mercoledì 17 luglio 2019

Il viaggio segreto




Spesso si tende a dimenticare che gli uomini d’inflessibile energia cerebrale, di ambizione incoercibile, sono soggetti alla stessa legge degli altri uomini, e che dopo aver raggiunto il successo e i relativi vantaggi tendono a perdere inevitabilmente energia e volontà d’azione, sospirando altro che le gioie del compiacimento e del riposo.

*

Subito dopo la campagna di Russia (*), Napoleone poteva contare ancora su 110.000 soldati e 30.000 cavalleggeri. Da Mosca aveva ordinato lui stesso la leva di nuove “coorti” che gli avevano già reso 80.000 uomini. Aveva ordinato la leva straordinaria di 137.000 uomini e stava progettando una leva finale che gli avrebbe fornito sulla carta un nuovo esercito di 650.000. Aveva ancora copiose guarnigioni nelle fortezze della Vistola, dell’Elba e dell’Oder, la cui forza era intatta. Ma le sue truppe erano inesperte o esauste, i quadri intermedi dissolti, i suoi generali satolli di titoli e onorificenze, insomma riluttanti, l’equipaggiamento difettoso. Del resto non si era mai preso cura di migliorare l’armamento: il fucile in dotazione era ancora quello del 1777, l’artiglieria non la più moderna.

Delle centinaia di biografie dedicate a Bonaparte, quasi nessuna racconta il rocambolesco rientro dell’Imperatore da Mosca a Parigi (**). I dettagli di questo viaggio segreto sono stati conservati nelle memorie di Caulaincourt, duca di Vicenza (***). Questi, essendo stato ambasciatore in Russia e avendo goduto dell’intimità dello zar Alessandro, conosceva bene sia l’animo russo che le minacce del clima locale. Più di una volta aveva messo in guardia Napoleone contro questo pericolo durante la campagna di Russia. È noto che Napoleone si fecce beffe di tali raccomandazioni e arrivato al Cremlino nel settembre del 1812, trovando che gli orologi ticchettavano ancora tranquillamente e il clima mite, si volse a Caulaincourt in tono canzonatorio: “Ebbene, signor duca, che ne è del vostro clima russo? È mite come un giorno di settembre a Fontainebleau”.


Contrariamente a quanto si crede, la strategia di ripiegamento dell'esercito zarista non fu un'idea del feldmaresciallo Kutuzov, bensì Barclay de Tolly, feldmaresciallo e ministro della guerra russo (di origini tedesco-baltiche), che venne destituito proprio perché si operasse con una strategia opposta. L'dea di de Tolly era brillante: aveva intuito che la geografia poteva diventare la sua migliore alleata. Ad un certo punto le élite di Pietroburgo ne avevano abbastanza di indietreggiare continuamente e volevano lo scontro con l'armata di Napoleone. Per tale motivo venne nominato Kutuzov  a capo dell'esercito il 18 agosto 1812. Fu lui a scegliere il luogo dello scontro: Borodino.

Dopo quella battaglia e aver raggiunto Mosca e sperato invano in un armistizio, per la Grande Armata seguirono gli orrori della ritirata. Napoleone non volle ripercorrere la strada dell’andata; uscendo da Mosca puntò verso sud, cioè su Kaluga, a meno di 200 km a sud di Mosca. Sennonché il generale Dokhturov, contravvenendo alle direttive di Kutuzov, diede battaglia nei pressi di Malojaroslavec. La mattina del 25 ottobre, poco prima della battaglia, quand’era ancora buio, Napoleone, accompagnato da alcuni ufficiali e un picchetto di cacciatori, si era diretto in perlustrazione verso le posizioni russe. Senza accorgersene superò il limite del campo nemico e giunse ad un bivacco di cosacchi. I cacciatori francesi tennero a bada il nemico fino all’arrivo dei rinforzi. Tempo dopo, Caulaincourt scrisse: “L’Imperatore era solo con il principe di Neuchâtel e con me; tutti e tre avevamo la sciabola in pugno […]. Se i cosacchi, che si avvicinarono e per un momento giunsero ad accerchiarci, fossero stati più decisi, se fossero avanzati in silenzio sulla strada invece di restare sul ciglio a urlare e ad agitare le armi […], l’Imperatore sarebbe stato ucciso o catturato”.

