamo sicuri che la causa principale dell'inflazione degli anni '70 sia l'aumento dei salari e non i due shock petroliferi? Tra l'altro l'adeguamento dei salari è (era) successivo alla rilevazione dell'indice, quindi sarebbe più corretto dire che i salari seguono l'inflazione e non viceversa. Poi so che esistono anche le aspettative, per cui se io, imprenditore, so che i salari aumenteranno di circa tot posso benissimo premunirmi con un aumento dei prezzi preventivo.
@Olympe de Gouges
Se l'acquisto dell'invenduto da parte di Bankitalia ad un certo punto diventò esiziale, vediamo cosa è diventata la politica monetaria con la BCE: un potere che non risponde a nessuno (e in nessun caso ai cittadini europei) e che nello statuto non ha neanche l'obbiettivo della piena occupazione.
D'altra parte questo sono le istituzioni UE: poteri autoreferenziali che accontentano le varie lobby e non rispondono ai cittadini. Non sembra una grande prova di democrazia, nonostante i continui proclami del contrario.
Bragadin
quanto al giudizio sulla UE sono d'accordo e vale quanto scrissi a suo tempo
EliminaSi é scaldata a partire dal 1970, ed è andata in doppia cifra sei mesi prima della guerra del Kippur. È chiaro che la crisi petrolifera ha buttato benzina sul fuoco (facile battuta).
EliminaSe sia nato prima l'uovo o la gallina è dubbio che non riesco a risolvere, anche perché non è utile risolverlo.