Dopo quella battaglia, Napoleone fu costretto a tornare indietro e riprendere la strada per Smolensk. Napoleone e Caulaincourt rividero i cadaveri insepolti di coloro che erano caduti a Borodino e ancor prima nella mattanza nei pressi di Smolensk. Seguì il miracolo della Beresina, dove i genieri francesi immersi nell’acqua gelida costruirono un ponte che salvo ciò che restava della Grande Armata.

Caulaincourt viaggiava con il suo nome di duca di Vicenza, mentre Napoleone appariva nei passaporti come suo segretario sotto il nome di de Rayneval.  La carrozza si dimostrò troppo pesante per i cavalli che dovevano procedere su quel ghiaccio. Arrivati poco dopo Kaunas, Caulaincourt rinvenne una vecchia slitta coperta, un vero cassone su pattini, che era stata dipinta una volta di rosso. Abbandonati i bagagli, il fedele mamelucco Rustam e ogni altra cosa, i due proseguirono il loro viaggio, giorno e notte, nel ghiaccio e sotto la neve.

A Tilsit entrarono in territorio prussiano e l’imperatore cominciò a temere d’essere riconosciuto e fermato; si rintanò nel fondo della slitta, abbassandosi il berretto di pelliccia sugli occhi, ravvoltolandosi nel gran mantello di velluto verde e pelle d’orso che indossava. Senza potersi lavare e radersi, tagliarono attraverso la Prussia orientale verso la Polonia e il 10 dicembre raggiunsero l’hotel d’Angleterre a Varsavia. L’Abbé de Pradt, ambasciatore francese, fu convocato nella sala dell’albergo e l’imperatore scaricò su di lui per qualche ora l’ira accumulata. L’Abbé de Pradt si vendicherà cospirando con Talleyrand.

Sempre nella dura e lurida slitta i due si diressero verso la Germania e il Reno. Durante quei quattordici giorni e notti sulla slitta, Napoleone non fece che discorrere. Parlava febbrilmente delle sue glorie passate e dei suoi piani futuri. A mezzanotte del 13 dicembre 1812 raggiunsero Dresda. Poco più di sei mesi prima, proprio lì, Napoleone aveva celebrato con ogni sfarzo l’apogeo della sua gloria ed era comparso come Carlo Magno fra i principi vassalli dell’Europa centrale. Invece quella notte di dicembre non riuscivano a trovare la via della casa del ministro di Francia e non vi era nessuno al quale domandare indicazioni. Ha luogo un episodio comico: vedono una finestra illuminata, chiamano. La finestra si apre e un uomo con berretto da notte si affaccia. “È la casa del ministro di Francia, la casa del conte de Serra?”, chiedono. La testa rientrò dentro e la finestra si chiuse. Ci volle un’ora perché trovassero ciò che cercavano.

Il mattino dopo continuarono il viaggio, lasciando la slitta rossa a Dresda, dove sarà acquistata da un intraprendente inglese come oggetto di curiosità. Proseguirono in una carrozza messa a loro disposizione dal re di Sassonia, ma dopo varie peripezie ripartirono su un landò che il signore di Saint-Aignan aveva fatto modificare in modo che Napoleone potesse restarvi disteso. Le avventure di viaggio non finirono qui, e a Saint-Jean-les_deux-Jumeaux salirono su un piccolo cabriolet aperto e ripartirono a "velocità folle". Infine a Meaux furono costretti, a causa della rottura di un asse, a spostarsi su una decrepita vettura postale col quale la notte del 18 dicembre arrivarono finalmente nel cortile delle Tuileries. L’orologio suonava un quarto a mezzanotte. Il portiere comparve in camicia da notte con una candela. “Sono io”, disse Caulaincourt, “il duca di Vicenza”. Napoleone, zoppicando penosamente, con le giunture gonfie, strizzando gli occhi indolenziti allo splendore dei lumi che erano stati portati in fretta dalle stanze interne, entrò nel suo palazzo.

*

Contrariamente a quanto si crede comunemente, il disastro degli eserciti di Napoleone in Russia riempì Metternich di costernazione, poiché invece di una situazione ben equilibrata su cui aveva contatto, doveva far fronte a un grave squilibrio. L’equilibrio, infatti, era la sua dottrina. Temeva una pace tra la Russia e la Francia che avrebbe lasciato fuori l’Austria, ancora formalmente alleata di Napoleone. Anche in seguito alla sconfitta di Lipsia, Metternich avrebbe voluto un Napoleone ridimensionato, costretto entro gli antichi confini, ma non totalmente sconfitto.

Metternich non era l'unico a non volere una completa sconfitta di Napoleone. Kutuzov, voleva fermare l'avanzata verso occidente del suo esercito nel 1812, dopo che la Grande Armata era stata cacciata dalla Russia. Dubitava della saggezza di distruggere totalmente Napoleone, poiché "la sua successione non sarebbe toccata alla Russia né ad alcun'altra potenza continentale, ma alla potenza che ha già il controllo del mare, e il cui dominio sarebbe intollerabile" (cfr. Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti, 1999, p. 211).

Prima di Lipsia, Napoleone sconfisse russi e prussiani nelle battaglie di Lützen e Bautzen. A questo punto Napoleone accetta l’armistizio di Pläswitz, che considererà poi nelle sue memorie come il più grave errore della sua vita. Nelle successive dieci settimane gli eserciti russo e prussiano si ricompattarono, e quello austriaco voltò le spalle a Napoleone alleandosi con i suoi nemici, ai quali si aggiunsero gli svedesi e i meclemburghesi, in tutto 860.000 uomini.

Fu così che nella prima settimana di ottobre Napoleone fu costretto a ritirarsi in prossimità di Lipsia, dove era riuscito a concentrare una forza di 190.000 uomini con 734 cannoni; gli eserciti alleati, che convergevano da nord e da sud sulla città, ammontavano a circa 300.000 uomini con 1.335 cannoni. La battaglia di Lipsia cominciò il 16 ottobre: la sera di quel giorno, la Francia, nonostante gravi perdite, era in vantaggio. La mattina del 17 ottobre Napoleone era scoraggiato e indeciso. Mandò un messaggio per mezzo del generale conte Marveldt all’imperatore d’Austria chiedendo un armistizio e suggerendo negoziati di pace.

Non ricevendo risposta, Napoleone decise di riprendere la battaglia il giorno seguente. La sera Napoleone ordinò una ritirata generale. Vi era soltanto un ponte sul Pleisse e divenne orribilmente congestionato durante la notte. All’alba del 19 ottobre gli alleati irruppero nella città e il ponte fu fatto saltare. Le truppe italiane e tedesche che erano al comando di Napoleone passarono immediatamente al nemico.

Nonostante la sconfitta, Napoleone non accettò di rientrare negli antichi confini (più il Belgio). Come diplomatico non fu nemmeno l’ombra di ciò che fu come generale.

(*) La campagna di Russia (1812): 24 giugno, Napoleone passa il Niemen a sud di Kaunas; 28 giugno, presa di Vilna; 17 agosto, presa di Smolensk; 7 settembre, battaglia di Borodino; 14 settembre, ingresso a Mosca; 14-16 settembre, incendio della città; Napoleone si ritira nel palazzo Petrovskij, nei sobborghi; 18 settembre, ritorna al Cremlino; 5 ottobre, invia Lauriston nella speranza di concludere un armistizio con lo zar; 18 ottobre, Napoleone parte da Mosca, comincia la ritirata; 9 novembre, arriva a Smolensk; 28-29 novembre, passa la Beresina; 3 dicembre, esce a Parigi il 29° bollettino che ufficializza la disfatta; 5 dicembre, abbandona l’esercito a Smogorni; 18 dicembre, rientra a Parigi.

(**) Nell’edizione Plon, 1933, il racconto della Retraite è dato da Calouncurt nei capitoli V e VI della Mémoire, mentre nei capitoli (VII-IX) quello del viaggio di ritorno da Mosca, con il titolo En traîneau avec l'empereur, e nell’ultimo capitolo, il X, L’arrivée a ParisPer i tipi della Laterza, nel 1939, fu pubblicato In slitta con l'imperatore, di Caulaincourt con introduzione di Adolfo Omodeo. Il libro è introvabile se non a caro prezzo. Non si capisce perché non venga ristampato. Segnalo questo libro curioso e ben scritto: Sylvain Tesson, "Beresina. In sidecar con Napoleone", Sellerio, 2016.

(***) Armand Augustin Luis de Caulaincourt, duca di Vicenza (1773 - 1827). Suo padre aveva conosciuto Giuseppina quando era ragazza e lui deve a ciò di essere nominato nel 1802 fra gli aiutanti del primo console. Va anche detto che suo padre, Gabriel Louis, nel 1800 fu promosso generale da Napoleone. Sempre da questi venne nominato senatore del Sénat conservateur il 1º febbraio 1805 e conte dell'Impero il 24 aprile 1808.

All’età di 31 anni Armand de Caulaincourt fu fatto ufficiale personale di Napoleone. Tra il 1807 e il 1811 ambasciatore in Russia, e nominato duca di Vicenza. Accompagnò Napoleone nella campagna del 1812. Fu suo rappresentante a Pläswitz (maggio 1813). Il 20 novembre 1813 fu nominato ministro degli Esteri. Nel gennaio 1814 rappresentante di Napoleone al congresso di Châtillon. Condusse i negoziati per l’abdicazione di Napoleone e il trattato di Fontainebleau (aprile 1814). Con il ritorno dei Borbone si ritirò a vita privata. Durante i cento giorni fu insieme a Napoleone e lo seguì quando rientrò alle Tuileries. Il 21 marzo 1815 di nuovo nominato ministro degli Esteri. Rimase a Parigi quando entrarono gli alleati e gli fu permesso di ritirarsi a vita privata. Nel febbraio 1827 morì nella sua casa in rue Saint Lazare a Parigi. Il castello de Caulaincourt, che lui fece abbellire durante i suoi ultimi anni, fu distrutto completamente dalle truppe tedesche nel 1917.

Napoleone impedì per dieci anni a de Caulaincourt di sposare madame Adrienne de Canisy; soltanto a Fontainebleau, nel 1814, quando aveva ormai firmato la sua abdicazione, accordò il consenso che non era più in grado di rifiutare. Caulaincourt baciò la mano del suo signore pieno di gratitudine per tale vano dono. Adrienne de Canisy (1785 – 1876) era figlia di François René Hervé de Carbonnel di Canisy e di Anne Marie Charlotte de Loménie, ghigliottinata nel 1794. Adrienne fu data in sposa, a tredici anni, a uno dei suoi zii, Louis Emmanuel de Carbonnel de Canisy (1768-1834), dal quale ebbe due figli. Dal matrimonio con Caulaincourt nacquero Adrien e Hervé Olivier de Caulaincourt.

[Consequently, when Caulaincourt fell in love with Adrienne de Canisy, one of Josephine's ladies-in-waiting, a married woman whose husband has left her, he discovered thet the affair was hopeless. The Emperor would not hear of Madame de Canisy's divorcing a husband who was her own uncle, with whom she had been forced into marriage at thirteen in order to keep the family properties inited].

Sembra che Armand de Caulaincourt abbia avuto una relazione con Praskovia Andreevna Golitsyna, contessa Shuvalova (1767-1828), dalla quale nel 1803 ebbe una figlia. Praskovia Andreevna, figlia del conte Andrei Petrovich Shuvalov (1744-1789), era moglie del principe Mikhail Andreyevich Golitsyn. Andrei Petrovich Shuvalov trascorse la maggior parte della sua vita all'estero, in stretto contatto con Voltaire e scrivendo versi libertari in francese; l’Enciclopedia Britannica del 1911 lo indica come il vero autore delle celebri lettere di Caterina II agli enciclopedisti francesi.



4 commenti:

  1. Un vero refrigerio..

    In questa estate queste piccole storie di una grande storia sono di refrigerio.
    Dimostrano come le grande individualità, fanno sì parte della storia ,ma sono soggette anch'esse ai bisogni dei comuni mortali che per'altro sono ben poca cosa se non diventano masse consapevoli,diversamente solo pecore adoranti i loro carnefici.

    caino

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    1. refrigerio? con tutto quel gelo russo credo bene. grazie

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  2. Se occorre una metafora a base di ghiaccio, direi che questi post sono la punta dell'iceberg rivelatrice di una cultura profonda e vasta. Non cesserò di esserti grato per un paio di indicazioni bibliografiche fra le molte:quella di Luraghi (Storia della guerra civile americana) e quella di Catherine Nixey (The darkening age).

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    1. grazie. non ti perdere il prossimo sull'apollo 11 : Un'impresa incredibile

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